Le dinamiche di accoglienza nello studio legale: intervista a Sergio Zicari

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Per alcuni, una semplice questione di marketing per migliorare/consolidare/fidelizzare il rapporto con il Cliente; per altri, una parte integrante di ogni professione, intellettuale e non. L’accoglienza – complice anche una certa standardizzazione qualitativa dei servizi – si trasforma sempre più da contorno a punto centrale per instaurare un processo relazionale efficace e di medio lungo termine. Ne abbiamo parlato con Sergio Zicari, Consigliere nel CdA e Learning Manager di AGCI, Membro del Direttivo Triveneto FERPI, consulente in comunicazione e marketing ed autore, con Giampietro Vecchiato, del volume Il primo incontro non si scorda mai – Manuale di accoglienza per le aziende e le organizzazioni, FrancoAngeli, Milano, 2009
 
In che cosa consiste l’accoglienza? E, all’interno di uno studio legale, quali sono gli step per instaurare un corretto clima di accoglienza nei confronti del Cliente?
 
Diciamo subito cosa non è l’accoglienza. Non è una delle tante mode di marketing né un programma acchiappa – clienti. Non è uno specchietto per le allodole, né una delle mansioni esclusive del front-office dello studio legale. È, piuttosto, la naturale conseguenza di una visione di valore dell’essere umano in quanto tale. Sotto quest’ottica, quindi, dovrebbe essere parte integrante della mission di qualunque studio legale.
Come facciamo ad accorgerci di qual è il nostro reale rapporto con l’accoglienza? È molto semplice. Teniamo un comportamento diverso a seconda del ruolo che immaginiamo o scopriamo riveste il nostro interlocutore (cliente potenziale o fidelizzato, fornitore, visitatore)? Il personale di segreteria ha l’ordine di sorridere quando arriva un cliente, mentre gli avvocati lo accolgono col volto serio? Se dobbiamo rispondere sì anche solo ad una di queste domande, allora possiamo essere certi che abbiamo molto da correggere nel modo in cui accogliamo le persone.
Ma niente paura. Il cambiamento non solo è possibile, è realizzabile senza sforzi eccessivi, costi elevati, tempi lunghi. Il primo passo da fare è quello di riunire il personale (impiegati, professionisti, praticanti) per prendere un impegno comune per fare dell’accoglienza un elemento distintivo dello studio. Andranno poi identificati i diversi momenti nei quali la stessa si manifesta. Una prima distinzione si basa sul “canale” di contatto: l’interlocutore si presenta di persona o per telefono? Senza dimenticare che il contatto potrebbe avvenire anche per posta (cartacea o elettronica). Una seconda differenziazione è sul “tipo” di interlocutore (cliente fidelizzato, cliente acquisito, cliente potenziale, fornitore tradizionale, fornitore occasionale, fornitore potenziale). Infine va distinto il “chi è” dello studio (receptionist, altro personale impiegatizio, legale).
Per quanto riguarda il come, alcune valide idee verranno dalla semplice buona educazione, altre dal buon senso. Rivolgersi ad un consulente esterno si potrà rivelare particolarmente utile, soprattutto nella fase iniziale dell’apprendimento.
Non va trascurato il fatto che ci saranno delle differenze applicative tra un piccolo studio ed una realtà legale medio – grande. In quest’ultimo caso, chiaramente, il rischio di creare un rapporto impersonale è molto più alto. Il cliente, sentendosi “uno tra i tanti”, si sentirà meno tranquillo sul fatto di essere seguito in maniera ottimale e personalizzata. Anche il suo livello di soddisfazione ne sarà negativamente influenzato.
  
 
Lei parla dell’accoglienza come un vero e proprio elemento distintivo della struttura legale; in grado anche di produrre significativi effetti economici. Quali sono questi effetti e, di converso, quali potrebbero essere gli effetti negativi provocati da una assenza di un corretto clima di accoglienza?
 
È davvero interessante notare che proprio in questi anni in cui le professioni intellettuali si sono affacciate al marketing, è quest’ultimo ad essersi accorto che il miglior sistema di promozione per le aziende di produzione e commerciali è proprio ciò che ha caratterizzato da sempre il principale metodo di acquisizione di nuovi clienti per uno studio legale: il passaparola. Tanto che il marketing post moderno (o non-convenzionale) nelle sue forme viral, guerrilla, tribal, buzz e quant’altro ha le sue radici nel concetto stesso di passaparola[1].
Sta agli studi legali imparare a utilizzare in maniera attiva e consapevole questo strumento di cui finora ne hanno goduto il frutto, ma, salvo rari casi, in maniera semplicemente passiva.
L’accoglienza può essere quella competenza capace di far scattare la voglia nei clienti di promuovere il loro legale che, a questo punto, non sarà più semplicemente il loro “legale di fiducia”, ma il loro “legale di ammirazione”. Con conseguenze non solo di “fama”, ma anche di risultati tangibili nel conto economico.
Molti avvocati sono convinti che i loro clienti sono soddisfatti semplicemente perché non ritirano il mandato durante lo svolgimento della pratica e magari tornano da loro anche per successive assistenze. In realtà, è solo la paura di subire un danno che li tiene legati al loro legale. Certamente non lo suggeriranno ai loro conoscenti. Ciò avviene solo quando la competenza professionale si abbina a capacità comunicative e relazionali. I clienti richiedono attenzione sincera, non un distratto saluto, un semplice cenno di riscontro o una risposta prestampata.
In caso contrario? Ci si renderà conto del fatto che il passaparola non avviene solo in senso positivo. È risaputo che una percentuale racchiusa tra il 71% fino al 90% dei clienti insoddisfatti non esprime la propria insoddisfazione al diretto interessato, ma non si trattiene certo dal dirlo ai propri amici. E quelli che lo fanno in caso di lamentele sono, percentualmente, sette volte più numerosi di quelli che lo fanno in caso di soddisfazione.
Penso che tutto questo abbia una notevole influenza sul successo di uno studio legale.
 
La categoria forense vive – rispetto alla comunicazione – un vero e proprio momento di transizione; esiste, secondo lei, il rischio per cui l’accoglienza possa trasformarsi, da strumento che integra ogni condotta professionale, in un alibi che faccia leva su elementi evocativi, nascondendo assenze ben più sostanziali?
 
Recentemente uno studio di ingegneria, per la prima volta nella sua storia, ha trasmesso alcuni spot pubblicitari su un’emittente televisiva regionale per quattro settimane. Alla fine ha affermato che “non serve a niente fare della pubblicità” perché le loro vendite non erano aumentate. Dopo aver partecipato ad un corso di sedici ore sulla comunicazione persuasiva, un altro professionista ha dichiarato che investire in formazione è solo uno spreco di tempo e di denaro perché, il mese successivo, non aveva acquisito nessuno nuovo cliente. Non si tratta di casi unici. Tutt’altro.
Nella nostra ricerca di soluzioni facili, dimentichiamo che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Conduciamo una vita malsana (mangiamo troppo e male, non svolgiamo attività fisica, magari fumiamo venti o più sigarette al giorno) e andiamo dal medico pretendendo che una pillola ci faccia dimagrire o ci faccia sparire il mal di testa o ci faccia ritrovare l’energia perduta. Poi diciamo che la cura non ha funzionato!
Niente di più facile, quindi, che l’accoglienza, come lei dice, possa diventare un alibi o comunque un palliativo. Anche la migliore vernice applicata ad una superficie corrosa dalla ruggine, alla fine, non le impedirà di ritornare in superficie.
La gente non è stupida. Non si fa ingannare da belle moine, sorrisi di circostanza e frasi imparate a memoria tratte da un “codice di condotta”. L’accoglienza è un’arma a doppio taglio. Se siete sinceri la gente vi ricompenserà e vi darà grandi soddisfazioni. In caso contrario, non se lo dimenticherà e andrà alla ricerca di un professionista più vero e più preparato.
 
Un Suo parere sull’evoluzione della comunicazione legale in Italia?
 
La comprensione che uno studio legale debba offrire non solo competenze giuridiche ma anche di relazione con il pubblico, inteso questo sia come singolo e diretto utente che si presenta in studio sia come utenza collettiva, si sta facendo sempre più strada tra i giovani professionisti. Sono loro, per primi, a non dare più peso a certe forme di “comunicazione” (ad es. l’arredamento in legno scuro e intarsiato o il linguaggio lontano dall’uso comune). Ma anche tra i professionisti non più giovani si sta facendo strada questa comprensione, vuoi per una propria apertura mentale vuoi perché la realtà li sta costringendo a modificare alcune radicate convinzioni.
Personalmente ritengo che l’introduzione di corsi di comunicazione e marketing all’interno dei tradizionali piani di studio della facoltà di Giurisprudenza nonché all’interno delle varie specializzazioni post universitarie, sia solo una questione di tempo.
 
 
A cura di Stefano Martello
 
 


[1] “… senza un DNA virale, contagioso, che stimoli il passaparola., il brand non entrerà a far parte delle conversazioni delle persone. “ da Marketing non-convenzionale, di B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, Il Sole 24 ORE Libri, Milano, 2008.

Martello Stefano

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