di Michele Angelo Lupoi
Sommario
Il trattamento delle clausole di scelta della giurisdizione in generale
Gli accordi facoltativi di scelta della giurisdizione
Accordi asimmetrici di scelta della giurisdizione
In questo scritto mi occuperò degli accordi facoltativi di scelta della giurisdizione nel diritto italiano. Preliminarmente, si deve osservare che, in questo ambito, il diritto interno svolge un ruolo residuale rispetto alle previsioni dei regolamenti europei, in particolare con riferimento all’art. 25 del regolamento UE n. 1215 del 2012. Le norme europee in materia di clausole di scelta del foro (e la giurisprudenza della Corte di giustizia ad esse relativa), peraltro, non saranno esaminate qui in modo diretto, per essere piuttosto menzionate in quanto rilevanti rispetto al tema affrontato.
Prima di entrare nel merito dell’argomento specifico, in questo paragrafo introduttivo occorre rapidamente esaminare le norme di riferimento nella materia.
Nel sistema processuale civile italiano, come ben noto, le parti godono di ampia libertà nello scegliere sia lo strumento per la soluzione di una controversia insorta tra loro sia il foro nel quale instaurare il relativo procedimento giudiziale.
Dal primo punto di vista, le parti, a certe condizioni, possono scegliere se fare decidere la loro lite da un arbitro o da un giudice. Di questo argomento non mi occuperò qui.
Rispetto alle clausole di scelta del foro, d’altro canto, si deve distinguere tra controversie nazionali e transfrontaliere.
Rispetto alle liti “interne”, le parti possono predeterminare, con un’apposita clausola contrattuale, la competenza territoriale, individuando il foro in Italia nel quale la domanda dovrà essere proposta in caso di controversia. Ai sensi dell’art. 28 c. p. c., rubricato “Foro stabilito per accordo delle parti”, le regole sulla competenza territoriale possono, come regola, essere derogate dai litiganti, con l’eccezione di alcune materie, come i procedimenti cautelari, e dei casi in cui la legge esclude accordi di questo tipo.
Nel contenzioso transfrontaliero, d’altro canto, le parti possono prendere accordi rispetto allo Stato le cui corti saranno chiamate a risolvere la controversia che dovesse insorgere tra loro. E’ proprio su queste clausole di scelta della giurisdizione che si focalizza la mia attenzione.
L’approccio italiano alle clausole di scelta del foro, peraltro, non è sempre stato “liberale”. In effetti, nel codice di rito del 1942, l’art. 3 (che recava l’eloquente rubrica: “Inderogabilità convenzionale della giurisdizione”) statuiva che la giurisdizione italiana non potesse essere derogata per accordo delle parti a favore di una giurisdizione straniera, salvo che la controversia riguardasse obbligazioni tra stranieri o tra uno straniero e un italiano non residente né domiciliato in Italia, purché un simile accordo fosse redatto per iscritto. In altre parole, la validità delle clausole di deroga alla giurisdizione era condizionata a pesanti limiti oggettivi e soggettivi[2].
D’altro canto, un convenuto straniero poteva essere sempre soggetto alla giurisdizione italiana se avesse accettato tale giurisdizione (ai sensi dell’art. 4, comma 1° c. p. c.), a meno che la controversia riguardasse immobili situati all’estero. Tale accettazione della giurisdizione italiana poteva essere espressa (anche) tramite una clausola di scelta del foro.
Le norme del codice del 1942 in questo ambito erano l’espressione di un sistema isolato e chiuso in se stesso, nel quale l’esercizio della giurisdizione aveva fortissime connotazioni pubblicistiche, come espressione della sovranità nazionale. Questo approccio, sviluppatosi sotto il regime dittatoriale fascista al potere nel 1942, sopravvisse, in effetti, per parecchi decenni alla caduta di tale regime.
Con il passare del tempo, peraltro, tale approccio, totalmente in contrasto con quello che si stava sviluppando, a partire dagli anni ’70, nell’ambito del nascente spazio europeo di giustizia, era diventato antistorico ed ingiustificabile[3].
Questo scenario fu, infine, totalmente innovato dalla legge n. 218 del 1995, che riformò, come ben noto, il diritto internazionale privato e processuale italiano, aprendolo ai valori giuridici stranieri, con una forte influenza, rispetto alla disciplina della giurisdizione e della circolazione delle decisioni, della convenzione di Bruxelles del 1968, sulla giurisdizione, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giudiziali tra gli Stati contraenti di quella che all’epoca era la Comunità europea.
Un ambito particolarmente rivoluzionato fu proprio quello delle clausole di scelta della giurisdizione: seguendo l’esempio delle regole uniformi europee in questo contesto, tali clausole, in sostanza, furono “liberalizzate”[4] e la giurisdizione italiana perse la sua natura “assoluta”[5].
Per quanto ci interessa qui, ai sensi dell’art. 4, comma 1° della legge n. 218 del 1995 (rubricato “Accettazione e deroga della giurisdizione”)[6], quando la giurisdizione italiana non esiste in base ad altri criteri di collegamento normativi, essa può comunque essere esercitata se le parti l’hanno accettata convenzionalmente e tale accettazione può essere provata per iscritto[7].
Il comma 2° dell’art. 4, inoltre, stabilisce che la giurisdizione italiana può essere derogata convenzionalmente in favore di una corte o di un arbitro straniero se tale deroga è provata per iscritto e la controversia riguarda diritti disponibili. Da un punto di vista soggettivo, la validità delle clausole di scelta del foro non è più limitata dalla nazionalità delle parti, come nel vigore dell’abrogato art. 2 c. p. c.[8]. Per quanto riguarda l’oggetto della controversia, inoltre, l’unico requisito, come si è visto, è che essa si riferisca a diritti di cui le parti possano liberamente disporre.
Il sistema è chiuso dal comma 3° dell’art. 4, che stabilisce che la deroga alla giurisdizione italiana non ha effetto se il giudice o l’arbitro straniero declini l’esercizio della propria giurisdizione o non possa decidere il caso per qualsiasi altra ragione.
Come si è detto, l’art. 4 svolge un ruolo residuale rispetto all’art. 25 del regolamento UE n. 1215 del 2012 e si applica solo alle clausole di scelta del foro non governate da tale norma, ad esempio quelle che attribuiscono giurisdizione alle corti di uno Stato terzo.
L’art. 4, inoltre, è l’espressione di un approccio generalmente accolto dalla giurisprudenza e dalla dottrina italiane. che, in sostanza, consente alle parti di “delocalizzare” il loro rapporto giuridico rispetto alle previsioni di un sistema normativo specifico, seguendo standard normativi accettati a livello internazionale[9].
La norma in esame combina i due effetti tipici di una clausola di scelta del foro, ovvero:
a) un effetto positivo (proroga), per quanto riguarda l’attribuzione di giurisdizione alle corti italiane in base alla volontà (tacita o espressa) delle parti: tale proroga può coesistere con la giurisdizione attribuita da altre disposizioni normative nel caso specifico oppure può determinare di per sé l’esistenza della giurisdizione della corti italiane. In altre parole, a fronte di una scelta delle corti italiane valida ed efficace, il giudice italiano sarà vincolato a decidere la relativa controversia, senza potere esercitare nessuna forma di discrezione e senza essere in condizione di mettere in discussione la sua “appropriatezza” o chiedersi se il sistema giuridico italiano abbia un interesse alla soluzione della lite. Questo vuol dire che una scelta del foro italiano attribuirà giurisdizione al giudice nazionale a prescindere da qualsiasi collegamento oggettivo o soggettivo tra l’Italia e la controversia: una giurisdizione, dunque, che può essere qualificata come “universale”[10]. Rispetto ai requisiti formali delle clausole di proroga, l’art. 4, comma 1° richiede soltanto che esse siano provate per iscritto[11], al fine di proteggere il convenuto contumace o che neghi di avere mai approvato la proroga che tali clausole derivi[12]: ciò vuol dire che le clausole di scelta del foro possono essere concordate oralmente;
b) un effetto negativo (deroga): una clausola di scelta di un foro straniero nega la giurisdizione italiana esistente in base alle disposizioni normative in materia. A fronte di una clausola di deroga, i giudici italiani sono vincolati a dismettere la propria giurisdizione, senza possibilità di valutazioni discrezionali o di mettere in dubbio la scelta espressa dalle parti a favore del foro straniero. La deroga a favore delle corti straniere, comunque, non è sempre ammissibile, dal momento che non è consentita rispetto ai diritti indisponibili[13]. Inoltre, anche la clausola di deroga deve essere provata per iscritto[14].
L’art. 4 non richiede che il foro straniero sia a qualsiasi titolo collegato alla controversia[15]. E’, dunque, possibile scegliere le corti di uno Stato neutrale o di uno Stato nel quale sia localizzato un rapporto connesso[16]. La semplice volontà delle parti è sufficiente ad attribuire giurisdizione anche in assenza di qualsiasi altro criterio di collegamento, nel prisma del principio di funzionalità delle giurisdizioni concorrenti[17].
Si richiede che la clausola di deroga non si limiti a negare la giurisdizione italiana: la clausola, infatti, deve sempre contenere la scelta di un foro straniero (o, almeno, i criteri per individuare tale foro) ([18]). In altre parole, la deroga alla giurisdizione italiana deve sempre essere combinata con la scelta di un foro straniero[19].
Rispetto alle clausole di deroga alla giurisdizione italiana, per identificare la corte scelta dalle parti, si richiede che la clausola stessa individui con chiarezza il sistema legale straniero a cui viene attribuita giurisdizione[20]: sta poi alla lex fori straniera localizzare la corte competente nell’ambito del proprio ordinamento. In effetti, la Corte di Cassazione[21] ha stabilito, rispetto ad una clausola di scelta del foro che si riferiva alla competenza di cinque corti della Repubblica popolare cinese, che tale clausola dovesse solo specificare il sistema giudiziario straniero scelto dalle parti per la decisione della lite e non la corte territoriale specifica avanti alla quale la domanda dovesse essere proposta. Una volta accertato il difetto di giurisdizione italiana derivante dalla clausola di deroga, la localizzazione, all’interno del sistema straniero, della corte che abbia il potere di decidere la lite non riguarda la validità della clausola stessa, ma è una questione relativa alla competenza, rimessa alla valutazione del foro straniero.
Come si è già argomentato, nell’art. 4, il rapporto tra i due effetti speculari (deroga e proroga) è ben evidente: ai sensi del comma 3°, in effetti, la giurisdizione italiana può essere derogata solo se il giudice strano accetta o è in grado di decidere la causa. Altrimenti, la domanda può essere (ri)proposta davanti alle corti italiane, in base ai criteri di collegamento applicabili, al fine di evitare un diniego di giustizia.
La giurisprudenza relativa all’art. 4 non è particolarmente copiosa: in effetti, il contenzioso transfrontaliero in Italia è prevalentemente governato da norme uniformi europee sulla giurisdizione. Dai casi disponibili, però, è possibile distillare alcune interessanti tendenze.
In particolare, si deve evidenziare che la giurisprudenza italiana ha adottato un approccio interpretativo dell’art. 4 della legge n. 218 del 1995 basato non solo sulla sua formulazione letterale, ma anche sui precedenti della Corte di giustizia in relazione, dapprima, all’art. 17 della convenzione di Bruxelles del 1968, poi dell’art. 23 del regolamento UE n. 44 del 2001 e, infine, dell’art. 25 del regolamento UE n. 1215 del 2012. In pratica, da un punto di vista unilaterale, la giurisprudenza italiana cerca di applicare alle clausole a favore delle corti di uno Stato terzo standard uniformi a quelli applicati alle clausole a favore di uno Stato membro. In effetti, le decisioni della Corte di giustizia sono frequentemente richiamate in controversie relative all’art. 4 della legge n. 218 del 1995[22]. Anzi, in alcuni casi, vengono cumulati i requisiti di validità delle clausole di scelta del foro previsti, rispettivamente, dal diritto europeo e da quello interno, anche quando una delle due normative non sia direttamente applicabile alla fattispecie, con una sorta di approccio “onnicomprensivo”, che punta a valorizzare l’applicazione di queste clausole a prescindere dal regime giuridico cui esse siano soggette[23].
Di regola, l’art. 4 (in quanto espressione della lex fori) disciplina i requisiti formali di validità di una clausola di scelta del foro. I requisiti soggettivi (relativi, ad esempio, alla valida formazione del consenso delle parti), d’altro canto, sono governati dalla legge sostanziale applicabile alla clausola[24].
Non esistono, nel diritto interno, disposizioni ad hoc sugli accordi di scelta del foro che coinvolgano parti presuntivamente deboli (come i lavoratori, i consumatori e gli assicurati). Ad ogni modo, alcuni punti di riferimento in questo ambito si possono desumere (ancora una volta) dalla normativa processuale uniforme di origine europea. E infatti, l’art. 3 della legge n. 218 del 1995, rispetto alla giurisdizione in materia civile e commerciale, estende unilateralmente l’applicazione dei criteri di collegamento previsti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della convenzione di Bruxelles del 1969 (e, oggi, delle corrispondenti sezioni del regolamento n. 1215/2012) all’esercizio della giurisdizione nei confronti di convenuti domiciliati in uno Stato terzo. Questo rinvio include i criteri di collegamento che proteggono le parti deboli nei contratti di assicurazione, conclusi da consumatori e di lavoro ed in particolar modo le regole speciali che limitano la validità delle clausole di scelta del foro in tali contratti.
La Cassazione[25], di recente, ribaltando una precedente giurisprudenza di segno contrario[26], ha affermato che una clausola di scelta della giurisdizione stipulata prima dell’insorgere della controversia e che obbligava un consumatore a citare una banca nel foro della sede della banca stessa (San Marino) fosse invalida. La Corte ha raggiunto questa conclusione applicando le norme protettive europee a cui l’art. 3, comma 2° della legge n. 218 si riferisce. Alle stesse conclusione la Cassazione[27] era giunta in precedenza con riferimento a un contratto di lavoro che conteneva una scelta a favore delle corti saudite, stipulate prima dell’insorgere della lite, in violazione degli art. 18 e 19 del regolamento n. 44/2001, la cui applicazione escludeva quella dell’art. 4, comma 2° della legge n. 218 del 1995[28].
[1] Si tratta di una versione ridotta della relazione nazionale presentata al Congresso dell’Accademia internazionale di diritto comparato tenutosi a Fukuoka (Giappone), nel luglio 2018.
[2] V. Miele, L’accettazione della giurisdizione straniera e il divieto di deroga convenzionale alla giurisdizione italiana, in Giur. it., 1954, I, 1, p. 389; Bentivoglio, L’art. 2 c. p. c. e la determinazione della competenza internazionale del giudice straniero, in Riv. dir. int., 1956, p. 216; Iaccarino, Il cosiddetto atto di deroga alla giurisdizione italiana, Napoli, 1960; Luzzatto, In tema di inderogabilità ed esclusività della giurisdizione italiana, in Riv. dir. int., 1962, p. 527; Saulle, L’art. 2 c. p. c. e la pretesa esclusività della giurisdizione italiana, in Riv. dir. int., 1962, p. 288; Villani, L’accettazione della giurisdizione come criterio di competenza internazionale, in Riv. dir. int., 1972, p. 661; Di Blase, La deroga nel sistema del codice, in Dig. civ., voce Deroga alla giurisdizione, Torino, vol. V, 1989; Queirolo, Gli accordi sulla competenza giurisdizionale tra diritto comunitario e diritto interno, Padova, 2000, p. 72 ss.; Salesi, Clausola di deroga alla giurisdizione in polizza di carico e legge regolatrice del trasporto, in Dir. mar., 1988, p. 1231.
[3] Vedi Carbone, La (nuova) disciplina italiana della deroga alla giurisdizione, in Dir. comm. int., 1995, p. 553.
[4] Biavati, Giurisdizione civile, territorio e ordinamento aperto, Milano, 1997, p. 135; Martino, La giurisdizione italiana nelle controversie civili transnazionali, Padova, 2000, p. 517; Carbone, op .cit., p. 554.
[5] Carbone, op. cit., p. 555.
[6] Attardi, La nuova disciplina in tema di giurisdizione italiana e di riconoscimento delle sentenze straniere, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 733.
[7] V Carbone, op. cit., p. 556 ss.
[8] Amplius Biavati, op. cit., p. 31; Martino, op. cit., p. 521.
[9] Cass., sez. un., ord., 7 settembre 2016, n. 17675.
[10] Queirolo, op. cit., p. 101.
[11] V. Carbone, op. cit., p. 559.
[12] V. Starace, La disciplina dell’ambito della giurisdizione italiana nel progetto di riforma, in Riv. dir. int., 1992, p. 15; Carbone, op. cit., p. 556; Balena, I nuovi limiti della giurisdizione italiana (secondo la legge 31 maggio 1995, n. 218), in Foro it., 1996, V, c. 216.
[13] Queirolo, op .cit., p. 101; Biavati, op. cit., p. 33 ss.; Martino, op. cit., p. 521; La China, L’arbitrato e la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Riv. arb., 1995, p. 637; Luzzatto, Sulla riforma del sistema italiano di diritto processuale civile internazionale, in Riv. dir. int., 1990, p. 838; Carbone , op. cit., p. 565 ss.; Cass., sez. un., 30 giugno 1999, n. 369, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, p. 741; Trib. Bologna, 9 gennaio 2007, in Fam. min., 2007, n. 4, p. 72.
[14] Amplius Queirolo, op. cit., p. 229 ss.; Carbone, op. cit., p. 562.
[15] Secondo Carbone, op. cit., p. 570, comunque, la scelta del foro straniero dovrebbe avvenire in buona fede ed essere dunque giustificabile con criteri collegati alla ratio del rapporto contrattuale tra le parti, alla luce delle pratiche commerciali.
[16] Biavati, op. cit., p. 32: “La giurisdizione italiana si pone al servizio della risoluzione di una lite, non altrimenti collegata con il territorio e con l’ordinamento giuridico della Repubblica se non dalla volontà delle parti”.
[17] Corte cost., 18 ottobre 2000, ord. n. 428, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, p. 645; Salerno, Deroga alla giurisdizione e costituzione, in Riv. dir. int., 2001, p. 33 ss.; Queirolo, Accordi sulla competenza giurisdizionale: riflessioni a margine di alcune recenti decisioni, in Dir. mar., 2001, p. 32 ss.; Trib. Napoli, 26 aprile 2000, in Giur. nap., 2000, p. 238, afferma: “la disciplina italiana sulla giurisdizione ha perso la marcata caratterizzazione pubblicistica che aveva in passato, riattribuendo alla volontà delle parti un ruolo primario nella scelta dell’autorità giudiziaria cui devolvere le loro controversie”.
[18] Comoglio, P., in Commentario del codice di procedura civile, a cura di Comoglio L. P., Consolo, Sassani, Vaccarella, Torino, vol. I, 2012, p. 63; Carbone, op. cit., p. 563.
[19] V. anche Carbone. op. cit., p. 563.
[20] Cass., sez. un., n. 2642 del 1998.
[21] N. 3568 del 14 febbraio 2011.
[22] 17 gennaio 2005 n. 731; v. anche Cass., sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22236; Trib. Napoli, 26 aprile 2000.
[23] V. Cass., sez. un., ord., 7 settembre 2016, n. 17675.
[24] Carbone, op. cit., p. 553. V. Cass., sez. un., ord., 20 aprile 2010, n. 9309, per un’applicazione della legge sostanziale di San Marino.
[25] Cass., sez. un., ord., 20 febbraio 2013, n. 4211.
[26] Cass., sez. un., ord., 20 aprile 2010, n. 9309.
[27] Cass., sez. un., 18 giugno 2010, n. 14703.
[28] Cass., sez. un., 27 ottobre 2014, n. 22744, d’altro canto, semplicemente ignora la questione e, in una fattispecie analoga, stabilisce che il dipendente di un’ambasciata straniera sia vincolato da una clausola contrattuale che attribuisce giurisdizione alle corti degli Emirati Arabi Uniti.
Nel contesto di questo scritto, una clausola facoltativa di scelta del foro può essere definita come la clausola che non vincola una parte ad introdurre il procedimento nel foro ivi designato. In altre parole, a fronte di una clausola facoltativa (o opzionale), le parti sono in condizione di proporre la loro domanda o nelle corte indicate nella clausola stessa o in qualsiasi altro foro competente in base alla normativa applicabile.
Le clausole esclusive di scelta del foro, per contro, hanno effetti vincolanti rispetto sia alla proroga che alla deroga della giurisdizione: in altre parole, quando una corte italiana si trova di fronte ad una simile clausola di scelta del foro straniero, è tenuta a dismettere la domanda per difetto di giurisdizione; d’altro canto, in caso di clausola di proroga a proprio favore, deciderà la controversia senza ulteriori considerazioni rispetto al proprio potere giurisdizionale.
Le clausole facoltative non generano obblighi né per le parti né per le corti diverse da quelle indicate nella clausola stessa[29].
Esistono diverse versioni di clausole di questo tipo:
a) le clausole facoltative bilaterali permettono ad ogni parte di agire (anche) nel foro o nei fori scelti nella clausola; un’ulteriore opzione è che ogni parte sia in grado di agire in un foro di propria scelta: tali clausole sono generalmente chiamate accordi non-unicamente esclusivi[30];
b) le clausole facoltative unilaterali[31], d’altro canto, concedono una scelta di foro facoltativa a una sola delle parti, generalmente quella più forte sul piano contrattuale. L’altra parte, al contrario, è tenuta ad agire in una corte specifica indicata nella clausola. Tali clausole sono sovente chiamate “asimmetriche” (v. paragrafo terzo).
Da un punto di vista teorico, rispetto alla proroga della giurisdizione italiana, le clausole facoltative non hanno effetti vincolanti solo prima della proposizione della domanda. E, infatti, dopo che l’attore notifica la citazione in Italia in forza di una simile clausola, il giudice nazionale deciderà la controversia anche in mancanza di altri criteri di collegamento, come farebbe con riferimento ad una clausola esclusiva.
Per quanto riguarda la deroga alla giurisdizione italiana, una clausola facoltativa di scelta del foro non ha effetti vincolanti, sia prima che dopo l’inizio della lite. In entrambi i casi, se un criterio di collegamento attribuisce giurisdizione concorrente alle corti italiane, queste ultime saranno in condizione di decidere la controversia. Se si instaura un giudizio in Italia dopo che la stessa causa è stata presentata davanti a un giudice straniero, sulla base di una clausola facoltativa di scelta del foro, il giudice italiano prenderà esclusivamente in considerazione la litispendenza ai sensi dell’art. 7 della legge n. 218 del 1995. Nell’ambito di tale analisi, la clausola facoltativa a favore del giudice straniero sarà considerata solo nella misura in cui essa attribuisca giurisdizione al giudice “prevenuto”, poiché tale elemento deve essere valutato prima di sospendere il procedimento per litispendenza internazionale, fuori dall’ambito di applicazione delle regole uniformi europee.
In Italia, non è in discussione la possibilità di prevedere clausole opzionali come quelle di cui stiamo parlando. In effetti, sono considerate valide anche clausole che si riferiscano a due o più Stati con giurisdizione concorrente o ad una corte individuata con riferimento all’esclusivo interesse di una delle parti o, ancora, a corti dotate di giurisdizione esclusiva alternativa, a seconda del tipo di domanda proposta o dell’oggetto della controversia[32]. Come si è detto, la riforma del 1995, in effetti, ha elevato la volontà delle parti a criterio di collegamento, entro i limiti posti dall’art. 4 della legge n. 218, purché tale volontà sia espressamente o almeno chiaramente manifestata[33].
Il vero dubbio è se, in base all’art. 4, una clausola di scelta del foro, nel silenzio delle parti, debba essere considerata facoltativa o esclusiva.
Nell’aprire questo scritto, ho menzionato il fatto che le clausole di scelta del foro possono essere utilizzate anche nel contenzioso interno, per determinare la competenza territoriale rispetto ad una specifica controversia (art. 28 c. p. c.). Rispetto a tali clausole, l’art. 29, comma 2° c. p. c. prevede espressamente che esse abbiano una natura meramente facoltativa a meno che l’accordo qualifichi espressamente che la scelta delle parti abbia valenza esclusiva. In altre parole, in questo contesto, per espressa previsione normativa, la facoltatività è la regola e l’esclusività l’eccezione.
Rispetto all’art. 29, comma 2° c. p. c., la Cassazione[34] ha statuito che una scelta di foro deve essere considerata esclusiva solo quando la sua formulazione letterale non lasci dubbi rispetto alle intenzioni delle parti di derogare alla competenza territoriale di qualsiasi altro foro ordinariamente competente, richiedendo una inequivoca manifestazione di volontà delle parti in tal senso. Ad esempio, la Cassazione ha negato che tali requisiti siano soddisfatti da una clausola che attribuisca “ogni controversia” alla corte individuata.
L’art. 4 della legge n. 218/95, per contro, non contiene una norma come quella dell’art. 29, comma 2° c. p. c. appena esaminata (e questo potrebbe di per sé essere considerato rilevante, ai fini interpretativi). Le opinioni, in ogni caso, si dividono tra chi crede che la disposizione dell’art. 29, comma 2° c. p. c. debba essere estesa, per analogia, alle clausole di scelta del foro nel contenzioso transfrontaliero e quelli che opinano che tale analogia sia inammissibile, alla luce della diversa funzione della scelta del foro competente rispetto a quella della scelta della giurisdizione.
La dottrina esprime così punti di vista contrapposti: per alcuni, l’art. 4 della legge n. 218 attribuisce esclusivamente una giurisdizione facoltativa e dunque concorrente, a meno che le parti chiariscano che la loro scelta di giurisdizione sia da considerare esclusiva[35]. Un simile approccio si basa anche su una valutazione a contrario delle norme uniformi europee per cui l’esclusività è la regola e la facoltatività l’eccezione[36].
Altri, per contro, giungono alla conclusione opposta, ritenendo impossibile applicare in modo analogico l’art. 29, comma 2° c. p. c. al contenzioso transfrontaliero e facendo piuttosto riferimento proprio all’art. 25 del regolamento UE n. 1215/2012 (e alla “esclusività di default” ivi affermata) come punto di riferimento anche in questo ambito giuridico [37].
Tale approccio è quello che mi sembra da accogliere.
In effetti, la stessa nozione di deroga menzionata nell’art. 4, comma 2° presuppone che una clausola di scelta del foro straniero possa di per sé mettere fuori gioco i criteri di collegamento che attribuirebbero altrimenti giurisdizione alle corti italiane, con un effetto, pertanto, esclusivo. Da un punto di vista unilaterale come quello espresso dall’art. 4, non avrebbe senso, altrimenti, riferirsi ad una deroga della giurisdizione italiana. In questo ambito del diritto, la semplice possibilità per le parti di instaurare un procedimento davanti ad un giudice straniero sarebbe irrilevante se tale accordo non sottraesse automaticamente potere giurisdizionale al foro italiano. Come si è già visto, una clausola facoltativa di scelta del foro, in effetti, non ha alcun effetto di deroga.
Per quanto a mia conoscenza, un giudice italiano non ha mai esercitato la sua giurisdizione in base ai criteri di collegamento ordinari a fronte di una clausola di scelta del foro straniero valida ed efficace rispetto alla controversia specifica.
L’unica decisione che sembra supportare la teoria della “facoltatività di default” è una sentenza del Tribunale di Milano dell’11 dicembre 1997[38] che, tuttavia, si occupa della questione solo in via di obiter dictum, in una fattispecie nella quale, pacificamente, non esisteva alcuna clausola a favore di un giudice straniero e il convenuto nel procedimento italiano cercava semplicemente di invocare una sorta di deroga implicita alla giurisdizione asseritamente derivante dalla sua accettazione della giurisdizione statunitense in un procedimento diverso (per quanto connesso) instaurato nei suoi confronti dall’attore negli Usa. Nel caso specifico, dunque, il Tribunale di Milano avrebbe potuto limitarsi a dichiararsi competente sul rilievo che l’art. 4 della legge n. 218 non ammette la deroga tacita o implicita alla giurisdizione italiana. Il giudice lombardo, invece, si è spinto ad affermare che, in ogni caso, aderiva alla tesi dottrinaria per cui, in mancanza di una specifica disposizione normativa, una clausola di scelta del foro ai sensi dell’art. 4 della legge n. 218, debba avere un’efficacia meramente facoltativa, in mancanza di difformi accordi tra le parti. Tale affermazione non aveva alcuna nel caso specifico e non è stata seguita in alcuna ulteriore decisione di cui chi scrive sia a conoscenza.
In effetti, nella maggior parte delle decisioni della Cassazione in cui si discute della validità di una clausola di scelta del foro straniero, la questione della sua natura esclusiva non è neppure considerata in modo espresso[39].
Appare, in effetti, più coerente con la funzione ed il ruolo di tali clausole nel contesto del commercio internazionale, attribuire loro una natura esclusiva di default. Dopo tutto, l’art. 4 della legge n. 218 esprime una chiara opzione del legislatore di spostarsi da un approccio protettivo (se non apertamente nazionalistico) ad uno in cui la giurisdizione italiana non sia più (solo) l’espressione della sovranità nazionale ma anche di un “servizio” per il pubblico a cui le parti possono rinunciare, in conformità agli standard e alle discipline internazionali.
In altre parole, un approccio sistematico conduce ad attribuire alle clausole di scelta del foro ai sensi dell’art. 4 della legge n. 218 una natura esclusiva. A tali clausole si può attribuire un carattere opzionale, ma le parti si devono esprimere in modo chiaro un accordo in tal senso.
Questa conclusione sembra confermata dal comma 3° dell’art. 4 della legge n. 218 (v. supra): infatti, se la scelta del foro straniero non avesse un automatico effetto esclusivo, non avrebbe senso prevedere che le corti italiane possano risolvere la controversia se il giudice straniero dismetta la giurisdizione attribuitagli dalla clausola o non sia comunque in grado di decidere la controversia.
[29] Villata, L’attuazione degli accordi di scelta del foro nel regolamento Bruxelles I, Padova, 2012, p. 40.
[30] Keyes, Marshall, Jurisdiction agreements: exclusive, optional and asymmetrical, in Jour. priv. int. law, 2015, p. 346.
[31] Keyes, Marshall, op. cit., p. 346.
[32] V. Carbone, op. cit., p. 570.
[33] Queirolo, Gli accordi sulla competenza, cit., p. 210; Righetti, La deroga alla giurisdizione, Milano, 2002, p. 398.
[34] Cass., 6 giugno 1989, n. 2751.
[35] Balena, op. cit., p. 227; Carbone, op. cit., p. 571.
[36] Comoglio, op. cit., p. 63.
[37] Penasa, in Codice di procedura civile, a cura di Consolo, Assago, 2013, sub art. 2.
[38] In Riv. dir. int. priv. proc., 1998, p. 854.
[39] Cass., 20 marzo 2013, n. 4211, 18 giugno 2010, n. 14703, 14 febbraio 2011, n. 3568, 20 aprile 2010, n. 9308 e 9309, 21 settembre 2009, n. 22236.
Le clausole unilaterali sulla giurisdizione (conosciute anche come “clausole asimmetriche”), come abbiamo visto, permettono ad una parte di scegliere tra più opzioni giurisdizionali, mentre la controparte è vincolata ad agire in un unico foro. Clausole di questo tipo sono ampiamente diffuse e si trovano, di norma, in contratti caratterizzati da poteri negoziali sbilanciati: ad esempio, esse sono considerate di universale utilizzo nei mercati finanziari[40].
Nel diritto italiano, non ci sono disposizioni specifiche a questo riguardo.
Nel contenzioso interno, in relazione alle clausole per la determinazione della competenza territoriale ai sensi dell’art. 28 c. p. c. (v. supra), la Cassazione ha statuito che tali clausole possono essere validamente concordate a favore di entrambe le parti o di una sola di esse. In quest’ultimo caso, la parte “favorita” ha l’opzione di proporre la domanda davanti al foro prescelto oppure a qualsiasi altro ufficio giudiziario competente in base alle norme applicabili; l’altra parte, per contro, è vincolata ad agire nel foro concordato[41].
In questo contesto la Cassazione ha negato che una clausola di scelta del foro competente possa avere una natura “potestativa” che la renda, dunque, invalida. In particolare, per la Corte, una clausola che consente ad una parte di agire in qualsiasi foro competente non implica che quella parte possa scegliere un foro ad libitum. L’espressione “ogni altro foro competente”, infatti, deve essere intesa con riferimento alla prerogativa della parte di scegliere uno tra i fori alternativamente competenti in base alle regole sulla competenza territoriale poste dagli art. 18, 19 e 20 c. p. c.[42].
Più di recente, la Cassazione, nell’ordinanza del 21 luglio 2016, n. 15103, ha confermato che le clausole asimmetriche (o sbilanciate) sono, di regola, valide sia quando favoriscono entrambe le parti sia quando possono essere invocate da una parte soltanto. La Corte ha pure affermato che non ci si trovi di fronte ad un abuso del processo quando una parte scelga un foro piuttosto che un altro, qualora tale possibilità di scelta sia stata previamente concordata e accettata dall’altra parte, anche se l’altro foro sia chiaramente più connesso alla controversia, poiché questa è una implicazione naturale di qualsiasi clausola di scelta del foro.
Nello stesso senso la Cassazione si è espressa nella sua ordinanza n. 4377 del 2017, in cui la Corte ha chiarito che le clausole asimmetriche non violano il principio della parità processuale tra le parti. Tale principio, infatti, riguarda i poteri che le parti possono esercitare nel procedimento, mentre una clausola di scelta del foro competente riguarda esclusivamente la localizzazione del giudice competente che può essere rimessa, a certe condizioni, alla decisione delle parti.
Nella giurisprudenza italiana, le clausole asimmetriche nell’ambito transnazionale sono molto meno esplorate.
La loro validità, nel contesto della normativa processuale uniforme europea, può essere desunta dalla decisione della Corte di giustizia nel caso 23/78 del 9 novembre 1978, Meeth c. Glacetal, nel quale la Corte statuì quanto segue:
“A termini dell’art. 17, 1° comma, «qualora con una clausola . . ., le parti . . . abbiano convenuto la competenza di un giudice o dei giudici di uno Stato contraente a conoscere delle controversie presenti o future, nata da un determinato rapporto giuridico, la competenza esclusiva spetta al giudice o ai giudici di quest’ultimo Stato contraente»; l’interpretazione di questa disposizione, rispetto alla reciproca attribuzione di competenza, quale figura nel contratto, il cui adempimento costituisce oggetto della controversia, dà luogo ad una difficoltà in ragione del fatto che l’art. 17 si riferisce testualmente alla designazione, da parte dei contraenti, di un solo giudice, o di giudici di un solo Stato; questa formulazione, informata alla prassi più corrente nella vita degli affari, non può cionondimeno interpretarsi nel senso ch’essa sia diretta ad escludere la possibilità, per le parti, di designare due o più giudici al fine del regolamento di eventuali controversie; questa interpretazione si giustifica con la considerazione che l’art. 17 si basa sul riconoscimento dell’autonomia della volontà delle parti in materia di attribuzione della competenza ai giudici chiamati a conoscere controversie che rientrano nell’ambito di applicazione della Convenzione, diverse da quelle che sono espressamente eccettuate in forza dell’art. 17, 2° comma; ciò deve particolarmente valere nel caso in cui, con una clausola del genere, le parti hanno attribuito competenza, reciprocamente, ai giudici designati dalla norma generale di cui all’art. 2 della Convenzione”,
Il caso Meeth riguardava una clausola di scelta della giurisdizione non unicamente esclusiva e non una clausola asimmetrica. Tuttavia, nella sua motivazione, la Corte adotta una prospettiva più ampia, affermando che il tenore letterale dell’attuale art. 25 del regolamento n. 1215/2012 non può escludere il diritto delle parti di accordarsi a favore di due o più corti. Facendo riferimento a “più di due corti”, i giudici del Lussemburgo sembrano prendere in considerazione (e ritenere valide) anche le clausole asimmetriche.
La Cassazione italiana si è occupata di una clausola asimmetrica in ambito transfrontaliero nella sua decisione dell’8 marzo 2012, n. 3624: in quel caso, la clausola attribuiva giurisdizione alle corti inglesi ed era quindi governata dalle disposizioni del regolamento n. 44/2001 (applicabile ratione temporis). La decisione della Corte, tuttavia, può essere applicata anche alle clausole asimmetriche a favore dei giudici di uno Statto terzo.
Nella fattispecie, il contratto tra le parti stabiliva che una di esse (GMB) potesse agire solo davanti alle corti inglesi, mentre l’altra (Umbro) potesse agire in qualsiasi altro foro dotato di giurisdizione in base alla normativa applicabile. Senza esitazione, la Cassazione ha considerato valida una simile clausola (anche se non specificava il foro in Inghilterra in cui la domanda dovesse essere proposta): l’art. 23 del regolamento n. 44/2001 (in parte qua corrispondente all’art. 25 del regolamento n. 1215 del 2012), infatti, doveva essere interpretato, per la Corte, nel senso di permettere alle parti proprio di optare per tale soluzione asimmetrica nella loro scelta della giurisdizione[43].
Alle stesse conclusioni è giunta la Corte d’appello di Milano[44], rispetto ad una clausola asimmetrica che specificava che una società italiana era vincolata ad avvalersi della giurisdizione esclusiva delle corti dello Stato di Washington, mentre l’altra parte (Microsoft) era libera di rivolgersi alle corti italiane. In effetti, Microsoft aveva agito proprio in Italia. La Corte Milanese conclude che l’effetto asimmetrico della clausola di giurisdizione dovesse essere confermato, in base alle disposizioni del regolamento n. 44 del 2001, aggiungendo che il convenuto italiano non potesse sollevare obiezioni rispetto al fatto di essere stato evocato in giudizio di fronte al suo giudice naturale e che l’asserita sperequazione tra le parti non fosse riscontrabile nella fattispecie, dal momento che la Microsoft aveva preferito agire in Italia piuttosto che nello Stato di Washington[45].
Per concludere, in base al diritto italiano le clausole asimmetriche di scelta della giurisdizione sono da considerare valide. In particolare, si deve negare che tali clausole impongano un’obbligazione a natura puramente “potestativa” (e dunque nulla ai sensi dell’art. 1355 c. c.): in effetti, nelle sue decisioni, la Cassazione non ha mai trovato nulla da eccepire rispetto alla possibilità per una delle parti contraenti di scegliere tra varie giurisdizioni, nonostante il fatto che tale scelta dipenda dalla mera volontà di quella parte[46].
[40] Fentiman, Unilateral jurisdiction agreements in Europe, in Cam. law jour., 201, p. 24; v. anche Keyes, Marshall, op. cit., p. 346.
[41] Cass., ord., 9 aprile 2008, n. 9314; Cass., ord., 25 marzo 2016, n. 6033.
[42] Cass., ord., 25 marzo 2016, n. 6033.
[43] Alle stesse conclusioni la Corte giunge nella decisione dell’11 aprile 2012, n. 5705.
[44] 22 settembre 2011, in Riv. dir. int. priv. proc., 2012, p. 918.
[45] Tale decisione della Corte d’appello di Milano è stata approvata da Cass. 11 novembre 2015, n. 22992, in Riv. dir. int. priv. proc., 2016, p. 1088.
[46] Ferrero, Le clausole di elezione di foro e le convenzioni arbitrali “unilaterali”. Recenti sviluppi nel panorama internazionale e spunti di riflessione nel diritto italiano, in BusinessJus, 2014, p. 56, che distingue tra condizione potestativa e diritto potestativo, come quello accordato alla parte più forte da un a clausola asimmetrica.
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