Le bugie sui social network integrano reati

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Sui social network si dovrebbe sempre evitare di fornire delle false informazioni su se stessi.

Simili comportamenti potrebbero integrare reati anche quando il fine non è quello di commettere un crimine o fare del male a qualcuno.

La finzione sui social network vine punita fine a se stessa, indipendentemente dall’intento che perseguono coloro che la pongono in essere.

Lo dovrebbero sapere le persone sposate che fanno credere a ragazze o ragazzi conosciuti on line di essere single, esibendo false prove, coloro che affermano di lavorare in un’azienda importante anziché un’altra che lo sia meno, coloro che al fine di ottenere contratti dalle modelle affermano di gestire note agenzie di casting di famose trasmissioni televisive.

Gli esempi potrebbero continuare, all’infinito, il risultato sarebbe sempre lo stesso, chi dichiara il falso commette reato.

In presenza di simili circostanze, quando le vittime si accorgono di essere state ingannate, possono procedere per vie penali.

In questa sede vedremo che cosa rischia chi pone in essere questi comportamenti.

Il reato di sostituzione di persona

La norma che punisce la sostituzione di persona è l’articolo 494 del codice penale.

L’articolo, rubricato “sostituzione di persona” recita:

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno.

Il reato pone in essere il cosiddetto furto d’identità, che si realizza anche creando un profilo falso sui social network o un profilo fake, vale a dire, di un soggetto che non esiste.

Il reato scatta anche quando qualcuno si attribuisce un falso nome, anche di fantasia, o un falso stato, ad esempio, celibe o nubile, o una qualità alla quale la legge attribuisce effetti giuridici, ad esempio, il titolo di professore, avvocato o simili.

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In quali circostanze sui social  network è reato

La Suprema Corte di Cassazione, con una sentenza del 2016 (Cass. sent. n. 34800/16) ha condannato un uomo che, nonostante fosse sposato, si era finto single per conquistare un’altra donna.

Questo comportamento integra il reato di sostituzione di persona, indipendentemente dal fatto che l’intento perseguito, ad esempio, la relazione sessuale, sia lecito o non lo sia, oppure non venga realizzato.

Quello che basta è il comportamento rivolto a indurre in errore una persona.

Anche se il codice penale richiede un profitto come scopo del reo, l’utilità può essere costituita anche da un rapporto affettivo o fisico.

Alla base del reato ci deve essere un’attività rivolta a ingannare, che implica una serie di artifici.

Giocare sull’equivoco non fa scattare il reato.

Al fine di configurare il reato nonostante l’utente di Facebook menta sul suo “status” del profilo web definendosi “single”, il passo è quasi scontato.

I comportamenti puniti  dal codice penale non si limitano esclusivamente a fare credere di non essere sposati.

C’è anche l’attribuzione di un nome immaginario o di quello di una persona famosa o influente. Anche fare credere di avere un’età avendone un’altra, di solito, maggiore, integra il reato in questione, basti pensare a chi cerca di irretire dei minori.

Utilizzare, per il profilo personale la foto rubata da quello di un altro, integra allo stesso modo il reato di sostituzione di persona.

Secondo la Suprema Corte (Cass. sent. n. 33862/2018), configura il reato di sostituzione di persona chi utilizza abusivamente l’immagine di un’altra persona, inconsapevole del fatto, creando un falso profilo Facebook con il suo nome.

Anche la falsa attribuzione di una qualifica professionale può integrare il reato in commento.

A questo proposito si può pensare alle false identità su Skype o su social network di coloro che millantano posizioni professionali di prestigio per corteggiare le vittime, invitarle a falsi colloqui di lavoro o per aumentare i loro follower.

In alcuni casi, la sostituzione è stata rivolta all’attribuzione di un rapporto di parentela con qualcuno, che in realtà non esiste.

Si può anche verificare la circostanza che il reato di sostituzione di persona si sommi a quello di truffa, senza essere assorbito dallo stesso, con la conseguenza che il colpevole verrà condannato per entrambe le condotte illecite (Cass. sent. n. 35443 del 24.09.2007).

I precedenti della giurisprudenza possono fare spazio a molti altri esempi.

Per questo, è sostituzione di persona fingersi un poliziotto, sacerdote, un architetto, il dipendente di una società, il proprietario di un terreno o di un appartamento.

Risulta reato anche creare falsi account di posta elettronica o falsi profili sui social network, nascondendo la reale identità e utilizzando nickname e foto false.

Accedere al profilo Facebook di un’altra persona e forzarne le password per scrivere o inviare messaggi agli altri, integra i reati di accesso abusivo a sistema informatico e sostituzione di persona. In relazione alla condanna è sufficiente la verifica dell’indirizzo IP dal quale sono stati fatti gli accessi, anche senza altri elementi tecnici, se non sia carente la motivazione(Cass. sent. n. 20485/2018).

In quale modo denunciare chi finge sui social network

Al fine di fare condannare coloro che fingono sui social network, si deve procedere a una denuncia presso la polizia postale o i carabinieri.

L’alternativa può essere il deposito dell’atto presso la Procura della Repubblica.

In realtà, il reato di sostituzione di persona è perseguibile anche d’ufficio e non è necessario che la vittima sporga la denuncia, perché il comportamento del colpevole offende la fede pubblica, di conseguenza, anche la pluralità degli utenti.

Creando false identità virtuali o falsi profili Facebook non si lede esclusivamente  la fiducia del singolo utente, ma si mette in pericolo l’equilibrio dell’intera comunità degli utenti che devono potere fare affidamento sulla lealtà delle identità con le quali intrattengono rapporti virtuali.

Anche se si tratta di un reato perseguibile d’ufficio, vale a dire indipendentemente  dalla denuncia, non è possibile che la polizia postale si metta a scandagliare la rete per scoprire coloro che possiedono un falso profilo.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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