Le alternative al carcere nella criminologia contemporanea

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Introduzione.

 

Da circa una trentina d’anni, si è diffuso, in molte Dottrine criminologiche, il concetto common lawyer di << restorative justice >>. Probabilmente, la giustizia riparativa, connessa indirettamente al Movimento Abolizionistico, affascina perché << infrattori, vittime, parenti e membri della comunità coinvolta sono invitati a riunirsi insieme, nell’ambito dell’Ordinamento penale, per valutare le conseguenze del crimine commesso e per trovare insieme delle soluzioni eque per tutti che facciano uscire dalla situazione di conflitto>> (GARAPON & SALAS 2007) Ormai, nel Diritto Processuale Penale europeo e nord-americano, si è compreso che oggi necessita un Sistema Penale diverso, attento alle legittime istanze della Parte Lesa e, in buona sostanza, meno autoritario e categorico rispetto a quanto accadeva nella Giuspenalistica onnipresente ed onnipotente del Novecento. Questo non significa legittimare passivamente e recepire senza critiche l’Abolizionismo radicale, ma, senza dubbio, non si può immaginare una pace sociale senza che sia trovato e concretizzato il giusto equilibrio tra rieducazione del carcerato e riparazione dei danni subiti dal soggetto danneggiato. Sono molto stanchevoli, dopo ben duecento anni, le analisi ripetitive ed ossessive di Principi generali quali il primato della legalità, dell’eguaglianza, del Garantismo accusatorio, della dignità delle Parti in causa, della protezione delle vittime e della presunzione d’innocenza sino a Sentenza passata in giudicato. Certamente, la << restorative justice >> non intende cancellare le conquiste giuridiche dell’Illuminismo, tuttavia è tempo di reinterpretare tutti i summenzionati concetti alla luce di nuove Dottrine criminologiche in grado di contestualizzare meglio realtà come il crimine, la sanzione o la corretta identità della vittima. Può essere utile l’esempio orribile degli USA, ove il Diritto Penale costituisce la risposta automatica ad illeciti che non necessitano dell’incarcerazione dell’infrattore sempre e comunque, come se il Penitenziario garantisse l’onestà collettiva in modo immediato e repressivo (MERLE & VITU 1997). Negli Stati Uniti d’America domina oggi la << strategia dell’imprigionamento >> con carceri sovraffollati, con pene di lunga durata totalmente inutili e con un tasso sempre più basso di liberazioni condizionali e benefici alternativi (KELLENS 2000). Oltretutto, se si analizzano nei dettagli le Motivazioni delle Sentenze, si può notare che, nell’Ordinamento statunitense, la Magistratura si concentra quasi esclusivamente sul crimine violento (lesioni personali gravissime, omicidi volontari e stupri), allorquando altri ulteriori ambiti meriterebbero di essere maggiormente approfonditi, come nel caso del Diritto Penale Commerciale e dello white collar crime. Inoltre, gli USA dimenticano (rectius : vogliono dimenticare) che sanzioni penali troppo severe, per quanto appaia paradossale, innalzano la percentuale di recidiva post-penitenziaria (PORTELLI 2007). Infine, nel Nord-America, non mancano le dispercezioni sociali, nel senso che televisioni, politici e demagoghi vari creano paure sociali assurde, che aprono la strada agli atti populistici di giustizia privata ed alla diffusione irragionevole delle armi da fuoco per motivi di insicurezza collettiva.

Dagli Anni Ottanta del Novecento, si è riscoperta la Vittimologia, in tanto in quanto era ed è palesemente inadeguato un Diritto Processuale Penale disinteressato ai danni psico-fisici subiti dalla Parte Lesa. La stessa nozione di << restorative justice >> è nata per concretizzare il Principoio giuridico meta-geografico di << risarcimento dei danni >>, pur se non sono mancati gli eccessi, soprattutto a livello civilistico. Nella maggior parte dei casi, la vittima è fragile poiché ella fa parte del medesimo tessuto affettivo cui appartiene il responsabile del reato, il quale sovente è o era un familiare, un vicino di casa od un collega di lavoro. I Mediatori Penali e gli altri Operatori giuridici si trovano quotidianamente di fronte a situazioni tali per cui << le vittime provano nei confronti dei colpevoli sentimenti ambivalenti, dove l’amore e l’odio si mescolano … molte persone sono state vittimizzate durante la loro infanzia o durante la loro adolescenza, senza beneficiare di un accompagnamento affettivo, psicologico e sociale in grado di diminuire le loro sofferenze >> (CUSSON 2005). Queste oppressioni silenziose ed intime della Parte Lesa, come nel caso della pedofilia e dell’incesto, provocano un’incontenibile rabbia interiore, unita a bassa autostima, sicché la nuova Vittimologia degli Anni Duemila è sempre più chiamata a far emergere tali drammi interiori, affinché sia ripristinato il normale ordine sociale e personale. All’inizio del nuovo Millennio, GARAPON & GROS & PECH (2001) notavano che, nel caso di danni morali, preventivare e giuridificare soltanto risarcimenti di carattere pecuniario costituisce un insulto anti-democratico nei confronti delle irreparabili lesioni psicologiche cagionate a bambini violentati, donne stuprate, mogli maltrattate e figlie oggetto delle attenzioni parafiliache di parenti maschi.

Senz’altro, non sono mancate le ipertrofie a-tecniche ed irrituali, nel senso che la Parte Lesa deve ognimmodo possedere dei requisiti processuali ben determinati << e non deve essere una figura fantasmagorica non accompagnata dai Professionisti del Diritto >> (SALAS 2004) Con altri lemmi, ABIKER (2006) ha sottolineato che oggi << essere vittima è diventato una vocazione, un lavoro a tempo pieno, un business, uno sport nazionale … ci siamo incamminati sulla via pericolosa del populismo e della negazione dei diritti del colpevole >>. Molti Criminologi francofoni hanno utilizzato pure espressioni come << vendetta arcaica … strategia vittimaria … vittimofilia … vittimismo >> (COIGNARD 2004 ; ERNER 2006). Nella Common Law statunitense, le Associazioni dei consumatori e gli Enti esponenziali parlano di << Parte Lesa>> con una disinvoltura eccessiva, che crea imbarazzo a livello di Procedura Penale. I danni più bagatellari e risibili si trasformano, negli USA, in veri e propri casi nazionali oltremodo amplificati fino all’estremo dalla cronaca televisiva e giornalistica. Una Vittimologia equilibrata deve anche riconoscere e tutelare le garanzie accusatorie del reo processato. Viceversa, non è più possibile individuare e valutare la qualità e la quantità del danno cagionato << in un contesto di reciprocità giuridica >> (GARAPON & GROS & PECH 2001). Fondare la nozione di Parte Lesa sul senso comune e sulle voci di popolo è contrario alle normali regole di prudenza tipiche del Diritto Processuale.

La << restorative justice >> si sta sforzando di tradurre nella tecnica giudiziaria gli strumenti conciliativi del passato. Basti pensare ai pacificatori, ai conciliatori ed agli arbitri dell’Europa carolingia, oppure anche ai gruppi familiari delle tribù. Il che non significa togliere allo Stato il monopolio dell’uso legittimo della forza. La comunità deve (rectius: dovrebbe) sostituirsi alla Magistratura nel giudizio delle infrazioni contro l’Ordinamento Penale. Il nodo del problema, tuttavia, rimane quello di giuridificare tecnicamente quando e come la comunità dei consociati debba o possa legittimamente intervenire e svolgere una funzione giurisdizionale equa ed imparziale.

 

La << restorative justice >> a livello concreto e fattuale

La Giustizia riparativa è stata definita dall’ONU (2002) << un processo nel quale la vittima, il colpevole e la comunità danneggiata, nella misura del possibile, partecipano insieme attivamente alla risoluzione dei problemi provocati dal reato, generalmente con l’aiuto di un Mediatore >>. Prima della Seconda Metà del Novecento, era inimmaginabile una risoluzione completamente stragiudiziale delle controversie di matrice penalistica. Allo stato attuale, perlomeno laddove non è nemmeno parzialmente ammessa la Giustizia riparativa, la prospettiva, nell’ambito del Diritto Penale, era ed è completamente Stato-centrica, ovverosia << nel modello di giustizia penale attuale, il crimine è considerato come un atto che lede lo Stato, e il Diritto positivo riduce la procedura ad una questione tecnica >> (GARAPON & SALAS 2007). All’opposto, la ratio della << restorative justice >> mette al centro l’umanità della vittima e del reo, i quali partecipano attivamente ad un procedimento il cui fine è trovare una soluzione condivisa e, soprattutto, risarcitoria, tanto sotto il profilo materiale quanto sotto il profilo etico.

Anche presso i popoli meno economicamente evoluti, come quelli dell’Africa preistorica, << esistono pratiche risarcitorie come la mediazione tra vittima ed infrattore, le riunioni tribali e quelle comunitarie. La partecipazione è libera e volontaria e ciascuno può auto-escludersi dal tentativo di conciliazione >>. Un primo interessante esperimento di Mediazione Penale venne svolto, a partire dal 1970, a Kitchener, in Ontario (JOHNSTONE 2003). Anche negli USA, non mancano centinaia di esempi riusciti di conciliazione stragiudiziale sistematica ed istituzionalizzata. In Europa, si sono distinte le esperienze del Belgio e della Francia, soprattutto con attinenza al Diritto Penale Minorile (AERTSEN 2004). In ultima analisi, << la mediazione tra vittima ed infrattore offre l’opportunità di un incontro volontario, viso a viso, per recare ciascuno a considerare il punto di vista dell’altro e a tenerne conto. Gli interessati, dunque, parlano dei modi di riparazione dei danni causati >> (FAGET 1997).

In Nuova Zelanda, dal 1989, ogni Procedimento Penale dev’essere preceduto da almeno un tentativo di conciliazione, che si ispira alle << conferenze riparatorie >> in uso presso gli Aborigeni Maori (CONSEDINE 2003). Siffatte riunioni mediative sono egualmente previste nelle Procedura Penali dell’Australia, degli USA, del Canada, dei Paesi Bassi, del Regno Unito e del Belgio (JOHNSTONE 2003). Per lo più, la Mediazione Penale costituisce un’alternativa al Diritto Penale Minorile in senso stretto, soprattutto nei casi di contrasti di matrice domestica. Solitamente, a livello di ratio, << le conferenze riparatorie consentono di contenere dissidi familiari o sociali che potrebbero recare danno all’infrattore, il quale è aiutato a modificare per l’avvenire il proprio comportamento e a riparare i torti causati alla vittima o alla comunità>> (McELREA 1996). In Canada, negli Anni Novanta del Novecento, si è tentato di imitare nonché applicare gli Arbitrati dei Nativi Americani del Nord. P.e., in Yukon e nella Regione di Nunavik, le decisioni informali della Comunità debbono o dovrebbero essere valutate dal Magistrato che emetterà la Sentenza. Nelle conferenze riparatorie, tutti sono ammessi a partecipare per esprimere pareri di carattere materiale, ma anche affettivo ed etico.

 

La Mediazione Penale è diversa a seconda che il danno sia stato arrecato alla sfera fisica del danneggiato, oppure all’integrità morale della Parte Lesa, oppure ancora alla Comunità di appartenenza. Nel caso di una vittimizzazione fisica o materiale, la conseguenza, come intuibile, è un risarcimento di natura patrimoniale, il che conferma la nozione codicistica europea di << obbligazione derivante da atto illecito >>: La somma risarcitoria è negoziata da tutte le Parti in causa, è convenientemente equa e provoca un inevitabile effetto di special-preventività, in tanto in quanto il responsabile del crimine è costretto a privarsi di una parte dei propri beni. Viceversa, nel caso di un danneggiamento meramente etico o anti-sociale, il reo è condannato a lavorare gratuitamente a beneficio della Comunità. In molti Ordinamenti giuridici, il lavoro socialmente utile costituisce una << diversion >>, ovverosia un’alternativa alle forme di espiazione carceraria. I lavori a beneficio della collettività intera, più che uniformarsi ad una ratio riparativa, hanno lo scopo di ripristinare, nel senso “ groziano “, la pace sociale, che era stata infranta da un’azione comunitariamente non tollerabile (p.e. si pensi al vandalismo nei luoghi pubblici, alla profanazione di edifici o spazi sacri od all’imbrattamento di strade e muri).

Nella nuova Vittimologia contemporanea, a livello meta-geografico e se il danno è bagatellare, esistono altre sanzioni alternative al carcere, come la restituzione integrale del bene o del denaro sottratto, l’ammonimento, la partecipazione obbligatoria a corsi di sensibilizzazione o l’imposizione di trattamenti sanitari, specialmente in caso di maltrattamenti in famiglia uniti a problemi di tossicodipendenza e /o abuso di bevande alcooliche. In Canada, si sono sperimentate delle assemblee comunitarie, almeno nei piccoli centri di periferia, al fine di preparare la collettività al ritorno a piede libero di condannati per reati gravi e violenti. L’infrattore, se pentito e rieducato, deve avere la possibilità di rientrare nel proprio ambiente sociale originario. Altre volte, sempre nell’ottica della Giustizia riparativa, gli incontri di Mediazione proseguono, all’interno del carcere, per rinnovare e concretizzare la pacificazione tra recluso e vittima, sempre ammesso che la Parte Lesa acconsenta a questi incontri dopo il passaggio in giudicato della Sentenza di condanna. I seguaci della << restorative justice >> auspicano pure, se possibile, un aiuto fattuale semi-punitivo del danneggiante al danneggiato, pur se rimane sempre molto difficile organizzare incontri riparativi di fronte a gravi delitti come lo stupro, le lesioni personali o l’omicidio volontario di un congiunto. In buona sostanza, la Criminologia della riparazione tende a cancellare le forme di << vendetta sociale >> per sostituirle con un ‘autentica, seppur difficile, << pace sociale >>. Sotto il profilo statistico, AERTSEN (2004) osserva che la Mediazione Penale e, dunque, la Giustizia riparativa diminuiscono il tasso di recidiva, giacché il risarcimento, materiale o simbolico, e l’accordo mediato << introducono empatia reciproca e rafforzano le relazioni tra le famiglie e le Istituzioni, tra i servizi sociali e tutti i membri della comunità >>. Tutto ciò premesso, esiste la frequente possibilità di un fallimento completo dei mezzi riparativi, perché la Procedura è costosa, perché il condannato non è completamemte sincero ed emendato o perché la Giustizia riparativa, nel caso delle violenze fisiche, non cancella mai completamente i danni ricevuti. Molti Dottrinari considerano come una pura utopia l’azzeramento completo del desiderio di vendetta della vittima e dei propri familiari. A parere di GARAPON & SALAS (2007), la Mediazione e la riparazione è quasi impossibile nel caso di infrazioni gravemente anti-sociali ed anti-normative. Tuttavia, il concetto criminologico di << restorative justice >> rimane applicabile in molti casi ove una riappacificazione umana è ancora possibile, senza dover ricorrere alla sanzione carceraria nel senso tradizionale e neo-retribuzionistico. A volte, il perdono, cristiano o laico che sia, è un atto di << convenienza sociale >>, come più volte sottolineato dal Defunto Cardinal Martini.

 

Conclusioni.

 

La Giustizia riparativa, almeno a livello di impianto teorico, ripristina anzitutto la pace sociale a beneficio di tutti i soggetti coinvolti, ovverosia la vittima, il reo e la società intera. Tutti i Precedenti giurisprudenziali attestano concordemente che una pacificazione mediata ed accettata soddisfa sempre la Parte Lesa, la quale giunge a valutare come inadeguato o insufficiente il ricorso al carcere. In secondo luogo, la riparazione stragiudiziale responsabilizza il colpevole, il quale, se viceversa detenuto, non si rieduca e non si riabilita. Del resto, come noto, la privazione della libertà personale, anziché socializzare, crea rabbia sopita, disturbi dell adattamento e desiderio di rivalsa. In terzo luogo, la restorative justice abbassa di ben 72 punti percentuali il tasso di recidiva, allorquando, all’opposto, la pena detentiva accresce le ricadute anti-giuridiche dopo la permanenza in un carcere tradizionale e meramente punitivo. NUGENT & WILLIAMS & UMBREIT (2003) hanno censito 9.307 minorenni canadesi responsabili di illeciti penalmente rilevanti. Gli infra-18enni sottoposti alla Giustizia riparativa sono stati recidivi per il 10 / 12 %, mentre i minori detenuti in Penitenziario hanno delinquito nuovamente con una percentuale superiore al 26 %, dunque << [ in Canada ] chi ha partecipato alla Mediazione ha una tendenza meno grave a commettere recidive >>. Anche McCOLD & WACHTEL (2003), nel Nord-America, asseriscono che la Giustizia riparativa si è dimostrata utile ed altamente pedagogica su 39 minorenni molto ben rieducati ancorché non incarcerati. La percentuale di successo mediativo raggiunge i 91 punti percentuali nel caso di << incontri tra gruppi familiari >>. Invece, la giustizia tradizionale, ovvero il carcere, non rieduca e, anzi, aumenta il tasso di recidiva, che, in Canada e negli USA, supera il 56 %. Molti Dottrinari anglo-americani degli Anni Duemila criticano la pena detentiva ed il sistema di risarcimento dei danni, in tanto in quanto la riparazione materiale ha una propria ratio soltanto se essa viene congiunta alla ben più importante riparazione affettiva (p.e. si considerino crimini non patrimoniali come lo stupro, lo stalking e le aggressioni di tipo parafiliaco). Inoltre, come rimarcato da UMBREIT & VOS & COATES (2006) << quello che essenzialmente cercano le vittime è esprimere il loro dolore di fronte all’aggressore affinché egli prenda coscienza delle proprie responsabilità, presenti le sue scuse e si sforzi di cambiare il proprio atteggiamento … l’aggiunta di un risarcimento materiale per i danni subiti è egualmente presente, ma in genere non è prioritaria >>.

SHERMAN & STRANG (2007) psicologizzano gli effetti della Giustizia riparativa, soprattutto per quanto afferisce al caso delle donne violentate, le quali << si sentono meglio sotto molti aspetti: hanno meno paura dell’aggressore, non si sentono a rischio di essere di nuovo vittimizzate, provano sicurezza e ritrovano la fiducia verso gli altri e verso se stesse … risentono meno dei sintomi traumatici e non coltivano desideri di vendetta verso il violentatore >> Nella società australiana, il 90 % delle donne stuprate si dichiara soddisfatto delle scuse verbali o di un pianto liberatorio e soltanto meno del 10 % continua a partecipare al Procedimento Penale senza la Mediazione (SHERMAN & STRANG, ibidem). L’80 % delle Parti Lese australiane reputa risolutorio e bastevole il risarcimento morale / affettivo (UMBREIT & VOS & COATES 2006). Come normale, il responsabile molte volte ri-commette i medesimi reati, ciononostante le Associazioni femministe consigliano volentieri alle loro utenti stuprate di tentare almeno un contatto mediato con il colpevole. Altrettanto fruttuoso è risultato l’approccio riparativo nei confronti dei colpevoli minorenni o giovani adulti. D’altronde, il criminologo belga WALGRAVE (2004) sostiene con grande convinzione che << la maggioranza dei delinquenti non è indifferente di fronte alla sofferenza delle vittime. Molto spesso si sentono dire frasi come: “ ma io non volevo farLe così male “ >>. In un Tribunale, sarebbe ritualmente impossibile mettere lo sguardo in quello della propria vittima. L’unica strategia difensiva, di fronte ad un Magistrato, consite nel minimizzare o nel nascondere le colpe personali

 

B   I   B   L   I   O   G   R   A   F   I   A

 

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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