Lavoro carcerario: accordo tra Ministero Giustizia e CNEL

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L’accordo tra Ministero Giustizia e CNEL si propone come obiettivo il lavoro formativo svolto professionalmente che utilizzi il tempo della reclusione in modo proficuo.
Per approfondimenti: Carcere e Scienze sociali

Indice

1. Il lavoro carcerario


Il lavoro carcerario è uno degli strumenti fondamentali per la risocializzazione del recluso e dell’internato, per questo gli è stata sempre prestata particolare attenzione da parte del legislatore.
Svolge una funzione normalizzatrice e correttiva, perché sottrae i detenuti alle conseguenze negative dell’ozio, favorisce il loro trattamento rieducativo, offre loro la possibilità di ricavare un guadagno, con il quale soddisfare le loro necessità e sussidiare la famiglia.
Prima dell’entrata in vigore della Costituzione, il lavoro per i detenuti, nell’ambito del regime penitenziario, veniva considerato in funzione strettamente punitiva
Il Regio Decreto 18/06/1931 n. 787 configurava il lavoro come una parte integrante della pena.
I condannati, considerati privi di qualsiasi capacità di agire, avevano l’obbligo di lavorare nelle varie attività produttive organizzate negli Istituti carcerari.
Non c’era nessuna proporzione tra la quantità e qualità del lavoro prestato rispetto alla retribuzione e non avevano diritto a nessuna tutela assicurativa e previdenziale.
Nei principi dettati dalla Carta Costituzionale, entrata in vigore l’1 gennaio 1948, si concretizza un’evoluzione del concetto di sanzione penale.
La pena detentiva, che rappresenta un provvedimento repressivo, afflittivo, proporzionato alla gravità del reato inflitto al soggetto dotato di capacità di intendere e di volere, deve tendere alla rieducazione del condannato (art. 27, comma 3).
Il lavoro è inteso come strumento rieducativo e non punitivo, e al lavoratore sono assicurati diritti e tutele minime.
Secondo questo principio, l’attività lavorativa del condannato negli istituti penitenziari ha sempre di più assunto una connotazione di strumento diretto a stimolare un positivo cambiamento nella vita dello stesso.
In questo senso si esprime l’articolo 15 del vigente Ordinamento Penitenziario, che individua il lavoro come uno degli elementi del trattamento rieducativo stabilendo che, salvo casi di impossibilità, ai condannati è assicurato il lavoro.
L’articolo 20 comma 2, dello stesso Ordinamento, sostiene che non ha carattere afflittivo, non rappresenta un inasprimento della pena.
È prevista una remunerazione in base alla quantità e alla qualità di lavoro prestato, in misura non inferiore ai 2/3 del trattamento economico previsto dai CCNL.
Sono riconosciute le stesse garanzie assicurative, contributive e previdenziali di quelle previste in un rapporto di lavoro subordinato.


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2. I caratteri


In dottrina si è soliti definire tre caratteri del lavoro carcerario, vale a dire, la sua obbligatorietà, la sua finalità rieducativa e la sua funzione di protezione sociale.
Nella situazione attuale delle carceri italiane, il lavoro per i carcerati, sia dentro sia fuori delle prigioni, è un raro privilegio, nonostante particolari agevolazioni (legge “Smuraglia”) concesse a ditte esterne per l’organizzazione di attività lavorative nelle carceri o anche al loro esterno, per i detenuti autorizzati.
Negli istituti penitenziari deve essere favorita la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e alla loro partecipazione a corsi di formazione professionale.
In questo senso, possono essere stipulati rapporti con aziende pubbliche o con aziende private convenzionate con l’ente Regione, al fine di istituire negli istituti lavorazioni organizzate o corsi di formazione professionale (obbligo largamente disatteso dall’amministrazione penitenziaria).
Il lavoro carcerario non deve essere considerato come un trattamento punitivo, ma come una forma di organizzazione necessaria della vita della comunità carceraria.
In questo senso, l’assegnazione al lavoro carcerario avviene sulla base di due apposite graduatorie, una generica e l’altra per qualifica o mestiere.
Nella situazione attuale delle carceri italiane si vedono come privilegiati i pochi detenuti che possono accedere a un lavoro e i pochi che possono frequentare corsi di formazione.
In applicazione del principio di protezione sociale, l’orario di lavoro giornaliero e il riposo festivo sono disciplinati dalle leggi vigenti in materia di lavoro.
Il lavoratore detenuto o internato è coperto da garanzia assicurativa e gode di congrua tutela previdenziale.  

3. Le finalità dell’accordo


La scorsa settimana è stato siglato un accordo interistituzionale tra Ministero della Giustizia e Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), con la finalità di promuovere, attraverso attività concrete, il lavoro e la formazione come veicoli di reinserimento sociale per le persone che sono private della libertà.
L’intesa siglata, come si legge nel testo dell’accordo, promuove “una collaborazione orientata a diffondere le condizioni per un lavoro penitenziario formativo e professionalizzante, finalizzato all’utilizzo proficuo del tempo della reclusione e all’accrescimento delle competenze personali dei soggetti reclusi”.

4. I termini dell’intesa


Nella nota congiunta del Ministero della Giustizia e del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) si legge che la collaborazione nasce dalla considerazione che:
il lavoro rappresenta uno degli elementi del trattamento penitenziario finalizzati al reinserimento sociale dei detenuti ed al conseguente abbattimento del rischio di recidiva”.
Si prevede anche che:
l’incremento dei percorsi di formazione anche universitaria e di riqualificazione professionale a favore dei detenuti e internati”.
L’istituzione, al fine di monitorare il perseguimento degli obiettivi dei quali all’accordo, di
un’apposita cabina di regia farà pervenire periodicamente al ministro e al presidente del Cnel i risultati dell’attività svolta per la preparazione e l’adozione delle conseguenti iniziative”.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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