L’ascensore – che è indispensabile ai fini di una reale abitabilità dell’appartamento – puo’ essere installato nelle parti comuni tenendo conto dei limiti dell’articolo 1102 c.c. anche senza rispettare le distanze legali, comprese quelle dalle vedute dei balconi

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Corte di Cassazione – II sez. civ. – sentenza n. 30838 del 26-11-2019

riferimenti normativi: art.  1102 c.c.

precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14096 del 3/8/2012; Trib. Milano – sentenza del 19 ottobre 2000

La vicenda

Due condomini prendevano l’iniziativa per la realizzazione di un ascensore esterno al caseggiato. I condomini a maggioranza autorizzavano i lavori. Altri condomini però ritenevano l’opera illecita e si rivolgevano al Tribunale per bloccare i lavori. Il Tribunale riteneva l’installazione lesiva degli interessi degli altri condomini e tale decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello secondo cui, tenuto conto dei luoghi e dei rilievi dei tecnici, l’opera in questione avrebbe violato le distanze rispetto ai balconi di proprietà esclusiva esistenti in affaccio verso il cortile interno. Inoltre osservava che l’ingombro della torre ascensore non avrebbe inciso negativamente solo sull’atrio di ingresso di proprietà comune, ma anche su una limitata parte di proprietà esclusiva (che si voleva occupare), con la conseguenza che i condomini non avrebbero potuto più affacciarsi su tale porzione di terreno; secondo i giudici di secondo grado quindi l’opera era illecita e la legge sulle barriere architettoniche non sarebbe stata rispettata; di conseguenza la Corte riteneva irrilevante la delibera assembleare di autorizzazione dei lavori; del resto secondo gli stessi giudici se non possono essere lesi da delibere, adottate a maggioranza, i diritti dei condomini attinenti alle cose comuni, a maggior ragione non possono essere lesi, da delibere non adottate all’unanimità, i diritti di ciascun condomino sulla porzione di proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative; infine rilevava come la legge sulle barriere architettoniche non prevedesse deroghe alle distanze dalle vedute che dovevano, al contrario, ritenersi applicabili.

La questione

Un ascensore può essere installato nelle parti comuni solo tenendo conto dei limiti dell’articolo 1102 c.c. o tale installazione deve anche rispettare le distanze legali, comprese quelle dalle vedute dei balconi dei singoli condomini?

La soluzione

La Cassazione ha accolto il ricorso dei condomini che volevano installare l’ascensore, annullando la decisione della Corte d’Appello.

In particolare i giudici supremi hanno ricordato che le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice verifichi il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue (e sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale).

Per la Cassazione quindi la Corte d’appello non poteva quindi ritenere violato, nel caso di specie, l’art. 907 c.c., senza previamente accertare se il manufatto da realizzare su cose comuni (parte del cortile comune) avesse rispettato i limiti posti dall’art.1102 c.c. nell’uso della cosa comune.

In ogni caso i giudici supremi confermano che se tale installazione rispetta i limiti dell’articolo 1102 c.c. sono irrilevanti le norme sulle distanze legali, comprese quelle dalle vedute.

Le riflessioni conclusive

Secondo la Cassazione vale il principio per cui le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purchè siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; in pratica si deve rispettare l’articolo 1102 c.c. secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne pari uso secondo il loro diritto.

Entro questi limiti ogni condomino può apportare a proprie spese le modifiche necessarie per il miglior godimento della cosa comune.

Se il singolo condomino rispetta i limiti del 1102 c.c. ma non rispetta le distanze legale l’opera è comunque legittima; in altre parole la norma speciale in materia di condominio (art 1102 c.c.) determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale (Cass. civ., sez. II, 03/08/2012, n. 14096). Il discorso riguarda anche le distanze legali dalle vedute disciplinate dall’articolo 907 c.c.

Come hanno notato i giudici supremi la disciplina di cui all’art. 907 c.c. non può operare per effetto del richiamo ad essa contenuto nella L. n. 13 del 1989, art. 3, comma 2 (oggi trasfuso nell’art. 79 del d.p.r. n. 380 del 2001).

In proposito, deve rilevarsi che l’art. 3 citato dispone, che l’installazione di un ascensore può essere realizzato in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati e, al comma 2, che è fatto salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli artt. 873 e 907 c.c. nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni (cioè di terzi estranei al condominio) non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune. Nel suo complesso, tale disposizione non può ritenersi applicabile all’ipotesi in cui venga in rilievo, non un fabbricato distinto dall’edificio condominiale, ma una unità immobiliare ubicata nell’edificio comune. In sostanza, il richiamo contenuto nell’art. 3, comma 2, ai “fabbricati alieni” impone di escludere che la disposizione stessa possa trovare applicazione in ambito condominiale. Manca, dunque, nel caso sopra visto, il presupposto di fatto per l’operatività della richiamata disposizione di cui all’art. 907 c.c., e cioè il fatto che fabbricato dal quale si esercita la veduta che si intende tutelare sia fuori dal perimetro condominiale. Nel caso esaminato infatti si parlava di distanze dalle vedute dei balconi dei singoli condomini.

Del resto posizionare un ascensore all’esterno di un edificio può costituire una scelta tecnica obbligata specie nei centri storici, dove gli immobili più antichi di solito non consentono di realizzare l’impianto all’interno del caseggiato

In tale ipotesi però si deve tenere conto che la giurisprudenza amministrativa ha anche affermato la natura di volume tecnico dell’impianto in questione; di conseguenza ha escluso la violazione delle norme in tema di vedute e di distanze tra costruzioni (T.A.R. Liguria 29 gennaio 2016, n. 97).

Questa conclusione è derivata dalla consapevolezza maturata in giurisprudenza (relativamente al significato della proprietà, soprattutto condominiale) che la nozione di volume tecnico rispecchia il mutamento anche demografico della nostra società, che ormai considera l’ascensore come un bene indispensabile non solo alla vita delle persone con problemi di deambulazione, ma anche di coloro che trovano sempre più difficoltoso salire e scendere i numerosi piani di scale che li separano dalle vie pubbliche.

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