La tecnica del remand nel procedimento cautelare amministrativo

Redazione 12/02/19
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Di pari passo con l’evoluzione del concetto di interesse legittimo, anche il procedimento cautelare ha cambiato volto assumendo i connotati dell’atipicità dei rimedi. Ci si può spingere allora sino ad affermare l’ammissibilità della tecnica del remand?

 Lineamenti del giudizio cautelare nel processo amministrativo

Funzione precipua del giudizio cautelare è quella di garantire che il privato ricorrente non soffra del tempo necessario per ottenere una pronuncia nel merito. Il giudizio cautelare risponde quindi alle esigenze di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale ex artt. 24, 113, 111 Cost., nonché ex artt. 6 e 13 CEDU.

Sono caratteri generali del processo cautelare la sommarietà e la strumentalità rispetto al giudizio di cognizione.

Il processo cautelare è sommario in quanto il provvedimento del giudice viene emesso all’esito di una indagine superficiale e non dà luogo a un accertamento idoneo a produrre gli effetti del giudicato ex art. 2909 c.c.

Il processo cautelare è strumentale in quanto la sua funzione è proprio quella di consentire il pieno apprezzamento della situazione giuridica dedotta nell’ambito del giudizio di cognizione piena, senza che il tempo necessario per ottenere la sentenza di merito danneggi nelle more l’attore. Nel giudizio amministrativo il carattere strumentale del rimedio cautelare risulta ancora più accentuato ove si consideri che in base all’art. 60 c.p.a. la tutela cautelare viene esercitata dal giudice solo se quest’ultimo non ha rilevato d’ufficio la sussistenza dei presupposti per la definizione del giudizio nel merito.

Presupposti per l’accoglimento del ricorso cautelare sono, come nel processo civile, la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Si badi che, in una prima fase, la disciplina contenuta nell’art. 21 della L. n. 1034/1971 risultava lacunosa ed era idonea a sortire un effetto di tutela solo di fronte alla lesione di interessi oppositivi. Un tempo, infatti, l’unica misura cautelare espressamente prevista era data dalla sospensiva del provvedimento. Pertanto, la sospensione era idonea a sortire un effetto utile solo di fronte a un provvedimento che pregiudicasse una posizione di vantaggio già acquisita dal ricorrente.

Una qualche apertura si registrava con riferimento ai c.d. atti negativi in senso improprio (o atti negativi ad effetti positivi) quale, ad esempio, il diniego di rinnovo di concessione. In tal caso la sospensiva veniva ammessa sulla scorta del rilievo che tale provvedimento cautelare avrebbe spiegato un effetto unicamente conservativo.

Con il passare del tempo, gli strumenti disponibili nell’ambito del giudizio cautelare sono andati via via ampliandosi.

Innanzitutto, la Corte Costituzionale, con sentenza del 28 giugno 1985 n. 190 ha espressamente riconosciuto la possibilità di ricorrere a misure cautelari atipiche, vale a dire di tutti i provvedimenti necessari per assicurare gli effetti della decisione nel merito. Si è così ammesso anche l’utilizzo delle di ordinanze cautelari a contenuto positivo.

In seguito all’introduzione della l. 205/2005 e del codice del processo amministrativo nel 2010 è infine risultato definitivo il passaggio da un sistema chiuso delle misure cautelari ammissibili ad un modello aperto, in base al quale il ricorrente può domandare l’emanazione delle misure che ex art. 55, comma 1, c.p.a. appaiono “secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso” (art. 55 co 1). Detto altrimenti, la tutela cautelare anche nel processo amministrativo risulta caratterizzata dalla massima elasticità. D’altra parte, non ci si può esimere dal rilevare come questa nuova impostazione rifletta la generale trasformazione del giudizio amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto.

Ferme queste premesse, ci si è chiesti se tale nuova impostazione consenta di superare i dubbi in ordine alla possibilità per il giudice amministrativo di spingersi fino all’emanazione di ordinanze c.d. propulsive (c.d. remand), vale a dire delle ordinanze con cui il giudice ordina alla P.A. di esercitare un potere.

Compatibilità del remand con il processo cautelare amministrativo

Le c.d. ordinanze propulsive (remand) si compongono essenzialmente di due tipi di due statuizioni. La prima attiene alla sospensione dell’atto impugnato da ricorrente. La seconda consiste nell’ordine impartito alla P.A. di esercitare nuovamente il potere, cioè di decidere una seconda volta in ordine all’istanza del privato.

Tali ordinanze servono a consentire che si pervenga all’adozione di un atto emendato dai vizi (di tipo istruttorio, procedimentale o anche sostanziale) già chiaramente riscontrati in sede di cognizione cautelare.

Sulla loro ammissibilità delle ordinanze propulsive (remand) si sono contrapposte due tesi.

Secondo il Consiglio di Stato il remand contrasterebbe con i connotati ontologici propri della misura cautelare.

Innanzitutto, il remand potrebbe cozzare con la strumentalità della tutela cautelare rispetto alla decisione destinata a definire nel merito il giudizio, laddove finisca con l’assicurare al ricorrente una utilità diversa e più ampia rispetto a quella conseguibile con la sentenza di merito. La strumentalità impone, infatti, che sul piano degli effetti la misura cautelare si ponga in rapporto di continenza (qualitativa e quantitativa) rispetto alla sentenza di merito.

In secondo luogo, il remand tradirebbe il carattere della interinalità riconducibile alla misura cautelare, giacché condurrebbe all’assunzione di un provvedimento destinato a sostituirsi definitivamente al provvedimento impugnato.

I giudici amministrativi di primo grado, d’altra parte, sembrano più propensi a ritenere ammissibile il remand.

Tale tesi muove dalla considerazione che la l. n. 205/2005 il codice del processo amministrativo hanno definitivamente accolto la regola della atipicità e della massima elasticità degli strumenti cautelari, fino a ricomprendervi il remand. Ciò sulla base anche della considerazione che quello che si svolge davanti al giudice amministrativo non è più un giudizio incentrato sull’atto: si tratta ora di un giudizio che mette al centro il rapporto e il tema della effettiva spettanza del bene della vita.

Da tale nuova concezione non può che discendere il principio di atipicità delle tutele e una continua circolarità fra procedimento amministrativo e processo amministrativo che investe anche la fase cautelare: così come l’emissione della sentenza di merito esplica un effetto conformativo che può obbligare la PA alla riedizione del potere, ciò può avvenire che sulla base dell’ordinanza cautelare.

Tutto ciò con una precisazione: nel momento in cui l’amministrazione riesercita il potere, essa sarà tenuta a sollevare una volta per tutte le questioni che ritenga rilevanti; in seguito alla riedizione del potere, la P.A. non potrà tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione ai profili non ancora esaminati.

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