La sopraelevazione in condominio

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A norma dell’art. 1127, primo comma, c.c., il proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare dell’edificio condominiale può elevare “nuovi piani o nuove fabbriche”, salvo che risulti altrimenti dal titolo.
La norma di cui all’art. 1127 c.c. – apparentemente di agevole lettura – nel suo insieme è tutt’altro che di agevole interpretazione, non solo in ordine all’esatta individuazione dei termini “nuovi piani o nuove fabbriche”, ma anche in ordine agli ulteriori commi. Per “nuovi piani o nuove fabbriche” devono intendersi le costruzioni corrispondenti agli standard minimi di altezza dei piani e cioè, metri 2,80? Si vuol dire: la norma si applica solo ove le costruzioni raggiungano in altezza gli standard minimi di ciascun piano o è sufficiente che esse oltrepassino comunque la precedente altezza del fabbricato?
E ancora: nella nozione di sopraelevazione rientra anche il recupero dei sottotetti, nei quali siano ricavati uno o più appartamenti, a prescindere dall’innalzamento dei muri perimetrali dell’ultimo piano o del tetto?
In tema, le pronunce della Cassazione sono assai oscillanti e talvolta contrastanti: si vedano esemplificativamente, le sentenze 14/10/1988, n. 5556; 10/06/1997, n. 5164; 24/10/1998, n. 10568; 12/2/1998, n. 1498; 20/7/1999, n. 7764 e 25/05/2000, n. 6643.
Rispetto ad una fattispecie relativa al recupero di un sottotetto, è stato per esempio ritenuto che si è in presenza della sopraelevazione ex art. 1127 c.c., laddove “non ci si limiti alle modificazioni interne del sottotetto nell’ambito dei limiti strutturali originari del fabbricato, ma ci si adoperi nel superamento di tali limiti strutturali attraverso l’innalzamento dell’originaria altezza dell’edificio e lo spostamento in alto della copertura del fabbricato” (Cassazione 12/02/1998, n. 1498). In particolare, la sentenza della Cassazione, 22/5/2000, n. 6643 – con riferimento ad un’analoga fattispecie concernente lavori di innalzamento di circa 60 cm della falda del tetto e dei soffitti lungo il perimetro del preesistente locale lavanderia – ha ritenuto che la sopraelevazione è sussistente non per il fatto di una “pura e semplice costruzione oltre l’altezza precedente del fabbricato”, ma solo in caso di costruzione di uno o più nuovi piani o di una o più nuove fabbriche, sopra l’ultimo piano dell’edificio, quale che sia il rapporto con l’altezza precedente.
Il contrasto giurisprudenziale in materia di sottotetti è tutt’altro che irrilevante, in un periodo in cui il loro recupero è notoriamente consistente. Tant’è che di recente la seconda sezione della Corte di Cassazione – con ordinanza 7 giugno 2005, n. 11857 – ha rimesso la questione alle Sezioni unite della stessa Cassazione, ai fini della composizione del contrasto emerso nell’ambito della sezione. Nella richiamata ordinanza, la seconda sezione ha evidenziato che in giurisprudenza risulta ormai delineato l’orientamento in base al quale, ai sensi dell’art. 1127 c.c., devono essere considerati nuovi piani o nuove fabbriche le opere consistenti nella trasformazione in appartamento di una soffitta mediante l’aumento da 1 a 3 metri della sua altezza media, in quanto “i sottotetti, le soffitte, le cantine, i solai vuoti e gli analoghi spazi non praticabili, destinati ad isolare il corpo di fabbrica dalla sua copertura, costituiscono una semplice pertinenza dell’intero edificio condominiale o del suo ultimo livello ove appartengano in via esclusiva al proprietario di questo, come nella specie, e non dànno luogo a loro volta ad un piano a sé stante, destinati come sono a funzioni accessorie, quali depositi, stenditoi, camere d’aria a protezione degli alloggi sottostanti dal caldo e dal freddo e dall’umidità”. E, dunque, il recupero dei sottotetti non dovrebbe comportare sopraelevazione, laddove le modificazioni siano soltanto interne e contenute negli originari limiti dell’edificio, senza alcun aumento di altezza.
Ciò a parte, vale la pena di puntualizzare che nelle case coperte da tetto – i cui sottotetti, solai, soffitte, abbaini, siano di proprietà esclusiva – per ultimo piano deve intendersi quello del sottotetto e non il sottostante ultimo piano normale, sicché il diritto di sopralzo spetta ai proprietari dei solai o soffitte o abbaini e non già ai proprietari del piano sottostante.
Si tenga tra l’altro presente che qualora l’ultimo piano dell’edificio appartenga per porzioni a più di un condomino, la parziarietà del diritto di ciascuno comporta che ciascuno dei proprietari può sopraelevare la parte corrispondente alla sua proprietà esclusiva – salvo danni all’estetica dell’edificio – senza che sia necessaria la contemporanea sopraelevazione, da parte degli altri proprietari, delle rispettive porzioni (Appello Milano 16/3/1951). Si tenga anche presente che, se il lastrico solare è di proprietà comune dei condomini, a norma dell’art. 1117 c.c., il diritto di sopralzo spetta al proprietario dell’ultimo piano e non a tutti i condomini (Cassazione, 7/11/1961, n. 2572).
In ogni caso, la sopraelevazione è consentita quando sia eseguita dal proprietario dell’ultimo piano o dal proprietario esclusivo del lastrico solare o terrazza di copertura dell’edificio, a condizione che sussista l’idoneità statica dell’edificio (art. 1127, secondo comma, c.c.), che non sia pregiudicato l’aspetto architettonico dell’edificio e non sia diminuita notevolmente l’aria e la luce dei piani sottostanti (art. 1127, terzo comma, c.c.). La disposizione di cui all’art. 1127 c.c. non impone però, a chi sopraeleva, l’obbligo di eseguire lavori di rafforzamento o consolidamento delle strutture preesistenti. Sussistendo tutte tali condizioni, il sopraelevante, eseguita la sopraelevazione, è tenuto a corrispondere, agli altri condomini, la cosiddetta indennità di sopraelevazione, nonché a ricostruire il lastrico o la terrazza – su cui tutti o parte dei condomini avevano diritto d’uso – in modo da non rendere più incomodo l’uso originario.
Certo è che i contrasti dottrinali e giurisprudenziali non si fermano alla nozione di “nuovi piani o nuove fabbriche”, ma si estendono alla stessa definizione giuridica del diritto di sopraelevazione, talvolta definito come un diritto di superficie, con contenuto economico proprio valutabile separatamente da quello degli altri piani (Cassazione, 7/12/1994, n. 10498) e tal’altra, come un vero e proprio diritto di proprietà, comprensivo della facoltà di edificare, spettante esclusivamente al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio o al proprietario esclusivo del lastrico solare. Di qui la distinzione tra proprietà del lastrico solare e proprietà della sovrastante colonna d’aria, sicché è stato per esempio ritenuto che, in caso di sopraelevazione, il proprietario del lastrico – il quale si sia riservato anche la proprietà della colonna d’aria – è esonerato dall’obbligo di corrispondere l’indennità di sopraelevazione agli altri condomini. Si vedano, in tema, Cassazione, 1463/1962; 1084/1976; 5556/1988 e 22032/2004. Per la sentenza da ultimo richiamata, “la colonna d’aria (e cioè lo spazio sovrastante il lastrico solare) non costituisce oggetto di diritti e quindi non costituisce oggetto di proprietà autonoma, rispetto alla proprietà del lastrico solare”, sicché non esonera dall’obbligo del pagamento dell’indennità.
Certo è che per effetto della sopraelevazione si verifica un trasferimento patrimoniale che riguarda tutte le parti comuni dell’edificio e che è compensato dal versamento – da parte del sopraelevante – di un’indennità corrispondente all’acquisizione delle quote di una soltanto delle parti comuni e cioè dell’area su cui è costruito l’edificio. In sostanza, l’indennità di sopraelevazione viene a configurarsi come una reintegrazione parziale della perdita subita dai condomini, con il trasferimento delle quote di comproprietà dell’area condominiale. E’ per questo che il sopralzo – comportando un mutamento nel rapporto di valore tra le proprietà esclusive – rende necessaria la revisione della tabella millesimale di proprietà (art. 69, n. 2, disp. att., c.c.), con un aumento della quota di comproprietà del condomino che ha effettuato il sopralzo e la corrispondente diminuzione di quelle di tutti gli altri condomini.
Silvio Rezzonico
L’indennità di sopraelevazione
Per effetto dell’occupazione della colonna d’aria, il sopraelevante è tenuto a corrispondere l’indennità di sopraelevazione a ciascuno degli altri condomini – e non al condominio – anche quando la sopraelevazione sia eseguita senza concessione edilizia (Cassazione 21/05/2003, n. 7956).
La indennità deve essere peraltro valutata in relazione non alla pura e semplice superficie del suolo condominiale, ma alla volumetria costruibile o al numero di locali costruibili secondo gli strumenti urbanistici comunali, sicché il valore del suolo si determina in base alla volumetria totale edificata, che si ottiene con il sopralzo o in base al totale dei locali che risulteranno costruiti.
Il diritto all’indennità si configura come diritto di credito, sicché il termine di prescrizione dell’indennità è quello decennale (art. 2946 c.c.) e, in caso di ritardato pagamento dell’indennità, i condomini creditori – se vogliano conseguire il pagamento degli interessi – devono mettere in mora il debitore, a norma dell’art. 1282 c.c. (Cassazione, 16/10/1990, n. 10098). L’obbligo del pagamento sorge infatti all’atto dell’ultimazione dei lavori, ma gli interessi per ritardato pagamento, da parte di chi ha sopraelevato e a favore degli altri condomini, decorrono solo dalla data di messa in mora a norma dell’art. 1282 c.c..
In tema di calcolo dell’indennità di sopralzo, una consolidata giurisprudenza ha peraltro puntualizzato che, assunto come elemento base per il calcolo dell’indennità di cui all’art. 1127 c.c., il valore del suolo su cui insiste l’edificio o la parte di esso che viene sopraelevato, questo importo va poi diviso per il numero dei piani compreso quello di nuova costruzione, deducendo infine dal quoziente così ottenuto, la quota che spetterebbe al condomino che esegue la sopraelevazione, in relazione al piano o parte di piano o più piani di sua proprietà: la somma residua costituisce l’ammontare dell’indennità, da ripartirsi tra gli altri condomini (Cassazione, 20/6/1960, n. 1635; 26/3/1976, n. 1084; 21/8/2003, n. 12292).
 
 
 
Riferimenti normativi e giurisprudenza:
Artt. 1117; 1127; 1282; 2946 Codice civile
Art. 69, n. 2, disp. att., c.c.
Appello Milano 16/3/1951
Cassazione, 20/6/1960, n. 1635
Cassazione, 7/11/1961, n. 2572
Cassazione, 1463/1962
Cassazione 26/3/1976, n. 1084
Cassazione 14/10/1988, n. 5556
Cassazione 16/10/1990, n. 10098
Cassazione 7/12/1994, n. 10498
Cassazione 10/06/1997, n. 5164
Cassazione 24/10/1998, n. 10568
Cassazione 12/2/1998, n. 1498
Cassazione 20/7/1999, n. 7764
Cassazione 25/05/2000, n. 6643
Cassazione 21/05/2003, n. 7956
Cassazione 21/8/2003, n. 12292
Cassazione 22/12/2004, n. 22032
Cassazione 7 giugno 2005, n. 11857 

Rezzonico Silvio

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