La sentenza di proscioglimento

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Nel diritto processuale penale il termine proscioglimento indica la sentenza di non doversi procedere o la sentenza di assoluzione nei confronti dell’imputato.

La sentenza di proscioglimento è emessa al termine del dibattimento.

In casi particolari può essere emessa subito dopo la chiusura delle indagini preliminari, prima del dibattimento.

La sentenza di non doversi procedere (art. 529 c.p.p.)

Il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere, indicandone la causa nel dispositivo, se l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita.

Il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere anche quando la prova dell’esistenza di una condizione di procedibilità è insufficiente o contraddittoria.

Sentenza di assoluzione (art. 530 c.p.p.)

Quando il giudice si pronuncia nel merito e proscioglie l’imputato, emette una “sentenza di assoluzione”.

La causa di assoluzione, che deve essere specificata nel dispositivo, deve rientrare in una delle formule assolutorie tradizionali, delle quali all’art. 530 c.p.p.:

“il fatto non sussiste”

“l’imputato non lo ha commesso”

“il fatto non costituisce reato”

“il fatto non è previsto dalla legge come reato”

“il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione”.

I commi due e tre dell’articolo sopra menzionato stabiliscono rispettivamente che:

“il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”.

“Se c’è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità, oppure vi è dubbio sull’esistenza delle stesse”.

Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza.

Dichiarazione di estinzione del reato (art. 531)

Il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere, enunciandone la causa nel dispositivo, anche quando il reato è estinto, o c’è dubbio sull’esistenza di una causa di estinzione del reato.

Quando ricorre una causa di estinzione del reato, ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione con la formula prescritta.

Se questo avviene in udienza preliminare, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere con la formula prescritta.

Provvedimenti sulle misure cautelari personali

Con la sentenza di proscioglimento, il giudice ordina la liberazione dell’imputato in stato di custodia cautelare e dichiara la cessazione delle altre misure cautelari personali eventualmente disposte.

La stessa disposizione si applica nel caso di sentenza di condanna che concede la sospensione condizionale della pena.

 

Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità

Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta.

Proscioglimento prima del dibattimento

Se l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, oppure se il reato è estinto e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero e l’imputato e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.

L’assoluzione ai sensi dell’articolo 530 comma 2 c.p.p., con la formula “perché il fatto non sussiste” costituisce un completo e pieno riconoscimento dell’innocenza degli imputati dai reati contestati senza alcuna riserva o aspetto che possa in qualche modo mettere in dubbio una pronuncia assolutamente liberatoria.

È sbagliata l’opinione che la formula assolutoria in qualche modo richiami l’assoluzione per insufficienza di prove prevista dall’articolo 479 comma 3 c.p.p. del 1930, basta la semplice comparazione dei testi normativi.

Nel testo del 1930 si prevedeva la assoluzione per insufficienza di prove quando non risultassero “sufficienti prove per condannare”.

Nel testo del 1988 (articolo 530 comma 2) “il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile” .

In questa stessa ottica, la Corte di Cassazione ha ritenuto che «nel caso di formula assolutoria accompagnata dalla indicazione del secondo comma dell’articolo 530 c.p.p., l’interesse dell’imputato ad impugnare (nella specie preteso pregiudizio morale, per il “dubbio”) non si può ricavare dal richiamo, nel dispositivo, del comma dell’articolo menzionato, perché il richiamo non è indicativo di un’assoluzione per dubbio (vedi le varie ipotesi previste), neanche per gli “operatori del diritto”.

Si deve lo stesso attingere alla motivazione, perché non è vero che la distinzione tra il primo ed il secondo comma dell’articolo 530 Cpp, se il secondo comma è esplicitato nel dispositivo, fa “resuscitare” la formula dubitativa.

Le sentenze di proscioglimento si dividono in:

Sentenze di non doversi procedere, che si limitano a statuire su aspetti processuali, senza che avvenga un accertamento del fatto.

Sentenze di assoluzione, che contengono l’accertamento del fatto, compiuto dal giudice con le prove, e sono idonee a fondare l’efficacia del giudicato nei processi civili, amministrativi e disciplinari.

Con la sentenza di proscioglimento il giudice ordina la liberazione dell’imputato in stato di custodia cautelare e dichiara la cessazione delle altre misure cautelari personali eventualmente disposte.

Con la sentenza che assolve l’imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità, il giudice, se ne è fatta richiesta, condanna la parte civile alla rifusione della spese processuali sostenute dall’imputato e dal responsabile civile per effetto dell’azione civile.

Se il danneggiato ha esercitato l’azione civile nel processo penale per colpa grave, il giudice può condannare la parte civile al risarcimento dei danni causati all’imputato assolto.

Nel caso di assoluzione da un reato perseguibile a querela con le formule ampiamente liberatorie il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato ed alla rifusione delle spese e al risarcimento del danno a favore dell’imputato assolto.

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