La secessione ed il principio di autodeterminazione dei popoli

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La Carta delle Nazioni Unite approvata a San Francisco nel 1945 ha determinato un’incisiva modifica nella vita di relazione dei componenti della comunità internazionale. È più che mai evidente come prima della Carta Onu, le controversie tra gli Stati conoscevano quale unico mezzo di soluzione la guerra, mentre a seguito del 1945, la minaccia o l’impiego della forza sono divenute condotte vietate dall’art. 2.4[1]. Si pensi al fatto che nel periodo di vigenza della Società delle Nazioni il controllo dei propri cittadini era considerato dominio esclusivo degli Stati mentre, dopo il Trattato delle NU gli Stati stessi incontrano limitazioni sempre più stringenti in questo settore. Queste breve considerazioni preliminari si rivelano dunque funzionali ad esprimere un concetto fondamentale: la comunità internazionale ed il suo quadro ordinamentale sono sostanzialmente mutate proprio a seguito dell’entrata in vigore del Trattato istitutivo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Indice:

  1. Lo Stato: la definizione dei classici
  2. La secessione
  3. Il principio di autodeterminazione dei popoli
  4. Conclusioni

1. Lo Stato: la definizione dei classici

Lo Stato, secondo la definizione offerta dalla dottrina più autorevole, è un ente dotato di personalità giuridica che si contraddistingue per la sua indipendenza verso l’esterno nonché per la presenza di un Governo effettivo che controlli in modo stabile la popolazione stanziata in un dato territorio. Come qualche autore non ha mancato di rilevare, infatti, lo Stato come soggetto dell’ordinamento internazionale tende a coincidere con l’organizzazione politica della comunità territoriale, ovvero, con l’apparato di governo[2]. Secondo Thomas Hobbes “Lo Stato rappresenta l’istanza unitaria e sovrana di neutralizzazione dei conflitti sociali e religiosi attraverso l’esercizio di una summa potestas, espressa attraverso la forma astratta e universale della legge che si legittima in base al mandato di autorizzazione degli individui, in cui si realizza il meccanismo della rappresentanza politica; i cittadini si trovano infatti in quella fase pre-politica che è definita come stato di natura e il sovrano svolge un ruolo rappresentativo unificando in sé la moltitudine dispersa[3]. La definizione di Stato che qui si vuole condividere è quella tuttavia offerta da Arangio Ruiz il quale ammetteva che gli Stati come enti complessi e apparentemente assimilabili alle persone giuridiche di diritto civile, in realtà per il diritto internazionale altro non rappresentano ciò che le persone fisiche sono per il diritto interno: persone costituenti la base sociale della comunità internazionale, così come gli individui sono base sociale delle comunità nazionali.

2. La secessione

La secessione è un fenomeno che consiste nella separazione di uno Stato da un altro per formare una nuova entità o per aggregarsi ad uno Stato già esistente. Posta questa definizione, di particolare interesse può rivelarsi il concetto di secessione rimedio ponendo attenzione all’accertamento dell’esistenza (o meno) di un diritto alla c.d. remedial secession.

Bisogna prima di tutto, come sottolineato da alcuni autori, operare una netta distinzione tra secessione e diritto alla secessione, poiché ricorre la secessione quando una parte di uno Stato decide di separarsi da un altro per divenire uno Stato indipendente o per aggregarsi ad uno Stato già esistente: sotto questo profilo è ovvio che la secessione è una questione di fatto e non di diritto[4]. Parlare di diritto alla secessione evoca un problema su cui la dottrina si è abbondantemente pronunciata, ovvero il controverso rapporto intercorrente tra autodeterminazione ed integrità territoriale. Taluni autori sul punto non hanno mancato di far rilevare come nel corso dell’ultimo secolo questo genere di conflitti abbia visto prevalere il diritto degli Stati a vedere rispettata la propria integrità territoriale con il conseguente obbligo da parte degli altri Stati di rispettare l’inviolabilità dei confini. Riconoscere l’esistenza di un diritto alla secessione, secondo alcuni, sarebbe possibile allorquando sussistano una serie di esigenze di carattere umanitario e, quindi, la protezione dei diritti di un gruppo di identità faccia premio sulla garanzia del confine.

Quindi di diritto alla secessione sembra possa parlarsi ogni qual volta una situazione preesistente si ponga come minaccia alla pace ed alla stabilità internazionale[5]. Non mancano comunque coloro i quali manifestano forti dubbi circa l’esistenza di un diritto alla secessione, i quali sostengono a tal riguardo che sebbene la secessione nasca come diritto riconosciuto a gruppi di identità infrastatuali in caso di violazioni delle norme di autodeterminazione interna o gross violations of human rights, essa finisca con il “veicolare un’idea di purezza etnica come base della statualità del XXI secolo. Idea che, a tacer d’altro, è in contrasto con tutti gli sforzi compiuti dalla comunità internazionale a partire almeno dalla fine della Prima Guerra mondiale per indurre gli Stati a dare vita a ordinamenti in grado di garantire la convivenza tra identità collettive plurali[6]. Dal 1945 in poi la comunità internazionale si è mostrata particolarmente riluttante nell’ammettere la secessione unilaterale di una parte di uno Stato indipendente se alla secessione si opponeva il Governo di quello Stato e, infatti, si è soliti ribadire come nessuno Stato dal 1945 sorto da una secessione unilaterale è stato ammesso nelle Nazioni Unite contro la dichiarata volontà del Governo dello Stato predecessore[7].

3. Il principio di autodeterminazione dei popoli

La dottrina è ormai concorde nel definire l’autodeterminazione come un principio di espressione della libertà di scelta del regime politico, economico e sociale ma, soprattutto, “la libertà di accedere all’indipendenza come Stato separato oppure di distaccarsi da uno Stato per aggregarsi ad un altro[8]. Con ogni probabilità le prime enunciazioni di detto principio possono essere ascritte alla rivoluzione americana e francese: con riferimento alla prima se ne trova una definizione nella Dichiarazione di Indipendenza del 1776 mentre per quanto riguarda la rivoluzione francese, sembra che riferimenti possano essere rinvenuti nella Dèclaration du droit des gens sottoposta dall’Abbè Gregoire alla Convenzione il 23 aprile 1795 (ma non approvata da questa).

Tuttavia la definizione più completa pare sia contenuta nell’Atto finale di Helsinki del 1975. Infatti, nell’ottavo dei dieci principi cui gli Stati firmatari manifestarono l’impegno all’osservanza, si legge che “Gli Stati partecipanti rispettano l’eguaglianza dei diritti dei popoli e il loro diritto all’autodeterminazione, operando in ogni momento in conformità ai fini e ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite e alle norme pertinenti del diritto internazionale, comprese quelle relative all’integrità territoriale degli Stati. In virtù del principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale. Gli Stati partecipanti riaffermano l’importanza universale del rispetto e dell’esercizio effettivo da parte dei popoli dei diritti eguali e dell’autodeterminazione per lo sviluppo di relazioni amichevoli fra loro come fra tutti gli Stati; essi ricordano anche l’importanza dell’eliminazione di qualsiasi forma di violazione di questo principio[9]. Non si dimentichi come l’autodeterminazione costituisca uno degli strumenti per lo sviluppo delle relazioni amichevoli fra gli Stati, come esplicitamente enunciato nell’art. 1, par. 2 della Carta delle Nazioni Unite .

Ovviamente, destinatari dell’obbligo di rispetto dell’autodeterminazione sono i singoli Stati membri delle Nazioni Unite, che sono parimenti titolari del medesimo diritto. La Corte Internazionale di Giustizia ha ammesso come il principio di autodeterminazione dei popoli abbia natura consuetudinaria, applicando lo stesso solo a situazioni di dominazione coloniale, apartheid, occupazione straniera. Assume ora rilievo capire la portata del principio di autodeterminazione dei popoli tentando di comprendere in quali casi lo stesso possa applicarsi. Il principio di autodeterminazione dei popoli deve infatti essere contemperato con le esigenze di tutela dell’integrità territoriale, al punto tale che si è pervenuti ad ammettere che qualora uno Stato si sia reso autore di una serie di gravi e massicce violazioni dei diritti dell’uomo in danno di un gruppo d’identità infrastatuale, che solitamente si accompagnano alla negazione di ogni diritto di autodeterminazione interna, le esigenze di autodeterminazione prevalgono su quelle di confine[10].

Quindi, a meno che non si incorra in una delle circostanze appena indicate, è del tutto evidente che le pretese di autodeterminazione con impulsi secessionisti cedano innanzi al diritto di ogni Stato a veder rispettata la propria integrità territoriale nonché i propri confini. Di conseguenza dovranno ritenersi illegittime rivendicazioni secessioniste laddove le medesime non siano sorrette dalla presenza di gross violations in materia di diritti dell’uomo nei confronti di un gruppo di identità infrastatuale, cui debbono aggiungersi limitazioni al diritto all’autodeterminazione interna, consistenti nella negazione di ogni forma di partecipazione politica ed al c.d. decision making process. È infatti ferma la convinzione che nel contrasto tra i principi appena richiamati (ovvero autodeterminazione ed integrità territoriale) non si potrà prescindere dall’ammissione dell’esistenza di un obbligo gravante su tutti gli Stati che è quello di rispettare il diritto primario degli individui che li compongono a partecipare paritariamente alle scelte politiche, economiche e sociali che riguardano la collettività nel suo complesso. Con specifico riferimento al rapporto intercorrente tra sovranità e diritto all’autodeterminazione-secessione appare doveroso citare il caso delle Aaland Islands (1921). La seconda Commission of Rappourters affermò in detta sede che “The separation of a minority from the State of which it forms part and its icorporation into another State may only be considered as an altogether exceptional solution, a last resort when the State lacks either the will or the power to enact and apply just and effective guarantees[11].

4. Conclusioni

Il principio di autodeterminazione, da sempre, è stato ritenuto dalla dottrina come una forma di espressione della libertà di scelta del regime politico, economico e sociale, ma non può disconoscersi come il medesimo vada contemperato con le esigenze di tutela dell’integrità territoriale dello Stato. Un valido titolo ad autodeterminarsi può ritenersi sussistente nelle sole ipotesi in cui un gruppo di identità infrastatuale non abbia accesso a forme di rappresentanza o venga mantenuto escluso dal decision making process all’interno dello Stato di appartenenza. Inoltre si può legittimamente invocare l’autodeterminazione in presenza di gravi violazioni dei diritti dell’uomo. Riguardo l’esistenza di un diritto alla remedial secession si può sostenere come i dubbi maturati dalla dottrina al riguardo siano più che fondati: è la stessa prassi ad aver manifestato come la tutela dell’integrità territoriale sia interesse preminente nella comunità internazionale rimanendo le ipotesi di autodeterminazione circoscritte a pochissimi casi (anche se non necessariamente riferibili al periodo coloniale).

 


[1] L’art. 2.4 della Carta Onu così dispone: “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.

[2] E. Cannizzaro, Diritto Internazionale, Seconda Edizione, Giappichelli, Torino, 2014, p. 265.

[3] La definizione di Stato offerta da Thomas Hobbes e citata nel testo è tratta dal  Leviatano (1651).

[4] Watson, “When in the course of human events: Kosovo’s independence and the law of secession”, p. 274. V. anche I. Vezbergaite, “Remedial Secession as an exercise of the right of self-determination of peoples”, p. 29, contributo reperibile presso il sito www.etd.ceu.hu/2012/vezbergaite_ieva.pdf

[5]  A. Tancredi, La secessione nel diritto … Op. Cit. 6, p. 10.

[6] A. Tancredi, Crisi in Crimea, referendum … Op. Cit. 5, p. 481.

[7] J. Crawford, The Creation of States in International Law, 2. ed., Oxford: Clarendon press, 2006, p. 390.

[8]  G. Arangio Ruiz, Autodeterminazione (Diritto dei popoli alla), in Enc. Giur., p. 1.

[9]  G. Arangio Ruiz, Autodeterminazione (Diritto dei popoli… Op. Cit. 4, p. 2. La versione integrale del testo dell’Atto finale di Helsinki è reperibile presso http://www.osce.org/it/mc/39504?download=true.

[10] A. Tancredi, La secessione nel diritto internazionale, Padova, CEDAM, 2001, p. 8.

[11] M. G. Kohen, Secession: International law perspectives, Cambridge : Cambridge University Press, 2006, p. 178.

Paolanti Daniele

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