La riforma dell’azione di classe e l’eliminazione dei limiti soggettivi e oggettivi

Redazione 04/07/19
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di Giacomo Pailli e Duccio Romei [1]

Sommario

1. Introduzione

2. Limiti soggettivi ed oggettivi dell’azione di classe nell’art. 140-bis del Codice del consumo

3. Limiti soggettivi ed oggettivi dell’azione di classe nel nuovo titolo VIII-bis del libro quarto del codice di procedura civile

4. Brevi riflessioni

5. Bibliografia

1. Introduzione

L’azione di classe, com’è noto, è un istituto processuale che consente di gestire contenziosi soggettivamente complessi e dalla natura seriale, aggregando attorno ad un unico attore tutti coloro che si considerano danneggiati in modo simile da un medesimo convenuto.[2]

In Italia l’istituto è stato introdotto per la prima volta nel 2009 con l’art. 140-bis del codice del consumo (D.lgs. 206/2005) con l’obiettivo di fornire tutela risarcitoria a consumatori ed utenti in alcune ipotesi tassativamente previste dalla legge.[3]

Dopo circa dieci anni di funzionamento, che ne hanno mostrato anche alcuni importanti limiti,[4] l’azione di classe è destinata a subire profonde modifiche per effetto della legge 12 aprile 2019, n. 31. Con la dichiarata finalità di potenziare il ricorso a tale strumento di tutela, la legge di riforma ha previsto il trasferimento della disciplina dal codice del consumo al codice di procedura civile in un nuovo titolo VIII-bis del libro quarto. Alla razionalizzazione a livello sistematico, corrisponde anche l’eliminazione di una parte dei limiti soggettivi ed oggettivi che caratterizzano l’azione prevista dall’art. 140-bis cod. cons.

Come è ormai prassi, l’art. 7, 2º comma, l. 31/2019, prevede la possibilità di utilizzare la nuova azione di classe solo per “condotte illecite” poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge (19 aprile 2020), mentre per quelle precedenti continua a trovare applicazione la vigente disciplina dell’art. 140-bis cod. cons. (che verrà poi abrogato).

Le pagine che seguono si propongono il fine di offrire alcune riflessioni sull’ampiamento dell’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione dell’istituto previsto dalla riforma. Per un corretto inquadramento, converrà anteporre una breve ricostruzione della disciplina come vigente nell’art. 140-bis cod. cons.

[1] Pur trattandosi di un contributo collegiale, le sez. 1 e 3 sono attribuibili a Duccio Romei e le sez. 2 e 4 a Giacomo Pailli.

[2] Sul tema in generale v., nell’ampia letteratura disponibile, AA. VV. – “Class action: il nuovo volto della tutela collettiva in Italia”, Giuffré, Milano, 2010; L. Mezzasoma e F. Rizzo (cur.) – “L’art. 140 bis del codice del consumo. L’azione di classe”, ESI Napoli, 2011; Consolo C. e Zuffi B. – “L’azione di classe ex art 140 bis cod. cons. Lineamenti processuali”, Cedam, Padova, 2012; V. Vigoriti e G. Conte (cur.) – “Dalla tutela collettiva in senso proprio alla tutela cumulativa: l’azione di classe a protezione dei diritti dei consumatori e degli utenti”, Giappichelli, Torino, 2010; R. Donzelli – “L’azione di classe a tutela dei consumatori”, Jovene, Napoli, 2011; A. Giussani – “Studi sulle class actions”, CEDAM, Padova, 1996; Id., “Azioni collettive risarcitorie nel processo civile”, il Mulino, Bologna, 2008; A. Palmieri – “La tutela collettiva dei consumatori. Profili soggettivi”, Torino, Giappichelli, 2011.; N. Trocker, “Class actions negli USA – e in Europa?“, Contratto e impresa/Europa, 2009, p. 178.
Coglie bene lo spirito dell’azione prevista dall’art. 140 cod. cons. la Corte d’appello di Milano, ord. 3 maggio 2011, FI, 2011, I, 3435: «Con l’azione di classe – che si aggiunge alle azioni individuali che già spettano ai singoli consumatori od utenti – il legislatore ha inteso raggiungere tre obiettivi: consentire l’accesso alla giustizia ai consumatori e quindi la riparazione dei danni provocati da illeciti di massa, colpire gli illeciti e quindi costituire un deterrente, realizzare l’economia processuale garantita dalla gestione in un solo giudizio di una molteplicità di pretese individuali omogenee o seriali.»

[3] La prima versione dell’art. 140-bis c. cons. era stata introdotta con l. 24.12. 2007, n. 244, art. 2, 446º co., sotto la rubrica di “azione collettiva risarcitoria”. Si trattava di un’azione che, senza alterare l’equilibrio del Codice del consumo, conferiva alle associazioni dei consumatori, e non anche ai singoli consumatori, la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno subìto dai consumatori stessi nei confronti di un’impresa danneggiante, in perfetto parallelo rispetto allo schema già previsto dall’art. 140 c. cons. per l’azione inibitoria.
L’azione collettiva risarcitoria nella versione del 2007 non è mai entrata in vigore. Durante la vacatio legis, infatti, il testo dell’art. 140-bis è stato oggetto di una modifica radicale ad opera della l. 23 luglio 2009, n. 99, art. 49, la quale ha trasformato l’azione collettiva nell’odierna “azione di classe”. Il profondo intervento operato nel 2009 non ha semplicemente rinnovato la rubrica dell’articolo, ma ha rivoluzionato l’istituto in parola conferendo la legittimazione ad agire al consumatore individuale e costituendo un’azione del tutto “nuova” nel panorama processualistico italiano. Il testo dell’art. 140-bis è stato da ultimo modificato con d.l. 24.01.2012, n. 1, art. 6, convertito con mod. l. 24.03.2012, n. 27, il quale ha accolto alcune delle osservazioni avanzate dalla dottrina e dalla prima giurisprudenza di merito.

[4] Sia permesso di far riferimento allo scritto di C. Poncibò, Pailli G. – “Legal Culture and Judicial Collective Redress: the Italian Experience”, ZZPInt, 21 (2016), pp. 31-55.

2. Limiti soggettivi ed oggettivi dell’azione di classe nell’art. 140-bis del Codice del consumo

La collocazione dell’art. 140-bis nel codice del consumo, nonché la stessa lettera della disposizione, ben chiariscono che l’istituto introdotto nel 2009 è stato pensato per la tutela dei diritti individuali omogenei dei soli “consumatori e degli utenti”. La nozione di “consumatore” è un topos ormai saldamente acquisito nel diritto europeo ed interno e fa riferimento alla persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.[5] La nozione di “utente”, invece, richiama coloro che si servono di un servizio pubblico, risultando ininfluente la motivazione di tale ricorso.[6]

L’art. 140-bis conferisce la legittimazione a proporre l’azione di classe oltre che “a ciascun componente della classe” anche ad “associazioni cui [il componente] dà mandato o comitati cui partecipa“: ciò ha generato vari interrogativi in dottrina, ove ci si è chiesti, in particolare, se tale ipotesi di legittimazione attiva potesse costituire un’eccezione all’art. 77 c.p.c., il quale prevede che la rappresentanza processuale non possa essere disgiunta da quella sostanziale.[7] La questione è stata risolta dalla giurisprudenza di merito, la quale ha sancito la non necessaria coincidenza della rappresentanza processuale con la rappresentanza sostanziale ai fini dell’ammissibilità dell’azione di classe.[8]

A differenza della legge n. 31/2019, per l’esercizio dell’azione ex art. 140-bis da parte associazioni e comitati non erano richiesti particolari requisiti in ordine alla natura o composizione dell’ente, né era richiesta l’iscrizione nell’elenco ministeriale di cui all’art. 137 cod. cons.

In merito al legittimato passivo dell’azione di classe, l’art. 140-bis si discosta dalla tipica figura del “professionista”, facendo un ambiguo riferimento a tre nozioni diverse: “impresa” (art. 140-bis, co. 2, lett. “a”; co. 4 e co. 14), “produttore” (art. 140-bis, co. 2, lett. “b”) e “gestore dei servizi pubblici o di pubblica utilità” (art. 140-bis, co. 12).

Per quanto riguarda, in particolare, il concetto di “impresa” di cui all’art. 140-bis co. 2 lett. “a” (e anche “c”) cod. cons., in giurisprudenza è stato precisato che il riferimento non deve essere ancorato esclusivamente alla figura dell’imprenditore di cui all’art. 2082 c.c. bensì ampliato alla nozione di “professionista” di matrice europea: “lo svolgimento di un’attività con criteri di economicità nell’ambito della quale è da includere, da un lato, l’attività connessa alle professioni intellettuali, tradizionalmente esclusa dal novero delle attività di impresa, e, dall’altro, l’attività svolta dai soggetti pubblici (…)”.[9]

Più controverso risulta, invece, il concetto di “produttore”. Benché l’art. 3 co. 1 lett. “d” cod. cons. fornisca una nozione generale di “produttore”,[10] alcune decisioni hanno sostenuto come, ai fini della definizione dell’ambito applicativo di cui all’art. 140-bis co. 2 lett. “b”, il riferimento debba intendersi all’art. 115 cod. cons. che prevede una nozione dettata con specifico riferimento alla responsabilità per danno da prodotti difettosi.[11]

Dal punto di vista dell’ambito oggettivo, si è già detto, l’art. 140-bis cod. cons. è stato pensato ab origine come uno strumento processuale per la protezione solo di alcuni diritti soggettivi selezionati. Oltre al criterio di “omogeneità” dei diritti,[12] sul quale non intendiamo soffermarci nel presente scritto, il comma secondo tipizza le posizioni soggettive che possono essere tutelate attraverso l’azione di classe consumeristica: (a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile; (b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; (c) i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. In termini sintetici, mentre la prima ipotesi – lett. (a) – è da ricondurre alle fattispecie lesive di natura contrattuale ed è ispirata ad un principio di atipicità,[13] le altre due – lett. (b) e (c) – tipizzano alcune condotte che si collocano entro l’ambito extracontrattuale.

[5] Cfr. art. 3(a) del codice consumo che riproduce la definizione contenuta nei vari regolamenti e direttive europei che popolano l’area della tutela del consumatore. In ambito europeo (e dunque anche interno) vi è ormai una marcata tendenza ad estendere tale qualificazione, ed il connesso regime protettivo, anche alle micro-imprese, v. G. De Cristofaro – “Pratiche commerciali scorrette e “microimprese”, in Le Nuove leggi civili commentate, 2014, 1, pp. 3ss. A livello giurisprudenziale si segnalano, tra le tante, da un lato Trib. Torino, 4 giugno 2010, che ha riconosciuto la qualifica di consumatore al professionista che, in qualità di titolare di conto corrente, aveva eseguito operazioni solo marginalmente connesse alla sua professione; e dall’altro Trib. Firenze, ord. 10 marzo 2014 e App. Firenze, ord. 15 luglio 2014, che hanno, invece, negato tale qualifica al piccolo azionista di un istituto di credito. Secondo Trib. Milano, ord. 20 dicembre 2010, NGCC, 2011, 502: «Al fine di qualificare la posizione soggettiva di consumatore, protetta dall’art. 140 bis cod. cons., non basta il dato obiettivo del puro e semplice «acquisto», ma occorre verificare che la finalità, concretamente perseguita attraverso tale acquisto, sia estranea all’attività professionale dell’acquirente».

[6] Cfr. Trib. Torino, ord. 31 ottobre 2011, http://databasearc.osservatorioantitrust.eu.

[7] Cfr. App. Torino (23 settembre 2011, FI, 2011, 12, I, 3422). La stessa Corte ha risolto un’altra questione di natura processuale, sancendo che, stante la normale assenza di rappresentanza sostanziale, l’associazione “mandataria” può stare in giudizio anche contestualmente ai consumatori “mandanti”. V. anche Donzelli, cit, p. 58.

[8] App. Torino, 23 settembre 2011.

[9] Trib. Roma, ord. 27 aprile 2012, www.sviluppoeconomico.gov.it.

[10] Trib. Milano, ord. 20 dicembre 2010, GI, 2011, 1860; FI, 2011, I, 617; Resp. Civ. Prev., 2011, 1096; GM, 2011, 1789; NGCC, 2011, 502; GDir, 2011, n. 21, 17.

[11] App. Firenze, ord. 27 dicembre 2011. Vedere anche Febbrajo T. – “Art. 140 bis e danno da prodotto“, in L. Mezzasoma e F. Rizzo (cur.) – “L’art. 140 bis del codice del consumo. L’azione di classe“, 2011, ESI Napoli, 69-90, p. 84.

[12] L’art. 140-bis, co. 1, precisa che l’azione di classe può avere ad oggetto esclusivamente “diritti individuali omogenei […] nonché gli interessi collettivi”, concetto che attiene all’esistenza di nuclei comuni di accertamento in fatto e in diritto delle situazioni soggettive che formano l’oggetto dell’azione, ovverosia quei diritti la cui violazione sia il risultato di un unico evento che abbia prodotto danni di natura seriale (Pagni I. – “La nuova disciplina dell’azione di classe e della inibitoria collettiva”, camera.it, settembre 2018, p. 2).

[13] Ciò non ha impedito alla Corte di Appello di Firenze nel 2012, di escludere l’ammissibilità di un’azione di classe in materia di Tariffa di Igiene Ambientale (TIA) proposta ex art. 140-bis co. 2 lett. “a”, in quanto la relazione tra gli utenti ed il concessionario fiorentino non dipendeva da una scelta negoziale operata tra le parti, ma era imposta dalla legge. App. Firenze, 27 dicembre 2012.

3. Limiti soggettivi ed oggettivi dell’azione di classe nel nuovo titolo VIII-bis del libro quarto del codice di procedura civile

Così come precisato nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge per la riforma dell’azione di classe alla Camera dei Deputati, quest’ultima «interviene […] con la finalità di potenziare lo strumento allargandone il campo di applicazione sia dal punto di vista soggettivo […] sia dal punto di vista oggettivo». Coerentemente vengono meno alcuni dei limiti soggettivi (attivi) ed oggettivi, in favore di una formulazione ampia che fa dell’azione di classe un istituto di applicazione generale, benché sottoposto alla verifica del requisito della omogeneità delle posizioni soggettive dedotte (ossia ciò che negli USA va sotto l’etichetta di commonality): «I diritti individuali omogenei sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, secondo le disposizioni del presente titolo» (art. 840-bis, c.p.c.).

Dunque, l’azione di classe non è più dedicata ai soli “consumatori ed utenti”, ma ad ogni classe di soggetti che vanti pretese omogenee nei confronti di uno stesso convenuto (e, forse, anche di più convenuti in concerto tra loro). La mente qui va subito, ad esempio, al noto cartello dei produttori europei di camion che, in base a quanto stabilito dalla Commissione UE, hanno violato le regole sulla concorrenza negli anni 1997-2011.[14] Un tale illecito anti-concorrenziale non è azionabile con il procedimento ex art. 140-bis cod. cons.: benché rientri a pieno diritto nella lettera (c) dell’art. 140-bis cod. cons., vi fa difetto il requisito del “consumatore” giacché danneggiati dal cartello sono state quasi esclusivamente imprese commerciali. La nuova norma permette, invece, di ricomprendere nell’attività di enforcement spiegata attraverso l’azione di classe anche questo tipo di fattispecie, salvo il criterio ratione temporis che limita il nuovo procedimento alle condotte successive all’entrata in vigore della legge. È quindi evidente la portata assai espansiva dell’art. 840-bis c.p.c. in tal senso.

In realtà non cadono tutti i limiti, poiché le nuove norme pongono ancora dei requisiti, alcuni dei quali di nuova introduzione. Il più rilevante riguarda gli enti esponenziali che, in aggiunta a «ciascun componente della classe», sono legittimati a farsi parte attiva dell’azione di classe. Laddove l’art. 140-bis cod. cons. faceva riferimento generico a «associazioni cui [il consumatore] dà mandato o comitati cui partecipa», la legge di riforma adotta un modello differente. Scompare ogni riferimento al “mandato” conferito dai componenti della classe a favore dell’associazione/comitato, che quindi è libera di selezionare i casi che intende proporre, ma viene ristretta la legittimazione solo ad enti qualificati. L’art. 840-bis co. 2, c.p.c. infatti, consente di intraprendere l’azione solo a «un’organizzazione o un’associazione» che rispetti tre requisiti: (1) non abbia scopo di lucro, (2) includa la tutela dei diritti dei componenti della classe fra gli obiettivi del proprio statuto, e (3) sia iscritta nell’elenco pubblico istituito presso il Ministero della Giustizia ai sensi dell’art. 196-ter disp. att. c.p.c. (disposizione introdotta dalla nuova legge), cosa che presuppone la verifica governativa delle finalità programmatiche, dell’adeguatezza a rappresentare e tutelare i diritti azionati, della stabilità e continuità nonché delle fonti di finanziamento dell’organizzazione/associazione.

Come giustamente rilevato, poi, permane il quesito già affrontato nella vigenza dell’art. 140-bis cod. cons. per stabilire se le organizzazioni/associazioni agiscano in virtù di una legittimazione ordinaria, oppure sostitutiva ex art. 81 c.p.c., o se ancora sia in presenza di un fenomeno di rappresentanza ex art. 77 c.p.c.; questioni che rilevano al fine di stabilire quali siano i poteri processuali concretamente spendibili da parte degli enti rappresentativi.[15] L’ampliamento soggettivo, peraltro, riguarda solo il lato attivo dell’azione di classe, giacché legittimati passivi possono essere solo “imprese” ed “enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità”.[16] Scompare il riferimento al “produttore”, che prima era giustificato in ragione della limitazione oggettiva nel campo extra-contrattuale alle azioni di responsabilità per prodotto difettoso (art. 140-bis, 2º co., lett. b) che però sarà agevolmente ricompreso nella più ampia definizione di impresa.

Dal punto di vista dell’ambito di applicazione ratione materiae, il nuovo procedimento ex art. 840-bis c.p.c. può essere utilizzato «per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni», formula che apparentemente conferisce atipicità all’azione di classe codicistica. In realtà la scelta lessicale adottata dai redattori lascia dubbi interpretativi, facendo un riferimento espresso – che manca in altri istituti processuali previsti dal codice di rito – al contenuto della domanda che deve prevedere, da un lato «l’accertamento della responsabilità» della impresa o dell’ente gestore di pubblico servizio «relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività»; dall’altro chiedere la «condanna al risarcimento del danno e alle restituzione», restando apparentemente fuori dallo schema dell’azione ogni altro contenuto della domanda quali, per citarne due, l’adempimento contrattuale o la tutela inibitoria. Crediamo che tali punti non mancheranno di impegnare dottrina e giurisprudenza, nella scelta ermeneutica se dare un’interpretazione rigorosa di tale limitazione, o conferire alla disciplina una portata espansiva in linea con quello che appare essere lo scopo in generale della l. 31/2019.

Sempre dal punto di vista oggettivo, scompare nel nuovo schema il riferimento agli “interessi collettivi” contenuto nell’art. 140-bis cod. cons., cosa che porta a domandarsi che tipo di diritto individuale omogeneo possa essere fatto valere in giudizio qualora promotrice dell’azione sia un’organizzazione/associazione: poiché l’azione di classe non appare (più) volta alla tutela di interessi collettivi, ogni persona giuridica promotrice sarebbe obbligata ad individuare – già nell’atto introduttivo – il soggetto titolare del diritto soggettivo individuale omogeneo a tutela del quale è promossa l’azione, a pena di inammissibilità della domanda.[17]

[14] V. http://europa.eu/rapid/press-release_IP-16-2582_en.htm e http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-3502_it.htm

[15] Pagni, cit, p. 2.

[16] A differenza della Rule 23 delle Federal Rule of Civil Procedure, secondo le quali l’azione di classe può essere tale anche dal lato passivo: «One or more members of a class may sue or be sued as representative parties on behalf of all members». Ovviamente, nella maggioranza dei casi la classe riguarda il lato attivo.

[17] Consolo C., Stella M. – “La nuova azione di classe, non più solo consumeristica, in una proposta di legge da non lasciar cadere”, in Riv. dir. banc, dirittobancario.it, 59, 2018, p. 3.

4. Brevi riflessioni

Sebbene l’art. 24 della Costituzione italiana enunci come principio generale il diritto di ogni individuo di agire in giudizio a tutela dei propri diritti, appare ormai chiara la consapevolezza, a livello interno ed europeo, che il semplice accesso individuale al giudice naturale e precostituito per legge (art. 25, 1º co., Cost.) non è sufficiente a garantire la tutela di ogni diritto a fronte di qualsiasi lesione. Come afferma Michele Taruffo: «Non pare dubbio che in una società che è da tempo «di massa» sotto molti aspetti, la disponibilità di una tutela collettiva efficace sia una condizione essenziale per la attuazione effettiva della garanzia dell’accesso alla protezione giurisdizionale dei diritti enunciata nel comma 1° dell’art. 24 cost.».[18] In tale affermazione risuona quanto affermava Mauro Cappelletti già negli anni ‘70, ossia la necessità, prodotta dalle trasformazioni sociali e dalla massificazione e serializzazione dei rapporti, di concepire il diritto d’azione (e il c.d. due process) non più in chiave esclusivamente individuale, ma – talvolta – necessariamente collettiva.[19] Il profilo pratico e non dogmatico che una tale impostazione pare privilegiare è in qualche modo confortato dalla centralità che il principio di effettività ed il diritto ad un rimedio giurisdizionale effettivo hanno acquisito nel diritto europeo e nell’opera della Corte di Strasburgo.[20]

Scegliendo opportunamente di non appiattirsi sull’omologo nordamericano, un modello che del resto non ha mai sedotto le assemblee legislative europee, il nostro Legislatore continua ad esplorare i confini del diritto processuale per elaborare una via italiana alla tutela collettiva.

I dieci anni appena trascorsi hanno certamente tradito le aspettative di chi vedeva nell’art 140-bis cod. cons. l’inizio di una rivoluzione, pur con la p>[21] e dieselgate[22]. La rigida interpretazione data da alcuni tribunali, solo in parte attenuata dalla sensibilità al nuovo istituto mostrata dai giudici d’appello, e la difficoltà di raccogliere adesioni alla classe, assieme ai costi elevati, non ultimo quelli legati alla pubblicità, nonché i limiti intrinseci del dettato normativo, avevano finito per rendere l’azione di classe un procedimento dal sapore esotico ma con un impatto certamente marginale nel panorama giudiziario italiano, mancando l’obiettivo di fornire una tutela collettiva ed efficace ai consumatori.

Era, dunque, senz’altro opportuno che il Legislatore intervenisse sul testo normativo per dare nuova linfa ad un istituto che può assumere importanza centrale nell’assetto della società e nell’attuazione del diritto sia in chiave di compensazione del danno che di deterrenza e c.d. private enforcement.[23]

Tra le numerose ed interessanti modifiche che la l. 31/2019 introduce, ci pare che l’ampliamento dei confini soggettivi ed oggettivi previsto dall’art. 840-bis c.p.c. conferisca sempre più all’istituto in parola il carattere di una vera e propria nuova forma atipica di tutela, ossia un procedimento per gestire contenziosi seriali e soggettivamente complessi. Si tratta di una novità che va salutata con approvazione. La tecnica legislativa non è sempre ineccepibile e residuano margini di incertezza applicativa, ma tra le luci e le ombre della nuova disciplina preferiamo dar risalto alle prime, con il consueto auspicio che giudici e avvocati, chiamati ad essere i veri protagonisti del nuovo strumento, sappiano ben interpretare lo spirito e la ratio stessa dell’istituto, in sforzi di collaborazione tanto più necessari quanto arduo, ma fondamentale, è il cammino verso un’efficace e matura azione di classe.

[18] Taruffo M. – “La tutela collettiva nell’ordinamento italiano: lineamenti generali”, 2011, RTDPC 103-123, p. 106.

[19] M. Cappelletti – “Vindicating the Public Interest Through the Courts: A Comparativist’s Contribution”, 25 Buff. L. Rev. 643 (1975-76), p. 684, il quale avvertiva anche che “this is not to say that individual rights no longer have a vital place in our societies; rather, it is to suggest that these rights are practically meaningless in today’s setting unless accompanied by the social rights necessary to make them effective and really accessible to all”, Id. a p. 646.

[20] Sul tema v. amplius N. Trocker, “La formazione del diritto processuale europeo”, Giappichelli, Torino, 2011.

[21] V. App. Torino, 17.11.2015, Altroconsumo v. FCA (2016) I Foro it., 1017; Trib. Venezia, 12.01.2016, Vighenzi v. Volkswagen, entrambe con più di diecimila adesioni.

[22] V. https://www.altroconsumo.it/auto-e-moto/automobili/news/altroconusmo-contro-volkswagen ove l’associazione promotrice riferisce di aver raccolto ben 76.000 adesioni all’azione di classe contro Volkswagen nell’ambito del diesel-gate.

[23] S. Burbank – S. Farhang – H. Kritzer, “Private enforcement of statutory and administrative law in the United States”, Int’l Lis, 2011, 3-4, 153 ss ; and H. Buxbaum, “The Private Attorney General in a Global Age: Public Interest in Private International Antitrust Litigation”, Y. L. J. XXVI, 2001, p. 219

5. Bibliografia

AA. VV. – “Class action: il nuovo volto della tutela collettiva in Italia”, 2010, Giuffré, Milano;

Burbank S. – S. Farhang – H. Kritzer, “Private enforcement of statutory and administrative law in the United States”, Int’l Lis, 2011, 3-4, 153 ss

Buxbaum H., “The Private Attorney General in a Global Age: Public Interest in Private International Antitrust Litigation”, Y. L. J. XXVI, 2001, p. 219

Cappelletti M. – “Vindicating the Public Interest Through the Courts: A Comparativist’s Contribution”, 25 Buff. L. Rev. 643 (1975-76);

Consolo C., Zuffi B. – “L’azione di classe ex art 140 bis cod. cons. Lineamenti processuali”, 2012, Cedam, Padova;

Consolo C., Stella M. – “La nuova azione di classe, non più solo consumeristica, in una proposta di legge da non lasciar cadere”, 2018, in Riv. dir. banc, dirittobancario.it, 59;

De Cristofaro G. – “Pratiche commerciali scorrette e “microimprese”, 2014, in Le Nuove leggi civili commentate, 1, pp. 3ss.

Donzelli R. – “L’azione di classe a tutela dei consumatori”, 2011, Jovene, Napoli;

Febbrajo T. – “Art. 140 bis e danno da prodotto”, in L. Mezzasoma e F. Rizzo (cur.), “L’art. 140 bis del codice del consumo. L’azione di classe”, 2011, ESI Napoli, 69-90;

Giussani A. – “Studi sulle class actions”, 1996, CEDAM, Padova; “Azioni collettive risarcitorie nel processo civile”, 2008, il Mulino, Bologna;

Mezzasoma L., Rizzo F. (cur.) – “L’art. 140 bis del codice del consumo. L’azione di classe”, 2011, ESI Napoli;

Pagni I. – “La nuova disciplina dell’azione di classe e della inibitoria collettiva”, camera.it, settembre 2018;

Palmieri A. – “La tutela collettiva dei consumatori. Profili soggettivi”, 2011, Giappichelli, Torino;

Poncibò C., Pailli G. – “Legal Culture and Judicial Collective Redress: the Italian Experience”, 2016, ZZPInt, 21, pp. 31-55;

Taruffo M. – “La tutela collettiva nell’ordinamento italiano: lineamenti generali”, 2011, RTDPC 103-123;

Trocker N. – “Class actions negli USA – e in Europa?“, Contratto e impresa/Europa, 2009, p. 178; “La formazione del diritto processuale europeo”, Giappichelli, Torino, 2011

Vigoriti V., Conte G. – “Dalla tutela collettiva in senso proprio alla tutela cumulativa: l’azione di classe a protezione dei diritti dei consumatori e degli utenti”, 2010, Giappichelli, Torino, 27-116;

ALTRI DOCUMENTI: Dossier del Servizio Studi sull’A.S. n. 844 e n. 583 – “Disposizioni in materia di azione di classe”, novembre 2018, n. 80; Camera dei Deputati – Proposta di legge: “Disposizioni in materia di azione di classe”, n. 791-A.

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