La riforma della Giustizia minorile e la Direttiva U.E. sul giusto processo minorile

Vito Murgolo 16/05/17
Scarica PDF Stampa

Per uno strano disegno del destino lo scorso anno, a distanza di pochi giorni, sono stati approvati due atti legislativi – uno in campo europeo e l’altro in campo nazionale – che sembrano essere l’uno in controtendenza dell’altro.

Il 9 marzo il Parlamento europeo, in seduta plenaria, ha approvato la direttiva 2016/800/UE sulle garanzie procedurali per i minori penalmente indagati o imputati che detta in ambito comunitario in maniera rivoluzionaria una disciplina specifica dei procedimenti penali nei confronti dei minori.

L’11 marzo la Camera dei Deputati in Italia ha approvato la legge delega A.C. 2953-A sulla riforma del processo civile, che prevede, tra l’altro, la soppressione dei tribunali per i minorenni[1] e delle procure minorili[2].

Il primo provvedimento legislativo si inserisce in un contesto volto a definire un ristretto, ma organico, catalogo di diritti dei minori indagati o imputati in procedimenti penali attraverso un corpo strutturato di norme elementari “minime”, tra loro reciprocamente connesse e calibrate sulle specifiche esigenze dei minori lungo tutto il corso del procedimento.

Il successivo 11 giugno, a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, la direttiva è entrata in vigore, dopo l’adozione del testo definitivo da parte del Consiglio dei ministri dell’U.E.

Gli Stati membri, ad eccezione di Danimarca, Irlanda e Regno Unito (prima dell’uscita sancita il 23 giugno scorso dall’esito del referendum sulla cosiddetta “Brexit”), che hanno già espresso il loro dissenso alla normativa e, quindi, non sono vincolati alla sua applicazione, a partire da tale data, avranno tre anni di tempo per recepire le disposizioni nella legislazione nazionale.

Una stima fatta dalla Commissione europea è giunta alla conclusione che ogni anno sono oltre un milione i minori sottoposti a procedimenti penali nell’U.E., vale a dire il 12% delle persone coinvolte in procedimenti penali nello stesso territorio.

Oltre alla rilevanza del dato numerico, questa indagine ha posto l’attenzione sulle forti differenze esistenti tra gli Stati membri nel trattamento dei minori sottoposti a procedimento penale.

Le ricerche effettuate a livello europeo mostrano che, allo stato attuale, i diritti dei minori nelle varie fasi del procedimento non sono sufficientemente garantiti all’interno dell’Unione e, per questa ragione, tanti sono i casi di condanna degli Stati da parte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Oggi solo in sei Stati membri vi sono organi delle pubblica accusa specializzati per i minori come Belgio, Repubblica Ceca, Grecia, Lussemburgo, Repubblica Slovacca e – non si sa ancora per quanto – Italia; in nove non vi sono neanche Corti specializzate; solo in dodici è prevista una formazione specifica obbligatoria per i giudici e gli avvocati che operano a contatto con i minori; in alcuni non è garantita l’assistenza dell’avvocato; in altri essa è possibile solo in tribunale davanti all’Autorità giudiziaria e non, ad esempio, in caso di interrogatorio delle forze di polizia; in altri ancora ogni decisione è rimessa al giudice competente.

Ne discende che, ora come ora, ad un numero consistente di minori nell’U.E. non è riconosciuto il diritto basilare ad essere assistiti da un legale.

Anzi, nonostante la presenza di una copiosa produzione di principi internazionali, non esiste nemmeno una definizione condivisa che individui gli elementi fondamentali di un “giusto processo minorile”.

Ragion per cui anche le Corti di giustizia chiamate a pronunciarsi in materia si muovono in un quadro parziale e frammentario.

Ponendo le basi del giusto processo minorile, la direttiva rappresenta una vera e propria svolta epocale nella legislazione europea e un importantissimo risultato, sia da un punto di vista formale che pratico con riferimento ad una sostanziale salvaguardia dei diritti del minore.

La direttiva si applica ai minori di anni diciotto che siano indagati o imputati in un procedimento penale fino alla decisione definitiva. È precisato che gli Stati membri dotati di strumenti normativi di tutela più elevati hanno, comunque, la facoltà di non applicarla con riferimento alla commissione di reati cosiddetti “minori”, a patto che non comportino privazione della libertà personale.

Il provvedimento normativo ha il pregio di intervenire, per la prima volta in ambito europeo, su molteplici aspetti del procedimento penale minorile che spaziano dalla previsione di particolari misure di garanzia per il minore alla formazione specifica dei soggetti coinvolti.

L’art. 4 sancisce il diritto del minore a ricevere una informazione adeguata e completa in maniera tale di poter partecipare con consapevolezza al procedimento a suo carico. L’art. 5 aggiunge che le stesse informazioni spettano al titolare della responsabilità genitoriale o, in alternativa, da “altro adulto idoneo” nominato dal minore in maniera tale da assicurargli nel corso di tutto il procedimento una figura adulta di riferimento.

L’art. 6 prevede il diritto di avvalersi dell’assistenza di un difensore, di comunicare con lo stesso, di riservatezza della comunicazione e di assistenza durante gli interrogatori e ogni qualvolta il minore partecipi al procedimento. Al fine di rendere effettiva l’assistenza  legale – ai sensi del successivo art. 18 – gli Stati membri sono tenuti a garantire il patrocinio a spese dello Stato. Questo principio, però, prevede anche alcune deroghe che intervengono quando la gravità del reato, la complessità del caso ovvero le misure che potrebbero essere adottate siano tali da giustificarne la sua inapplicabilità.

L’art. 7 rappresenta, forse, l’elemento di maggiore novità della direttiva. Esso sancisce il diritto ad una valutazione individuale del minore allo scopo di accertare ogni utile elemento nell’ottica del suo superiore interesse. Infatti in molti Stati membri emerge la preoccupante tendenza a trattare i rei minori alla stregua di adulti.

Il best interest of the child comincia ad essere tra i primi aspetti da considerare in tutti i casi in cui sono coinvolti, anche – e soprattutto – quando vìolano la legge. Pertanto, la valutazione della loro situazione deve essere svolta con accuratezza con metodi multidisciplinari in una situazione paritaria e in equilibrio con gli interessi delle altre parti coinvolte, come altri minori, genitori, vittime e così via. Finalmente il principio del “superiore interesse” del minore rompe gli argini delle cause del diritto di famiglia per collocarsi a pieno titolo nell’ambito del diritto minorile penale.

L’art. 9 contempla l’obbligo, durante l’interrogatorio del minore, di procedere alla sua registrazione audio-video. Solo quando ciò non risulti possibile, le modalità dell’interrogatorio dovranno comunque essere certificate mediante ogni altro strumento idoneo, come ad esempio la redazione di un processo verbale scritto.

Gli artt. 10 e 11 danno disposizioni su come deve essere tutelatala libertà personale del minore nel corso del procedimento. Ogni decisione sulla privazione della libertà personale deve fondarsi sul presupposto che sia una misura di ultima istanza e che sia esclusa la possibilità di applicare una qualsiasi altra misura alternativa alla detenzione. L’art. 12 fissa i criteri della detenzione separata dagli adulti, del godimento del diritto all’istruzione e alla formazione e dell’esercizio del diritto a conservare una vita familiare in prospettiva di un futuro reinserimento sociale del minore.

Poi, la direttiva prende in esame una serie di disposizioni riguardanti le particolari garanzie previste per il minore durante lo svolgimento del procedimento. L’art. 13 obbliga gli Stati membri ad adottare ogni misura idonea per assicurare una trattazione del procedimento urgente, diligente e dignitosa per il minore. L’art. 14 sottolinea il diritto alla protezione della vita personale del minore, con particolare riferimento alla necessità di dover introdurre norme che disciplinino un corretto rapporto con i media. L’art. 20 affronta il tema che tutte le figure professionali coinvolte ricevano una formazione specifica che permetta loro di utilizzare le tecniche di approccio al minore più adeguate. Il testo prevede che le Autorità di Polizia e il personale delle strutture di detenzione siano sottoposte ad una preparazione adeguata al tipo di rapporto che hanno con il minore, le Autorità giudiziarie abbiano una competenza e formazione specifica, i difensori promuovano una offerta giuridica peculiare, gli operatori degli enti, che mettono a disposizione attività di sostegno dei minori o sono incaricati all’attuazione di provvedimenti di giustizia riparativa nei loro confronti, ricevano una formazione continua in materia di psicologia minorile e sulla conoscenza del linguaggio più appropriato per confrontarsi con il minore.

Emerge con chiarezza la presa di posizione in materia minorile e familiare del legislatore europeo verso la costituzione di uffici qualificati, con competenze esclusive, in linea con il sistema delle fonti internazionali, come ad esempio la Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia che l’Italia ha ratificato con Legge n. 176 del 27 maggio 1991.

Da noi, al contrario è avvenuto che, in prospettiva di una ampia riforma del processo civile che potesse assicurare una maggiore specializzazione e semplificazione dell’offerta di giustizia, è stato approvato – a sorpresa – l’emendamento al Disegno di Legge delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile, con il quale è stato fissato di “sopprimere il tribunale per i minorenni e l’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, introducendo le conseguenti necessarie abrogazioni e modifiche delle disposizioni vigenti.

Nessuno nutre dubbi sull’utilità, in un più generale quadro di razionalizzazione dei nostri uffici giudiziari, di accorpare le competenze e di ampliare la specializzazione dei magistrati, così da realizzare una struttura unica per le controversie in materia di persona, famiglia e minori, attualmente distribuite tra il Tribunale ordinario, il Tribunale per i minorenni ed il Giudice tutelare.

Ed infatti l’originaria stesura del Disegno di Legge delega al Governo non prendeva in considerazione alcun intento di soppressione del Tribunale per i minorenni né tantomeno dell’ufficio del Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minorenni.

Invece, è stato – quasi inspiegabilmente – abbandonato il progetto iniziale del Governo di istituire due uffici, il primo giudicante e l’altro requirente, specializzati ed autonomi, che accorpassero tutte le competenze in materia di persona, famiglia e minorenni, sebbene tale proposta, già avanzata in entrambi i rami del Parlamento, fosse stata condivisa da un’ampia parte dell’avvocatura di settore e da tutto il variegato sistema associazionistico civile nazionale che si dedica alla protezione dell’infanzia.

  Molti addetti ai lavori denunciano come – ad esempio – sia altamente improbabile che l’efficienza e l’efficacia della giustizia minorile traggano giovamento dalla soppressione – dopo cent’anni di funzionamento – della esistente Procura per i minori e dal trasferimento delle sue competenze a “gruppi specializzati” di magistrati presso le Procura ordinaria.

Per di più, prova del lodevole andamento del processo minorile italiano sta nel fatto che è stato spesso adottato da quello degli adulti, mutuando istituti come la mediazione, la messa alla prova e l’irrilevanza del fatto ed inserendoli nel procedimento ordinario.

 L’istituzione del Tribunale per i minorenni ha saputo dare, nel tempo, una accurata risposta all’esigenza di individuare un organo specializzato, a tutela della particolarità dell’utenza, del carattere evolutivo e, quindi, non definitivo del momento adolescenziale.

Un diritto minorile vigile è il prodotto di una società evoluta e sensibile.

In Austria, lo Jugendgerichtshof, che ha smesso di funzionare nel 2003, era un tribunale specializzato per i minorenni molto simile a quello italiano. Dopo una serie di stupri e di suicidi tra i giovani autori di reati in carcere, si è aperto un vivace dibattito sulla impellente necessità di reintrodurre i tribunale per i minorenni aboliti e il governo austriaco sta rivedendo il proprio sistema di detenzione minorile.  

Ed anche con riferimento ai “tempi della giustizia” gli uffici minorili sono sempre stati in grado di offrire una tempestiva risposta di tutela in situazioni dove un minimo ritardo potrebbe arrecare danni, a volte irreparabili.

Invece, la riforma prevede che il Tribunale per i minorenni di nuova istituzione sarà inserito, come sezione specializzata, presso i Tribunali ordinari senza tuttavia un’autonomia di funzione che consenta ai magistrati in organico di occuparsi solamente della materia minorile. Si teme che, venga svilito e mortificato il lavoro di tanti magistrati che si sono spesi perché i bambini fossero considerati centrali nei procedimenti che li riguardano e che siano proprio i bambini i primi a subirne le conseguenze.

In ultima analisi, per quanto i costi del recepimento della direttiva sono, naturalmente, a carico degli Stati membri che dovranno adeguarsi alla normativa, così come affermato nel documento di valutazione d’impatto che accompagnava la proposta di direttiva alla Commissione, i vantaggi che dall’adozione ne conseguirebbero in termini di “costi sociali” sono indubbi.

Il coinvolgimento consapevole del minore nel procedimento penale che lo riguarda, con la costante assistenza dei familiari e del difensore e la presenza di figure professionali specifiche, pone i presupposti affinché la pena venga percepita come “giusta”, favorendo il processo di riabilitazione e recupero del reo.

Si pensi – a riguardo – che recenti rilevazioni statistiche sul sistema penitenziario italiano, hanno fatto emergere con nitidezza il fattore apprezzabile che ogni centomila minorenni solo 19 sono in carcere e, viceversa, ogni centomila adulti ben 128 sono in carcere.

Tutto ciò spinge veramente a conclusioni al limite del paradosso, visto che proprio il modello italiano della Giustizia minorile ha fortemente influenzato il varo del testo definitivo della direttiva.

È lecito pensare ciò anche perché – verosimilmente – non è stato certo un puro caso che relatrice della proposta di direttiva è stata l’eurodeputata Caterina Chinnici[3]  ed è comprensibile la sua soddisfazione quando ha dichiarato che “Il processo penale per i minori è una svolta storica nella legislazione dell’Unione europea e un atto di maturità che introduce per la prima volta nella storia dell’Ue una disciplina specifica per i procedimenti penali nei confronti di minori”. Aggiungendo che: “Nel risultato raggiunto si riflette in buona parte l’esperienza del sistema italiano. Esso è frutto di un ampio dibattito al quale hanno contribuito con sensibilità e idee sia gli attori istituzionali che le parti sociali. È un risultato di cui possiamo essere orgogliosi”.

Lo stesso Ministro della Giustizia ha preso atto che grazie all’attuale sistema processuale penale italiano della giustizia minorile “l’Italia è il Paese con il più basso tasso di delinquenza giovanile rispetto agli altri Paesi europei e agli Stati Uniti.” – ammettendo che – “la maggior parte delle garanzie procedurali minime già previste nel nostro sistema processuale minorile… …sono contemplate anche nel modello europeo di giusto processo minorile siglato nel dicembre 2015 dai rappresentanti della commissione Europea, del consiglio dell’UE e dell’Europarlamento, a riprova della bontà del nostro sistema minorile.[4]

E allora, se il sistema italiano della giustizia minorile funziona, sorge spontaneo chiedersi: Perché modificare regole, metodi e impianti che non sono, in sé e per sé, causa di disfunzioni?

 

 


[1] Tema trattato più dettagliatamente su questa rivista dallo stesso Autore nell’articolo pubblicato all’indirizzo: https://www.diritto.it/docs/39235-la-riforma-della-giustizia-minorile-e-la-soppressione-del-tribunale-per-i-minorenni   

[2]Tema trattato più dettagliatamente su questa rivista dallo stesso Autore nell’articolo pubblicato all’indirizzo: https://www.diritto.it/docs/39045-la-riforma-della-giustizia-minorile-e-l-amaro-destino-della-procura-minorile 

[3] Caterina Chinnici, componente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento europeo e figlia di Rocco, giudice vittima della mafia

[4] Citazione tratta dalla Sintesi della Relazione del Ministro sull’amministrazione della giustizia per l’anno 2016 pronunciata in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2017

Vito Murgolo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento