La responsabilità Patrimoniale nel diritto di famiglia

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Considerazioni preliminari sul contratto matrimoniale

L’attuale crisi del matrimonio non è altro che la conseguenza della sua perdita progressiva di valore sociale, circostanza che riduce lo stesso ad un puro contratto con tutti gli obblighi e conseguenti rischi senza riconoscimenti materiali e morali.

L’estendere alle convivenze molti dei diritti matrimoniali relativi alla prole e al mantenimento lasciando comunque ad esse una notevole flessibilità gestionale, fa sì che in una società estremamente magmatica e individualista quale è l’attuale, dove la famiglia non è più un centro di produzione e assistenza, prevalgono nel matrimonio gli aspetti negativi del rischio, aggravati da una continua contrattualizzazione dei rapporti dovuta al venire meno del collante sociale delle consuetudini, frutto dell’attuale notevole mobilità.

Vi è quindi un aspetto morale che rimane solo per il matrimonio canonico, mentre per quello civile prevale il rischio contrattuale e la possibilità del ripetere il piacere della cerimonia, dove teatralmente si è al centro della recita; forse per tale via si arriverà alla temporalizzazione del matrimonio come un qualsiasi altro contratto a termine, essendo un contratto a tempo indefinito eccessivamente gravoso per una società magmatica quale è attualmente la nostra.

Le stesse problematiche si riflettono nel concepimento e crescita dei figli, dove questi perdono la funzione di sostegno economico al nucleo familiare e di trasmissione dei valori etici per diventare elementi prevalentemente di consumo nel sistema produttivo, al fine di alimentare la continua crescita economica.

Questo comporta una crescente pressione finanziaria sui genitori i quali ne vengono coinvolti in una gara di rappresentazione, diventando al contempo elemento di vincolo alla propria libertà che si ritiene assoluta.

Vi è in questo la caduta della fertilità e la riduzione delle nascite, considerando anche il progressivo coinvolgimento lavorativo esterno delle donne e la continua riduzione del sostegno familiare offerto dai nonni nel vecchio schema familiare.

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Responsabilità patrimoniale

Analizzando la responsabilità patrimoniale della comunione si avverte immediatamente che l’autonomia di questa è attenuata rispetto al patrimonio personale dei coniugi.

Infatti la garanzia sui beni acquistati durante il matrimonio non è sottratta ai creditori particolari del singolo coniuge, anche se vi sono vari limiti per fare valere questi diritti dei creditori giustificati dalla prevalenza della destinazione della comunione a finalità di carattere familiare.

Logicamente sarà norma di prudenza per il “creditore personale di uno dei coniugi controllare lo stato familiare del debitore, dal momento che i beni cadono in comunione durante il matrimonio in modo automatico, senza che sia necessaria alcuna forma di pubblicità particolare, e ancora, l’accertamento dell’esistenza di convenzioni patrimoniali annotate sull’atto di matrimonio” (Bessone, Alpa, D’Angelo, Ferrando) (1).

Il creditore personale potrà aggredire, oltre ai beni personali indicati nell’art. 179, anche i beni rientranti nella comunione de residuo, i quali diventano comuni solo se esistono all’atto di scioglimento della comunione, ma è da tenersi presente che questi beni possono divenire comuni anche per mutamento convenzionale del regime patrimoniale o per fallimento di uno dei coniugi.

Questo può permettere una frode a danno dei creditori personali che potrà essere evitata dai medesimi mediante l’esercizio dell’azione revocatoria, là dove è possibile; oppure “bisognerebbe affermare che la costituzione della comunione de residuo […] avviene salvi i diritti dei terzi” (Oppo); o anche “provocare”, nelle forme dell’art. 210, la rinuncia preventiva dell’altro coniuge alla comunione medesima” (Oppo) (2).

Riguardo poi alle garanzie reali costituite prima della comunione de residuo esse rimarranno ferme per l’intero, anche successivamente alla costituzione della comunione stessa.

A parte il caso in cui intervengano nell’atto entrambi i coniugi il singolo coniuge potrà obbligare la comunione solo nei casi previsti nelle lettere a), b), c), dell’art. 186, ma purché, si tratti di un atto di ordinaria amministrazione, quindi attribuito disgiuntivamente a ciascun coniuge.

Tuttavia Oppo precisa che l’art. 186, lett. c), “è riferibile anche alle obbligazioni nascenti da atti di amministrazione straordinaria, proprio per i quali anzi ha significato l’espressa attribuzione della legittimazione al singolo coniuge” (3). Tuttavia è da tenersi presente che l’obbligazione dovrà corrispondere a un interesse della famiglia e non sempre un’obbligazione è assunta nell’interesse della famiglia.

Se queste condizioni, ossia l’obbligazione deriva da un atto di ordinaria amministrazione o, se da atto di straordinaria amministrazione, corrisponda all’interesse della famiglia, non vengono rispettate il coniuge che abbia agito singolarmente “sarà vincolato in proprio e la comunione risponderà sussidiariamente nei limiti del valore della quota ‘del coniuge obbligato’” (Oppo) (4), ai sensi dell’art. 189, comma 1°.

Non sembra esatta la deduzione che Schlesinger trae dalla lett. a) dell’art. 186 per cui “i beni della comunione non rispondono delle obbligazioni assunte da un coniuge da solo per l’acquisto in un bene caduto in comunione” (5), in quanto l’interpretazione è in netto contrasto con la lettera della norma e non rende ragione della distinzione operata dall’art. 180 tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.

Al contrario, sembrerebbe decisamente migliore l’opinione di Schlesinger (6) riguardo alla interpretazione da darsi all’espressione “interesse della famiglia”.

Esso si realizza quando l’obbligazione è contratta nell’interesse della medesima e non quando il debito è semplicemente “vantaggioso per la comunione” (art. 192, comma 2°), essendo l’interpretazione utilizzata qui per soli fini interni di rimborso tra coniugi.

Il maggiore problema interpretativo è quello gravante sulla lett. d) dell’art. 186, esso stabilisce la responsabilità della comunione per “ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi”.

            Ritiene Oppo che “l’obbligazione non cessi, per ciò che grava anche sulla comunione, di essere anzitutto obbligazione di ciascun coniuge, sia pure garantita anche dalla comunione” (Oppo) (7).

Consegue che l’art. 190 non opererebbe più e i creditori potrebbero “agire in via principale e per l’intero tanto sul patrimonio comune quanto sui patrimoni personali di entrambi i coniugi” (Schlesinger) (8).

Contesta una tale impostazione Attardi (9) giacché dovrebbe applicarsi anche all’obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi quanto previsto dall’art. 189, ossia la preferenza per i creditori della comunione di fronte a quelli particolari di un coniuge, anche se per la verità è la stessa ultima parte del comma 2° dell’art. 189 che perderebbe significato.

L’obiezione maggiore è che l’opinione in parola muove da una premessa non dimostrata, “e che la legge in effetti sembra chiaramente non condividere, che, cioè […] solo se vi sia una causa familiare l’obbligazione possa riguardare direttamente la comunione” (Attardi), oltre al fatto non trascurabile che una interpretazione come sopra esposta si pone nettamente in contrasto con la lettera della legge.

Schlesinger si pone il problema se la lett. d) sottintende in nome della comunione, ma osserva che “nessuna condizione risulta dalla lettera della disposizione e nessun limite può quindi porre l’ interprete […] i creditori, quando abbiano contratto con entrambi i coniugi, devono potere fare affidamento sull’intero loro patrimonio” (10).

            Una particolare posizione assumono al riguardo Cian e Villani per i quali dall’obbligazione” sorgerà per i due coniugi un debito, solidale, di natura individuale, sempre secondo le regole del diritto comune: ma questo debito graverà altresì sulla comunione in virtù della lett. d) dell’art. 186” (11).

Tuttavia è da tenersi presente che la posizione degli Autori è la conseguenza della loro particolare impostazione del problema della responsabilità e della conseguente interpretazione dell’art. 186.

La lett. d) dell’art. 186 contiene l’avverbio “congiuntamente” il quale può fare sorgere dubbi nel caso in cui vi sia una obbligazione principale contratta da un solo coniuge ed una obbligazione di garanzia, che potrà essere la fideiussione o l’avallo, assunta dall’altro coniuge a favore del primo.

            Sia Schlesinger che Oppo negano che in questo caso possa parlarsi di obbligazione a carico della comunione e la loro motivazione consiste nel fatto che sostanzialmente si tratta di due obbligazioni distinte, seppure collegate fra loro, assunta ciascuna da un solo coniuge. (12).

Un’ultima osservazione coinvolge la struttura dell’art. 186, questa è costituita da un elenco di casi in cui si hanno obbligazioni a carico della comunione. Potrebbe sorgere il dubbio che il legislatore abbia voluto realizzare una graduatoria per importanza tra le obbligazioni, ma è lo stesso motivo che lo ha introdotto a stendere una tale norma, ossia indicare i casi nei quali l’obbligazione è a carico della comunione, a dissuadere da una tale interpretazione.

Veniamo alla tesi interpretativa sostenuta da Cian e Villani (13), essa affonda le proprie radici sull’identificazione dell’atto di amministrazione con ogni atto compiuto in nome e per conto della comunione, sia esso negozio di assunzioni di obbligazioni o di acquisto di beni e diritti.

Al contrario, sostengono gli Autori, un atto non compiuto in nome e per conto della comunione non può propriamente definirsi atto amministrativo, ancorché relativo alla gestione della comunione stessa.

Ponendo a confronto l’art. 186 con questa definizione di atto di amministrazione, possiamo facilmente notare che nelle categorie previste dalla norma in questione non sono comprese le obbligazioni derivanti da atti di amministrazione.

Tuttavia non vi è dubbio che anche le obbligazioni previste dall’art. 186 gravino sulla comunione, dal che ne deriva la necessità di coordinare queste due categorie di obbligazioni, rispondendo la comunione di obbligazioni per le quali non avrebbe responsabilità secondo le regole del diritto comune.

Gli autori risolvono il problema aggiungendo e non sostituendo una obbligazione all’altra, così che se un coniuge agisce separatamente e in nome proprio in uno dei casi indicati dalla norma in questione sorgerà in primo luogo una responsabilità a suo nome e in secondo luogo una responsabilità a carico della comunione.

            E’ da tenersi presente che la norma coobbliga la comunione, solidalmente e senza beneficio di escussione, con il singolo coniuge che ha contratto l’obbligazione stessa. Consegue che ricadranno sulla comunione anche gli effetti di eventuali inadempimenti, in altri termini dovrà rispondere degli eventuali danni derivanti dall’inadempimento dell’obbligazione.

Connesso strettamente con l’art. 186 è l’art. 189 che disciplina le “obbligazioni contratte separatamente dai coniugi”.

Nel comma 1° si prendono in considerazione le obbligazioni assunte da uno dei coniugi per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, realizzati senza il consenso dell’altro; nel comma 2° vengono considerati tutti gli altri creditori particolari di uno dei coniugi.

In entrambi i casi, anche se indicato nei due commi in forma diversa, l’azione nei confronti dei beni della comunione è ammessa solo in via “sussidiaria”. Inoltre nel comma 2° i creditori della comunione precedono i creditori personali se questi sono chirografari, tuttavia ritiene Schlesinger (14) che tale principio vada esteso anche all’ipotesi contemplata nel comma 1° in questo sostenuto da  Attardi (15).

Una interpretazione siffatta non appare tuttavia sostenibile in quanto il principio è inserito esclusivamente nel comma 2° che, sebbene disciplinato in forma analoga all’ipotesi prevista nel comma 1°, prevede un’ipotesi sostanzialmente diversa dalla precedente, infatti in questa seconda ipotesi l’obbligazione è stata contratta ed è nata esclusivamente come atto personale e prevalentemente per soddisfare fini personali.

Al contrario nella prima ipotesi, anche se l’obbligazione risulterà essere personale, l’atto è stato realizzato come atto amministrativo straordinario della comunione e quindi, almeno formalmente, per soddisfare interessi della comunione, sebbene la mancanza di consenso del partner farà ricadere l’obbligazione sulle spalle del coniuge che l’ha contratta.

Perciò è senz’altro sostenibile l’affermazione di Oppo (16) che nega l’ammissibilità della estensione del principio menzionato.

Per la sussidiarietà prevista nei due commi occorre considerare quale disciplina prevalga, è noto che al creditore può essere addossato l’onere della preventiva escussione infruttuosa del patrimonio tenuto in via principale (art. 2304), oppure avrà la facoltà di agire immediatamente su qualsiasi bene, a meno che gli vengano indicati dei beni “sui quali possa agevolmente soddisfarsi” (art. 2268).

Sia Schlesinger (17) che i Finocchiaro (18) ritengono di non dovere gravare il creditore, di ulteriori oneri oltre quelli a lui già spettanti indicati nell’introduzione del paragrafo.

Ne consegue che il creditore , come indicato nella seconda ipotesi, potrà agire su qualsiasi bene, spettando eventualmente al coniuge indicare il bene su cui soddisfarsi. Salvo che il coniuge durante l’esecuzione possa dimostrare che il debitore era a conoscenza dell’esistenza di beni personali adatti allo scopo, ma lo abbia deliberatamente ignorato.

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Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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