La responsabilita’ della ditta incaricata dal comune della manutenzione delle strade in caso di incidente stradale mortale.

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Il tema concernente i doveri riconducibili e riconnessi con l’assunzione di una posizione di garanzia, nonché l’individuazione delle fonti e delle componenti essenziali che permettono di ascrivere tale condizione ad uno o più soggetti, in relazione ad un evento illecito e dannoso (l’omicidio colposo), viene affrontato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 6267 dello scorso 8 febbraio.
Nella fattispecie, come il lettore avrà agevole occasione di desumere dalla lettura della premessa in fatto del provvedimento del giudice di legittimità, si verteva in ambito di reato colposo omissivo improprio o, per meglio dire, di reato commissivo mediante omissione[1].
La condotta omessa, eziologicamente rilevante rispetto all’evento-morte verificatosi, [ed attribuita all’imputato-ricorrente], infatti, consiste nell’inadempimento di questi (nella qualità di imprenditore privato) rispetto ad un obbligo assunto contrattualmente con il comune di Roma; tale comportamento, quindi, rientra nella categoria delle omissioni.
Appare, pertanto, fondamentale notare, preliminarmente a qualsiasi altra valutazione, che essenziale è l’individuazione del tipo di rapporto che venga ad intercorrere fra omissione ipotizzata (e posta a carico al soggetto inquisito) ed evento accertato.
E’ indubbio che l’evento naturalistico rilevante è quello considerato hic et nunc (nella fattispecie la morte del motociclista a seguito di caduta determinata da una buca stradale).
Da tale precisazione si può, ovviamente, ricavare il principio generale secondo il quale il nesso causale sussiste allorchè l’intervento doveroso omesso (tale in forza della posizione di garanzia del singolo, che vedremo infra) avrebbe evitato la verificazione dell’evento che effettivamente e sostanzialmente è accaduto.
A completamento di questa impostazione, si deve ricordare anche l’osservazione che l’omissione di un comportamento dovuto, possa assumere valenza anche in quei casi in cui l’(omesso) agire avrebbe limitato l’intensità delle conseguenze lesive, riducendole sensibilmente, od avrebbe posticipato in maniera temporalmente significativa l’evento occorso (Cfr. Sez. VI 11 luglio 2002 n. 953, in Cass. Pen. 2003, 3383).
Ergo, primi caposaldi ermeneutici che si ricavano dalle considerazioni che precedono sono quelli della verificazione e prova della reale sussistenza, nella fattispecie :
1.    di un concreto rapporto fra l’omissione (diretta od indiretta) e l’evento che si è verificato, si che si possa affermare che quest’ultimo è naturalisticamente e direttamente consequenziale alla prima;
2.    dell’inesistenza ed assenza di elementi che risultino efficacemente interruttivi la sequela finalistica, la quale culmina nell’evento dannoso ed illecito.
Si tratta di ulteriori fatti o condotte che si pongano – ai sensi dell’art. 41 c.p. – quali cause efficienti di per sé sole idonee a provocare l’evento in parola, escludendo, quindi, in piena e totale indipendenza ed autonomia, quella che avrebbe potuto essere la fonte originale dello stesso.
Giunti a questo punto, però, è necessario pervenire all’individuazione della persona fisica (od anche giuridica) alla quale si debba ascrivere l’obbligo giuridico di impedire l’evento – a mente del co. 2° dell’art. 40 c.p. –.
Tale ricerca può apparire, talvolta, piuttosto agevole ed elementare, in quanto spesso è facile individuare con precisione il contenuto reale dell’obbligo che non è stato adempiuto e che è condotta prodromica al fatto (si pensi, per tutti, all’esempio del casellante che non abbassi le sbarre del passaggio a livello prima del passaggio del treno e permetta, così, l’attraversamento della strada ferrata ad un’autovettura che venga investita dal convoglio).
Consequenzialmente, in simile lineare ipotesi, è altrettanto semplice individuare il soggetto destinatario di quel dovere giuridico omesso, che ha portato alla causazione dell’evento.
Talora, invece, tale scrutinio non appare, ictu oculi, semplice, perché possono emergere, all’apparenza, plurime forme di responsabilità, derivanti da un sovrapporsi di molteplici competenze delegate, in relazione ad un preciso compito, oppure da una pluralità di interventi sinergici che, all’apparenza, possono sembrare incidenti sulla sequela casuale.
In relazione a situazioni di questo tipo, che, quindi, possono non permettere, illico et immediate, il riconoscimento del soggetto al quale vada ascritta la genetica ed eziologica responsabilità nella causazione dell’evento dannoso, la giurisprudenza ha elaborato il concetto di “posizione di garanzia”.
La genesi di questo indirizzo esplicativo deriva dalla necessità di colmare una lacuna che pare affliggere l’art. 40 co. 2° c.p. .
Mentre, infatti, il testo del 1° co. di detto articolo sancisce il principio generale di imputazione “causale”, che è direttamente applicabile a tutte le fattispecie, sia a forma libera, che a forma vincolata, il capoverso disciplina, in particolare, le figure costruite in maniera generica (non a caso viene utilizzato il verbo “cagionare”) le quali – si afferma – reputano non decisive le esatte modalità di realizzazione del fatto.
In dottrina (*******, *******************, **************, 12a ed., Padova, 1986, 319) si è affermato che l’art. 40/2° c.p. si informi ad una formula di Von Liszt , in base alla quale si suggerirebbe di riconoscere come "giuridici" i soli doveri derivanti dalle fonti di produzione formalmente riconosciute dall’ordinamento.
Una simile rilevante circoscrizione dello spettro applicativo della norma ha, dunque, legittimato necessariamente la spinta ad elaborare una soluzione soddisfacente che si è tradotta nella dottrina delle posizioni di garanzia.
Nel diritto tedesco essa trova un preciso fondamento testuale, mentre nel sistema italiano detto concetto viene desunto mediante un’operazione ermeneutica, posta a mezza via fra l’interpretazione estensiva e l’applicazione analogica della locuzione "obbligo giuridico".
Tale elaborazione, dunque, si pone quale espressione di collegamento “dell’imputazione dell’evento all’effettività della garanzia prestata in ragione di situazioni di convivenza, di pregressa creazione di rischio, di obbligazioni derivanti da negozi giuridici viziati o la cui efficacia sia cronologicamente esaurita, di volontaria presa in carico della tutela di beni giuridici, sotto il duplice profilo della protezione immediata e del controllo delle fonti di rischio[2] (Cfr. ********).
Non a caso sul piano giurisprudenziale si è affermato che “Nei reati colposi omissivi impropri l’accertamento della colpa non può prescindere dalla individuazione della posizione di garanzia, cioè della norma che impone al soggetto, cui si imputa la colpa, di tenere quel comportamento positivo la cui omissione ha determinato il verificarsi dell’evento” [Cfr. Cass. pen. Sez. IV, 27-02-2004, n. 24030 (rv. 228360), CED Cassazione, 2004, Riv. Pen., 2005, 373].
Venendo alla fattispecie in parola, si deve notare, infatti, che operazione interpretativa prioritaria è stata quella di circoscrivere ed evidenziare quale fosse (se vi fosse) l’obbligo giuridico, da porre a monte dell’incidente stradale mortale verificatosi, apparentemente senza interventi diretti di terzi nei confronti della vittima.
Or bene, procedendo in questa corretta ermeneusi, i giudici, sia di merito che di legittimità, – anche alla luce della ricostruzione in fatto del tragico sinistro, che ha dimostrato come esso fosse avvenuto a causa di alcune buche profonde ed insidiose, che avevano fatto perdeva il controllo del motorino alla parte offesa, la quale rovinava a terra, riportando lesioni gravissime a causa delle quali decedeva poco dopo il sinistro – hanno focalizzato esattamente l’obbligo in questione.
Sul piano generale, tale dovere si sostanzia nell’impedire che sulla sede stradale si creino insidie che possano compromettere la regolare circolazione stradale e si verifichino situazioni di pericolo o danno per gli utenti.
Responsabile di tale obbligo è certamente l’ente territoriale proprietario della strada, nel caso concreto il Comune di Roma.
Vi è, però, da rilevare che il comune, nella conclamata impossibilità di assolvere direttamente a simile impegno, che impone anche una funzione di costante controllo preventivo, aveva contrattualmente delegato a singole aziende il compito sia controllo che di manutenzione, ripartendolo per settori e zone geografiche.
E’ emerso, dunque, un onere ulteriore e munito del carattere di specificità, posto a carico di altro soggetto, di natura privata, legato alla P.A. da un vincolo negoziale obbligatorio, nella forma dell’appalto, che, dunque, esonerava il committente da responsabilità.
Esso si sostanzia, pertanto, nel dovere “di iniziare immediatamente il servizio di sorveglianza ed il conseguente pronto intervento su tutte le superfici stradali, che fossero oggetto di specifico appalto di manutenzione”, ed era ascritto, come detto, a carico del soggetto titolare del contratto delle opere di manutenzione del manto stradale nel tratto di via Salaria interessato dal sinistro, in ragione dei compiti assunti contrattualmente con il Comune di Roma.
Ergo – come già detto – si può affermare, alla luce di quanto precede, che l’individuazione concreta del vincolo materiale permette, a propria volta, di pervenire (come infatti si è pervenuti) all’individuazione del soggetto che ne è titolare.
Questi assume, così, rispetto agli utenti della strada (cioè a tutti coloro che della stessa usufruiscono per i loro spostamenti, sia con mezzi di locomozione personali o di terzi, sia a piedi) una posizione di garanzia penalmente rilevante, tale da poter fondare la responsabilità ex articolo 40, comma 2 c.p..
Il soggetto, dunque, assume l’obbligo giuridico di impedire l’evento.
La giurisprudenza ha affermato che “la fonte di tale obbligo (vuoi di protezione, quale, ad esempio, quello del genitore nei confronti del figlio minore; vuoi di controllo, quale, ad esempio, quello posto a carico dei proprietari di cose o animali pericolosi) deve essere una norma di legge extrapenale o un contratto, sicché in mancanza di una fonte legale o contrattuale non sussiste alcuna posizione di garanzia ai sensi dell’articolo 40, comma 2 (Cfr. Cass. pen. Sez. III, 22-09-2004, n. 40618, ***** e altri, Guida al Diritto, 2004, 44, 61).
E’ stato, inoltre precisato che in armonia e rispetto al “principio di legalità-tassatività”, la fonte (sia legale, che contrattuale) dell’obbligo di garanzia debba risultare sufficientemente determinata.
Questa espressione sta a significare che devono essere imposti obblighi “specifici” di tutela del bene protetto ed esulano, perciò, dall’ambito operativo della responsabilità per causalità omissiva ex capoverso articolo 40, del c.p. gli obblighi di legge indeterminati, anche se avessero, addirittura rilevanza costituzionale.
E’, poi, altrettanto importante notare che, in ossequio al “principio della responsabilità penale personale”, la condizione di “garante” rispetto ad un bene da tutelare, suppone in capo al soggetto un effettivo potere giuridico di impedire la lesione del bene, cioè quell’evento (reato) indicato dal capoverso dell’articolo 40 del c.p..
Va, infatti, osservato che il soggetto, al quale si ascriva il dovere giuridico di impedire l’evento, deve necessariamente essere titolare anche del correlativo potere sia giuridico che materiale.
Responsabilizzare, infatti, un soggetto per non avere impedito un evento che si traduca in illecito, anche quando egli fosse, in realtà, sfornito di un potere idoneo ad impedirlo, significherebbe svuotare di significato il principio di cui all’articolo 27, comma 1, della Costituzione.
Va esclusa la colpa omissiva, solo nell’ipotesi caso in cui non si abbia conoscenza del pericolo, ovvero non sia abbia la possibilità concreta, anche con la normale diligenza, di porre in essere i rimedi utili per eliminare la fonte del pericolo (Cfr. Cass. pen. Sez. IV, 29-11-2005, n. 14180 , P.A., Giur. It., 2007, 2, 449 nota di **********).
Siamo, quindi, in presenza di un indirizzo giurisprudenziale collaudato e che anche negli ultimi tempi ha avuto importanti conferme.
In proposito va segnalata una recente pronunzia della Sez. IV, del Supremo Collegio [6-07-2006, n. 32298 (rv. 235369), A.M.B., CED Cassazione, 2006, Riv. Pen., 2007, 9, 945], che ha sottolineato che le componenti essenziali della posizione di garanzia sono costituite, da un lato, da una fonte normativa di diritto privato o pubblico, anche non scritta, o da una situazione di fatto per precedente condotta illegittima, che costituisca il dovere di intervento; dall’altro lato, dall’esistenza di un potere giuridico, ma anche di fatto attraverso il corretto uso del quale il soggetto garante sia in grado, attivandosi, di impedire l’evento [conforme Cass. pen. Sez. IV Sent., 13-06-2007, n. 34115 (rv. 237048)].
La teoria della posizione di garanzia, nel tempo, quindi, ha consolidato la propria pregnanza e fondatezza, se è vero che significative manifestazioni e decisioni conformi alla pronuncia, che si commenta, si rinvengono ormai costantemente.
E’, dunque, ormai consolidato ed indiscutibile l’auspicato ed avvenuto superamento di quella riduttiva originaria visione che intendeva circoscrivere l’operatività dell’istituto in parola, solamente a fonti esclusivamente di carattere normativo.
In tale senso, infatti, ebbe a segnalarsi una sentenza del Tribunale di Foggia, del 12-06-2000, ***** e altri, Riv. Pen., 2000, 1044, che ritenne condizione per la sussistenza di un’ipotesi di reato omissivo, il fatto che “è necessario che il soggetto che ha posto in essere la condotta omissiva abbia l’obbligo giuridico di impedire l’evento, in forza di una norma che lo ponga in una posizione di protezione, garanzia e di salvaguardia del bene protetto”.
E prima ancora su lunghezze d’onda di tal fatta si pose la decisione di Cassazione Sez. IV, 18-11-1997, n. 478, Trufini, ******* juris, 1998, 689, che sostenne, un principio discutibile e per nulla condivisibile, in base al quale “In tema di reato omissivo improprio, affinchè il mancato impedimento dell’evento possa considerarsi equivalente alla causazione dell’evento stesso, non basta accertare il nesso di causalità tra la condotta omissiva e l’evento, ma occorre che il soggetto che ha posto in essere quella condotta omissiva abbia l’obbligo giuridico di impedire l’evento, in forza di una norma che lo ponga in una posizione di garanzia, di protezione o di controllo nei confronti del bene protetto. Ne consegue che il sindaco non è responsabile per l’omicidio colposo di un soggetto caduto su una strada cittadina da un muro privo di inferriata, in quanto non è prevista una norma che renda il medesimo garante di tutte le possibili fonti di pericolo per l’incolumità dei cittadini”.
Quello esposto dalla Suprema Corte con la sentenza 8 Febbraio 2008, è, pertanto, un indirizzo che deve trovare condivisione, proprio perché appare estremamente rispettoso ed armonico con il principio della personalità della responsabilità penale.
Esso si distingue e si fa apprezzare perché, nell’ambito di una problematica così complessa, quale è quella del reato commissivo mediante omissione, mira a dotare l’interprete di una strumento processualmente efficace al fine di delineare, nel caso concreto, l’effettivo collegamento fra il reale autore di tale categoria di reato e l’evento.
 
Rimini, lì 16 Marzo 2008
 
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Omicidio colposo – buche stradali – responsabile manutenzione della strada – obbligo di garanzia – sussistenza [art. 40 cpv c.p.]
Risponde di omicidio colposo il titolare della ditta appaltatrice delle opere di manutenzione del manto stradale, se, nel tratto di competenza, la presenza di buche ha determinato un incidente mortale, in quanto tale soggetto non ha adempito agli obblighi connessi alla sua posizione di garanzia. (1)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 15 novembre 2007 – 8 febbraio 2008, n. 6267
(***************** – Relatore *********)
Fatto e diritto
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma confermava la sentenza in primo grado emessa in data 5 novembre 2001 dal Tribunale della stessa città, con la quale, per quanto qui rileva, M. I. era stato ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo in danno di S. E., mentre era stato assolto con la formula per non aver commesso il fatto il capo squadra dell’Acea.
Il grave sinistro stradale aveva coinvolto E. S. nella notte del 20 aprile 1996, quando, percorrendo il tratto di via Salaria corrispondente all’ingresso di Villa Ada, alla guida di un ciclomotore, a causa della presenza di tre "buche" corrispondenti a chiusini non livellati, aveva perso il controllo del veicolo ed era caduta all’indietro, battendo la testa contro il piano stradale.
L’odierno ricorrente era stato chiamato a risponderne in qualità di titolare della ditta omonima, società appaltatrice delle opere di manutenzione del manto stradale per la zona comprendente il tratto di via Salaria interessato dal sinistro.
A carico del M. erano stati ravvisati profili di colpa generica, sub specie dell’imprudenza, imperizia e negligenza, in particolare perché, in violazione dell’obbligo di garanzia assunto nella qualità sopra indicata, ometteva di approntare adeguata sorveglianza ed idonea segnalazione di emergenza laddove si erano prodotte nella zona in questione una serie di cedimenti del tratto stradale, tali da determinare vere e proprie buche di profondità pari a 5-7 centimetri, così cagionando la morte della S. che, proprio a causa di tali buche profonde ed insidiose, perdeva il controllo del mezzo, e rovinava a terra, riportando lesioni gravissime a causa delle quali decedeva poco dopo il sinistro.
La Corte di merito, a seguito delta rinnovazione della istruttoria dibattimentale attraverso l’effettuazione di perizia tecnica, confermava la penale responsabilità dell’imputato per il reato di omicidio colposo, evidenziando come sussistenti i profili di colpa contestati, in relazione alla violazione dell’obbligo gravante sul medesimo, nella qualità di titolare della impresa appaltatrice, ai sensi dell’art. 18 del capitolato di appalto, secondo il quale, con la consegna dell’appalto l’impresa era obbligata ad iniziare immediatamente il servizio di sorveglianza ed il conseguente pronto intervento sulla sede stradale.
I giudici di appello evidenziavano altresì che all’epoca dell’incidente il cantiere, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non era più sotto la sorveglianza dell’Acea, che in precedenza aveva effettuato alcuni lavori, ed alla quale rimaneva affidato solo il cantiere relativo alla posa di un cavo, limitato ad un rettangolo intorno ad uno dei tombini, mentre restavano fuori del controllo dell’Acea i due avallamenti esistenti sul primo e sul terzo tombino, che produssero la perdita di equilibrio del ciclomotore.
Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione M. I., tramite difensore, articolando due motivi.
Con il primo, censura l’affermazione di responsabilità, prospettando la violazione di legge ed il difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della posizione di garanzia del M., sul rilievo che la Corte di merito avrebbe erroneamente fatte proprie le apodittiche osservazioni del perito d’ufficio, senza considerare la particolare esimente prevista dall’art. 22 del Capitolato, secondo il quale l’impresa appaltatrice era sollevata da ogni responsabilità conseguente i lavori eseguiti a cura dell’Azienda comunale a partire dal momento di inizio di installazione del cantiere per l’apertura del cavo, fino alla riconsegna all’Amministrazione della relativa pavimentazione, riservandosi il Comune di far eseguire la sorveglianza di tali lavori ad altra impresa.
Richiamando tale norma il difensore sostiene l’assenza di responsabilità del M., avendo i giudici di merito pretermesso di considerare che all’epoca del sinistro l’Acea aveva intrapreso una operazione di apertura cavi e che, pertanto gli obblighi di sorveglianza e controllo dell’area sarebbero tornati a gravare sull’impresa appaltatrice solo dopo tale riconsegna.
Si sostiene, inoltre, che le conclusioni del perito d’ufficio, secondo le quali il sinistro era stato determinato dalla prima buca, erano state contraddette dalle dichiarazioni di un teste secondo il quale, tutte le buche, ma in particolare la seconda, di competenza dell’Acea, avevano contribuito al verificarsi del sinistro.
Con il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione di legge e difetto di motivazione, laddove il giudicante avrebbe omesso di effettuare qualsiasi analisi dell’asserita condotta colposa della vittima, che per ammissione dello stesso perito, procedeva ad una velocità massima per il ciclomotore (40-45 Km H), concentrandosi esclusivamente sulla disconnessione del manto stradale.
Il ricorso è manifestamente infondato, trattandosi, peraltro, prevalentemente di mera reiterazione dei motivi di appello, in ordine ai quali la Corte territoriale ha correttamente motivato le ragioni per le quali non meritavano accoglimento.
Manifestamente infondato sotto tutti i profili prospettati è il primo motivo, con il quale si contesta nel mento il giudizio di responsabilità.
La pronunzia è immune dai vizi dedotti dal difensore ed è in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di obblighi connessi alla posizione di garanzia e di causalità della condotta.
La Corte di merito, infatti, attraverso la disamina degli atti di causa ed il richiamo per relationem alla sentenza di primo grado, ha ampiamente argomentato sulla titolarità della posizione di garanzia in capo al M. e sulla spiegazione causale del sinistro, corrispondendo del resto puntualmente alle doglianze proposte con l’appello.
In particolare, a base dell’affermato giudizio di colpevolezza, i giudici d’appello hanno posto l’omessa manutenzione del tratto stradale in cui si è verificato il sinistro, gravante ai sensi dell’art. 18 del capitolato di appalto sulla Ditta individuale M., che aveva comportato l’omesso ripristino del manto stradale laddove si erano determinati una serie di cedimenti del tratto stradale, già segnalati in epoca precedente all’incidente.
Non è infatti dubitabile, la posizione di garanzia in cui si trovava il M., nella qualità di titolare della ditta appaltatrice delle opere di manutenzione del manto stradale nel tratto di via Salaria interessato dal sinistro, in ragione dei compiti assunti contrattualmente con il Comune di Roma, che gli imponevano di iniziare immediatamente il servizio di sorveglianza ed il conseguente pronto intervento su tutte le superfici stradali, che non fossero oggetto di specifico appalto di manutenzione (art. 18 del capitolato di appalto).
Al riguardo, dovendosi solo precisare, che tra le fonti dell’obbligo di garanzia, tali da potere fondare la responsabilità omissiva ex art. 40, comma 2, c.p., rientrano – oltre che le norme di legge – anche le fonti convenzionali, tra le quali è certamente da ricomprendere un contratto tìpico, come quello di appalto (cfr. in generale Sez. IV, 22 maggio 2007, ********; nonché, Sez. III, 22 settembre 2004, ***** ed altro).
Ciò che rileva ovviamente per l’operatività dell’obbligo di garanzia, quale che sia la fonte a cui il medesimo si riconduce, è che, in ossequio al principio di personalità della responsabilità penale, vi sia stata la concreta assunzione da parte del garante dei poteri-doveri impeditivi non solo giuridici, ma anche fattuali dell’evento dannoso o pericoloso (cfr. la citata sentenza ********), la cui sussistenza nella fattispecie in esame è stato oggetto di specifico e puntuale accertamento, non incrinato dalle deduzioni difensive.
In proposito, la Corte di merito ha anche affrontato la questione, reiterata in questa sede, in merito alla titolarità del dovere di sorveglianza dell’area, da individuarsi, secondo la tesi difensiva, nell’Acea, che aveva intrapreso una operazione di apertura cavi e che, pertanto, ai sensi dell’art. 22 del Capitolato di appalto, sarebbe stata tenuta agli obblighi di sorveglianza e di controllo dell’area.
L’assunto non è condivisibile.
In particolare, come emerge compiutamente dalla sentenza, la perizia disposta in sede di rinnovazione del dibattimento ha accertato che la causa determinante dell’incidente era da identificare nello sfortunato inserimento della ruota anteriore del motociclo all’interno della frattura presente nel primo avallamento (confermata dalla lacerazione del copertone anteriore) che aveva portato alla perdita di equilibrio del ciclomotore, aggravata dalla presenza di un secondo ravvicinato avallamento, che aveva colto impreparata la giovane vittima.
Il dato qui rilevante è che l’accertamento tecnico svolto, condiviso dai giudici di merito, con motivazione coerente e logica, aveva escluso che il tratto stradale in questione fosse ancora sotto la sorveglianza dell’Acea, che in precedenza aveva svolto alcuni lavori ed aveva con chiarezza concluso che i due avallamenti esistenti sul terzo/ quarto tombino- che produssero la perdita di equilibrio del ciclomotore- restavano fuori del controllo dell’Acea.
Alla luce di tali elementi, i giudici di merito hanno condivisibilmente ritenuto la sussistenza del nesso eziologico tra la condotta del M., il quale negligentemente aveva trascurato l’adempimento degli obblighi assunti in sede contrattuale- ed il verificarsi dell’evento mortale. La dettagliata rappresentazione del fatto descritto in conformità alle risultanze dell’accertamento tecnico, ed il compiuto ed insindacabile apprezzamento dello stesso operato dai giudici di merito, consentono di escludere i vizi motivazionali dedotti in ricorso.
In proposito, non è inutile ricordare i rigorosi limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito.
In questa sede, non è possibile una rinnovata valutazione dei fatti e degli elementi di prova. È principio non controverso, infatti, che nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento". Ciò in quanto l’art. 606, comma 1, lettera e), del c.p.p non consente alla Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass., Sezione V, 13 maggio 2003, ****** ed altri). In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, in particolare non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento di riscontro probatorio (Cass., **********, 14 dicembre 2006, ********).
Tenuta presente tale regola e ribadito che la motivazione resa in ordine alla responsabilità dell’imputato è caratterizzata da un ragionamento coerente e logico, devono ritenersi privi di rilievo gli argomenti con i quali il ricorrente ripropone una diversa valutazione dei fatti. Inoltre, è evidente che l’accertamento di eventuali comportamenti colposi di terzi nella determinazione dell’evento non avrebbero escluso la violazione della posizione di garanzia assunta dal M., con la conseguenza che la responsabilità penale di altri non sarebbe valsa ad escludere, alla luce della ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, in questa sede non censurabile, quella del prevenuto.
Analoghe conclusioni valgono con riferimento all’altra questione sollevata dalla difesa con il secondo motivo, con il quale si lamenta la carenza di motivazione, in relazione alla valutazione della asserita condotta colposa della vittima, laddove la Corte di merito avrebbe esclusivamente dato rilievo alla disconnessione del manto stradale, senza prendere in considerazione la velocità del mezzo, non adeguata ai luoghi.
Anche tale motivo è manifestamente infondato limitandosi a riproporre una diversa ricostruzione dei fatti, arrivando a sostenere la colpa esclusiva della giovane motociclista nella determinazione del sinistro.
Sul punto, la Corte di appello, con argomentazione condivisibile, ha ritenuto insussistente il concorso di colpa della vittima, che procedeva a velocità moderata in un tratto stradale in cui non vi era un limite particolare di velocità, riconducendo la causa della caduta in via esclusiva alla “trappola stradale” che si era venuta a creare nel tratto stradale, alla quale il M. violando gli obblighi contrattualmente assunti non aveva posto rimedio.
Il ricorrente, dietro l’apparente schermo del difetto di motivazione, trascurando di considerare i limiti del sindacato di legittimità, vorrebbe che qui si effettuasse una rinnovata ed inammissibile valutazione delle emergenze fattuali della vicenda come ricostruite dal giudice di merito, pur in presenza di una motivazione coerente e logica in ordine alle ritenute modalità di verificazione del sinistro, che, come già sopra evidenziato, non può essere posta in discussione in questa sede.
Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (v. sentenza Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del medesimo al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in favore della Cassa delle ammende, oltre che alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado di giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 (mille) in favore della Cassa delle ammende oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in euro 2500, oltre ***, Cpa e spese generali come per legge.


[1] Per un approfondimento sul tema specifico si consiglia soprattutto ********, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979; ma anche ******, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983; e ********, ******* di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999.
[2] RONCO-************ codice penale ipertestuale, voce art. 40 la causalità nelle figure omissive, UTET, TO, 2005

Zaina Carlo Alberto

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