La responsabilità del proprietario di un animale domestico

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Le recenti pronunce di condanna in ambito civile e penale, hanno condotto l’autore a svolgere una disamina delle responsabilità più comuni in tema di possesso e detenzione di animali d’affezione – nella specie, di cani.

SOMMARIO:

  1. Premessa
  2. Le sanzioni amministrative delle ordinanze comunali
    2.2 L’ingresso dei cani nei luoghi pubblici o aperti al pubblico
    a) L’ingresso dei cani nei parchi e nei giardini pubblici
    b) Il trasporto dei cani in auto e sui mezzi pubblici
    c) L’ingresso dei cani in negozio o al ristorante
    d) L’ingresso dei cani in spiaggia
  3. La responsabilità sotto il profilo civilistico
    a) La responsabilità ex 2052 c.c.
    b) Responsabilità per rumori e odori molesti
    c) Risarcimento da perdita del proprio animale da affezione
  4. La responsabilità sotto il profilo penalistico
    a) La responsabilità per lesioni
    b) La responsabilità per morte o lesioni dell’animale
    c) La responsabilità per stalking
    d) La responsabilità per getto pericoloso di cose
    e) La responsabilità per l’abbandono dell’animale
    f) La responsabilità per maltrattamenti
    g) L’aggressività dell’animale e il divieto di combattimenti
    h) La responsabilità per vendite illegali
  5. Conclusioni

1. Premessa

Essere padroni di un cane è come avere un figlio si dice; ed in effetti, anche dal punto di vista giuridico, possedere un animale domestico comporta una molteplicità di obblighi e doveri, riconducibili al proprietario sulla base di una responsabilità oggettiva paragonabile a quella tra genitore e figlio minorenne, con la particolarità che l’animale da affezione è equiparato ad una res, ed il soggetto risponderà in qualità di titolare del rapporto di custodia e di garanzia.

A seguito dell’emanazione dell’“Ordinanza contingibile e urgente concernente misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina” del Ministero del Lavoro, della salute e delle Politiche sociali adottata il 06 agosto 2008 (GU Serie Generale n.194 del 20-08-2008), chiunque acquista o viene in possesso di un cane deve iscriverlo presso l’Anagrafe Regionale degli Animali d’Affezione entro due mese dalla nascita o entro 30 giorni da quando ne viene a qualsiasi titolo in possesso, recandosi

– all’Ufficio anagrafe canina comunale

– da un medico veterinario accreditato

– dai Servizi Veterinari dell’AUSL

Ogni passaggio di proprietà deve essere registrato nella banca regionale degli animali d’affezione.

Il citato provvedimento recita, infatti, all’art. 1 Il proprietario o il detentore di un cane deve provvedere a far identificare e registrare l’animale, nel secondo mese di vita, mediante l’applicazione del microchip. Il proprietario o il detentore di cani di età superiore ai due mesi è tenuto a identificare e registrare il cane ai fini di anagrafe canina, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente ordinanza” (comma 2); “Il certificato di iscrizione in anagrafe canina deve accompagnare il cane in tutti i trasferimenti di proprietà.” (comma 4, secondo capoverso); “Il proprietario o detentore di cani già identificati ma non ancora registrati è tenuto a provvedere alla registrazione all’anagrafe canina entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente ordinanza” (comma 5).

E, all’articolo seguente “È vietata la vendita di cani di età inferiore ai due mesi, nonché di cani non identificati e registrati in conformità alla presente ordinanza.”; per poi proseguire, all’articolo 4: “I comuni sono tenuti ad identificare e registrare in anagrafe canina, a cura del servizio veterinario pubblico, i cani rinvenuti o catturati sul territorio e quelli ospitati nei rifugi e nelle strutture di ricovero convenzionate; il titolare della struttura dove il cane è ricoverato è il detentore dell’animale. Il sindaco è responsabile delle procedure di cui al comma 1”.

Chi decide di avere presso di sé un animale, deve, quindi, prendersene cura al meglio, assicurandogli l’assistenza sanitaria necessaria e il benessere di cui ha bisogno, a seconda della razza e della predisposizione genetica dell’animale.

2. Le sanzioni amministrative delle ordinanze comunali

Innanzitutto, il principale dovere sarà quello di occuparsi dei suoi bisogni fisiologici, e, dunque, nutrendolo secondo una dieta opportuna ed idonea, e portandolo fuori a passeggio per consentire all’animale di esplicare le proprie esigenze fisiologiche e di movimento.

A tal riguardo, sempre più Comuni hanno adottato, nel corso degli anni, ordinanze specifiche prevedendo l’obbligatorietà di rimuovere le eventuali deiezioni con le palette predisposte all’uso e di riporle, opportunamente chiuse in appositi sacchetti, nei cestini portarifiuti, prevedendo, in caso di violazione, una sanzione amministrativa da poche decine di euro a 500,00 euro, ai sensi della L. 689 del 1981 (ad es., Comune di Soldano, Imperia, Andria, Asti, Napoli, etc.)

La fonte normativa di tali imposizioni, si rinviene nell’“Ordinanza contingibile e urgente concernente la tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani” del Ministero del Lavoro, della salute e delle Politiche sociali datata 03 marzo 2009 (in G.U. n. 68 del 23.03.2009), la quale stabilisce che “È fatto obbligo a chiunque conduca il cane in ambito urbano raccoglierne le feci e avere con sé strumenti idonei alla raccolta delle stesse.” (art. 2, comma 4).

Disciplina analoga si può riscontrare anche nelle delibere assembleari dei condomini, le quali, però, ai sensi dell’art. 16, lett. b) Legge n. 220/2012 sulla c.d. riforma del condominio, «…non possono vietare di possedere o detenere animali domestici.».

La citata ordinanza, stabilisce altresì che “Ai fini della prevenzione dei danni o lesioni a persone, animali o cose il proprietario e il detentore di un cane devono adottare le seguenti misure: a) utilizzare sempre il guinzaglio ad una misura non superiore a mt 1,50 durante la conduzione dell’animale nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico, fatte salve le aree per cani individuate dai comuni; b) portare con sé una museruola, rigida o morbida, da applicare al cane in caso di rischio per l’incolumità di persone o animali o su richiesta delle Autorità competenti; c) affidare il cane a persone in grado di gestirlo correttamente; d) acquisire un cane assumendo informazioni sulle sue caratteristiche fisiche ed etologiche nonché sulle norme in vigore; e) assicurare che il cane abbia un comportamento adeguato alle specifiche esigenze di convivenza con persone e animali rispetto al contesto in cui vive.” (art.1).

I Comuni non possono, invece, vietare l’ingresso dei cani nei parchi pubblici.

Sul tema, si è recentemente espresso il TAR Lecce, con sentenza del 01/02/2021, n. 148, nella quale si afferma “Con riferimento al divieto di introdurre animali nei luoghi pubblici disposto dalle Pubbliche Amministrazioni, il Collegio aderisce al consolidato orientamento secondo il quale (cfr., T.A.R. Lazio, sez. II bis, 17 maggio 2016, n. 5836; e cfr. altresì, tra le tante, T.A.R. Potenza, 17 ottobre 2013, n. 611; T.A.R. Reggio Calabria, 28 maggio 2014, n. 225; T.A.R. Milano, 22 ottobre 2013 n. 2431; T.A.R. Sardegna, 27 febbraio 2016 n, 128; T.A.R. Venezia, 12 aprile 2012, n. 502,a T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 28 luglio 2015, n. 1752),“il divieto assoluto di introdurre cani, anche se custoditi, nelle aree destinate a verde pubblico – pur se in ragione delle meritevoli ragioni di tutela dei cittadini – risulta essere eccessivamente limitativa della libertà di circolazione delle persone ed è comunque posta in violazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità, atteso che lo scopo perseguito dall’Ente locale di mantenere il decoro e l’igiene pubblica, nonché la sicurezza dei cittadini, può essere soddisfatto attraverso l’attivazione dei mezzi di controllo e di sanzione rispetto all’obbligo per gli accompagnatori o i custodi di cani di rimuovere le eventuali deiezioni con appositi strumenti e di condurli in aree pubbliche con idonee modalità di custodia (guinzaglio e museruola) trattandosi di obblighi imposti dalla disciplina generale statale”, cosicché possono essere contemperate le esigenze di sicurezza ed igiene pubblica, con l’esercizio degli ordinari poteri di prevenzione, vigilanza, controllo e sanzionatori di cui dispone ordinariamente l’Amministrazione Pubblica.”

Parimenti, il TAR Molise, con sentenza del 17.02.2014, n. 104, per la quale “…risulta fondata, sotto un primo profilo, la censura mossa dall’associazione ricorrente, laddove con l’adozione di uno strumento extra ordinem si è inteso fare fronte a una problematica che può essere affrontata e risolta con gli ordinari strumenti a disposizione dell’Amministrazione (cfr.: Consiglio di Stato IV, 24 marzo 2006, n. 1537; TAR Abruzzo L’Aquila I, 15 marzo 2011, n.134; TAR Campania Napoli V, 29 dicembre 2010, n. 28169). Invero, la problematica dell’abbandono degli escrementi può essere correttamente affrontata e risolta, garantendo un’attenta e severa vigilanza degli obblighi di legge, nonché a quelli che la stessa ordinanza impugnata richiama nella lett. c), imponendo ai proprietari di cani di raccogliere con strumenti idonei, di cui gli stessi devono essere muniti, le eventuali deiezioni degli animali, da conferire negli appositi cassonetti per la raccolta dei rifiuti, posizionati nel centro cittadino. Idoneo strumento per affrontare la problematica è costituito, altresì, dalla previsione di una congrua sanzione da comminare ai trasgressori dei divieti.

Stessa cosa dicasi per il pericolo di morsicature, facilmente ovviabile con la prescrizione del guinzaglio e della museruola, di guisa che non ha senso vietare – come fa l’ordinanza impugnata – l’accesso ai giardini e parchi a tutti i cani, compresi quelli dotati di museruola e guinzaglio.” Omissis.La scelta di vietare l’ingresso ai cani – e, conseguentemente, ai padroni o detentori degli stessi – nei giardini e parchi comunali, risulta del tutto irragionevole e illogica, oltre che sproporzionata, rispetto al fine perseguito, rappresentato, a ben vedere, dalla necessità di vigilare sul rispetto di regole di civiltà imposte ai cittadini.”

Omissis. “Risulta, altresì, fondata la dedotta violazione dell’art.50 del D.Lgs. n. 267 del 2000. Premesso che il provvedimento impugnato fa diretta applicazione dell’art. 50, comma 5, considerato che nella motivazione dello stesso è operato un – del tutto lacunoso e insufficiente – riferimento a possibili rischi per la salute della popolazione, si rileva come il presupposto richiesto dalla disposizione in esame sia del tutto insussistente. La norma in questione, infatti, consente il ricorso allo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente in caso “di emergenze sanitarie o di igiene pubblica” a carattere locale, situazioni che, evidentemente, devono essere accertate tramite apposita attività istruttoria e devono essere rappresentate nel provvedimento medesimo attraverso un’idonea e puntuale motivazione. È del tutto evidente, al contrario, il totale deficit motivazionale e istruttorio che inficia l’ordinanza impugnata, atteso che il dedotto “rischio per la salute della popolazione”, di per sé solo, non può costituire sufficiente giustificazione per la misura interdittiva disposta con l’ordinanza. Tale locuzione, infatti, si risolve in una sterile “formula di stile”, in mancanza di una pregressa attività istruttoria, che consenta una puntuale indicazione dei pericoli gravi e concreti che costituirebbero una imminente minaccia per la popolazione, tali da giustificare l’assunzione della misura”extra ordinem”. Il provvedimento in questione, quindi, risulta del tutto sprovvisto di idonea motivazione che sia in grado di sorreggerlo. Anche sotto tale distinto profilo, pertanto, il provvedimento impugnato, nella parte in cui dispone il divieto di accesso ai cani nei giardini e parchi comunali, è illegittimo.”

Alle medesime conclusioni, perviene altresì il TAR Toscana, con la pronuncia del 16/05/2017 n° 694, nella quale si afferma “…il ricorso è fondato, assumendo assorbente rilievo quanto dedotto con il primo e terzo motivo in relazione all’insussistenza dei presupposti di cui dell’art. 50, co. 5, d.lgs. n. 267/2000 e al difetto di istruttoria e di motivazione.

Dispone la norma in parola che il sindaco può emettere ordinanze contingibili e urgenti “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale”.

La disposizione è pacificamente interpretata nel senso che l’esercizio da parte del sindaco di tale potere extra ordinem presuppone il requisito della necessità di un intervento immediato, al fine di rimuovere uno stato di grave pericolo per l’igiene e/o la salute pubblica e caratterizzato da una situazione eccezionale e/o imprevedibile da fronteggiare per mezzo di misure straordinarie di carattere provvisorio e, pertanto, non adeguatamente contrastabile tramite l’utilizzo degli ordinari mezzi di carattere definitivo previsti dall’ordinamento giuridico (tra le più recenti, T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 5 novembre 2015 n. 746; T.A.R. Campania, sez. III, 1 giugno 2015 n. 3011; T.A.R. Lombardia, sez. III, 15 dicembre 2014 n. 3039).

Si è altresì rilevato che, in quanto derogano al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, le ordinanze contingibili e urgenti impongono la precisa indicazione del limite temporale di efficacia, in quanto solo in via temporanea può essere consentito l’uso di strumenti “extra ordinem”, che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 13 febbraio 2015 n. 455).

Nel caso di specie, il provvedimento impugnato, oltre a non recare alcuna indicazione in ordine ai suoi limiti temporali di efficacia, non appare sorretto da una adeguata istruttoria in ordine all’esistenza effettiva di un’emergenza sanitaria o di igiene pubblica, tale evidentemente non potendo considerarsi la mera rilevazione di “escrementi canini in ambito urbano comunale”

Per completezza d’argomentazione, pur non costituendo motivo di ricorso, va rilevato che, come evidenziato dalla ricorrente nella sua memoria conclusiva, la Regione Toscana, con la legge n. 5972009 ha disciplinato la “tutela degli animali” da affezione, stabilendo all’art. 19 che “ai cani accompagnati dal proprietario o da altro detentore è consentito l’accesso a tutte le aree pubbliche e di uso pubblico, compresi i giardini, i parchi e le spiagge; in tali luoghi è obbligatorio l’uso del guinzaglio e della museruola qualora previsto dalle norme statali”. Stabilendo al secondo comma che è vietato l’accesso ai cani solamente “in aree destinate e attrezzate per particolari scopi, come le aree gioco per bambini, qualora a tal fine sono chiaramente delimitate e segnalate con appositi cartelli di divieto”.

Ne discende, per le ragioni esposte che il ricorso va accolto con il conseguente annullamento dell’atto impugnato.

Come sopra accennato, quindi, il divieto di cani nei parchi è legittimo solo per emergenza sanitaria. A riguardo, viene in rilievo il D.P.R 320/54, con cui è stato approvato il regolamento di Polizia Veterinaria che regola l’ammissione degli animali nei locali pubblici, stabilendo che i cani possono essere portati nelle vie o negli altri luoghi aperti al pubblico solo se tenuti al guinzaglio o se hanno la museruola (articolo 83). Tale divieto sussiste anche nei luoghi dove si preparano, manipolano, trattano e conservano gli alimenti, come stabilito nel Regolamento n. 852/2004/CE, volto a impedire le contaminazioni degli alimenti stessi. Il Ministero della Salute ha specificato con le note n. 11359/2017 e n. 23712/2017che all’interno dei punti di vendita al dettaglio di alimenti possono essere predisposti dei locali dove accogliere gli animali.

2.2. L’ingresso dei cani nei luoghi pubblici o aperti al pubblico

Sulla scorta di tale quadro normativo, vediamo quali sono le regole che disciplinano l’ingresso dei cani nei luoghi pubblici o aperti al pubblico.

a) L’ingresso dei cani nei parchi e nei giardini pubblici

Come sopra illustrato, il divieto assoluto di ingresso nei parchi pubblici e nelle aree destinate a verde pubblico è da ritenersi illegittimo per contrasto ai principi di proporzionalità ed adeguatezza. Pertanto, salvo ordinanze ad hoc, o cartelli e segnali che ne limitino l’ingresso in determinate aree  (ad esempio, spazi dedicati ai giochi per bambini), è possibile accedere a giardini e parchi pubblici con il proprio cane, a patto di vigilare sul suo comportamento, tenendolo al guinzaglio o con museruola se necessario e, naturalmente, raccogliendo obbligatoriamente le eventuali deiezioni ed evitando di sporcare, portando con sé dell’acqua.

b) Il trasporto dei cani in auto e sui mezzi pubblici

Anche per il trasporto ed il viaggio con Fido, occorre prestare attenzione ad alcune regole generali:

– in auto: l’articolo 169 del Codice Stradale statuisce che: “È vietato il trasporto di animali domestici in numero superiore a uno e comunque in condizioni da costituire impedimento o pericolo per la guida. È consentito il trasporto di soli animali domestici, anche in numero superiore a uno, purché custoditi in apposita gabbia o contenitore o nel vano posteriore al posto di guida appositamente diviso da rete od altro analogo mezzo idoneo che, se installati in via permanente, devono essere autorizzati dal competente ufficio provinciale della Direzione generale della M.C.T.C.”.

Pertanto, se si viaggia con un solo cane, questo può essere tenuto libero a patto che stia sul sedile posteriore; se, invece, si viaggia con più animali, questi devono essere custoditi in apposite gabbie o nel vano posteriore della vettura, diviso da reti o da altri mezzi idonei.

Poiché il viaggio è uno stress per i nostri amici a 4 zampe, è consigliabile che restino a stomaco vuoto e siano in perfette condizioni di salute. Indispensabile, poi, è assicurare all’animale acqua fresca a volontà: è perciò opportuno fare soste frequenti per permettere all’animale di bere, muoversi ed espellere i bisogni fisiologici.

– in taxi: Il trasporto degli animali d’affezione è a discrezione dell’autista e della società che gestisce il servizio. Il conducente può, quindi, rifiutarsi di far salire con il passeggero, anche il suo piccolo accompagnatore. Si raccomanda, nel caso in cui l’animale viene fatto salire a bordo, di rispettare le medesime regole che vigono per il trasporto sui mezzi di linea, e quindi dotarsi di museruola, guinzaglio e, per cani di piccola taglia, possibilmente un trasportino, evitando che l’animale disturbi il guidatore o possa creare dei danni.

Sempre più compagnie tendono ad ammettere i nostri amici a quattro zampe, prevedendo servizi appositamente dedicati, mettendo a disposizione corse dog-friendly.

– in treno: i cani di qualsiasi taglia possono viaggiare a bordo dei treni sia regionali che inter regionali, in tutte le classi, ad eccezione di quelle superiori alla Business. I cani di piccola taglia, i gatti ed altri piccoli animali domestici da compagnia devono viaggiare nell’apposito trasportino; tutti i cani di qualsiasi taglia devono essere muniti di museruola e guinzaglio.

Per eventuali costi aggiuntivi, il prezzo dei biglietti e le ulteriori modalità di trasporto, occorrerà visionare le regole vigenti per ciascuna tratta prescelta. È comunque necessario il certificato di iscrizione all’Anagrafe canina (o il passaporto del cane per i viaggiatori provenienti dall’estero).

– in aereo: a differenza del viaggio in treno, l’animale dovrà essere riposto nella apposita gabbietta. La tipologia della gabbietta da utilizzare per il trasporto o il numero degli eventuali animali accettati in cabina varia a seconda del vettore.

Generalmente in cabina sono ammessi cani di piccola taglia (inferiori ai 10 Kg. di peso); alcune compagnie accettano il classico trasportino, altre ne richiedono di particolari. I cani di media o grande taglia, invece, viaggiano nella stiva pressurizzata in apposite gabbie rinforzate.
Alcune compagnie garantiscono l’assistenza di personale specializzato, centri di assistenza e di ristoro per gli animali durante gli scali.

Se il vostro amico a 4 zampe viaggia in cabina, è opportuno evitare che dia disturbo agli altri passeggeri per non sollevare spiacevoli discussioni e, specialmente se il viaggio è lungo, non bisogna fargli mancare acqua e cibo.

Quando si prenota un volo con il proprio cane è opportuno, però, controllare se sono previsti scali con cambi di compagnia aerea o di velivolo, sia perché i trasferimenti da un aereo ad un altro possono comportare rischi, e l’animale può essere bloccato per eventuali controlli sanitari o addirittura per il fermo della quarantena. In questo caso, bisognerà  informarsi preventivamente sugli obblighi sanitari non solo del Paese di arrivo, ma anche di quello di transito.

– in bus: per i viaggi in bus, come per gli altri mezzi pubblici, specialmente se prevedono lunghe tratte, è consigliabile informarsi preventivamente sulle possibilità e le modalità del trasporto di animali.
In linea generale, sugli autobus urbani, i cani devono viaggiare con museruola e guinzaglio.

Una normativa a parte, è prevista per i cani guida: l’articolo unico della Legge 14 febbraio 1974, n. 37, rubricato “Gratuità del trasporto dei cani guida dei ciechi sui mezzi di trasporto pubblico” afferma che “Il privo di vista ha diritto di farsi accompagnare dal proprio cane guida nei suoi viaggi su ogni mezzo di trasporto pubblico senza dover pagare per l’animale alcun biglietto o sovrattassa.”; la legge 25 agosto 1988, n. 376 (in Gazzetta Ufficiale 31 agosto 1988, n. 204, rubricato “Gratuità del trasporto dei cani guida dei ciechi sui mezzi di trasporto pubblico e diritto di accesso in esercizi aperti al pubblico”) ha aggiunto un ulteriore comma: “Al privo di vista è riconosciuto altresì il diritto di accedere agli esercizi aperti al pubblico con il proprio cane guida”.

La Legge 8 febbraio 2006, n.60, contempla, inoltre, una sanzione, introducendo i seguenti commi «I responsabili della gestione dei trasporti di cui al primo comma e i titolari degli esercizi di cui al secondo comma che impediscano od ostacolino, direttamente o indirettamente, l’accesso ai privi di vista accompagnati dal proprio cane guida sono soggetti ad una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da euro 500 a euro 2.500.

Nei casi previsti dai commi primo e secondo, il privo di vista ha diritto di farsi accompagnare dal proprio cane guida anche non munito di museruola, salvo quanto previsto dal quinto comma.

Sui mezzi di trasporto pubblico, ove richiesto esplicitamente dal conducente o dai passeggeri, il privo di vista è tenuto a munire di museruola il proprio cane guida».

A tali statuizioni, si affiancano delle agevolazioni: la normativa fiscale ha previsto, infatti, che l’acquisto e il mantenimento dei cani guida destinati all’assistenza dei non vedenti siano oneri agevolati.

In particolare, si segnala la detrazione dall’Irpef pari al 19% delle spese sostenute per l’acquisto del cane: ai fini del calcolo della detrazione si considera l’intero ammontare del costo sostenuto fino ad un massimo di 18075,99 euro; la detrazione è prevista una sola volta in un periodo di quattro anni, salvo i casi di perdita del cane e spetta per un solo animale.

A ciò si aggiunge la detrazione forfettaria di 516,46 euro delle spese sostenute per il mantenimento del cane guida e viene riconosciuta senza che sia necessario documentare l’effettiva spesa.

Va precisato che ai familiari del non vedente è preclusa l’opportunità di fruire della detrazione forfetaria anche nel caso in cui il non vedente sia da considerare a carico del familiare stesso.

Infine, la legge 27/12/2019, n. 160, in tema di amministrazione del patrimonio e contabilità dello Stato”, ha stabilito all’art. 1, comma 336, che “In occasione dei cento anni dalla fondazione, all’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti è concesso un contributo straordinario di un milione di euro per l’anno 2020 per lo sviluppo e il sostegno delle sue attività sul territorio nazionale, per le manifestazioni ed iniziative nell’ambito della Giornata nazionale del Braille, per la diffusione della cultura e della pratica dell’addestramento del cane guida e per la valutazione e il monitoraggio degli ausili e delle tecnologie speciali.”.

c) L’ingresso dei cani in negozio o al ristorante

Il proprietario del locale (negozio, bar, pub) possono decidere a loro discrezione se limitare l’ingresso degli animali d’affezione, apponendo all’entrata un cartello di divieto che sia ben visibile, salvo regolamenti comunali che dispongano diversamente.

Per ragioni di igiene, è fatto, invece, divieto di ingresso degli animali nelle zone adibite alla preparazione e maneggio di cibi (laboratorio, cucine, dispensa, etc.)

Anche per l’ingresso nei ristoranti, vale la stessa regola: il gestore o il proprietario del ristorante possono scegliere di non fare entrare Fido, apponendo, anche in base al regolamento comunale che ne disciplina le modalità, il relativo divieto tramite appositi cartelli o adesivi posti all’ingresso.

d) L’ingresso dei cani in spiaggia

Non esiste una legge nazionale che regolamenta l’accesso dei cani alle spiagge libere quindi, in mancanza di divieti regionali, comunali o delle autorità marittime, vale la legge che prevede di poter portare con sé i cani a patto di tenerli al guinzaglio e con museruola.

Il proprietario di uno stabilimento balneare può vietare l’accesso agli animali in spiaggia ma può anche, tramite un’apposita richiesta al comune, chiedere l’autorizzazione a poterli ammettere. Sempre più spesso, anche per evitare l’odioso fenomeno dell’abbandono degli animali, vengono consentite le c.d. Bau-beach.

Pertanto, in un Comune dove vige un apposito “Regolamento per il benessere e la tutela degli animali”, ci si può rivolgere ai vigili urbani nel caso in cui venga vietato l’accesso al proprio cane in un luogo pubblico, a meno che non sia esposto un cartello che dispone il divieto per specifiche norme igienico-sanitarie.

Come sopra descritto, nel caso in cui si tratti di un cane guida per ipovedenti, il divieto non è mai valido; anzi, è prevista una sanzione amministrativa per chi impedisce l’accesso ai cani che accompagnano persone ipovedenti o non vedenti in qualsiasi luogo pubblico.

3. La responsabilità sotto il profilo civilistico

L’ordinanza contingibile e urgente del 03 marzo 2009 cit., recita

1. Il proprietario di un cane è sempre responsabile del benessere, del controllo e della conduzione dell’animale e risponde, sia civilmente che penalmente, dei danni o lesioni a persone, animali e cose provocati dall’animale stesso.
2..Chiunque, a qualsiasi titolo, accetti di detenere un cane non di sua proprietà ne assume la responsabilità per il relativo periodo.
3.Ai fini della prevenzione dei danni o lesioni a persone, animali o cose il proprietario e il detentore di un cane devono adottare le seguenti misure:
a) utilizzare sempre il guinzaglio ad una misura non superiore a mt 1,50 durante la conduzione dell’animale nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico, fatte salve le aree per cani individuate dai comuni;
b) portare con sé una museruola, rigida o morbida, da applicare al cane in caso di rischio per l’incolumità di persone o animali o su richiesta delle Autorità competenti;
c) affidare il cane a persone in grado di gestirlo correttamente;
d) acquisire un cane assumendo informazioni sulle sue caratteristiche fisiche ed etologiche nonché sulle norme in vigore;
e) assicurare che il cane abbia un comportamento adeguato alle specifiche esigenze di convivenza con persone e animali rispetto al contesto in cui vive.” (art. 1).

a) La responsabilità ex 2052 c.c.

La tipologia principale di responsabilità che viene in rilievo è quella delineata dall’art. 2052 c.c., a mente del quale “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.”

Si tratta di una responsabilità oggettiva, dettata dalla mera relazione di fatto con l’animale, fondata sulla proprietà o sull’uso che ne viene fatto al fine di trarne una qualche utilità secondo la sua natura e la sua destinazione economica e sociale. Sono esclusi i rapporti di mera custodia e detenzione, in quanto il solo affidamento dell’animale per ragioni di custodia, di governo o di mantenimento, non valendo a trasferire il diritto di usare l’animale per trarne vantaggi, non sposta a carico del terzo la responsabilità per danni cagionati dall’animale stesso (in tal senso, Cass., n. 5226 del 1977).  Conseguentemente, risponde del danno il proprietario o chi si serve dell’animale, sia che quest’ultimo sia sotto la sua custodia sia che sia smarrito o fuggito.

Come ha avuto recentemente modo di ribadire la giurisprudenza di merito, “l’orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza sostiene che l’espressione “tenere in uso l’animale” si riferisce a chiunque eserciti un potere effettivo di governo del tipo di quello che normalmente compete al proprietario, sia che derivi da un rapporto giuridico, che da un rapporto di fatto. L’orientamento prevalente ritiene quindi responsabile chiunque tragga dall’animale quelle utilità che esso può dare mediante ciò che produce, o le sue energie di lavoro, o mediante l’utilizzo del suo naturale istinto o semplicemente mediante le peculiari caratteristiche esteriori. Si ritiene pertanto che il solo affidamento dell’animale per ragioni di custodia, cura governo o mantenimento, non valendo a trasferire il diritto ad usare l’animale per trarne vantaggi non sposti a carico del terzo la responsabilità per danni cagionati dall’animale stesso. (cfr Cass. 14743/2002 e 12307/1998).

Tale interpretazione è del resto più conforme alla lettera della norma (che parla, appunto, del proprietario dell’animale o di chi lo ha in uso, e il custode, dal punto di vista tecnico, non fa uso alcuno dell’animale). Questa lettura, poi, è avvalorata dal fondamento della norma; la legge vuole far rispondere dei danni solamente coloro che traggono una qualsiasi utilità dall’animale (cuius commoda eius incommoda) e non chi lo detenga occasionalmente, magari per far piacere ad un amico, o perché gestisce una pensione per cani. Del resto, non ci sarebbe motivo di addossare la responsabilità al mero custode, quando c’è già un proprietario a rispondere dei danni (a meno che il custode non detenga l’animale per un determinato vantaggio proprio, come, per esempio, nell’ipotesi in cui una persona si faccia prestare un cane per fare la guardia al suo giardino; in questo caso, allora, la responsabilità ricadrà sul custode). In questo senso è orientata la giurisprudenza più recente (Cass. 10189/2010; 2414/2014)” (Tribunale Cassino, sent. 16.12.2020).

Ne discende, pertanto, che il soggetto sarà tenuto a risarcire tutti i danni patiti, siano essi patrimoniali che non patrimoniali (cfr., da ultimo, Tribunale Pordenone, sent. n. 304/2020).

Le medesime regole valgono anche nei confronti della P.A. In particolare, con la pronuncia n. 17528 del 23 agosto 2011, la Suprema Corte ha avuto modo di stabilire il principio della “corresponsabilità” dei Comuni nello svolgimento dei compiti di organizzazione, prevenzione e controllo del randagismo sul proprio territorio, considerato che anche su di essi grava l’obbligo di “adottare concrete iniziative e assumere provvedimenti volti ad evitare che animali randagi possano arrecare danno alle persone nel territorio di competenza”.

Conseguentemente, sulla scorta di tale autorevole insegnamento, il Comune è co-responsabile per i danni procurati da cani randagi sul proprio territorio. Più recentemente, i giudici di legittimità, con

l’ordinanza n. 22522/2019 hanno statuito che spetta all’Azienda Sanitaria Locale, competente in materia di randagismo, risarcire i danni subiti in un sinistro provocato dalla condotta di un cane incustodito.

b) Responsabilità per rumori e odori molesti

Non mancano pronunce che ravvisano in latrati continui ed esalazioni maleodoranti, un danno alla salute e disturbo della quiete che legittima il risarcimento per molestie e il recesso del conduttore dal contratto di locazione.

A riguardo, la Suprema Corte, con la sentenza n. 12291 del 2014, ha ritenuto corretta la dismissione della detenzione dell’immobile, in quanto legittimamente dipesa dal disturbo della quiete e del riposo notturno arrecato al conduttore dal continuo abbaiare di un cane, statuendo che “Come affermato dalla Corte d’appello, in presenza di molestie di fatto, in base all’art. 1895 c.c., il conduttore ha la facoltà di agire personalmente contro il terzo, ma tale previsione non esclude il ricorso ad altri strumenti di tutela giuridica sul rilievo che costringere il conduttore a continuare ad detenere il bene e ad agire in giudizio contro il terzo, che è una sua facoltà e non un obbligo, è manifestamente contrario al quadro normativo teso ad ampliare i poteri del conduttore, mentre anche il locatore ha un’azione autonoma nei confronti del terzo dell’eventuale pregiudizio economico subito. 4. Nella fattispecie la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di detti principi di diritto, rilevando che la dismissione della detenzione dell’immobile non era dipesa da arbitraria volontà del conduttore, ma da esigenze esterne, costituite dal continuo abbaiare del cane, che aveva arrecato pregiudizio alla salute della signora S., provato dalla testimonianza del coniuge e del suo medico curante.”

Parimenti, la Corte d’Appello Milano, con decisione del 03.03.2021, per la quale “La condotta della condomina proprietaria dell’animale, lasciato libero di imbrattare parti comuni dell’edificio condominiale, è infatti qualificabile come molestia di fatto, consistendo in una turbativa che, senza porre in contestazione il diritto della conduttrice, poteva in qualche modo interferire negativamente con il sereno godimento da parte di quest’ultima dell’immobile locato, e rispetto alla molestia di fatto, ai sensi dell’art. 1585, secondo comma, cod. civ., il locatore non è tenuto a prestare garanzia, essendo, d’altra parte, riconosciuta allo stesso conduttore la facoltà di agire in nome proprio contro il terzo autore dell’illecito (cfr. Cass. n. 1693 del 27/01/2010 e Cass. n. 25219 del 15/12/2015).”.

Simili comportamenti possono, peraltro, integrare anche fattispecie di rilievo penale, come si dirà infra.

c) Risarcimento da perdita del proprio animale da affezione

Al proprietario, accanto alla moltitudine di doveri e obblighi, è stato anche riconosciuto il risarcimento per la perdita del proprio animale d’affezione a causa di un comportamento illecito altrui. La giurisprudenza intervenuta sul tema ha chiarito che trattasi di danno non patrimoniale, in quanto pregiudizio conseguente alla lesione di un diritto inviolabile della persona umana costituzionalmente tutelato. In particolar modo, il Tribunale di Pavia, con la sentenza del 16.09.2016, n. 1266 ha ritenuto che “Quanto al danno se non può ravvisarsi alcun danno patrimoniale perché un cucciolo di cane meticcio nato in casa e senza alcun valore economico non può aver cagionato una perdita economica ai suoi padroni, diverso è il discorso relativo alla responsabilità non patrimoniale. Nel caso in esame si è infatti in presenza di un danno non patrimoniale conseguente alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente protetta…. È indubbio che, rispetto a dieci anni fa, si sia rafforzato nella visione della comunità il bisogno di tutela di un legame che è diventato più forte tra cane e padrone, cosicché non possa considerarsi come futile la perdita dell’animale e, in determinate condizioni, quando il legame affettivo è particolarmente intenso così da far ritenere che la perdita vada a ledere la sfera emotivo-interiore del o dei padroni, il danno vada risarcito.”

Diversa, invece, la forma di risarcimento nel caso in cui l’animale sia affetto da una malattia. Sul punto, è recentemente intervenuta la pronuncia n. 7285 depositata il 16 marzo 2021 della S.C.: il caso sottoposto all’esame di legittimità concerneva l’acquisto di un cucciolo di Akita Inu con grave patologia displasica bilaterale. Premesso che in giurisprudenza, nell’ambito dei contratti di compravendita, l’animale viene equiparato a una «res», é stato riconosciuto solo la parziale restituzione del prezzo di vendita e non anche il rimborso delle spese veterinarie e chirurgiche resesi necessarie per curare il cucciolo pari a 6.650 euro, purché il venditore, pur consapevole della predisposizione genetica della razza ad avere quel problema, non ne era consapevole al momento della vendita.

Sullo stesso tema, si è espressa anche la sentenza n. 22728/2018, la quale ha pronunciato seguenti principi di diritto «La compravendita di animali da compagnia o d’affezione, ove l’acquisto sia avvenuto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata dal compratore, è regolata dalle norme del codice del consumo, salva l’applicazione delle norme del codice civile per quanto non previsto»; «Nella compravendita di animali da compagnia o d’affezione, ove l’acquirente sia un consumatore, la denuncia del difetto della cosa venduta è soggetta, ai sensi dell’art. 132 del codice del consumo, al termine di decadenza di due mesi dalla data di scoperta del difetto», con conseguente condanna alla parziale restituzione del prezzo e al risarcimento del danno per la compravendita di un cane di razza “Pinscher” che successivamente all’acquisto era risultato affetto da grave cardiopatia congenita.

4. La responsabilità sotto il profilo penalistico

Alcune condotte delineate nel paragrafo precedente, possono costituire anche fonte di responsabilità penale. In primis, viene in rilievo la fattispecie incriminatrice del reato di lesioni derivanti dalla violazione dell’obbligo del guinzaglio e/o della museruola.

a) La responsabilità per lesioni

Tra le condotte che possono costituire rilevanza penale, vi è certamente quello previsto dall’art. 590 c.p., in conseguenza di un’aggressione (anche di un morso) da parte dell’animale, non governato secondo le dovute regole di diligenza sopra elencate.

La giurisprudenza di legittimità è, ormai, granitica nell’affermare che nei casi di lesione, il proprietario del cane risponde ai sensi dell’art. 590 c.p. (così, da ultimo, Cass., 2021, n. 10192), in quanto “la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane impone l’obbligo di controllare e di custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi anche all’interno dell’abitazione (sez.4 16.12.2011 n. 18814, Mannino ed altri, Rv.253594), laddove la pericolosità del genere animale non è limitata esclusivamente ad animali feroci ma può sussistere anche in relazione ad animali domestici o di compagnia quali il cane, di regola mansueto così da obbligare il proprietario ad adottare tutte le cautele necessarie a prevenire le prevedibili reazioni dell’animale” (Cass. pen., sentenza n. 14189 depositata il 15.04.2021).

Tale rapporto si estende anche nei casi in cui l’aggressione sia rivolta, oltre che verso un essere umano, anche nei confronti di un altro animale. La S. C. ha, del resto, confermato la condanna per la compagna del padrone di un cane di razza pitbull, che, non dotato di guinzaglio né di museruola, aveva aggredito la persona offesa ed ucciso il cane di piccola taglia con il quale egli stava transitando sulla strada (Cass., n. 10192 depositata il 17 marzo 2021, cit.; in senso analogo, Cass., n. 30102/2006, in un caso di cane Dobermann privo di museruola e di guinzaglio per le lesioni cagionate al proprietario di un cane di razza più piccola, morsicato mentre cercava di salvaguardare il proprio animale aggredito).

La posizione di garanzia assunta dal proprietario di un cane impone, infatti, l’obbligo di adottare le cautele necessarie a prevenire le prevedibili reazioni dell’animale. Risponde, pertanto, a titolo di colpa delle lesioni cagionate a terzi dallo stesso animale, qualora ne abbia affidato la custodia a persona inidonea a controllarlo (Cass., n. 34765/2008). Parimenti, l’apposizione di un cartello con la scritta “attenti al cane” non esaurisce gli obblighi del proprietario di evitare che l’animale possa recare danni alle persone, obblighi che devono essere adempiuti assicurando il cane a un guinzaglio o a una catena, ovvero custodendolo in una zona del giardino che non gli consenta di avvicinarsi agli estranei ovvero di scappare (Cass., n. 17133/2017).

b) La responsabilità per morte o lesioni dell’animale

Risponderà, invece, del delitto di cui all’art. 544 bis c.p. se l’animale, di proprietà del soggetto agente o di terzi, sarà fatto oggetto di violenze tali da cagionarne la morte (cfr., Corte d’appello di Firenze, n. 1240/2017). La norma in commento, infatti, sanziona “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni”, e si differenzia dal successivo articolo 544 ter c.p., a mente del quale “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.

La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale”, che è invece configurabile quando la morte costituisca una conseguenza prevedibile della condotta dell’agente, ma non sia riferibile ad un suo comportamento volontario e consapevole (Cass., n. 8449/2020).

c) La responsabilità per stalking

Il proprietario del cane, qualora utilizzi l’animale per recare fastidio o ingenerare paura a terzi, sarà responsabile del reato di stalking. A riguardo, la Cassazione, con la sentenza n. 31981/2019 ha statuito che integra reato di stalking far circolare il cane negli spazi comuni del condominio per spaventare due bambine e costringere i genitori a cambiare casa.

Anzi, il ricorso al cane per fini persecutori può legittimare anche il sequestro dell’animale (così, Cass., n. 10992/2020, la quale, pronunciandosi in tema di atti persecutori da parte del ricorrente nei confronti di una ragazza e del suo fidanzato, posta in essere con l’ausilio del proprio cane di razza pitbull, afferma che la misura cautelare serve a evitare che la libera disponibilità dell’animale possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolarne la reiterazione).

d) La responsabilità per getto pericoloso di cose

Numerose sono anche le contravvenzioni cui può dare luogo il comportamento indisciplinato dei padroni dell’animale.

È stato, infatti, più volte ribadito che le deiezioni degli animali costituiscono molestie, rilevanti dal punto di vista penalistico, sotto un duplice profilo:

– ai sensi dell’art. 659 c.p., che sanziona con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309 il disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, che, tenuto conto delle circostanza di tempo e luogo, superino la soglia della normale tollerabilità. La disposizione in parola considera, in particolare, i rumori provenienti dall’animale, sia esso cagionato dagli organi vocali delle bestie o dal loro movimento. La condotta è integrata sia quando l’agente abbia suscitato lo strepito sia quando, pur non avendovi dato causa, egli non lo abbia impedito. Di conseguenza, risponde della contravvenzione de qua il proprietario di cani, tenuti in un giardino recintato, che non impedisca il loro continuo abbaiare, tale da arrecare disturbo al riposo delle persone dimoranti in abitazioni contigue (Cass., 2012, n. 7748; conf., Cass., 2019, n. 5800, con la quale veniva confermata l’affermazione di responsabilità per il proprietario di un cane che aveva provocato disturbo ai vicini con il suo continuo abbaiare non necessitando, attesa la natura di reato di pericolo presunto, la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato; Cass., 2014, n. 45230, in cui l’imputato, proprietario di alcuni cani, era stato condannato per non aver impedito l’abbaiare e latrare continuo, anche notturno, dei propri cani, disturbando le occupazioni ed il riposo dei vicini; Cass., 2008 n° 19206, per la quale, le emissioni di gas, vapori o fumo idonei ad imbrattare o cagionare molestie alle persone non sono solo quelli provenienti da attività produttive nei casi non consentiti dalla legge, ma anche tutte quelle esalazioni maleodoranti comunque imputabili all’attività umana, quali ad esempio quelle provenienti dalla presenza nel proprio giardino di numerosi animali senza l’adozione di cautele idonee ad evitare disturbo o molestie ai vicini; Cass., 1993, n. 1730, che ha ravvisato l’integrazione dell’elemento psicologico di chi, custodendo presso la propria abitazione numerosi cani di grossa taglia e pappagalli, non ne impedisca latrati, guaiti e strepiti in ogni ora del giorno e della notte);

– ai sensi dell’art. 674 c.p., che disciplina il getto pericoloso di cose. Sul punto, la S. C., con la sentenza n. 45230/2014 cit., ha confermato la condanna ai sensi dell’art. 674 c.p. per l’imputato che, non provvedendo ad adeguata pulizia dei recinti in cui custodiva i propri cani e del cortile circostante, mantenendovi a lungo le deiezioni degli animali, aveva provocato esalazioni maleodoranti ai condomini confinanti. In senso analogo, si è espressa la pronuncia n. 35566/2017, per la quale le “deiezioni canine distribuite nel giardino confinante con quello dei proprietari del cane” integrano esalazioni moleste penalmente rilevanti (conf., Cass., n. 6097/2008, relativamente a deiezioni liquide di alcuni cani, lasciati incustoditi dal proprietario sul balcone, che si riversavano nell’appartamento sottostante; cfr. anche Cass., 2021, n. 7397, per avere l’imputata gettando acqua fuori dall’uscio di casa, trascinato degli escrementi di piccione fino alla porta di casa della vicina).

Del resto, la Corte di legittimità ha avuto modo di affermare, infatti, che “Tale obbligo trova sul piano generale certamente fondamento in specifiche disposizioni codicistiche quali l’art. 2052 c.c., in quanto elemento inscindibile della responsabilità civile, ma anche nei regolamenti comunali che prescrivono di tenere i cani nelle abitazioni civili in modo e ambiente tali da non recare disturbo o danno ai coabitanti e al vicinato o, di frequente, negli stessi regolamenti condominiali. Ciò posto, ricordato in questa sede che, a mente di precedenti decisioni di questa Corte, la norma di cui all’art. 674 c.p. sanziona qualsiasi forma di disturbo (così Sez. 1^, 28.9.93 n. 10536 RV 197894 in relazione ad esalazioni maleodoranti provenienti da un terreno comune adiacente abitazioni ove erano tenuti numerosi cani), ritiene il Collegio che la questione posta dal ricorrente sia comunque superata dal rilievo che, sulla base di quanto dispone l’art. 40 c.p., non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale comunque a cagionarlo”.

Da ciò deriva anche che il proprietario dell’animale sarà, inoltre, responsabile ai sensi dell’art. 672 c.p., dell’omessa custodia e mal governo del proprio cane, posto che “l’obbligo di custodia sorge ogni qualvolta sussista una relazione anche di semplice detenzione tra l’animale e una data persona, in quanto l’art. 672 c.p. collega il dovere di non lasciare libero l’animale o di custodirlo con le debite cautele al suo possesso, da intendere come detenzione anche solo materiale e di fatto, non essendo necessaria un rapporto di proprietà in senso civilistico (così Sez. 4, n. 51448 del 17/10/2017, Polito, Rv. 271329; Sez. 4, n. 34813 del 2/7/2010, Vallone, Rv. 248090 e Sez. 4, n. 599 del 16/12/1998 dep. 1999, La Rosa, Rv. 212404)” (in questi termini, Cass., 2020, n. 34758).

È il caso di segnalare, inoltre, che nei casi in cui vi sia un serio e grave pericolo per la salute e l’igiene pubblica, oltre che per gli animali stessi, dovrà intervenire l’ASL competente, la quale si attiverà per accertare e quantificare i rischi per la salute o richiedere l’intervento di altra amministrazione competente per la specifica situazione del caso concreto.

e) La responsabilità per l’abbandono dell’animale

Altro fenomeno tristemente in aumento è l’abbandono di animali, previsto e sanzionato dall’art. 727 c.p., in forza del quale “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.”

Rientra, pertanto, nella condotta incriminata di cui al I comma, il distacco volontario dall’animale che consiste nell’interruzione della relazione di custodia e di cura instaurata con l’animale precedentemente detenuto, lasciandolo in un luogo ove non riceverà alcuna cura, a prescindere dalla verificazione di eventi ulteriori conseguenti all’abbandono, quali le sofferenze o la morte dell’animale, eventi che fuoriescono dal perimetro della tipicità disegnato dalla norma incriminatrice” (Cass., 2019, n. 6609), nonché qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione verso quest’ultimo, dovendosi includere nella nozione di “abbandono” anche comportamenti colposi improntati ad indifferenza od inerzia nell’immediata ricerca dell’animale (Cass., n. 18892/2011; conf. Cass., n. 3290/2018).

Sulla scorta di tale insegnamento, è stato condannato il suocero della proprietaria di una cagnolina meticcia al quale era stata affidata, e ritrovata senza vita in aperta campagna giorni dopo (Cass., pen., sentenza n. 15672 dep. il 27 aprile 2021).

f) La responsabilità per maltrattamenti

Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”, recita il secondo comma del citato articolo.

Il reato de quo è stato, così, ravvisato nella condotta della proprietaria di un allevamento per le condizioni in cui deteneva gli animali, 32 cani di diversa razza in 9 box inidonei a garantire adeguato ricambio d’aria (Cass. pen., sentenza n. 12436 depositata il 01.04.2021). Alle medesime conclusioni, è giunta, altresì, la pronuncia del 16.11.2020, n. 32157 perché l’imputata deteneva tre gatti in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze e, in particolare, in una situazione di scarsa igiene con presenza di urine e feci sparse su giornali distribuiti sul pavimento, con lettiera satura di feci e di urina, nonchè con ciotola dell’acqua dell’abbeverata stagnante e sporca.

E, parimenti, anche la sentenza n. 49791del 09.12.2019, che ha confermato la condanna dell’imputato per aver detenuto diciotto cani di varie razze in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze: gli animali si trovavano in sei recinti chiusi con reti metalliche arrugginite e spuntoni pericolosi, su superficie in terra battuta, ricoperta da escrementi stratificati ed impregnata dai liquidi degli animali, divenuti fanghiglia a causa delle condizioni atmosferiche, poichè i recinti erano riparati solo in parte ed in maniera rudimentale da pannelli coibentati e fogli di lamiera precari del tutto inadatti a proteggere i cani.

Sulla scorta di tale insegnamento, si è registrata analoga sorte per l’imputato che ha detenuto n. 28 cavalli, 11 asini ed 1 mulo in condizioni incompatibili con la loro natura e produttivi per le predetta bestie di gravi sofferenze, allevati in ambienti sporchi, privi di acqua, in condizioni di degrado statico e di dimensioni insufficienti, erano caratterizzati dalla presenza di liquami fangosi, feci non rimosse e carcasse di altri animali in stato di decomposizione (Cass., pen., sent. 16.03.2021, n. 10122).

Anche in questi casi, è pertanto legittimo il sequestro preventivo disposto d’urgenza dalle guardie zoofile (e convalidato dal GIP) di animali d’affezione rinvenuti in condizione di cattiva salute e malnutrizione (Cass., pen., sent. 06-04-2021, n. 12961).

Integra la contravvenzione in esame anche l’utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza (Cass., 2020, n. 11561, per la quale “Non rileva tanto la finalità dell’utilizzo del collare elettrico, finalità educativa/addestramento, ma la circostanza che il detto collare produca gravi sofferenze che la norma penale incriminatrice è diretta a punire. Gravi sofferenze conseguenti all’uso del collare come nel caso concreto rilevato.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il suo utilizzo integra il reato di cui all’art. 727 c.p., in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale (così Sez. 3, n. 3290 del 03/10/2017, Diaco, non mass.; Sez. 3, n. 21932 del 11/02/2016, Bastianini, Rv. 267345; Sez. 3, n. 38034 del 20/06/2013, Tonolli, Rv. 257685; Sez. 3, n. 15061 del 24/01/2007, Sarto, Rv. 236335).

Nel caso in esame, il Tribunale ha dato atto che sul collare vi erano applicati due elettrodi posti a diretto contatto con la pelle dell’animale privi di tappi di copertura da cui la prova della sicura sofferenza in capo a questo. L’inflizione di scariche elettriche è produttiva di sofferenze e di conseguenze anche sul sistema nervoso dell’animale, in quanto volto ad addestrarlo attraverso lo spavento e la sofferenza.”).

Ricorre, invece, il più grave delitto contemplato dall’art. 544 ter c.p., se l’animale viene volontariamente e ripetutamente sottoposto a sevizie, privandolo di cibo e acqua, o legandolo ad una catena eccessivamente corta che impedisce all’animale di muoversi liberamente o causa gravi sofferenze e lesioni. Sul punto, la Cassazione, con sentenza del 19.10.2018, n. 47718, ha ribadito la responsabilità penale della prevenuta per avere provocato, senza necessità, lesioni a numerosi cani e gatti detenuti presso la sua abitazione, per aver tenuto i primi legati ad una catena privi di acqua e di cibo, e i secondi chiusi all’interno di recinti; i ricoveri sono stati ritenuti inadeguati a proteggere gli animali dal sole e dalle intemperie. Gli animali sono stati così sottoposti a patimenti lesivi per il loro benessere fisico e comportamentale.

L’elemento distintivo tra le due fattispecie incriminatrici è da ravvisare, secondo la sentenza n. 8036/2018, nel diverso atteggiamento soggettivo dell’agente. Infatti, mentre il delitto ex art. 544 ter c.p. è connotato dalla necessaria sussistenza del dolo, persino nella forma specifica ove la condotta sia posta in essere per crudeltà o, comunque, nella sua ordinaria forma ove la condotta sia realizzata senza necessità mentre; nel caso del reato di cui all’art. 727 c.p. la produzione delle gravi sofferenze, quale conseguenza della detenzione dell’animale secondo modalità improprie, deve essere evento non voluto dall’agente come contrario alle caratteristiche etologiche della bestia, ma derivante solo da una condotta colposa dell’agente (nella fattispecie posta al vaglio della Corte di legittimità, l’imputata aveva sottoposto il proprio cane ad un trattamento incompatibile con la sua indole, tenendolo per vari giorni legato ad una catena all’interno di un box, privo di assistenza igienica, di acqua e di cibo, all’interno del quale vi era una cuccia in cemento non riparata dalle intemperie).

Costituisce, infine, maltrattamento, il taglio di organi o parti dell’animale.

Con riferimento alla caudotimia, la sentenza 31 gennaio 2019, n. 4876 della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di maltrattamenti, inferta al ricorrente per aver tagliato la coda ad un cagnolino di razza meticcia, in tale modo sottoponendolo a sevizie e cagionando allo stesso lesioni.

Tale operazione, che consiste nel taglio della coda dell’animale, è un intervento chirurgico ammesso nell’ordinamento italiano solo in via preventiva, e a cura di un veterinario, con le cautele e i limiti di cui all’ art. 10 della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia (conclusa a Strasburgo il 13 novembre 1987 ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 4 novembre 2010 n. 201).

Tale norma, infatti, vieta espressamente gli interventi chirurgici destinati a modificare l’aspetto di un animale da compagnia, o finalizzati ad altri scopi non curativi nonché specificamentea) il taglio della coda; b) il taglio delle orecchie; c) la recisione delle corde vocali; d) l’asportazione delle unghie e dei denti.

Le eccezioni a tale divieto, contemplate dal secondo comma, attengono al caso in cui:
a) un veterinario consideri un intervento non curativo necessario sia per ragioni di medicina veterinaria, sia nell’interesse di un determinato animale;
b) per impedire la riproduzione.

Sul punto, è intervenuto il Consiglio Superiore di Sanità, con parere reso in data 13 luglio 2011, che ha evidenziato come, fra le ragioni di medicina veterinaria, rientra solo la caudotomia neonatale preventiva, da eseguirsi esclusivamente a cura del medico veterinario, nella prima settimana di vita, in sedazione e con anestesia locale, ed esclusivamente in alcune razze da ferma, riporto e cerca, elencate nella tabella allegata al parere che possono essere esposte, nell’espletamento dell’attività sportivo venatoria, al rischio di lesioni della coda e, quindi, trattamenti terapeutici che, in età adulta, presenterebbero maggiore invasività e sarebbero molto dolorosi.

Quanto all’eccezione relativa all’interesse di un determinato animale, la Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani, nelle Linee guida per l’applicazione dell’art. 10 della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia in conformità al Codice Deontologico del Medico Veterinario ha previsto che la valutazione del medico veterinario debba essere rigorosa, in ossequio al principio bioetico della non maleficenza, in modo da circoscrivere le ipotesi di caudotomia a situazioni rare e straordinarie in cui la mancata esecuzione potrebbe compromettere la salute dell’animale.

Sull’argomento, sono state emanate nel corso del tempo, leggi regionali volte a reprimere, con apposite previsioni normative, tali barbarie (L. Piemonte 2009, n. 7, la quale statuisce che “Nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 10 della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia del 13 novembre 1987, sono vietati su tutto il territorio regionale gli interventi chirurgici destinati a modificare l’aspetto di un animale da compagnia o finalizzati ad altri scopi non curativi e, in particolare: a) la recisione delle corde vocali; b) il taglio delle orecchie; c) il taglio della coda, fatta eccezione per i cani appartenenti alle razze canine riconosciute presso la Federazione cinologica internazionale con caudotomia prevista dallo standard. Il taglio della coda, ove consentito, deve essere eseguito e certificato da un medico veterinario, entro la prima settimana di vita dell’animale. 2. Il divieto opera nei confronti dei cani randagi, liberi e di proprietà, fatti salvi straordinari interventi non di natura estetica resi necessari da gravi situazioni di salute degli animali. 3. Le gravi condizioni di salute di cui al comma 2 sono attestate per iscritto dal veterinario che effettua l’operazione e copia di tale attestazione è inviata al servizio veterinario dell’azienda sanitaria locale competente per territorio ai fini dei relativi controlli. 4. È vietata altresì: a) la detenzione presso la propria dimora di cani che abbiano subito le mutilazioni vietate dal comma 1; in via di prima applicazione potranno essere detenuti i cani mutilati di cui si dimostri l’acquisto della proprietà in data antecedente all’entrata in vigore della presente legge; b) la vendita o la cessione a qualsiasi titolo di cani che abbiano subito le mutilazioni vietate dal comma 1; c) l’esposizione di cani che abbiano subito le mutilazioni vietate dal comma 1 successivamente all’entrata in vigore della presente legge.”; L. R. Basilicata, 2018, n. 46; L. R. Campania, 2019, n. 3; L. R. Puglia, 2020, n. 2).

Da tenere, inoltre, presente, che ai sensi dell’art. 2 della citata Ordinanza contingibile e urgente del Ministero del Lavoro, della salute e delle Politiche sociali del 3 marzo 2009 cit. (in G.U. n. 68 del 23.03.2009), sono vietati:

a) l’addestramento di cani che ne esalti l’aggressività;

b) qualsiasi operazione di selezione o di incrocio di cani con lo scopo di svilupparne l’aggressività; c) la sottoposizione di cani a doping, così come definito all’art. 1, commi 2 e 3, della legge 14 dicembre 2000, n. 376;

d) gli interventi chirurgici destinati a modificare la morfologia di un cane o non finalizzati a scopi curativi, con particolare riferimento a:

1) recisione delle corde vocali;

2) taglio delle orecchie;

3) taglio della coda, fatta eccezione per i cani appartenenti alle razze canine riconosciute alla F.C.I. con caudotomia prevista dallo standard, sino all’emanazione di una legge di divieto generale specifica in materia. Il taglio della coda, ove consentito, deve essere eseguito e certificato da un medico veterinario, entro la prima settimana di vita dell’animale;

e) la vendita e la commercializzazione di cani sottoposti agli interventi chirurgici di cui alla lettera d).

Gli interventi chirurgici su corde vocali, orecchie e coda sono consentiti esclusivamente con finalità curative e con modalità conservative certificate da un medico veterinario. Il certificato veterinario segue l’animale e deve essere presentato ogniqualvolta richiesto dalle autorità competenti.

Gli interventi chirurgici effettuati in violazione al presente articolo sono da considerarsi maltrattamento animale ai sensi dell’articolo 544 -ter del codice penale.

g) L’aggressività dell’animale e il divieto di combattimenti

L’ordinanza prosegue, poi, all’art. 3:

1. Fatto salvo quanto stabilito dagli articoli 86 e 87 del decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1954, n. 320 «Regolamento di Polizia veterinaria», a seguito di morsicatura od aggressione i Servizi veterinari sono tenuti ad attivare un percorso mirato all’accertamento delle condizioni psicofisiche dell’animale e della corretta gestione da parte del proprietario.
2. I Servizi veterinari, nel caso di rilevazione di rischio potenziale elevato, in base alla gravità delle eventuali lesioni provocate a persone, animali o cose, stabiliscono le misure di prevenzione e la necessità di un intervento terapeutico comportamentale da parte di medici veterinari esperti in comportamento animale.
3.I Servizi veterinari devono tenere un registro aggiornato dei cani identificati ai sensi del comma 2.
4.I proprietari dei cani inseriti nel registro di cui al comma 3 provvedono a stipulare una polizza di assicurazione di responsabilità civile per danni contro terzi causati dal proprio cane e devono applicare sempre sia il guinzaglio che la museruola al cane quando si trova in aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico.”; prevedendo, all’art. 4

1. È vietato possedere o detenere cani registrati ai sensi dell’art. 3, comma 3:

a) ai delinquenti abituali o per tendenza;

b) a chi è sottoposto a misure di prevenzione personale o a misura di sicurezza personale;

c) a chiunque abbia riportato condanna, anche non definitiva, per delitto non colposo contro la persona o contro il patrimonio, punibile con la reclusione superiore a due anni;

d) a chiunque abbia riportato condanna, anche non definitiva o decreto penale di condanna, per i reati di cui agli articoli 727, 544 -ter, 544 -quater , 544 -quinquies del codice penale e, per quelli previsti dall’art. 2 della legge 20 luglio 2004, n. 189; e) ai minori di 18 anni, agli interdetti ed agli inabili per infermità di mente.”

Ai sensi dell’art. 544 quinquies c.p., è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l’integrità fisica”. Al contempo, “La pena è aumentata da un terzo alla metà:

1) se le predette attività sono compiute in concorso con minorenni o da persone armate;

2) se le predette attività sono promosse utilizzando videoriproduzioni o materiale di qualsiasi tipo contenente scene o immagini dei combattimenti o delle competizioni;

3) se il colpevole cura la ripresa o la registrazione in qualsiasi forma dei combattimenti o delle competizioni.

Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, allevando o addestrando animali li destina sotto qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla loro partecipazione ai combattimenti di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica anche ai proprietari o ai detentori degli animali impiegati nei combattimenti e nelle competizioni di cui al primo comma, se consenzienti.

Chiunque, anche se non presente sul luogo del reato, fuori dei casi di concorso nel medesimo, organizza o effettua scommesse sui combattimenti e sulle competizioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro”.

h) La responsabilità per vendite illegali

Da ultimo, costituisce condotta di rilevanza penale il traffico illecito di animali da compagnia, oggetto dell’art. 4 della L. 201/2010 cit., il quale prevede che “1. Chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, reiteratamente o tramite attività organizzate, introduce nel territorio nazionale animali da compagnia di cui all’allegato I, parte A, del regolamento (CE) n. 998/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, privi di sistemi per l’identificazione individuale e delle necessarie certificazioni sanitarie e non muniti, ove richiesto, di passaporto individuale, è punito con la reclusione da tre mesi a un anno e con la multa da euro 3.000 a euro 15.000.

La pena di cui al comma 1 si applica altresì a chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, trasporta, cede o riceve a qualunque titolo animali da compagnia di cui all’allegato I, parte A, del regolamento (CE) n. 998/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, introdotti nel territorio nazionale in violazione del citato comma 1.

La pena è aumentata se gli animali di cui al comma 1 hanno un’età accertata inferiore a dodici settimane o se provengono da zone sottoposte a misure restrittive di polizia veterinaria adottate per contrastare la diffusione di malattie trasmissibili proprie della specie.

Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale per i delitti previsti dai commi 1 e 2 del presente articolo, è sempre ordinata la confisca dell’animale, salvo che appartenga a persona estranea al reato. È altresì disposta la sospensione da tre mesi a tre anni dell’attività di trasporto, di commercio o di allevamento degli animali se la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti è pronunciata nei confronti di chi svolge le predette attività. In caso di recidiva è disposta l’interdizione dall’esercizio delle attività medesime.

Gli animali oggetto di provvedimento di sequestro o di confisca sono affidati alle associazioni o agli enti indicati nel decreto del Ministro della salute, adottato ai sensi dell’articolo 19-quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale, di cui al regio decreto 28 maggio 1931, n. 601, che ne fanno richiesta, salvo che vi ostino esigenze processuali.

Gli animali acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca sono assegnati, a richiesta, alle associazioni o agli enti ai quali sono stati affidati ai sensi del comma 5.

Le entrate derivanti dall’applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dalla presente legge affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate allo stato di previsione del Ministero della salute e sono destinate alle associazioni o agli enti di cui al comma 5 del presente articolo, con le modalità di cui all’articolo 8 della legge 20 luglio 2004, n. 189.”

5. Conclusioni

La titolarità di un animale domestico comporta, come visto, una moltitudine di responsabilità, che tuttavia attengono, a ben vedere, al comportamento del padrone più che alla natura dell’animale. Come in ogni posizione di garanzia contemplata dall’ordinamento, la responsabilità sussiste ogniqualvolta sia ravvisata una negligenza o una volontarietà nel disubbidire alle regole di condotta delineate dal legislatore e alle norme di prudenza e buon senso (e civiltà).

Molti passi in avanti sono stati fatti nella tutela degli animali e nella protezione degli animali da affezione, ma in base alla normativa vigente, il bene giuridico non è ancora l’animale in sé, bensì il sentimento collettivo di pietà e del comune sentire.

In attesa dell’approvazione della proposta di legge costituzionale del 23 marzo 2018, n. 15 (Modifiche agli articoli 9 e 117 della Costituzione, in materia di tutela degli animali, degli ecosistemi e dell’ambiente), e del ddl n. 93/2018 contenente il “Codice delle disposizioni per la tutela degli animali di affezione, la prevenzione e il controllo del randagismo” – a cui si sono aggiunte in data 27 aprile 2018, la proposta di “Introduzione del titolo XIV bis del Libro Primo del Codice civile e altre disposizioni per la tutela degli animali”, che mira a riconoscere loro diritti e dignità in quanto esseri senzienti, definendo la regolamentazione dei possibili scenari prospettabili in ipotesi di decesso del proprietario, divorzio dei padroni, e accesso a luoghi di culto, esercizi pubblici e scuole; e il ddl presentato il 19 febbraio 2019, n. 1078, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al codice civile, nonché altre disposizioni in materia di tutela degli animali”, volto a far diventare oggetto di tutela l’animale medesimo, e non più la persona ad esso legata emotivamente o sentimentalmente, aumentando le pene già previste per i delitti contro gli animali e prevedendo nuove fattispecie di reato, come quello di seminare bocconi avvelenati – spetta, perciò, a ciascun privato cittadino farsi garante di chi è indifeso.

Cristina Malavolta

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