La recidiva non preclude necessariamente l’estinzione della pena ai sensi dell’art. 172 c.p.

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La sentenza in esame involge la vexata quaestio inerente il rapporto tra la recidiva e l’estinzione della pena per decorso del tempo.

Com’è noto, l’art. 172, co. VII, c.p., prevede che l’ “estinzione delle pene non ha luogo, se si tratta di recidivi (…)”.

Si tratta dunque di capire come e quando la recidiva possa incidere su questa causa estintiva.

Orbene, la Corte di Cassazione, nella decisione in argomento, ha affermato che affinchè la recidiva possa impedire l’estinzione della pena per decorso del tempo, è necessario che tale circostanza aggravante:

1) sia stata già dichiarata nel giudizio di merito;

2) abbia ad oggetto condanne antecedenti a quella per la quale viene invocata la causa prevista dall’art. 172 c.p. .

Tale approdo ermeneutico, peraltro, non rappresenta un quid novi nel panorama giurisprudenziale dato che la Cassazione, già in diverse pronunce, è già pervenuta a siffatta conclusione decisoria.

In effetti, come puntualmente rilevato dalla stessa Corte in questa sentenza, secondo la “più recente giurisprudenza” di legittimità, “”ai fini dell’operatività della preclusione all’estinzione della pena per decorso del tempo prevista nei riguardi di recidivi dai capoversi dell’art. 99 c.p., è necessario che la recidiva sia stata dichiarata nel giudizio di merito e che riguardi condanne anteriori a quella che ha dato luogo alla pena della cui estinzione si tratta” (Sez. 1, n. 29856 del 24 giugno 2009, De Angeli, massima n. 244318 e Sez. 1, n. 23878 del 26 maggio 2010, Di Muro, massima n. 247673 (….) )”.

Invece, come emerge in questo stesso provvedimento, v’è un orientamento minoritario cristallizzato nella sentenza “Sez. 1, n. 11348 del 16 marzo 2006, Boscarolo, massima n. 233469” secondo il quale, viceversa, la preclusione della recidiva opera “per tutte le condanne riportate dal recidivo siano esse antecedenti o successive a quella in cui è stata ritenuta la recidiva”.

Ebbene, è evidente come la soluzione prospettata dalla Cassazione in questa pronuncia, sia la più corretta e conforme all’orientamento nomofilattico non solo prevalente, ma anche quello più consona alla ermeneutica elaborata in sede di legittimità a proposito della recidiva.

In primo luogo, è evidente che lo status di recidivo, in ossequio al principio dell’intangibilità del giudicato che informa, com’è risaputo, il procedimento esecutivo, non può essere desunto sic et simpliciter dal casellario giudiziale.

D’altronde, la Cassazione, in numerosi decisioni, ha avallato tale opzione interpretativa affermando come la recidiva, per produrre effetti penali ai fini della prescrizione della pena, deve essere dichiarata dal giudice della cognizione”[1] posto che non è sufficiente in sede esecutiva, l’esistenza dei “presupposti per la sua formale contestazione o che la stessa possa essere desunta da elementi rilevabili dal certificato penale”[2].

In secondo luogo, è del pari chiaro che lo status di recidivo deve essere riconosciuto con una sentenza antecedente a quella con la quale si applica la pena di cui si invoca l’estinzione ovvero con quella con cui viene comminata la pena oggetto della relativa richiesta.

Infatti, ai sensi dell’art. 172, co. IV, c.p., ai fini del calcolo del lasso temporale richiesto per determinare l’estinzione della pena, il “termine decorre dal giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile” e quindi, la condizione di recidivo deve risultare già al momento in cui il soggetto viene giudicato in via definitiva per la pena da estinguere.

Sicchè l’orientamento minoritario citato dalla Corte in questa sentenza ovvero quello secondo cui la recidiva rileverebbe nel giudizio de quo sempre e quindi, anche nel caso di condanne successive, non è condivisibile.

Invero, tale indirizzo interpretativo si fonda su una interpretazione strictu sensu di questa norma ossia alla stregua della considerazione secondo la quale, questa disposizione legislativa, si limiterebbe “ad imporre la preclusione all’ottenimento della prescrizione della pena per il recidivo in genere e non per chi è stato ritenuto recidivo nella condanna in relazione alla quale si chiede la prescrizione della pena”[3].

In realtà, come già esposto, è invece chiaro che, salvo ricondurre al giudice dell’esecuzione il potere di riconoscere la recidiva, tale condizione, nel momento in cui v’è già una condanna ad una pena di cui si chiede l’estinzione, non sussiste e quindi non può rilevare se riconosciuta successivamente.

Del resto, già in sede scientifica, alla luce di una interpretazione logica sistematica dell’istituto della recidiva, è stato osservato come la recidiva rilevi ai sensi dell’art. 172 c.p., solo ove applicata dal giudice di merito[4].

Infatti, è stato osservato che la disposizione contenuta nel comma 7bis dell’articolo 58quater o.p. si riferisce “alla recidiva dichiarata con la sentenza la cui pena è in esecuzione e di cui si chiede la sostituzione con una misura alternativa” proprio perché essa fa riferimento “al condannato al quale sia stata applicata la recidiva…”[5].

In effetti, in “tema di misure alternative alla detenzione, il divieto di plurima concessione di benefici al condannato cui sia stata applicata con il titolo in esecuzione la recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen. (art. 58 quater, comma settimo bis, L. 26 luglio 1975 n. 354, mod. dall’art. 7, comma settimo, L. 5 dicembre 2005 n. 251) e che abbia già in passato usufruito di altra diversa misura, non opera automaticamente, a prescindere da qualsiasi valutazione in ordine all’avvenuta realizzazione di tutte le condizioni per usufruire di un differente beneficio richiesto”[6].

Inoltre, è stato rilevato che la norma di cui all’articolo 656, comma 9, lett. c), c.p.p., così come riformulata dall’articolo 9 legge 251/05, “ha stabilito che la sospensione dell’esecuzione della pena non può essere disposta nei confronti del condannato al quale sia stata applicata la recidiva ex articolo 99, comma 4, c.p.”[7].

Difatti, ai “fini dell’applicazione del divieto di sospensione dell’esecuzione della pena previsto dall’art. 656, comma 9, lett. c), c.p.p., nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva reiterata ex art. 99, comma 4, c.p., occorre che la recidiva sia stata in concreto applicata: ciò significa che non è sufficiente che l’aggravante sia stata formalmente contestata, essendo necessario che essa sia stata ritenuta, ossia applicata, dal giudice della cognizione, con incidenza effettiva sulla determinazione della pena”[8].

Da ultimo, è stato osservato che anche l’articolo 50 bis, o.p., introdotto dall’articolo 7, comma 5, legge 251/05, prevede come “la semilibertà possa essere concessa, ai detenuti ai quali sia stata applicata con sentenza la recidiva ex articolo 99, comma 4, Cp, solo dopo l’espiazione dei due terzi della pena” [9].

Difatti, la disciplina contenuta in questa norma giuridica, concerne per l’appunto “i limiti di pena per la concessione della semilibertà ai condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99 comma 4 c.p.”[10].

Quindi, sulla scorta di tale scenario normativo, è stato ritenuta l’ipotesi ermeneutica (adottata nella sentenza in argomento), preferibile anche per quanto riguardo l’istituto previsto dall’art. 172 c.p., siccome più consona all’ordinamento giuridico o meglio, all’interpretazione sistematica che è stata data alla recidiva tout court.

Ebbene, tale assunto scientifico è sicuramente fondato posto che sarebbe irragionevole per un verso, considerare la recidiva rilevante solo quanto riconosciuta in sentenza a proposito di settori giuridici eguali (quale è il caso della sospensione dell’esecuzione della pena) o affini (quale è il regime della semilibertà o di accesso a misure alternative alla detenzione che comunque in questi casi, riguardano sempre questioni inerenti il titolo esecutivo), dall’altro, considerare questa circostanza inerente la persona del colpevole, seppur non valutata in sede di cognizione, fattore ostativo ai fini del giudizio de quo.

La ratio della disciplina introdotta dall’art. 172 c.p., infatti, è quella di garantire la certezza di situazioni giuridiche che “non può dipendere dalla contingenza delle determinazioni dell’autorità giudiziaria”[11] dato che ricorre questa causa estintiva ogniqualvolta viene meno “l’interesse della collettività a far scontare ad un condannato la pena inflittagli quando è trascorso un lungo periodo di tempo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza”[12].

Difatti, il decorso del tempo, attenua l’interesse dello Stato “ad eseguire la pena, interesse che viene meno con lo svanire del ricordo del fatto e delle conseguenze sociali di esso”[13].

Da ciò deriva che l’unico modo attraverso il quale appurare se il decorso del tempo (richiesto per l’estinzione della pena) sia interrotto, è quello di verificare se il giudice di merito abbia rilevato delle circostanze che possono incidere successivamente in sede di esecuzione.

Sicchè è evidente quindi come il tracciato argomentativo delineato in questo decisum, sia condivisibile siccome:

1)fedele ad un consolidato orientamento nomofilattico con il quale si salvaguardia l’unità e la coerenza dell’ordinamento giuridico nel suo complesso;

2)idoneo a fornire una interpretazione ragionevole e uniforme dell’istituto della recidiva.

Da ultimo, a conferma del fatto che la recidiva, in quanto tale, non sempre può incidere sulla pena trova ulteriore conforto alla luce della recente sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, del codice penale”[14].

In effetti, in questo decisum, è stato affermato che la recidiva reiterata, pur riflettendo “i due aspetti della colpevolezza e della pericolosità”, non può assumere una rilevanza tale, nel processo di individualizzazione della pena, tale da renderle comparativamente prevalente “rispetto al fatto oggettivo”.

Difatti, sempre secondo i Giudici di legittimità costituzionale, “il principio di offensività è chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti che incidono sulla individualizzazione della pena e sulla sua determinazione finale posto che, a ragionare diversamente, “la rilevanza dell’offensività della fattispecie base potrebbe risultare “neutralizzata” da un processo di individualizzazione prevalentemente orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosità”.

 

Quindi, è evidente, a maggior ragione, che la recidiva, alla luce di quanto affermato dal Giudice delle Leggi in questa pronuncia, potrà essere considerata ai fini dell’applicazione dell’art. 172 c.p. nella misura in cui, come suesposto:

  1. detta aggravante sia stata applicata dal giudice di merito;

  2. il condannato risulti recidivo prima che gli venga irrogata la condanna per la quale è chiesta l’estinzione della pena.

 

[1]Cass. pen., sez. I, 21/10/08, n. 44061.

[2]Cass. pen., sez. I, 2/02/05, n. 10425; in senso conforme: Cass. pen., sez. I, 8/10/09, n. 40605: gli “effetti di legge correlati alla recidiva reiterata si producono a condizione che il giudice la dichiari, non potendo dirsi sufficiente che dal certificato penale emerga una situazione rapportabile alla recidiva “de qua””.

[3]Cass. pen., sez. 1, 16/03/06, n. 11348.

[4]Giuseppe Santalucia, “Benefici alternativi ai recidivi reiterati L’affidamento in prova dopo la ex Cirielli”, D&G, 2006, 34, 53. L’autore, infatti, pur partendo dalla premessa secondo la quale senza “dubbio la formulazione letterale del comma 7bis dell’articolo 58quater Op è diversa da quella, già ricordata, del comma 7 dell’articolo 172 Cp, ove si fa generico riferimento ai recidivi e non si fa cenno dell’applicazione della recidiva”, perviene, seppur in forma interrogativa, nel commentare una sentenza che ha avallato un indirizzo interpretativo contrario a quello qui trattato, alla seguente conclusione: ma “è poi così pregnante questa differenza espressiva da giustificare la soluzione adottata?”.

[5]Ibidem.

[6]Cass. pen., sez. I, 10/1/07, n. 4688.

7] Giuseppe Santalucia, “Benefici alternativi ai recidivi reiterati L’affidamento in prova dopo la ex Cirielli”, D&G, 2006, 34, 53.

[8]Cass. pen., sez. I, 1/03/11, n. 36704.

[9]Giuseppe Santalucia, “Benefici alternativi ai recidivi reiterati L’affidamento in prova dopo la ex Cirielli”, D&G, 2006, 34, 53.

[10]Cass. pen., sez. I, 5/07/06, n. 24767.

[11]Cass. pen., sez. I, 11/04/06, n. 17346.

[12]Fiandaca – Musco, Diritto penale, Parte generale, Bologna, Zanichelli editore, 2004, pag. 779.

[13]Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Milano, Giuffrè editore, 1997, pag. 764.

[14] Corte Costituzionale, sentenza n. 251/2012.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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