La prova processuale della premeditazione; requisiti e fondamento della aggravante

Scarica PDF Stampa

1. Un accertamento difficile, nell’ambito della premeditazione, è, certamente, quello rivolto alla individuazione della cosiddetta voluntas necandi1.

Prima di soffermarci sullo specifico approfondimento è necessaria una breve disamina dei requisiti e del fondamento dell’aggravante.

Ho avuto modo di interessarmi della premeditazione durante lo svolgimento di un processo per un brutto e violento episodio di omicidio volontario e ho verificato che, nonostante la gravità delle conseguenze sanzionatorie, il codice penale non definisce i requisiti della medesima ma si limita ad individuarne le caratteristiche, quasi fosse un concetto pacificamente ed unanimemente accolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

In realtà, si tratta di una nozione estremamente controversa e di difficile determinazione, tanto è vero che, a proposito della premeditazione, non vi è un punto sul quale si possa registrare, sia in dottrina che in giurisprudenza, concordia di opinioni sul contenuto, sul fondamento, sui suoi elementi costitutivi, sui suoi rapporti con altre circostanze del reato.

La dottrina non è concorde neanche sull’opportunità, o sulla necessità, di dare ad essa una definizione nel codice penale.

Infatti, in passato, mentre Bennati rilevava che «non conviene inserire con una formula qualsiasi la definizione della premeditazione in un codice; perché nella mente d’ognuno, nella coscienza universale sta scolpito il suo vero genuino concetto»2, De Marsico viceversa osservava che «proprio perché si trattava di un concetto scolpito nella coscienza morale andava definito»3.

Ancora, di contrario avviso, Amedeo Rocco riteneva che «la determinazione legislativa dei caratteri della premeditazione, non sarebbe necessaria in quanto si tratterebbe di un concetto generale, di un processo psichico che si ravvisa nel dominio di ogni attività umana, allo stesso modo della volontà e della negligenza che non sono definite nel codice penale»4.

Dunque, la varietà e la diversità delle opinioni sull’opportunità di definire la premeditazione, e addirittura di prevederla, erano già emerse durante i lavori preparatori del codice Rocco ed ancor prima di quello Zanardelli.

La relazione ministeriale che illustrava il codice Zanardelli ammetteva l’impossibilità di trovare una forma accettabile dalla maggioranza Parlamentare, dovuta innanzitutto dalla difficoltà di definire un principio il cui concetto appariva così facile ed evidente a tutti, tanto che ognuno riteneva di poterne dare la spiegazione e, poi, dalla mancanza di un accordo sulla vera ragione scientifica che informava la premeditazione. Si decise così di ometterne la definizione, intendendole attribuire quel significato comune e vero, presente, come prima detto, nella coscienza di ognuno5.

Nei lavori preparatori del codice Rocco, invece, si volle in un primo momento rimuovere il problema eliminando la premeditazione dando rilevanza a tutta una serie di circostanze (uso del veleno, il pravo motivo ecc.) che si ricollegano concettualmente alla premeditazione.

Tuttavia, nel progetto definitivo si convenì, per una esigenza di rinvigorire la tutela penale, di reintrodurre la circostanza, determinando, così, una situazione analoga a quella creatasi con l’entrata in vigore del codice Zanardelli6.

 

2. Dall’analisi delle posizioni dottrinarie più significative sul fondamento della premeditazione risulta in maniera evidente che non sempre viene individuata un’unica ratio per l’aggravante in esame7. Varie volte, infatti, uno stesso autore pone una molteplicità di ragioni a base della previsione della circostanza.

Un primo gruppo di teorie individua la ratio della circostanza con riferimento ad elementi oggettivi: preordinazione dei mezzi per la commissione del delitto, macchinazione, minorata difesa della vittima. In sostanza la premeditazione sarebbe caratterizzata da una maggiore gravità del reato, in considerazione delle caratteristiche della condotta e dei risultati negativi di questa nei confronti della vittima, ossia da una situazione di vantaggio per l’omicida8. A questa teoria, però, è stato obiettato che la premeditazione non determina necessariamente una situazione di vantaggio per l’omicida né sotto il profilo della maggiore facilità di portare a termine il piano criminoso9, né tanto meno per la possibilità di sottrarsi alla punizione considerato che è più difficile difendersi da una aggressione improvvisa, mentre la prova dell’intenzione di uccidere è più agevole nel caso di premeditazione.

Un secondo gruppo di teorie individua la ratio della circostanza con riferimento ad elementi soggettivi, con varie posizioni dottrinarie.

La più antica, elaborata da Carmignani individua il fondamento nella freddezza e pacatezza d’animo, quando nell’intervallo tra premeditazione ed azione, nell’animo dell’agente non vi fu mai perturbazione e veemente passione10. Secondo tale tesi, perciò, il lungo periodo di calma, la mancanza di turbamento, evidenzia solo una deliberazione e non una premeditazione.

Altri autori11 sostengono un criterio diverso e cioè quello ideologico, secondo cui l’aggravante della premeditazione sarebbe caratterizzata da una particolare deliberazione, frutto di ponderazione e di una elaborazione intellettiva complessa, che deve “avere una durata oltre il normale”.

L’aggravante si giustifica, perciò, in considerazione del fatto che la particolare complessità del processo volitivo rileva una maggiore intensità del dolo.

Si è obiettato, però, che la valutazione dell’intensità del dolo è già prevista nell’art. 133 c.p., dovendo il giudice, nell’ambito della sua valutazione, considerare il suo grado di forza per stabilire la gravità del reato e, quindi, la determinazione della pena.

Infine, Angioni riteneva che «la maggior intensità del dolo e assenza di motivo pravo sono termini assolutamente inconciliabili e, conseguentemente, la sussistenza dell’aggravante della premeditazione, che è un caso tipico di maggior intensità del dolo, è subordinata alla presenza di un motivo pravo»12.

In sostanza, la qualità del movente sarebbe sintomo di maggior intensità del dolo per modo che, considerata la premeditazione la forma più grave di elemento psicologico, il motivo pravo sarebbe sintomo sicuro di questa.

Era di contrario avviso Contieri che osservava come tale opinione sia infondata atteso che per poter individuare la qualità del motivo in riferimento alla maggiore o minore intensità del dolo, basterebbe considerare che l’art. 133 c.p. tiene distinti i due concetti perché, mentre colloca “l’intensità del dolo” tra gli elementi da cui desumere la gravità del reato, considera “i motivi a delinquere” come indici rivelatori della capacità criminale13.

 

3. In tanta varietà e discordia di opinioni, l’unico elemento, sulla cui necessità, per l’esistenza e la giustificazione della premeditazione, dottrina e giurisprudenza concordano, è quello che si basa sulla circostanza che fra la decisione di commettere il delitto e la sua esecuzione intercorra una mora, un intervallo di tempo più o meno lungo, ma, in ogni caso con apprezzabile rilievo temporale, seppur astrattamente e rigidamente non quantificabile (elemento cronologico)14.

Non tutti gli autori, però, danno alla mora un rilievo autonomo: infatti, essendo rivolti a dimostrare l’esistenza di altri requisiti della premeditazione, nelle loro teorie la mora fra decisione ed esecuzione non viene considerata sempre come elemento costitutivo autonomo della premeditazione, ma, piuttosto, come coefficiente necessario affinché possano sussistere gli altri elementi in cui viene fatta consistere l’aggravante o, talvolta, soltanto come indispensabile mezzo di prova della loro esistenza.

Con il termine di mora, agli effetti della premeditazione, s’intende l’intervallo di tempo fra la decisione delittuosa e la sua esecuzione: sono questi il termine iniziale e il termine finale del fenomeno psichico della premeditazione.

Sabatini, di contrario avviso, riteneva, però, che l’intervallo di tempo è un fatto fisico, mentre la premeditazione è uno stato psichico15.

A tale tesi si può obiettare che il tempo è misura e che è metro sia di fenomeni fisici o stati di modificazioni del mondo esteriore, sia dei fenomeni psichici o stati o modificazioni del mondo dello spirito16.

È stato osservato, altresì, che uno spazio di tempo, seppur minimo, fra decisione ed esecuzione esiste, sempre, in tutte le azioni volontarie17.

Di talchè, il momento della decisione ed il momento dell’esecuzione o movimento sono sempre separabili ed il loro intervallo misurabile18.

In ogni caso, la premeditazione è accidente e non essenza del reato; la possibilità di separare in ogni azione volontaria l’attimo della decisione e quello dell’esecuzione nulla rileva contro un concetto della premeditazione fondato sull’elemento cronologico.

Questo perché si deve stabilire che è peculiare del delitto premeditato la particolare durata dello spazio di tempo fra decisione ed esecuzione.

 

4. Ritornando, ora, dopo questo conciso excursus, all’indagine iniziale, è necessario chiedersi se la prova della premeditazione può ricavarsi da circostanze esteriori ed in caso di risposta positiva bisogna individuare quali19.

Alcuni teorici, nella preoccupazione della ricerca, erroneamente caddero nell’equivoco di confondere gli elementi di prova con gli elementi costitutivi, quali l’elemento cronologico, il frigido pacatoque animo.

In effetti, per la sussistenza della aggravante è necessario considerare le modalità della condotta ed il giudizio finale dipenderà dalla valutazione complessiva degli elementi oggettivi e soggettivi insieme.

Secondo la Cassazione è necessaria dapprima una indagine analitica e poi sintetica di tutti quegli elementi che la varie tesi dottrinarie hanno di volta in volta qualificati come costitutivi dell’aggravante “E’ noto che la prova della volontà omicida è prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca di concrete circostanze che connotarono l’azione, delle quali deve essere verificata l’effettiva idoneità a cagionare l’evento, in base ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati singolarmente e nella loro coordinazione”20.

Una simile impostazione, confermata da altri interventi di legittimità “La premeditazione consiste in un fatto interiore di non agevole accertamento, sicchè va necessariamente desunta da fatti estrinseci, fra i quali si colloca l’anticipata manifestazione del proposito criminoso, ma altresì la causale, la preordinazione dei mezzi, la ricerca dell’occasione più favorevole le modalità di esecuzione del delitto”21 fu principalmente seguita da giureconsulti pratici che, scavalcando la necessità di una definizione dottrinale e legale della premeditazione, ne ricercavano la natura processuale.

La dottrina iniziò quindi a portare in sede definitoria elementi tipicamente probatori, quali agguato, veneficio, prodizione, attraverso i quali si iniziarono ad elaborare teorie come la macchinazione, o la predisposizione dei mezzi.

Teorie, però, queste che sono più consone a muoversi in ambito processuale che penalistico-dottrinario.

Infatti le principali critiche a questa impostazione tecnico-pratica deriva dalla constatazione che, costituisce oggetto specifico della prova dell’aggravante, la verifica di una perseveranza superiore al normale, cioè la sussistenza della matura riflessione22.

Cosicchè i su indicati indici rilevatori sono per se stessi contraddittori.

L’agguato, che è una modalità dell’azione, costituisce un indizio e non la prova della premeditazione, e fornisce la dimostrazione di una mera preordinazione, ma non della natura della riflessione.

La causale (il movente), può spiegare il fatto, ma non dà la prova del momento in cui nell’animo dell’agente sorge il proposito di uccidere.

L’uso di un mezzo più potente rispetto ad un altro pure a disposizione del reo, può costituire un indizio di una determinazione improvvisa di uccidere.

In conclusione, per dirla con le parole del Patalano23, «ai fini dell’accertamento della aggravante sarà opportuno combinare insieme i due elementi delle modalità dell’azione e della matura riflessione».

Assumono così rilievo preminente le circostanze dell’azione, nonché la sussistenza di un lasso di tempo tra ideazione ed esecuzione dell’atto.

Assumono inoltre rilevanza le modalità del fatto, i suoi precedenti, il comportamento successivo, la causale, che possono utilmente essere presi in considerazione, purché si tratti di elementi concordanti e di significato univoco, cioè, che ammettano od escludano la sussistenza della premeditazione.

 

 

1 M. GALLO, voce Dolo, in Enc. dir., vol. XIII, Milano, 1964, p. 751.

3 A. DE MARSICO, in Lavori preparatori al nuovo codice penale, 1930, vol. VI, p. 470 ss.

4 Am. ROCCO, Esame critico della premeditazione, Lanciano, 1927, p. 37.

5 Relazione ministeriale all’introduzione del codice Zanardelli p. 279

6 E. CAPALOZZA, I rapporti fra la diminuente generica dei motivi morali e sociali e l’aggravante specifica della premeditazione, in Riv. it. dir. pen., 1934, p. 243 ss.

7 A. MELCHIONDA, Commento alla l. 7 febbraio 1990, n. 19, in Leg. pen., 1990, p. 21 e ss; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, 3 ed., Zanichelli, 1995, p. 376 e ss; G. MARCONI, Il nuovo regime di imputazioni delle circostanze aggravanti, Giuffrè, 1993.

8 V. MANZINI, Diritto Penale, vol. VIII, p. 44; B. ALIMENA, Nuovi studi intorno alla premeditazione, in Riv. pen., 1912, p. 386; F. ALIMENA, Premeditazione e vizio di mente. Conciliabilità, in Riv. pen., 1934, p. 756; A. MALIVERNI, La premeditazione come indice della capacità criminale, in Riv. It. Dir. Pen., 1954 p. 53; ONDEI, Alcuni aspetti del reato passionale, in Giust. pen., 1946, II, p. 473; ZERBOGLIO, La premeditazione nel sistema del nuovo codice penale, in Il Nuovo Diritto, 1933, p. 185 ss.

9 F. PUGLIA, Delitti contro la persona, Luogo, 1939, p. 165.

10 F. CARMIGNANI, Elementi di diritto criminale, Milano, 1865, III, p. 903.

11 T. DELOGU, La teoria della intensità del dolo, in ADPP, 1935, p. 869.

12 M. ANGIONI, La premeditazione, Napoli, 1933, p. 93, 102.

13 E. CONTIERI, La premeditazione, Napoli, 1976, p. 97

14 B. ALIMENA, La premeditazione, cit, pag. 88 e ss, 147 e ss; T. GATTI, I moventi del reato nel diritto positivo, 1927, pag. 129; Cass., Sez. I 13 giugno 1997, Ogliari, in Cass. Pen., 1998, 2615; Id., Sez. I, 25 luglio 1991, Vornetti, ivi, 1992, 3047; Id., Sez. I, 28 settembre 1984, Di Giovannato, in Riv. Pen., 1985, 828; Id., sez. I, 18 aprile 1983, Giovannoni, ivi, 1984, 85.

15 G. SABATINI, Premeditazione e vizio di mente, in Foro it., 1934, II, p. 123 ss.

16 F. MANCI, Note sulla premeditazione, in Sc. Pos., 1931, p. 294 e ss

17 E. MASSARI, Il momento esecutivo del reato, 1934, p. 27.

18 B. ALIMENA, La premeditazione, cit, p. 388.

19M. LONGO, La premeditazione, Napoli, 1899, p. 126.

20 Cassazione 12.04.1988, in Cass. Pen. n. 4509

21 Cassazione 6.11.1989 in Cass. pen. 1991, I, 1231.

22 M. GALLO, Dolo, cit., p. 795.

23 V. PATALANO, La premeditazione, in Enc. Dir., Milano, 1985, XXXIV, p. 1203

Guglielmini Francesco

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento