La prova del danno non patrimoniale, funzione della Ctu

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Il saggio affronta la tematica della prova del danno non patrimoniale che per la sua natura immateriale risulta secondo la stessa Giurisprudenza di legittimità non facile.

Secondo la giurisprudenza  di legittimità prevalente, il danno non deve considerarsi in re ipsa, come vorrebbe una corrente minoritaria, ma sussiste  un pregnante obbligo di allegazione e prova attraverso prove testimoniali e anche documentali.

Ma si suggerisce , data appunto la particolare natura del danno  di utilizzare quale prova anche la c.d. “praesumptio hominis” che peraltro è una prova non certo inferiore alle altre prove, così come il fatto notorio e le regole di esperienza. Gli aspetti processuali fondamentali da analizzare appaiono essere, quindi, l’allegazione dei fatti ,[costitutivi del diritto dell’attore] ,che devono essere specifici e non generici  e che costituiscono il fondamento della richiesta del risarcimento del danno,  dalla prova del nesso di causalità tra il fatto e il danno, dall’oggetto della prova[ in cosa consiste il danno non patrimoniale],dai mezzi  di prova e gli elementi di prova con essi raccolti.

In primis dobbiamo ricordare che il danno non patrimoniale può derivare o  da fatto illecito (  art.2043 c.c. e art. 2059 c.c.) o da inadempimento contrattuale ( rapporto di lavoro art. 2087 c.c. e art. 2103 cc, ed errore medico vedi legge   n.24/2017 ,art.7), per cui, a seconda che ricorra la prima o la seconda ipotesi ,varierà il regime probatorio in particolare per quanto riguarda l’onere.

Indice:

Le caratteristiche dell’allegazione

Si premette che l’allegazione da parte del richiedente il  danno non patrimoniale deve esse  formulata in termini non generici ma con la massima concretezza. Non sono ammesse  richeste del tipo “l’attore richiede il danno  patrimoniale e il danno non patrimoniale” o” il danno patrimoniale e il danno morale” senza ulteriori precisazioni. Essa deve riferirsi a “fatti precisi e specifici del caso concreto ,essere cioè circostanziata” (cfr. Cass. n.10527/2011, Cass. Sez. Un. n.6572/2006).Quanto al danno morale: “ non [essere]sufficiente la deduzione di generici stati d’animo ( stress, disagio, angoscia,…) del tutto disancorati da elementi obiettivi”  ma essere necessarie la allegazione di “circostanze obiettive dotate di un sufficiente grado di specificità” ( cfr. Cassazione Ord. 22 gennaio 2021 n.1405)  .Si consideri che allegare non significa solo affermare ma portare nel processo fatti specifici non generici  costitutivi del diritto che si vuol fare valere ( dire che la vita è stata sconvolta non basta occorre indicare in che cosa consiste tale sconvolgimento).

La prova in genere

E’ noto che  per prove si intendono i mezzi che servono a dare la conoscenza di un fatto e perciò fornire la dimostrazione della verità di esso e di conseguenza, nel processo, a formare il convincimento del giudice sulle ragioni addotte dalle parti.Si avrà così la prova diretta del fatto che costituisce l’oggetto del contendere ( ad. es. il testimone oculare di detto fatto) e la prova indiretta,ossia la prova di un fatto senza rappresentarlo del tutto ( c.d.indizio) da cui il giudicante può dedurre  il fatto nella sua pienezza e che quindi unito ad altri simili  fatti  può costituire la ( c.d. plena probatio). Diversa è la presunzione  (semplice o hominis) dove si hanno nel processo un fatto o  più fatti noti (  non contrastati ) dai quali ricorrendo determinate caratteristiche di gravità precisione e concordanza  il giudice   può risalire ad un fatto ignorato ( art.2729 c.c.).

Premessa semantica

Prima di affrontare nel merito l’argomento del nostro saggio dobbiamo fare una premessa indispensabile.Ancor oggi vuoi da parte degli studiosi che da parte dei magistrati giudicanti non si è raggiunta una uniformità di linguaggio nella materia per cui “ accade così che lemmi identici vengano utilizzati dai litiganti per esprimere concetti diversi, ed all’opposto che espressioni diverse vengano utilizzate per esprimere il medesimo significato.”( Cass.n.7513/2018). Così per esempio per la nozione e il termine di “danno esistenziale”. Non si è chiarito del tutto il significato del termine “danno esistenziale “ che viene usato con valenza diversa, ma  che, a parer nostro dovrebbe considerarsi  equipollente al termine di “ danno dinamico-relazionale”:v. Cassazione Sezioni Unite n.26972/2008 : che parla di ” altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e quindi non rientranti nell’ambito del danno biologico , saranno risarcibili purché siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto alla integrità psico-fisica” laddove v. Cassazione n. 7513/2018:” In assenza di lesione alla integrità psico-fisica, ma in presenza della lesione di un valore o interesse costituzionalmente protetto dovranno essere risarciti ugualmente i c.d. danni dinamico-relazionali ossia le conseguenze incidenti sul piano dinamico relazionale della … vita ( che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce altro da sé. )”.Vedi anche , con riferimento al demansionamento, Cassazione Sezioni Unite n.6572/2006 :”per danno esistenziale si intende ogni pregiudizio che l’illecito datoriale provoca sul fare areddituale del soggetto.”.

La prova del danno non patrimoniale in genere

Già sopra dicemmo che particolare difficoltà sussiste nel dare la prova del danno non patrimoniale per la sua immaterialità.

Si è comunque escluso che  il danno non patrimoniale possa essere considerato “in re ipsa” ( e multis v: Cass. n.9648/2021, Cass.n. 9295/2020) per cui esso deve essere sempre allegato e provato. Si è altresì escluso che la consulenza tecnica possa supplire alla mancanza della prova. Diversamente da quanto avveniva nella vigenza del codice abrogato nel quale la consulenza tecnica-denominata perizia- era considerata mezzo di prova, nel codice vigente  la consulenza costituisce “un mezzo ausiliario d’integrazione delle conoscenze e dell’attività del giudice”( v.Liebman Manuale di diritto processuale civile Vol II).

Sulla prova del danno non patrimoniale un punto fermo è stato posto da Cassazione Sezioni Unite 11 novembre 2008,n.26972:

Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (artt. 138 e 139 d. lgs. n. 209/2005) richiede l’accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l’accertamento medico- legale, non solo nel caso in cui l’indagine diretta sulla persona non sia possibile (perchè deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n. 9834/2002). Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto.”

Ma vedi anche Cassazione n.7513/2018,” In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell’effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio.”.

La consulenza tecnica

Al riguardo occorre precisare sull’impiego della consulenza tecnica con riferimento al danno biologico.

Essa accerta e certifica solo la lesione all’integrità psico- fisica della persona ma non “l’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato”.

Come si legge in Cassazione n.7513 del 2018, 5.9.1”…la lesione della salute in null’altro consiste…che nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all’essere, all’apparire. Non dunque che il danno alla salute comprenda pregiudizi dinamico relazionali dovrà dirsi ma piuttosto che il danno alla salute è un danno ‘dinamico-relazionale’ “.

Ciò detto la consulenza tecnica non rappresenta la prova del danno biologico -“danno dinamico –relazionale”- ( v. Cass.Ord.28742/2018, Cass.3130/2021,Cass.12990/2013) che potrebbe essere portata con altri mezzi, testimonianze, perché no, documentazioni  mediche, ma introduce nel processo un fatto (la lesione permanente) che, avendo le caratteristiche di gravità e precisione ,ai sensi dell’art. 2729 c.c., consente al giudice di risalire al fatto ignoto [nel caso gli effettivi danni dinamico –relazionali ,più specificatamente v. infra lo sconvolgimento dell’esistenza del soggetto ovvero ,più blandamente, il mutamento delle abitudini di vita  del soggetto ovvero la diminuizione di un valore della vita] operazione che avrebbe dovuto fare il giudicante, ai sensi dell’art.1226 c.c.- con valutazione equitativa- ma che è stata tabellata  su valori medi per consentire la necessaria omogeneità di giudizio tra le varie corti ma personalizzabili nel caso specifico fino ad un massimo peraltro superabile eccezionalmente con adeguata motivazione.

Oggetto della prova del danno non patrimoniale in genere

Atteso quindi che prova del danno non patrimoniale in genere non può considerarsi in re ipsa ma il danno deve esse allegato e provato dal richiedente e attentamente vagliato dal giudicante passiamo a considerare l’oggetto di tale prova.

Essa potrà configurarsi come prova testimoniale, diretta o indiretta, v.supra, o l’allegazione di elementi che consentano al giudice di formulare una presunzione hominis che possa giustificare un risarcimento del danno.

In generale,per quanto attiene al danno non patrimoniale si è ritenuto che esso deve consistere:

(a) nel radicale cambiamento di vita, nell’alterazione della personalità ,nello sconvolgimento dell’esistenza del soggetto ( vedi e multis Cassazione n. 9648/2021 si verteva sul risarcimento del danno biologico e del danno da perdita della capacità layorativa specifica , ma anche Cass. Ord. n.28742 /2018 che verteva su un danno biologico, Cassazione Sezioni Unite n.6572/2006. che verte su un demanzionamento);

(b) nel semplice mutamento delle abitudini di vita del soggetto (Cassazione 26 maggio 2020 n.9805 ,Cassazione Ord. 26 luglio 2019 n.20328, per il danno morale v. Cassazione Ord.n. 1405/2021 supra cit.);

(c) nella diminuzione o privazione di un valore della vita( e multus Cassazione 18 maggio2021 n.13536)  .

La prova del danno parentale

1.L’orientamento meno rigoroso

Si sono ritenute prove indirette, nel caso di danno parentale, idonee nell’insieme a costituire una prova piena una serie di testimonianze comprovanti l’effettività e consistenza della relazione “di reciproco affetto e solidarietà” tra la defunta e i suoi congiunti.Nel caso i capitoli formulati dal richiedente dalla Corte territoriale erano stati considerati diretti “soltanto a provare che essi assistevano la congiunta“, ovvero che “ella, quando i nipoti erano piccoli, li teneva a pranzo“. Per contro per la Corte di legittimità, le circostanze capitolate – così come riprodotte nell’ atto di impugnazione- apparivano sufficientemente specifiche, nella prospettiva di fornire la prova della “effettività e consistenza” della relazione “di reciproco affetto e solidarietà” tra la defunta e i suoi congiunti. Difatti, il “thema probandum”, secondo la Corte Suprema, era costituito dalla dimostrazione che la deceduta fosse stata “costantemente assistita” da nuora e nipoti (oltre che dal figlio), i quali “si alternavano nell’assistenza” non in modo episodico o saltuario, bensì “recandosi quotidianamente presso la casa” della stessa, “permanendovi per alcune ore“. Una circostanza, questa che, ove fosse stata confermata dall’escussione dei testi ( la prova non fu ammessa dalla Corte territoriale), avrebbe costituito un indice più che attendibile della consistenza della relazione parentale, come, del resto, quella – concernente, in particolare, la posizione dei nipoti – che la donna avesse “cresciuto ed accudito” i medesimi “fino alla scuola media”, e ciò “in quanto i genitori erano entrambi dipendenti ed effettuavano orari incompatibili con quelli scolastici dei figli“, tanto che la loro nonna li “accompagnava giornalmente […] a scuola  e provvedeva a riprenderli all’uscita“, per poi preoccuparsi di “preparare il pranzo per gli stessi“. Anche tali fatti, come la permanenza dei nipoti presso la casa della nonna “nel periodo estivo“, risultavano sicuramente idonei a dimostrare quel “reciproco affetto e solidarietà” che, ai fini del riconoscimento della fondatezza della pretesa risarcitoria, deve connotare il rapporto parentale. E ciò specie se si considera che i nipoti (in una sorta di ideale “restituzione” di quanto in passato ricevuto), secondo quanto ulteriormente capitolato nella richiesta prova testimoniale, una volta divenuti adulti, “frequentavano abitualmente” la casa della loro nonna e che gli stessi “spesso si fermavano anche a  pranzo”. (Cassazione Ord.9130/2021)

Ciò costituisce un articolato esempio di prova piena, risultante da una sommatoria di circostanze, del “cambiamento della vita” nel caso della perdita del congiunto.

Rientra in tale ambito  l’orientamento secondo il quale si  avrebbe il danno non patrimoniale  allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la prova del cui  pregiudizio può essere fornita anche con presunzioni (Cass. sez. un. n. 2611 del 2017; conf. Cass. n. 20445 del 2017).

2.L’orientamento più rigoroso

Un altro orientamento appare però più rigoroso , ancora nella prova del danno parentale Laddove il richiedente indicava come prove o elementi indiziari:” la privazione di tutti i riti anche piccoli (ma , solo apparentemente insignificanti), del vivere quotidiano , elencandoli :

il cinema assieme alla sera, l’alternarsi alla guida della macchina, le vacanze, le telefonate durante la giornata, il caffè appena svegli,,il pranzo, la cena ,i regali inattesi, la casa vuota ,l’assenza di rumore nella camera del figlio”;

la Corte di legittimita richiedeva  invece per il riconoscimento del danno parentale “lo sconvolgimento foriero di ‘scelte di vita diverse’, in altre parole ,lo sconvolgimento dell’esistenza obiettivamente accertabile in ragione dell’alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell’ambito della vita comune di relazione ,sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare, nello sconvolgimento che pur senza degenerare in patologie medicalmente accertabili (danno biologico) si rifletta in un’alterazione della personalità tale da comportare o indurre a scelte di vita diverse in conseguenza della perdita del rapporto parentale,ad assumere essenziale rilievo ai fini della configurabilità e ristorabililità di siffatto profilo del danno non patrimoniale”(Cass.n.10527/2011).

 

L’utilizzo della prova presuntiva

 Posto quindi che per aversi il danno non patrimoniale è richiesto uno stravolgimento dell’esistenza della vita del soggetto ,sia esso vittima primaria che secondaria, sta al giudice di merito stabilire quando ciò avvenga  e quali siano le prove idonee.

Riconosciuto il ruolo preminente della presunzione nella materia dobbiamo quindi  concludere che là dove gli elementi allegati e provati  non raggiungano la dignità di prova ma rimangano a livello di indizio ,che non arriva a costituire, pur considerati unitariamente, prova piena, varranno se in possesso dei requisti di cui all’art. 2729 c.c., come elemento da cui potrà conseguire il convincimento del giudice .

L’utilizzo della prova presuntiva nel danno parentale

Di più nel caso del danno parentale il fatto di appartenere alla famiglia così detta nucleare determinerà di per sé la presunzione del danno cui potrà controparte portare prova contraria .

“Con riguardo, afferma la Corte Suprema, ai ‘congiunti appartenenti alla cd. famiglia nucleare (e cioè nei reciproci rapporti tra coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle) la suddetta perdita può sempre essere presunta’ – e ciò, beninteso, sempre ‘fatta salva la prova contraria da parte del convenuto’ – anche ‘solo in base alla loro appartenenza al medesimo «nucleo familiare minimo»’ (si veda in tal senso, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 14 ottobre 2019, n. 25774, non massimata).

Naturalmente ,si tratta pur sempre d’una ‘praesumptio hominis’ ex art.2729 cod. civ., con la conseguente possibilità per il convenuto di dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete, dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra la vittima ed il superstite, ad esempio provando che tra loro sussistevano rapporti connotati da indifferenza o da odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo (cfr. Cass. Sez. 6-3, ord. 15 febbraio 2018, n. 3767, Rv. 648035-02).”  ( v. Cass, Ord. n.9130/2021).

Conclusioni

Concludiamo considerando che  non poche sono le difficoltà di provare il danno non patrimoniale per la sua immaterialità ,là dove si  richiede in particolare la prova dello sconvolgimento dell’esistenza del soggetto e non soltanto un mutamento in pejus rispetto al modo di vivere precedente limitando alcune attività  che venivano svolte in precedenza ( nel caso del danno biologico) e  facendo venir meno importanti relazioni affettive ( nel caso del danno parentale).Ricordiamo anche quanto scrive Ponzanelli nel commento a Cassazione 10 novembre 2020 n.25264 su RIDARE del 4 dicembre 2020 per quanto attiene alla prova del danno morale richiamando una patologia istruttoria molto diffusa e molto criticabile (“articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati di animo interiore da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito”). Ci pare quindi opportuno ricordare i principi del diritto comunitario per cui la normativa nazionale che subordini il diritto ad un risarcimento all’obbligo gravante sul danneggiato di fornire una prova troppo difficile va  contro la normativa comunitaria che preveda diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione (V. Ordinanza 12 dicembre 2013 , C-50/13 , Rocco Papalia c/ Comune di Aosta, v. anche Ordinanza 1 ottobre 2010, C-3/10 Franco Affatato c/ Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza) oltre a violare il diritto di difesa previsto dall’art.24 della costituzione italiana.

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Avv. Viceconte Massimo

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