La nuova legge elettorale della Regione Siciliana. Prime note sulle disposizioni d’interesse per gli enti locali

Redazione 08/09/04
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di Giuseppe La Greca

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L’Assemblea Regionale Siciliana ha approvato a maggioranza assoluta la legge recante “Norme per l’elezione del Presidente della Regione siciliana a suffraggio universale e diretto. Nuove norme per l’elezione dell’Assemblea regionale siciliana. Disposizioni concernenti l’elezione dei consigli comunali e provinciali”, la quale, in attesa di una eventuale proposizione ed indizione di referendum è stata pubblicata (Gurs n. 39/2004 reperibile in internet all’indirizzo http://gurs.pa.cnr.it/gurs/Gazzette/g04-39/g04-39-p1.htm ) senza numero d’ordine e senza formula di promulgazione ai sensi di quanto stabilito dall’art. 1 della L.R. n. 14/01[1].
Tralasciando tutto quanto concerne il sistema elettorale regionale, concentriamo la nostra lettura sulle modificazioni che sono intervenute in materia di ordinamento comunale e provinciale contenute nel titolo II di detta legge.
L’art. 28 prevede uno sbarramento del 5% nell’attribuzione dei seggi nei consigli comunali di enti con popolazione superiore a diecimila abitanti e nei consigli provinciali, sulla base dei voti validi conseguiti da ciascuna lista. La disposizione, come sovente accade negli interventi legislativi regionali, non è stata collocata in un più ampio intervento di modificazioni espresse delle disposizioni previgenti, concorrendo, con ciò, ad aumentare la disorganicità normativa che caratterizza la materia dell’ordinamento degli enti locali in Sicilia.
Per quanto concerne i comuni con popolazione inferiore a diecimila abitanti rimane confermata la disciplina previgente.
L’art. 30 modifica il procedimento di formazione dei collegamenti tra liste che sostengono la candidatura del sindaco per la tornata elettorale di ballottaggio. La nuova formulazione dell’art. 3 comma 6 della L.R. n. 35/97, risultante dalle modifiche apportate dall’art. 30 in questione, stabilisce che “per i candidati ammessi al ballottaggio rimangono fermi i collegamenti con le liste per l’elezione del Consiglio dichiarati al primo turno. I candidati ammessi al ballottaggio hanno tuttavia facoltà, entro sette giorni dalla prima votazione, di dichiarare il collegamento con ulteriori liste rispetto a quella o quelle con cui è stato effettuato il collegamento nel primo turno. Tutte le dichiarazioni di collegamento hanno efficacia solo se convergenti con analoghe dichiarazioni rese dai delegati di tutte le liste che concorrono all’elezione del sindaco”. La ratio della disposizione si rinviene nella logica di un rafforzamento del ruolo dei partiti in sede di realizzazione delle alleanze, sicchè la mancanza di unanimità nella decisione di collegamento priva di efficacia le stesse dichiarazioni.
Una disposizione di particolare interesse è quella dell’art. 31 concernente il nuovo quorum per l’approvazione della mozione di sfiducia, istituto sul quale in passato è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale[2] e su cui, dopo la legge regionale n. 35/97, il legislatore era ulteriormente già intervenuto, apportandovi talune modificazioni, con la legge regionale n. 25/00.
Si ricorderà come la legge regionale n. 7/92, antesignana dell’omologa legge statale n. 81/93 sull’elezione diretta del sindaco, recava una delle sue peculiarità nell’istituto referendario mediante il quale il corpo elettorale poteva esprimere il proprio giudizio sull’operato dell’esecutivo comunale. Il referendum fu oggetto di abrogazione nella legge regionale n. 35/97 introduttiva della cd. “mozione di sfiducia”.
Originariamente, la disposizione dell’art. 10 L.R. n. 35/97 statuiva la cessazione dalla carica del sindaco, del presidente della provincia e delle rispettive giunte in caso di approvazione di una mozione di sfiducia votata per appello nominale dal 60 per cento dei componenti il consiglio; quorum determinato nei due terzi i componenti il consiglio nei comuni aventi popolazione sino a 10.000 abitanti. Anche la presentazione della mozione doveva essere assistita da idonea motivazione e sottoscritta da almeno due quinti dei consiglieri assegnati, con discussione ammessa non prima di dieci giorni e non oltre trenta giorni dalla sua presentazione. Con l’art. 2 comma 1 della L.R. n. 25/00, il quorum per l’approvazione era stato reindividuato nel 65 % dei consiglieri assegnati per i comuni con popolazione superiore a diecimila abitanti (e per le provincie), mentre per i comuni di minori dimensioni demografiche l’originaria maggioranza dei due terzi era stata trasformata nei quattro quinti, ferma restando la previgente disciplina della presentazione della mozione.
Con la novella contenuta nella legge elettorale in commento, il legislatore ha rimosso la distinzione tra soglie demografiche degli enti, sicchè il quorum del 65 % necessario per la validità dell’approvazione della mozione si applica a tutte le amministrazioni locali.
Se da un lato la ratio della riforma contenuta nella nuova legge (non ancora in vigore) la si rinviene nella necessità di rafforzamento del ruolo delle aggregazioni partitiche rispetto all’esecutivo, non si comprende perché proprio solamente qualche tempo prima il quorum relativo all’approvazione della mozione nei comuni più piccoli è stato innalzato con apposito provvedimento legislativo (dai due terzi ai quattro quinti): non risulta facile calibrare pertinenti considerazioni di ordine giuridico; è verosimile che i motivi di siffatte oscillazioni legislative debbano ricondursi alla necessità di evitare paventati rischi di eccessiva “visibilità” dei sindaci rispetto alle assemblee elettive. A questo punto forse sarebbe necessario, extrema ratio, riconsiderare e ripensare l’istituto dell’elezione diretta del sindaco, la cui efficacia in termini di governabilità è venuta meno per l’effetto in primis dell’abrogazione dell’istituto del referendum previsto ab origine nella L.R. n. 7/92 nonché con l’introduzione della mozione di sfiducia: l’esecutivo assume, ormai, i connotati di un organo di governo la cui stabilità è fortemente legata non già al programma elettorale (sulla base del quale è stato eletto), bensì agli equilibri partitici in seno alle assemblee civiche. E ciò, in particolar modo, nei comuni di piccole dimensioni nei quali un esiguo numero di consiglieri, con tale sistema, può pregiudicare le sorti del sindaco in termini di completamento del mandato quinquennale.
L’art. 32 della legge in commento effettua un’interpretazione autentica dell’art. 3 comma 3 L.R. n. 7/92, nel senso che il divieto del doppio mandato consecutivo del sindaco non opera allorchè tra un mandato e l’altro sia intervenuto uno scioglimento per infiltrazioni mafiose.
Il successivo art. 33 ridetermina la periodicità della relazione semestrale sullo stato di attuazione del programma del sindaco che dovrà essere presentata al consiglio ogni anno.
Emerge come sia in relazione all’art. 32 (doppio mandato) che al predetto art. 33 (relazione del sindaco) la novella legislativa investa solamente i comuni e non anche le province. Si ritiene si sia trattato di una svista, considerato che non emergono ragioni che giustifichino tale scelta differenziata. E’ evidente che si tratta, da un punto di vista sostanziale, di un’irrilevante modifica della legge 7/92, in relazione al fatto che, ad avviso di chi scrive, sarebbe stata opportuna una completa rivisitazione dei rapporti tra esecutivi comunali e provinciali ed i rispettivi consigli, con previsione dell’obbligatorietà di approvazione consiliare delle linee programmatiche da presentarsi da parte dell’organo esecutivo. La relazione semestrale così come è stata concepita dal legislatore del 1992 costituisce un adempimento formale privo di utilità sotto il profilo della programmazione e del controllo consiliare, considerato che altro non fa che “duplicare” la relazione al rendiconto della gestione redatta, anche’essa, dall’organo esecutivo.
Da ultimo si richiama la disposizione contenuta nell’art. 34 che ha provveduto ad abrogare una parte dell’art. 1 comma 5 della L.R. n. 25/00 allorchè faceva riferimento ai comuni ricompresi nel secondo turno elettorale dell’anno 2000 i cui organi elettivi erano in carica alla data di entrata in vigore della legge.
Note:
[1] L.R. 23-10-2001 n. 14 “Disciplina del referendum ai sensi dell’articolo 17-bis dello Statuto della Regione”.Pubblicata sulla Gazz. Uff. Reg. sic. 26 ottobre 2001, n. 51.
Art. 1 Disciplina delle leggi che possono essere sottoposte a referendum.
1. Nei casi in cui l’Assemblea regionale approvi una legge di cui all’articolo 3, primo comma, articolo 8-bis, articolo 9, terzo comma ed articolo 41-bis dello Statuto, il Presidente ne dà comunicazione al Presidente della Regione, indicando se l’approvazione sia avvenuta o meno con la maggioranza dei due terzi dei componenti l’Assemblea regionale.
2. Il Presidente della Regione, nel rispetto dell’articolo 28 dello Statuto della Regione, provvede all’immediata pubblicazione della legge con l’avvertenza che, entro tre mesi, un quinto dei membri dell’Assemblea regionale o un cinquantesimo degli elettori, ovvero un trentesimo degli elettori qualora l’approvazione sia avvenuta con la maggioranza dei due terzi, possono chiedere che si proceda a referendum popolare.
3. La legge è inserita nella Gazzetta Ufficiale della Regione, distintamente dalle altre leggi, senza numero d’ordine e senza formula di promulgazione.
[2] Sul punto si veda A. Riccardo, G. La Greca, “Il testo unico degli enti locali in Sicilia”, Quattrosoli, Palermo, 2003, note a margine pp.212-213.

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