La misura interdittiva di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 490/1994 con la quale si esclude dal mercato dei pubblici appalti l’imprenditore che sia sospettato di legami o condizionamenti mafiosi, mira all’obbiettivo di mantenere un atteggiamento intransigente con

Lazzini Sonia 03/05/07
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In tema di modalità di utilizzo dell’informativa antimafia, il Consiglio di Stato con la decisione numero 1056 dell’ 8 marzo 2007 ci insegna che:
 
< la informativa non deve dimostrare l’intervenuta infiltrazione, essendo sufficiente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il tentativo di ingerenza.>
 
non dobbiamo dimenticare però che:
 
< Cionondimeno la stessa giurisprudenza ha più volte ribadito come il delicato equilibrio tra gli opposti interessi che fanno capo, da un lato, alla presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Cost. ed alla libertà d’impresa costituzionalmente garantita e, dall’altro, alla efficace repressione della criminalità organizzata, comporta che l’interpretazione della normativa in esame debba essere improntata a necessaria cautela>
 
e quindi
 
<l’esigenza di contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel modo più efficace, e dunque anche nel caso in cui sussistano anche semplici elementi indiziari, non esclude che la determinazione prefettizia (pur se espressione di un ampia discrezionalità) possa essere assoggettata al sindacato giurisdizionale sotto il profilo della sua logicità e dell’accertamento dei fatti rilevanti>
 
pertanto:
 
<La circostanza infatti che il titolare della impresa sia imparentato (tramite la moglie) con esponenti della camorra non può essere di per sé prova sufficiente di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’impresa ove a tale dato anagrafico non si accompagni una acclarata frequentazione e comunanza di interessi con tali ambienti, di cui non v’è traccia nel provvedimento impugnato>
 
a cura di*************i
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
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ANNO   2006
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 2285/2006, proposto dalla *** 2000 SAS DI *** RAFFAELE & C. con sede in Casapesenna (Ce) rappresentata e difesa dall’Avv. ****************** con domicilio eletto in Roma via F. D’Ovidio n. 83, presso il dott. ***************;
contro
il COMMISSARIO DI GOVERNO PER EMERGENZA RIFIUTI CAMPANIA e il PREFETTO DELLA PROVINCIA DI CASERTA, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, Sez. I, 6 marzo 2006, n. 2624;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 7 novembre 2006 relatore il Consigliere ******************. Uditi l’avv. ************* e l’avv. dello Stato *******;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con ricorso proposto dinanzi al TAR Campania la società *** 2000 di *** ******** e C. S.a.s. ha impugnato il provvedimento in data 14.7.2005 a firma del Sub Commissario vicario per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania che, in riferimento alla informativa prefettizia antimafia (anch’essa impugnata) ha ordinato alla S.p.a. *** l’immediata interruzione di ogni rapporto con la società ricorrente stante la sussistenza delle cause interdittive di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 490/1994.
Nella informativa prefettizia richiamata nel provvedimento del Commissario si riferiva che il sig. *** ********, socio accomandatario della S.a.s. ricorrente, era imparentato con un esponente di spicco di un clan camorristico, che nel 1988 era stato attinto da colpi da arma da fuoco nel corso di un agguato ove era deceduto un pregiudicato suo amico, e che risultava avere contatti con esponenti del clan camorristico come evidenziato dalla documentazione del procedimento penale presso il GIP, Sez. II, del Tribunale di Napoli, denominato “***”.
A fondamento della impugnativa la società ricorrente deduceva la violazione dell’art. 4 D.Lgs. n. 490/1994 e l’eccesso di potere sotto i profili del difetto di motivazione, errore nei presupposti e ingiustizia manifesta nell’assunto che gli elementi contenuti nella informativa non sarebbero validi a comprovare la sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa.
Con la sentenza indicata in epigrafe il ricorso è stato respinto essendosi ritenuta la correttezza del giudizio di sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nella società ricorrente, in presenza di un quadro indiziario inequivoco costituito dallo specifico rapporto di ***la unito al coinvolgimento del soggetto in vicende di natura mafiosa.
Nei riguardi della anzidetta pronuncia la società *** 2000 ha interposto appello reiterando i motivi di censura prospettati in primo grado.
L’appello è fondato.
Con la impugnata informativa la Prefettura di Caserta ha ipotizzato la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa della criminalità organizzativa nella conduzione aziendale della società appellata. In particolare si è contestato al socio accomandatario sig. *** Raffaele di essere imparentato per il tramite della moglie con un esponente di spicco di un clan camorristico, e di avere contatti e collegamenti con l’anzidetto clan, come riferito negli atti del procedimento penale seguito all’agguato di sangue del 21 luglio 1988 nel corso del quale lo stesso *** rimase ferito.
Il Collegio ritiene che gli elementi indiziari addotti nella informativa prefettizia non siano di per sé sufficienti a giustificare l’adozione della misura interdittiva di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 490/1994.
Al riguardo non può certo ignorarsi che la anzidetta disposizione – con la quale si esclude dal mercato dei pubblici appalti l’imprenditore che sia sospettato di legami o condizionamenti mafiosi -, mira all’obbiettivo di mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione mafiosa per contrastare un eventuale utilizzo distorto delle risorse pubbliche.
È bensì vero che, secondo l’indirizzo della giurisprudenza, la informativa non deve dimostrare l’intervenuta infiltrazione, essendo sufficiente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il tentativo di ingerenza.
Cionondimeno la stessa giurisprudenza ha più volte ribadito come il delicato equilibrio tra gli opposti interessi che fanno capo, da un lato, alla presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Cost. ed alla libertà d’impresa costituzionalmente garantita e, dall’altro, alla efficace repressione della criminalità organizzata, comporta che l’interpretazione della normativa in esame debba essere improntata a necessaria cautela (cfr. in tal senso Cons. St. IV 4 maggio 2004, n. 2783; V, 27 giugno 2006, n. 4135). In definitiva l’esigenza di contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel modo più efficace, e dunque anche nel caso in cui sussistano anche semplici elementi indiziari, non esclude che la determinazione prefettizia (pur se espressione di un ampia discrezionalità) possa essere assoggettata al sindacato giurisdizionale sotto il profilo della sua logicità e dell’accertamento dei fatti rilevanti.
Ciò posto, deve ritenersi che nella fattispecie in esame non sia idonea a sorreggere l’impugnato provvedimento prefettizio la sussistenza di legami di ***la con esponenti di clan camorristici.
La circostanza infatti che il titolare della impresa sia imparentato (tramite la moglie) con esponenti della camorra non può essere di per sé prova sufficiente di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’impresa ove a tale dato anagrafico non si accompagni una acclarata frequentazione e comunanza di interessi con tali ambienti, di cui non v’è traccia nel provvedimento impugnato.
D’altra parte il riferimento ad una vicenda che ha visto coinvolto in una faida camorristica l’odierno appellante, e che testimonierebbe della appartenenza di questi ad uno dei clan rivali (secondo quanto sembra desumersi dagli atti del relativo procedimento penale) appare inidonea a comprovare la pretesa contiguità con ambienti camorristici, trattandosi di una vicenda che risale al 1988, e dunque lontano ben diciotto anni dalla adozione del provvedimento impugnato.
In conclusione, non essendo stati addotti a supporto della informativa fatti o circostanze dalle quali poter inferire che anche al presente sono in atto situazioni capaci di determinare tentativi di infiltrazione mafiosa, l’appello in esame deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso introduttivo proposto dalla parte appellante con conseguente annullamento degli atti impugnati in primo grado.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali inerenti i due gradi di giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2006 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
******************                            Presidente
***********                                       Consigliere
*************                                   Consigliere
**************                                Consigliere
******************                            Consigliere Est.
 
Presidente
f.to *****************
Consigliere                                                                             Segretario
f.to ******************                                             f.to *************
 
 

Lazzini Sonia

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