“Il mediatore scolastico, come terzo neutrale, mira a ristabilire il dialogo tra le parti, con l’obiettivo di sollecitare una riorganizzazione delle relazioni, che risulti soddisfacente per tutti coloro che sono implicati nel conflitto. Il suo lavoro consiste nel creare le condizioni che consentano, a tutte le parti in gioco, di riappropriarsi in modo creativo della propria viva e responsabile capacità decisionale. Il mediatore facilita, nelle persone in conflitto, la comprensione delle proprie e delle altrui emozioni, stabilendo un clima di fiducia e offrendo una visione alternativa del conflitto.”(1).
Da sempre nella scuola emergono conflitti di diversa natura ed entità, come in numerosi altri contesti sociali. Lo scenario scolastico è caratterizzato da episodi sempre più frequenti d’intolleranza, violenza, prepotenza e bullismo.
Le ricerche condotte in Italia hanno rilevato come il bullismo sia più diffuso nel nostro paese che in altre città europee; il fenomeno inoltre è in aumento, specialmente nel passaggio dalla scuola elementare alla scuola media.
Una situazione conflittuale, oltre a demotivare gli alunni e a rallentare l’impegno allo studio, è una delle cause della dispersione scolastica.
È compito primario e fondamentale della scuola impegnarsi nel fronteggiare questi continui e allarmanti segnali. La scuola, infatti, continua ad avere determinate responsabilità pedagogiche nei processi di formazione degli individui ed è indispensabile che, al suo interno, si gettino le basi per un possibile cambiamento delle situazioni di disagio e di violenza giovanile presenti nella nostra società.
Un itinerario auspicabile sarebbe quello di attivare un processo di recupero delle risorse relazionali, in grado di far incrociare i curricoli didattici tradizionali con strumenti di formazione innovativi, promotori sia di valori civili che di beni solidali. In questo senso, l’introduzione delle pratiche di mediazione a scuola può rivelarsi estremamente proficuo.
È stato correttamente affermato che il mito della pace, come bontà e armonia, è uno dei miti più duri a sconfiggersi. In realtà, la pace passa attraverso il conflitto, attraverso l’abilità di “so-stare” nel conflitto, perché è quest’ultimo il luogo della relazione.
In quest’ ottica il conflitto si rivela come un fenomeno sociale naturale, con il quale bisogna educarsi a convivere.
La mediazione ha il pregio di consentire una positiva gestione del conflitto, ridefinendo le potenzialità di una relazione pregiudicata dal rigido ancoraggio a contrapposte posizioni.
Nella mediazione non esistono vincitori e perdenti, poiché si giunge ad una soluzione nella quale entrambe le parti si sentono pienamente vincitrici.
La cultura della mediazione spoglia il conflitto di quelle valenze negative che comunemente gli sono attribuite, per ridefinirlo come una risorsa per la crescita dell’individuo. Diffondere la pratica della mediazione nelle scuole quindi significherebbe usare il conflitto come educazione alla crescita, come una singolare opportunità formativa.
È, infatti, nell’età scolare che i conflitti socio-cognitivi diventano il motore dello sviluppo intellettivo: un individuo riesce a progredire intellettualmente se in lui si crea un conflitto tra il suo punto di vista e quello degli altri. Nell’età evolutiva le fasi dell’ostinazione, attraverso le dinamiche conflittuali, consentono all’individuo di differenziarsi dall’adulto, sviluppando una propria personalità e prendendo coscienza di sé.
Pertanto, la crescente considerazione del conflitto come evento normale e inevitabile nella vita di ognuno, può spingere verso una sua considerazione positiva e verso una piena accettazione del suo verificarsi, aiutando così ogni individuo ad accettare con più naturalezza i disagi che comporta.
La mediazione, infatti, è un processo teso a far evolvere dinamicamente e costruttivamente una situazione di conflitto, riaprendo tra le parti in difficoltà relazionale quei canali di comunicazione che tra loro si erano bloccati. In tal modo, il conflitto viene ad assolvere l’importante funzione educativa di allenamento alla tolleranza, che purtroppo il frequente e diffuso comportamento iperprotettivo degli adulti ha ostacolato.
L’educazione alla cittadinanza, alla legalità, il raggiungimento degli obiettivi comportamentali, troverebbero un substrato naturale nella pratica della mediazione, determinando un’autentica inversione di marcia nell’itinerario didattico.
È per queste ragioni che la mediazione scolastica non è riconosciuta solo come una tecnica di composizione delle controversie, ma come un effettivo processo educativo, in grado di favorire la crescita relazionale ed emozionale dell’individuo, aprendolo all’accoglienza dell’altro, alla comprensione della diversità e diffondendo modelli alternativi di risoluzione dei conflitti.
Una visione schematica, capace di spiegare i progetti di mediazione scolastica in un’ottica d’intervento, è quella statunitense dell’associazione CREnet, (Conflict Resolution Education Net) esposta da Sandra Sandy.
Secondo tali studi i progetti di mediazione scolastica si possono sviluppare su cinque livelli: a livello di sistema disciplinare, di curriculum didattico, a livello pedagogico, di cultura scolastica, a livello di ambiente domestico e di comunità.
L’intervento a livello di sistema disciplinare si realizza attraverso programmi di mediazione tra pari: alcuni studenti vengono formati e diventano mediatori. Si tratta del tipo d’intervento più comune e diffuso negli Stati Uniti, perché relativamente poco costoso e dà risultati soddisfacenti.
Il programma didattico e i progetti di mediazione raramente si integrano, ma recenti studi hanno dimostrato l’importanza di includere l’educazione socio-affettiva e le abilità di gestione della conflittualità e delle emozioni all’interno dei programmi didattici ministeriali.
A livello pedagogico, sono utilizzati approcci come quello del cooperative-learning (apprendimento collaborativo), dove gli insegnanti aiutano gli studenti a sviluppare abilità sociali quali l’ascolto, l’assertività, la considerazione dei diversi punti di vista, insieme all’acquisizione del sapere e alla comprensione delle materie.
A livello di cultura scolastica, sono condotti approcci sistemici che vedono coinvolti docenti, personale non docente, presidi, ecc.
Ultimo livello è quello dell’ambiente domestico e della comunità. Alcuni progetti, infatti, operano per la sensibilizzazione a vasto raggio, affinché gli studenti possano trovare coerenza d’intenti tra quanto accade a scuola e quanto trovano a casa e nel quartiere.
Secondo i programmi di mediazione scolastica diffusi nelle scuole europee, la figura del mediatore può essere assunta dagli alunni (peer mediation), da un professionista esterno psicologo, o da un insegnante, purchè agisca in classi delle quali non ha la docenza, per non determinare confusione sui ruoli.
La mediazione scolastica ha avuto inizio negli anni settanta, ma le prime valutazioni scientifiche risalgono alla metà degli anni ottanta. Nel 1984, negli Stati Uniti, viene infatti fondata la “National Association for mediation in education”.
In Europa, le esperienze più note di mediazione scolastica sono quelle inglesi, in particolare quelle attivate nell’Irlanda del nord, impostate per prevenire forme di delinquenza minorile.
In Italia, il primo centro di mediazione scolastica è stato inaugurato il 6 dicembre 2002, presso l’Istituto Alberghiero di Casalecchio di Reno (BO), sede coordinata di Castel San Pietro Terme.
La maggior parte dei conflitti mediati nelle scuole riguarda le relazioni fra studenti, in secondo ordine quelle tra studenti e docenti, raramente le altre.
Già alla fine degli anni ottanta alcuni studi sulla mediazione scolastica hanno dimostrato un miglioramento dell’autostima negli alunni (Maxwell, 1989); sono stati ottenuti dei risultati anche nei dissidi tra bande rivali e nei conflitti razziali (Vogl, 1990; Lieberfeld, 1994). L’aspetto più interessante è l’acquisizione di nuove competenze e capacità esportabili in altri ambienti sociali: si è parlato, al riguardo, di “virus della pace” (cfr. Crary, 1992).
Pertanto la mediazione scolastica, consentendo di intervenire sulle conseguenze che i conflitti generano all’interno dei rapporti tra gli individui, attua un recupero dei valori e una riscoperta empatica dell’altro, edificando e ampliando spazi di ascolto e di accoglienza. La mediazione quindi consentirebbe alla scuola di riacquisire pienamente la sua identità di luogo di socializzazione e di produzione d’identità, che minaccia di sgretolarsi e su cui invece occorre continuare a fare affidamento per la ricostruzione di sani rapporti sociali.
Bibliografia
– (1) Statuto AIMEF.
– A. Ciurlia, V. Lucatello, La mediazione dei conflitti nel contesto scolastico, Università “La Sapienza” di Roma.
– S.V. Sandy, Conflict Resolution Education in the Schools: Getting There, in Conflict Resolution Quarterly, Vol. 19, n. 2, Winter 2001.
– Maurizio Lozzi, Mediazione scolastica e sociologia, in Mediare 2003, ed. C. Amore.
– Raffaello Rossi, Mediazione a scuola: un’esperienza possibile, Bologna 2003.
– Isabella Buzzi, Introduzione alla mediazione scolastica, in Mediare 2003, ed. C. Amore.
– D. Novara, L’alfabetizzazione al conflitto come educazione alla pace, in F. Scaparro: il coraggio di mediare, Guerrini e associati 2001.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento