La mancata previsione dell’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del processo con m.a.p. nel decreto di citazione diretta a giudizio.

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Com’è noto, nei casi di citazione diretta a giudizio di cui all’art. 550 c.p.p., quindi di contravvenzioni ovvero delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta a detta pena detentiva, oltre che negli espliciti casi previsti dal comma 2, il medesimo decreto di citazione diretta a giudizio, per quanto non prevede l’art. 552, comma 1, lett. f), c.p.p. non deve necessariamente contenere l’avviso per l’imputato della facoltà di richiedere la nuova probation – introdotta con Legge del 28 Aprile 2014, n. 67 entrata in vigore il 17/05/2014. È invece prevista la nullità dell’atto nel caso in cui manchi ovvero sia insufficiente l’indicazione della facoltà di richiedere i riti del giudizio abbreviato, dell’applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) ovvero dell’oblazione ex art. 162 bis c.p.

Le informazioni di garanzia

Deve tenersi presente sin da ora che non è affatto remota la possibilità che l’indagato non riceva le informazioni di garanzia (perché il P.M. non deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere) e quella sul diritto di difesa (dovuta al compimento del primo atto garantito e, comunque, prima dell’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ovvero, al più tardi, contestualmente all’avviso della conclusione delle indagini preliminari) di cui agli artt. 369 e 369 bis c.p.p. oltre al fatto che queste, ad ogni modo, non devono contenere l’avviso di cui qui si discute; ancora, che la doverosità dell’informazione sulla facoltà di richiedere il procedimento de quo non è previsto neanche nell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p., propedeutico a pena di nullità del decreto di citazione a giudizio, o in altri atti – salvo che per il decreto penale di condanna[1] – e che si potrebbe anche verificare il caso in cui pure detto ultimo avviso di conclusione indagini non sia neanche dovuto, come nel caso di imputazione coatta ordinata dal G.I.P.[2] Insomma, l’indagato, pur potendo richiedere tale rito speciale sin dalle indagini preliminari, non ha garantito il diritto ad essere avvisato di tale facoltà. Solo l’art. 141 bis disp. att. c.p.p. dispone che “Il pubblico ministero, anche prima di esercitare l’azione penale, può avvisare l’interessato, ove ne ricorrano i presupposti, che ha la facoltà di chiedere di essere ammesso alla prova, ai sensi dell’articolo 168-bis del codice penale, e che l’esito positivo della prova estingue il reato”.

Per meglio comprendere invece l’utilità dell’inserimento di tale avviso, considerato che anche personalmente l’indagato o imputato potrebbe richiedere tale procedimento speciale, si potrebbe fare rifermento all’effetto ed alla finalità di natura deflattiva del rito oltre che alla sua applicabilità a reati ritenuti minori che potrebbe portare la Magistratura, soprattutto inquirente e requirente, e gli Uffici giudiziari che lamentano la carenza di personale ad occuparsi di più di reati di maggiore allarme sociale. Rischierebbe di essere maggiormente efficace una misura di questo genere rispetto ai tantissimi tentativi del Legislatore tesi a voler deflazionare le Aule di Tribunale.

Ora, pur rinviando ad altre sedi la questione circa l’“appetibilità” del rito in esame – tenuto conto della possibilità che in vista di una punizione non superiore a due anni di reclusione può operare la sospensione condizionale della pena e dunque si potrebbe essere portati a non comprendere perché optare per un procedimento che comporti l’adempimento di prescrizioni onerose in termini di tempo (lavoro di pubblica utilità) e denaro (risarcimento del danno) tramite la sospensione del procedimento con messa alla prova, anche se questo porterebbe ad una sentenza che tecnicamente è di proscioglimento –, all’imputato di determinati reati meno gravi, per una sola volta, è data la possibilità di evitare il processo e la sanzione penale. Anche la giurisprudenza, probabilmente anche perché riconosce pure la importante funzione deflattiva dello strumento, ha ampliato l’elenco dei reati ai quali è applicabile il rito speciale di cui si discute[3]. È dunque consentito, di regola a chi è accusato di un reato per il quale può procedersi con citazione diretta a giudizio[4], di ottenere un beneficio processuale e l’estinzione del reato, anche prima che sia esercitata l’azione penale. Per mera completezza è bene comunque precisare che oltre a questi limiti di natura oggettiva all’accesso alla messa alla prova, ve ne sono di carattere soggettivo legate alle condizioni del reo: non potrà richiedere il procedimento in esame chi dichiarato delinquente abituale (artt. 102 e 103 c.p.), professionale (art. 105 c.p.) o per tendenza (art. 108 c.p.). In particolare, la dichiarazione di abitualità presunta dalla legge richiede la commissione di una pluralità di reati; quella di abitualità ritenuta dal giudice che questo ritenga il colpevole dedito al delitto; quella di professionalità che ritenga che il colpevole viva abitualmente dei proventi del reato; quella di delinquente per tendenza addirittura che riveli una speciale inclinazione al delitto che trovi sua causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole.

La sospensione del procedimento

Per la carenza dell’avviso della facoltà di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova all’interno del decreto di citazione diretta a giudizio già il Giudice del dibattimento del Tribunale di Firenze, con ordinanza del 23 Giugno 2016, aveva disposto la trasmissione degli atti al P.M. assumendo appunto che, sebbene l’art. 552, comma 1, lett. f), c.p.p. non prevedesse esplicitamente il compimento di alcun adempimento informativo in tal senso, comunque, trattandosi di rito alternativo, la detta mancanza costituisce un’illegittima menomazione delle facoltà difensive, integrante una nullità di carattere generale sanzionata dall’art. 178 c.p.p. Ebbene, avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione dal Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale di Firenze e, successivamente, i Giudici di Piazza Cavour[5], pur tenendo presente la precedente nota Sentenza della Consulta n. 201 depositata il 21 Luglio 2016 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 460, comma 1, lett. e), c.p.p. nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna debba contenere l’avviso all’imputato che ha facoltà di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova unitamente all’atto di opposizione, hanno deciso che la medesima conclusione del Giudice delle leggi non appare però esportabile nel caso di omissione dell’avviso nel decreto di cui all’art. 552 c.p.p., considerato che la proposizione della richiesta della sospensione del procedimento con messa alla prova resterebbe ancora tranquillamente avanzabile in sede di giudizio nei limiti temporali in esso stabiliti. A ciò può anche aggiungersi che a seguito del decreto di citazione diretta si giunge ad un’udienza a partecipazione necessaria in cui spira il termine ultimo per richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova e dunque non potrebbe concretizzarsi alcun pregiudizio per l’imputato se il decreto di citazione risulti privo della indicazione dell’avviso che, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’imputato può presentare la richiesta di cui all’art. 464 bis c.p.p., potendo appunto tale istanza essere avanzata direttamente in udienza con l’assistenza obbligatoria di un difensore. Questa argomentazione non tiene però nella dovuta considerazione le peculiarità del rito speciale di cui si discute, anche rispetto ai procedimenti speciali di cui deve invece essere dato avviso all’imputato nel decreto di citazione a giudizio. Infatti, il nuovo istituto della probation si presenta come un meccanismo complesso vista la sequenza procedimentale che lo caratterizza ed i soggetti coinvolti, non assicurandosi all’imputato neanche il tempo di prendere contatto con l’Ufficio esecuzione penale esterna (U.E.P.E.) competente e per predisporre il programma da sottoporre all’approvazione del Giudice[6]. Sarebbe dunque necessario anche che la persona sottoposta a procedimento venga il prima possibile informata pure sulle sue modalità operative di attivazione del rito oltre che sulle finalità e possibilità di richiesta, così che sia posta nelle reali e concrete condizioni di operare una scelta consapevole e non invece improvvisata. Il termine di sessanta giorni precedenti rispetto alla data di udienza entro il quale il decreto deve a pena di nullità essere notificato all’imputato, potrebbe invero poi bastare. Non è possibile poi fare affidamento solo sul difensore e sui suoi obblighi informativi, atteso che non è raro il caso in cui lo stesso, specie se d’ufficio, non riesce neanche ad entrare in contatto con l’indagato o imputato.

Anche al Tribunale di Bari è parso costituzionalmente illegittimo l’art. 552, comma 1, lett. f), c.p.p. alla luce degli artt. 3, 24, comma 2, e 111 della stessa Carta fondamentale del nostro Ordinamento, nella parte in cui non prevede l’avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l’imputato, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova[7]. Ma nella fattispecie, anche alla luce della recente sentenza della Corte di cassazione n. 3864/2016, la Consulta[8] ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale considerato pure che, nel giudizio a quo (e per gli altri?) il Giudice rimettente avrebbe potuto superare il dubbio di costituzionalità sulla base del fatto che il P.M. aveva effettivamente formulato l’avviso nell’atto di cui all’art. 415 bis c.p.p. Il Giudice delle leggi fonda la propria sentenza poi, ancora, sull’omessa descrizione della fattispecie concreta limitatosi il Giudice a quo ad indicare la disposizione che prevede il reato contestato agli imputati, senza neppure precisare se nell’udienza in cui sono state sollevate le questioni di legittimità costituzionale fosse già stata dichiarata l’apertura del dibattimento e fossero dunque spirati i termini per proporre domanda di messa alla prova ovvero se gli stessi avessero manifestato la volontà di far valere tale facoltà.

A parere di chi scrive, auspicando comunque che il P.M. inserisca l’avviso, anche già nel primo atto utile, con quelle poche righe necessarie, potrebbero in futuro aversi decisioni della Corte costituzionale che entrino nel merito delle questioni che sicuramente potrebbero essere sollevate dai Tribunali ovvero contrasti giurisprudenziali.

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Note

[1] C. cost., sentenza n. 201/2016.

[2] C. cost., ordinanza n. 460 del 19 Novembre 2002.

[3] Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 43958 del 12 Maggio 2017 per l’applicabilità della probation in relazione al reato di cui all’art. 624 bis c.p.

[4] In definitiva infatti l’istituto si applica a tutti i reati contravvenzionali e i delitti puniti con la reclusione fino a quattro anni, oltre a quelli che, pur se puniti con pena superiore a tale limite, rientrano nella previsione di cui all’art. 168 bis c.p. e recepiti da questo dall’art. 550 c.p.p. Da questo novero si comprendono ovviamente i procedimenti per art. 624 bis c.p. per i quali deve procedersi, per ormai consolidata giurisprudenza – v. Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 20480 del 9 Maggio 2018 –, con citazione diretta a giudizio anche se, a parere di chi scrive deve tenersi presente che si sacrifica l’udienza preliminare con le sue evidenti caratteristiche di garanzia per l’imputato di un reato comunque punito con una pena superiore nel massimo a quattro anni.

[5] Cass. Pen., Sez. II, Sentenza n. 3864 del 23 Dicembre 2016.

[6] V. art. 141 ter disp. att. c.p.p.

[7]Tribunale di Bari, Ordinanza n. del 3 Aprile 2017.

[8] V. ordinanza n. 71 del 29 Marzo 2019.

Dott. Cavaliere Armando

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