La localizzazione e l’installazione degli impianti di telefonia mobile e il decreto gasparri (nota a t.a.r. marche, 24 ottobre 2002, n. 1270)

Redazione 07/07/03
Scarica PDF Stampa
di Roberto Tiberi.
***
1. Premessa.
Nella sentenza in esame, il T.A.R. Marche ha accolto il ricorso proposto da una società di telecomunicazioni avverso il diniego della concessione edilizia dalla medesima richiesta per l’installazione di una stazione radio base di telefonia cellulare e avverso il regolamento comunale per l’installazione di impianti fissi di telefonia cellulare.
Il T.A.R. Marche ha annullato gli atti impugnati, motivando:
– che il potere regolamentare attribuito ai Comuni dall’art. 8, comma 6 della legge n. 36/2001 non può essere inteso come attribuzione di un autonomo e concorrente potere in materia, ma di una potestà subordinata al rispetto di quanto sarà stabilito dallo Stato e dalle Regioni nell’esercizio dei compiti attribuiti;
– che è esclusa la possibilità per i Comuni di regolamentare la materia avvalendosi della propria competenza in materia di pianificazione urbanistica e di disciplina edilizia del proprio territorio.
La pronuncia offre lo spunto per esaminare il potere regolamentare dei Comuni in materia, anche in riferimento alle recenti disposizioni normative.
2. Il potere regolamentare dei Comuni in materia di installazione di impianti di telefonia mobile dopo l’entrata in vigore della legge n. 36/2001.
In seguito all’entrata in vigore della legge n. 36/2001, in sede di programmazione urbanistica, diversi Comuni hanno regolamentato l’installazione di antenne ed impianti di telefonia cellulare prevedendo nei P.R.G. (Piani Regolatori Generali) espliciti divieti, ad esempio nei centri urbani, negli spazi destinati all’infanzia (asili nido, parchi gioco, scuole, ecc.), nelle strutture sanitarie (ospedali, case di cura e di riposo), prevedendo, altresì, delle distanze cautelative da abitazioni o edifici frequentati da persone.
Altri Comuni, invece, hanno preferito, sempre in sede di programmazione urbanistica, regolamentare la materia,mediante l’individuazione di zone omogenee atte ad allocare detti impianti, vietando conseguentemente la loro localizzazione nelle zone prevalentemente abitate (zone A, B e C).
I Comuni in entrambi i casi non hanno assolutamente previsto parametri e limiti diversi rispetto a quelli disciplinati nel D.M. 381/98 ma, nell’approvare le varianti specifiche ai P.R.G., hanno esclusivamente compiuto (in modo del tutto legittimo) delle scelte urbanistiche per la disciplina del proprio territorio.
Il potere comunale di stabilire, mediante gli strumenti urbanistici, la specifica destinazione d’uso che consente l’installazione degli impianti di telefonia è rinvenibile nella legge urbanistica fondamentale (legge 1150/1942), per la quale il piano regolatore generale deve indicare, oltre alle localizzazioni (art. 7, comma 2, n. 1) “la divisione in zone del territorio comunale” (…) “con la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona” (art. 7, comma 2, n. 2), nonché “le aree da riservare (…) ad opere e impianti di interesse collettivo o sociale” (art. 7, comma 2 n. 4).
Occorre anche rilevare che in tema di scelte urbanistiche l’amministrazione gode di un ampio potere discrezionale, senza obbligo di motivazione specifica (T.A.R. Trentino A.A., sez. Trento, 24/2/98, n. 64; T.A.R. Lombardia, sez.I, Milano, 21/3/1995, n. 384; T.A.R. Friuli V.G., 26/4/95, n. 181).
Il Comune poi è pienamente legittimato, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 22/2/2001 n.36, ad “adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
Il Comune, dunque, nell’ambito delle proprie competenze, può regolamentare la collocazione degli impianti sia sotto il profilo urbanistico – edilizio, sia al fine di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
Anche l’art. 2, comma 1-bis della legge 20/3/2001 n. 66 conferma tale potere, precisando che “restano ferme le competenze attribuite ai comuni medesimi in materia di urbanistica ed edilizia per quanto riguarda l’installazione degli impianti di telefonia mobile anche ai fini della tutela dell’ambiente, del paesaggio nonché della tutela della salute”.
È appena il caso di evidenziare che tutte le decisioni in materia omettono di prendere in considerazione tale importantissima norma che è stata introdotta nel nostro ordinamento proprio per rafforzare il potere regolamentare dei Comuni già previsto dalla legge 36/2001.
Peraltro, non solo l’operato dei Comuni è legittimato dalla normativa nazionale sopra citata, ma è addirittura consentito da alcune normative regionali vigenti in materia.
Ad esempio l’art. 1, comma 1, della L.R. Emilia Romagna n. 30 del 3/11/2000 stabilisce che scopo precipuo della legge è quello di “perseguire in via prioritaria la prevenzione e la tutela sanitaria della popolazione e per la salvaguardia dell’ambiente dall’inquinamento elettromagnetico coordinandole con le scelte della pianificazione territoriale e urbanistica”.
Il successivo comma 3 prevede poi che “le Province e i Comuni nell’esercizio delle loro competenze e della pianificazione territoriale e urbanistica perseguono obiettivi di qualità al fine di minimizzare l’esposizione delle popolazioni ai campi elettromagnetici”.
La L.R. Marche 13/11/2001, n. 25 (Disciplina regionale in materia di impianti fissi di Radiocomunicazione al fine della tutela ambientale e sanitaria della popolazione), all’art. 5, comma 1 prevede che “i Comuni, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, adottano un proprio regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici modificando all’uopo gli strumenti di programmazione urbanistica”.
Il successivo comma 2 demanda, inoltre, ai Comuni la individuazione sul loro territorio dei siti più idonei per la localizzazione di nuovi impianti per la telefonia mobile e per la delocalizzazione di quelli esistenti, adeguando all’uopo gli strumenti urbanistici.
L’art. 7 della predetta normativa regionale definisce al primo ed al secondo comma le zone di divieto per l’installazione degli impianti di radiocomunicazione e di telefonia mobile e al terzo comma dispone che le distanze delle aree e degli edifici di cui ai commi 1 e 2 sono determinate dalla Giunta Regionale con proprio atto entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge.
Seppur con notevole ritardo la Giunta Regionale della Regione Marche con delibera n.410 del 25/03/2003, ha definito dette distanze minime.
Il potere regolamentare dei Comuni in materia di installazione di impianti di telefonia mobile è stato ribadito e rafforzato dall’art. 3, comma 5, dell’allegato A di detta delibera laddove stabilisce che “ciascun Comune, in relazione alla sua estensione territoriale, all’estensione del suo centro abitato, nonché ad altri eventuali elementi di specificità, può determinare ulteriori condizioni o requisiti in merito alla localizzazione dei siti per l’installazione di nuovi impianti di telefonia mobile, anche ai sensi di quando previsto dall’art. 5 della l.r. 25/2001”.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale “la determinazione regolamentare di consentire la localizzazione degli impianti di radiocomunicazione solo in determinate zone omogenee costituisce legittimo esercizio della potestà discrezionale pacificamente riconosciuta alle Amministrazioni comunali in materia di disciplina dell’assetto del territorio” (v. T.A.R. Milano, sez. I, 25/5/2001, nn. 4015 e 4016; T.A.R. Sicilia – Catania, sez. III, ord. 24/10/2001 n. 2007; T.A.R. Puglia-Bari, sez. II, ord. 8/11/2000 n. 1287; T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. I, ord. 21.11.00, n. 3765; T.A.R. Veneto, sez. II, ord. 14/6/2000, n. 1010; T.A.R. Abruzzo-Pescara, 25/5/2001, n. 476).
Ed ancora:” I campi elettromagnetici promanati dalle antenne degli impianti di telefonia mobile si distribuiscono su superfici sempre più ampie, con un’intensità che diminuisce man mano che si propagano, con la conseguenza che legittimamente il Comune impone le c.d. fasce di rispetto in prossimità delle zone densamente abitate” (cfr. T.A.R. Puglia – Lecce, sez. I, 06/03/2002, n. 1027).
Il Consiglio di Stato ha, tuttavia, più volte ribadito che “in tema di impianti di telefonia mobile, l’introduzione, da parte del Comune, di misure tipicamente di governo del territorio (distanze, altezze, localizzazione) trova giustificazione solo se conforme al principio di ragionevolezza e alla natura delle competenze urbanistico – edilizie esercitate e sia sorretta da una sufficiente motivazione sulla base delle risultanze, acquisite con una idonea istruttoria, a dimostrare la ragionevolezza della misura adottata in relazione al fine perseguito” (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 10/02/03, n. 673; Consiglio Stato, sez. VI, 06/08/02, n. 4096; Consiglio Stato, sez. VI, 03/06/02, n. 3098).
I Comuni, pertanto, dovranno cautelativamente far precedere le loro scelte in materia di regolamentazione di impianti di telefonia mobile da idonea istruttoria, anche se, occorre evidenziare, “le scelte urbanistiche sottese all’approvazione degli strumenti urbanistici non necessitano di motivazione puntuale, specie in considerazione di quanti previsto dall’art. 3 legge 7 agosto 1990 n. 241, laddove esclude dall’obbligo generale di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale, nel cui novero rientra appunto il piano regolatore, e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindaco di legittimità” (cfr. T.A.R. Calabria – Catanzaro, 03/09/2001, n. 1255).
E’ pacifico che il P.R.G. possa prevedere delle norme relative alle distanze da osservarsi nelle costruzioni al fine di un miglior assetto dell’agglomerato urbano.
Ne consegue che il P.R.G. obbliga i privati che intendono realizzare nuove costruzioni sul territorio comunale ad osservare nell’attività edificatoria, come nel caso di specie, le linee e le prescrizioni di zona che sono indicate nello stesso (cfr. Cass. Civ., sez. II, 1/8/2001, n. 10471).
si contesta ai Comuni di adottare la variante al P.R.G. al solo fine di tutelare la salute dei cittadini dai campi elettromagnetici e non per perseguire finalità urbanistico-edilizie.
Al riguardo si osserva che l’esigenza della tutela sanitaria dei cittadini può sicuramente giustificare una disposizione di natura urbanistica.
La disciplina del territorio non è in funzione, eminentemente, delle persone?
La giurisprudenza ha inequivocabilmente stabilito che “La funzione urbanistica delle n.t.a. di uno strumento urbanistico non esclude affatto che nelle stesse non possono trovare riscontro esigenze di carattere sanitario o comunque di correttezza dei diversi insediamenti, proprio a ciò essendo rivolta la funzione della zonizzazione: sicchè, se la disciplina delle attività insalubri trova la sua sede nei regolamenti di igiene e nelle altre norme sanitarie, nondimeno le norme urbanistiche ben possono disporre in ordine alla corretta allocazione delle varie attività dell’uomo sul territorio” (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 24/10/1994, n. 825).
I Comuni che regolamentano dal punto di vista urbanistico ed edilizio l’installazione degli impianti in questione non usurpano allo Stato l’esercizio delle funzioni relative alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, ma esercitano esclusivamente il loro incontestabile diritto di disciplinare il proprio territorio.
Riteniamo legittima l’approvazione da parte dei Comuni della variante specifica al P.R.G. per l’individuazione di aree per l’installazione di impianti di telefonia mobile.
Del pari legittima è l’imposizione dei limiti di distanza degli impianti stessi da edifici, scuole, ospedali, ecc..
3. Il potere regolamentare dei Comuni in materia di installazione di impianti di telefonia mobile dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 04/09/2002, n. 198.
Successivamente alla legge n. 36/2001 è entrato in vigore il D. Lgs. 04/09/2002, n. 198, c.d. decreto Gasparri, il quale ha cambiato completamente “le regole del gioco”, rendendo oltremodo difficoltosa la gestione del problema inquinamento elettromagnetico da parte dei Comuni.
Il decreto Gasparri, stabilisce all’art.3, comma 1, che le infrastrutture di telecomunicazioni considerate strategiche ai sensi della legge n.443 del 21/12/2001 (c.d. legge obiettivo), sono opere di interesse nazionale, realizzabili solo con le procedure dettate dal decreto, in deroga all’art.8 della legge n.36/2001, che invece attribuisce alle regioni la competenza sulle modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti per telecomunicazioni.
Il comma 2 dell’art.3 prevede poi che le infrastrutture per telecomunicazioni, ad esclusione delle torri e dei tralicci relativi alle reti di televisione digitale terrestre, sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento.
Appare fin troppo evidente che tale disposizione normativa costituisce una deroga all’art.8 della legge n.36/2001 (legge quadro) e di fatto lo abroga nella parte in cui demanda:
– alle Regioni l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione (art.8, comma 1, lett.a) nonché la definizione delle procedure per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione dei predetti impianti (art.8, comma 1, lett.c) e l’individuazione degli strumenti e delle azioni per il raggiungimento degli obiettivi di qualità (art.8, comma1, lett.e);
– ai Comuni il potere di adottare regolamenti per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici (art.8, comma6).
Ma può considerarsi operativo il decreto Gasparri?
I principi ed i criteri direttivi della legge n. 443/2001 (c.d. legge obiettivo) non si riferiscono ad intere categorie o tipologie di infrastrutture, ma a progetti di singole “grandi opere” e comunque a specifiche infrastrutture che debbano essere puntualmente e concretamente individuate nel programma annuale.
Si tratta delle così dette grandi opere quali: valichi, ponte sullo stretto di Messina, cioè di opere chiaramente individuate.
Il fatto che nel caso di specie siamo in presenza di una tecnologia che per sua natura richiede “una rete di infrastrutture” non significa certo che la legge obiettivo abbia autorizzato l’individuazione, quali infrastrutture strategiche, di un intero comparto industriale.
Pertanto l’installazione di una pluralità di antenne, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori, ecc., ed a maggior ragione la modifica degli impianti esistenti non rientrano fra le grandi opere di “preminente interesse nazionale”.
Si tratta invece di una miriade di piccole opere, la cui natura non muta per il fatto che l’art. 3, comma 1 del D. Lgs. n. 198/02 le qualifica come opere di interesse nazionale.
Il Governo ha dunque utilizzato impropriamente e strumentalmente la delega di cui all’art. 1 della legge obiettivo, espandendo il concetto di infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale al di fuori dell’ambito definito dalla legge di delega.
Certo è che tale conclusione non può essere messa in discussione dal fatto che l’allegato 5 della delibera CIPE n. 121/01 contempli interventi nel comparto delle telecomunicazioni, atteso che detto allegato prevede solo investimenti finanziari per la realizzazione di reti.
Ma vi è di più!
Nello stesso allegato 5 della delibera CIPE n. 121/01, alla nota (1) apposta a fianco dei flussi di investimenti per reti a banda larga, per reti per terminali UMTS o GSM, per reti per televisione digitale terrestre e per infrastrutture per telecomunicazioni, e riportata in calice alla tabella, si precisa testualmente: “La distinta delle opere verrà effettuata con successiva delibera”.
Pertanto appare evidente che viene rinviata espressamente ed inequivocabilmente ed una ulteriore futura delibera CIPE l’individuazione delle diverse infrastrutture ritenute strategiche nel settore delle telecomunicazioni.
Nessuna delibera del CIPE risulta essere stata adottata e, comunque, nelle premesse del decreto legislativo Gasparri non viene menzionata altra delibera CIPE oltre alla predetta n. 121/2001.
Conseguentemente non è affatto errato concludere che a tutt’oggi il decreto Gasparri non può considerarsi operativo, per cui deve ritenersi applicabile in ogni caso la legge quadro n. 36/2002, le leggi regionali ed i regolamenti comunali per il corretto insediamento urbanistico degli impianti e per la minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
A prescindere dell’operatività o meno del decreto legislativo n. 198/2002, certo è che le norme in esso contenute violano palesemente gli artt. 32, 76, 117 e 118 della Costituzione.
Al riguardo diverse Regioni (Marche, Umbria, Emilia Romagna, Toscana, Campania, Basilicata e Lombardia) hanno presentato ricorso davanti alla Corte costituzionale.
Innanzitutto vi è palese violazione dell’art.76 della Costituzione per eccesso di delega legislativa.
Infatti la legge delega n.443/2001 (c.d. legge obiettivo) non contiene principi e criteri direttivi al Governo per l’emanazione di una normativa specifica relativa alle infrastrutture di telecomunicazioni.
Pertanto il decreto contiene norme che eccedono dall’ambito di applicazione della legge delega, violando norme (quali quelle contenute nella legge n.36/2001) che non sarebbero dovuto essere oggetto di intervento in base alla delega conferita.
Il decreto Gasparri presenta altresì vizi di illegittimità costituzionale che configurano la lesione delle competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni.
La disciplina in esame è soggetta alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni, ai sensi dell’art.117, comma 3 della Costituzione, e più precisamente alle materie “ordinamento della comunicazione”, “governo del territorio” e “tutela della salute”.
Nelle materie di legislazione concorrente alle regioni spetta la potestà legislativa, salvo che per la delimitazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Appare evidente che la disciplina del decreto Gasparri si pone chiaramente in contrasto con il ruolo riservato allo Stato nella legislazione concorrente di emanare leggi cornice, dette anche leggi quadro, che specificamente indicano i principi e gli indirizzi a cui le leggi regionali devono conformarsi.
Il decreto legislativo, infatti, pur affermando, nel primo periodo dell’art.1, di voler dettare “principi fondamentali in materia di installazione e modifica delle categorie di infrastrutture di telecomunicazioni”, prevede un’esplicita deroga ai normali procedimenti e competenze nella decisione sulla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni e contiene una minuziosa disciplina della procedura per l’installazione degli impianti (al decreto sono addirittura allegati i fac simile delle domande di istruttoria).
Certo è che i principi fondamentali stabiliti dalle leggi – quadro nazionali debbono aver un “livello di maggior astrattezza” rispetto alle regole positivamente stabilite dal legislatore regionale (v. Corte Cost. n. 65/2001) e debbono comunque lasciare ampi spazi discrezionali alle regioni nelle materie affidate costituzionalmente alla loro competenza concorrente.
Il decreto in esame appare pertanto in evidente contrasto con la potestà regolamentare urbanistica dei Comuni.
Al riguardo si evidenzia che dal combinato disposto degli artt. 7 e 42 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), si evince che i regolamenti sono gli atti fondamentali dell’Amministrazione comunale e i Comuni possono adottarli nelle materie di propria competenza e nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo Statuto.
Particolarmente significativo è altresì il contrasto delle norme in esame con l’art. 118 della Costituzione, il quale stabilisce al comma 2 che “i Comuni, le Provincie e le città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con la legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
Infine si evidenzia che l’art. 12, comma 4 del D. Lgs. n. 198/2002, il quale abroga espressamente l’art. 2 bis della legge 1 luglio 1997, n. 189, ovvero l’obbligo di assoggettare i progetti di infrastrutture che generano campi elettromagnetici alla preventiva valutazione di impatto ambientale, costituisce un ulteriore interferenza alla competenza degli enti locali e viola palesemente l’art. 32 della Costituzione.
Il decreto Gasparri vanifica completamente le leggi in materia emanate dalle Regioni e i regolamenti che nel frattempo i Comuni hanno approvato.
La Regione Emilia Romagna con la recentissima legge n. 30 del 25/11/2002, al fine di proteggere la salute dei cittadini, assicurare la salvaguardia del territorio e concorrere alla tutela dell’ambiente, ha stabilito che per la localizzazione e realizzazione delle infrastrutture definite strategiche dal D. Lgs. 04/09/2002 n. 198, “continuano a trovare applicazione le disposizioni regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica e in materia di trasformazione edilizia”.
Pertanto in Emilia Romagna continuano ad essere applicati sia la legge regionale che i regolamenti comunali disciplinanti l’installazione e la localizzazione di impianti per la radiodiffusione e la telefonia mobile.
Anche nella Regione Marche, al fine di contrastare le disposizioni del decreto Gasparri, è in corso di approvazione una legge che ribadisce la validità delle proprie leggi in materia di campi elettromagnetici, di pianificazione territoriale ed urbanistica e di trasformazione edilizia.
4. Conclusioni
Il problema dell’inquinamento elettromagnetico sta suscitando crescente preoccupazione tra i cittadini, poiché studi epidemiologici indicano una correlazione tra l’esposizione prolungata a campi elettromagnetici e l’insorgenza di tumori, malattie neurodegenerative ed alterazioni di tipo neurologico e comportamentale.
Non bisogna dimenticare che l’art. 41 della Costituzione, pur riconoscendo che l’iniziativa economica privata è libera, al comma 2 precisa che essa non può svolgersi in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana. Da ciò deriva che la tutela della salute, valore essenziale ed assolutamente primario, si colloca in una posizione preminente rispetto alla libertà di iniziativa economica privata, che pure è libertà garantita dalla Costituzione.
E’ chiaro infatti che il conflitto tra più interessi previsti di una garanzia costituzionale si deve risolvere sulla base di una graduatoria che assegna ai valori della persona un rilievo maggiore e preminente rispetto a tutti gli altri.
Pertanto nel conflitto tra l’art. 32 (tutela della salute) e l’art. 41 (tutela dell’iniziativa economica), il bene afferente alla salute, come diritto fondamentale della persona, va considerato e posto al vertice della gerarchia degli interessi (T.A.R. Lazio, sez. II, 19/9/1992, n. 1852).
La giurisprudenza al riguardo ha affermato che “il diritto alla salute è costituzionalmente fondamentale e deve essere inteso nella sua accezione più ampia, comprensiva anche della salubrità ambientale e della qualità della vita, sicchè il conflitto tra interessi economici e industriali e l’interesse alla salubrità dell’ambiente non può che essere risolto in favore di quest’ultimo” (Cass. Pen., sez. III, 14/4/1991, Cornale ed altro, in “Nuova giu. Civ. commentata”, 1991, I, 785).
E’ stato correttamente osservato che “le esigenze produttive non possono mai funzionare come limite al diritto alla salute, ma anzi al contrario è quest’ultimo che deve potersi esplicare in tutta la sua compiutezza fino al sacrificio delle esigenze della produzione (Smuraglia C., voce Salute, III) Tutela della salute – dir. lav., in Enc. giur., vol. XXVII, Roma 1991, p. 2).
È evidente che di fronte ai più gravi rischi di inquinamento, incidenti, come nel caso di specie, sul primario bene della salute e della vita dei cittadini, non appare assolutamente possibile immaginare una recessione dell’interesse ambientale rispetto ad interessi economici imprenditoriali delle società che operano nel settore della telefonia mobile.
Certo è che il decreto Gasparri ha contribuito ad aggravare la situazione già incerta e conflittuale e ha dato via libera ai gestori all’installazione dei propri impianti in deroga agli strumenti urbanistici, alle leggi regionali ed ai regolamenti comunali.
Ci auguriamo che la Corte Costituzionale in tempi rapidi ripristini i poteri di Comuni e Regioni in materia.
In conclusione è auspicabile che l’inquietudine che oggi pervade tutti gli strati dell’opinione pubblica di fronte ai pericoli dell’inquinamento elettromagnetico trovi il suo naturale sbocco in un’organica ed adeguata legislazione tesa a considerare in termini non esclusivamente di profitto i rapporti tra sviluppo tecnologico e salute pubblica, nonché ed attribuire all’integrità dell’ambiente ed al diritto alla salute dei cittadini un valore superiore a quello fino ad oggi riservato.
Infatti in materia di ambiente e di salute pubblica, bisogna intervenire prima che la scienza dimostri con certezza gli effetti nocivi provocati dall’inquinamento elettromagnetico, affinchè non si ripeta il ritardo nella scoperta degli effetti dannosi alla salute così come è accaduto per l’amianto ed il benzene.

ROBERTO TIBERI
Avvocato in Ancona

T.A.R. MARCHE, 24 ottobre 2002, n. 1270 – Pres. GIAMBARTOLOMEI, Est. MANZI – Soc. V.O. (avv. Pesarini e Brizzolari) c/Comune di Recanati (n.c.).

Leggi e decreti- regolamenti- in materia di telefonia mobile (Localizzazione e distanze) – art.8,co.6, della l. n.36 del 2001- regolamento comunale–potestà autonoma e concorrente a quella statale e regionale – esclusione.

Il potere regolamentare attribuito ai Comuni dall’art. 8, comma 6 della legge 22 febbraio 2001 n. 36 in materia di installazione di impianti per telefonia mobile deve essere inteso non come attribuzione di un potere autonomo e concorrente a quello statale e regionale, ma di una potestà subordinata al rispetto di quanto sarà stabilito dallo Stato e dalle regioni nell’esercizio dei compiti attribuiti.

LA LOCALIZZAZIONE E L’INSTALLAZIONE DEGLI IMPIANTI DI TELEFONIA MOBILE E IL DECRETO GASPARRI
3. Premessa.
Nella sentenza in esame, il T.A.R. Marche ha accolto il ricorso proposto da una società di telecomunicazioni avverso il diniego della concessione edilizia dalla medesima richiesta per l’installazione di una stazione radio base di telefonia cellulare e avverso il regolamento comunale per l’installazione di impianti fissi di telefonia cellulare.
Per quanto qui interessa, la società ricorrente ha dedotto:
– che il Comune con l’adozione dell’atto regolamentare impugnato ha esercitato un potere riservato allo Stato, dal momento che la definizione dei tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana compete al Ministero dell’Ambiente d’intesa con altri Ministeri;
– che, in ogni caso, i limiti introdotti dalle norme regolamentari in materia di distanze dagli edifici degli impianti di telefonia cellulare e di divieti di loro localizzazione su determinati edifici e nelle zone di rispetto degli stessi, risultano elusivi delle norme statali di riferimento che non pongono affatto simili preclusioni, essendo limitata la competenza del Comune al riguardo al solo rilascio dell’autorizzazione edificatoria per l’installazione dei singoli impianti di trasmissione e di ricezione di telefonia cellulare.
Il T.A.R. Marche ha annullato gli atti impugnati, motivando:
– che il potere regolamentare attribuito ai Comuni dall’art. 8, comma 6 della legge n. 36/2001 non può essere inteso come attribuzione di un autonomo e concorrente potere in materia, ma di una potestà subordinata al rispetto di quanto sarà stabilito dallo Stato e dalle Regioni nell’esercizio dei compiti attribuiti;
– che è esclusa la possibilità per i Comuni di regolamentare la materia avvalendosi della propria competenza in materia di pianificazione urbanistica e di disciplina edilizia del proprio territorio.
Dette autorevoli proposizioni non appaiono condivisibili, atteso che è legittimo l’utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica per regolamentare l’installazione di impianti di telefonia mobile.
La pronuncia in esame, ci offre pertanto lo spunto per esaminare il potere regolamentare dei Comuni in materia, anche in riferimento alle recenti disposizioni normative.
4. Il potere regolamentare dei Comuni in materia di installazione di impianti di telefonia mobile dopo l’entrata in vigore della legge n. 36/2001.
In seguito all’entrata in vigore della legge n. 36/2001, diversi Comuni, in sede di programmazione urbanistica, hanno regolamentato l’installazione di antenne ed impianti di telefonia cellulare prevedendo nei P.R.G. (Piani Regolatori Generali) espliciti divieti, come ad esempio nei centri urbani, negli spazi destinati all’infanzia (asili nido, parchi gioco, scuole, ecc.) e nelle strutture sanitarie (ospedali, case di cura e di riposo) e prevedendo altresì delle distanze cautelative da abitazioni o edifici frequentati da persone.
Altri Comuni hanno preferito invece regolamentare la materia, sempre in sede di programmazione urbanistica, mediante l’individuazione di zone omogenee atte ad allocare detti impianti, vietando conseguentemente la localizzazione di detti impianti nelle zone prevalentemente abitate (zone A, B e C).
Occorre innanzitutto precisare che i Comuni in entrambi i casi non hanno assolutamente previsto parametri e limiti diversi rispetto a quelli disciplinati nel D.M. 381/98, poiché, nell’approvare le varianti specifiche ai P.R.G., hanno esclusivamente compiuto in modo del tutto legittimo delle scelte urbanistiche per la disciplina del proprio territorio.
Per quanto concerne il potere comunale di stabilire, mediante gli strumenti urbanistici, la specifica destinazione d’uso che consente l’installazione di tali impianti, si evidenzia che la legge urbanistica fondamentale (legge 1150/1942), nel delineare in contenuti necessari del piano regolatore generale stabilisce che esso deve indicare, oltre alle localizzazioni (art. 7, comma 2, n. 1) “la divisione in zone del territorio comunale” (…) “con la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona” (art. 7, comma 2, n. 2), nonché “le aree da riservare (…) ad opere e impianti di interesse collettivo o sociale” (art. 7, comma 2 n. 4).
In questa prospettiva, occorre rilevare che in tema di scelte urbanistiche l’amministrazione gode di un ampio potere discrezionale, senza obbligo di motivazione specifica (T.A.R. Trentino A.A., sez. Trento, 24/2/98, n. 64; T.A.R. Lombardia, sez.I, Milano, 21/3/1995, n. 384; T.A.R. Friuli V.G., 26/4/95, n. 181).
Il Comune è pienamente legittimato, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 22/2/2001 n. 36 ad “adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
Pertanto i Comuni, nell’ambito delle proprie competenze, possono regolamentare la collocazione degli impianti sia sotto il profilo urbanistico – edilizio, sia al fine di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
Anche l’art. 2, comma 1-bis della legge 20/3/2001 n. 66 conferma tale potere precisando che “restano ferme le competenze attribuite ai comuni medesimi in materia di urbanistica ed edilizia per quanto riguarda l’installazione degli impianti di telefonia mobile anche ai fini della tutela dell’ambiente, del paesaggio nonché della tutela della salute”.
È appena il caso di evidenziare che tutte le decisioni in materia omettono di prendere in considerazione tale importantissima norma che è stata introdotta nel nostro ordinamento proprio per rafforzare il potere regolamentare dei Comuni già previsto dalla legge 36/2001.
Peraltro non solo l’operato dei Comuni è legittimato dalla normativa nazionale sopra citata, ma è addirittura consentito da alcune normative regionali vigenti in materia.
Ad esempio l’art. 1, comma 1, della L.R. Emilia Romagna n. 30 del 3/11/2000 stabilisce che scopo precipuo della legge è quello di “perseguire in via prioritaria la prevenzione e la tutela sanitaria della popolazione e per la salvaguardia dell’ambiente dall’inquinamento elettromagnetico coordinandole con le scelte della pianificazione territoriale e urbanistica”.
Il successivo comma 3 prevede poi che “le Province e i Comuni nell’esercizio delle loro competenze e della pianificazione territoriale e urbanistica perseguono obiettivi di qualità al fine di minimizzare l’esposizione delle popolazioni ai campi elettromagnetici”.
Si segnala altresì la L.R. Marche 13/11/2001, n. 25 (Disciplina regionale in materia di impianti fissi di Radiocomunicazione al fine della tutela ambientale e sanitaria della popolazione), ove all’art. 5, comma 1 prevede che “i Comuni, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, adottano un proprio regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici modificando all’uopo gli strumenti di programmazione urbanistica”.
Il successivo comma 2 prevede inoltre la possibilità per i Comuni di individuare sul proprio territorio i siti più idonei per la localizzazione di nuovi impianti per la telefonia mobile e per la delocalizzazione di quelli esistenti adeguando all’uopo gli strumenti urbanistici.
L’art. 7 della predetta normativa regionale definisce al primo ed al secondo comma le zone di divieto per l’installazione degli impianti di radiocomunicazione e di telefonia mobile e al terzo comma dispone che le distanze delle aree e degli edifici di cui ai commi 1 e 2 sono determinate dalla Giunta Regionale con proprio atto entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge.
Seppur con notevole ritardo la Giunta Regionale della Regione Marche con delibera n.410 del 25/03/2003, ha definito dette distanze minime.
Il potere regolamentare dei Comuni in materia di installazione di impianti di telefonia mobile è stato ribadito e rafforzato dall’art. 3, comma 5, dell’allegato A di detta delibera laddove stabilisce che “ciascun Comune, in relazione alla sua estensione territoriale, all’estensione del suo centro abitato, nonché ad altri eventuali elementi di specificità, può determinare ulteriori condizioni o requisiti in merito alla localizzazione dei siti per l’installazione di nuovi impianti di telefonia mobile, anche ai sensi di quando previsto dall’art. 5 della l.r. 25/2001”.
La giurisprudenza ha stabilito che “la determinazione regolamentare di consentire la localizzazione degli impianti di radiocomunicazione solo in determinate zone omogenee costituisce legittimo esercizio della potestà discrezionale pacificamente riconosciuta alle Amministrazioni comunali in materia di disciplina dell’assetto del territorio” (v. T.A.R. Milano, sez. I, 25/5/2001, nn. 4015 e 4016; T.A.R. Sicilia – Catania, sez. III, ord. 24/10/2001 n. 2007; T.A.R. Puglia-Bari, sez. II, ord. 8/11/2000 n. 1287; T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. I, ord. 21.11.00, n. 3765; T.A.R. Veneto, sez. II, ord. 14/6/2000, n. 1010; T.A.R. Abruzzo-Pescara, 25/5/2001, n. 476).
Ed ancora:” I campi elettromagnetici promanati dalle antenne degli impianti di telefonia mobile si distribuiscono su superfici sempre più ampie, con un’intensità che diminuisce man mano che si propagano, con la conseguenza che legittimamente il Comune impone le c.d. fasce di rispetto in prossimità delle zone densamente abitate” (cfr. T.A.R. Puglia – Lecce, sez. I, 06/03/2002, n. 1027).
Il Consiglio di Stato ha tuttavia più volte precisato che “in tema di impianti di telefonia mobile, l’introduzione, da parte del Comune, di misure tipicamente di governo del territorio (distanze, altezze, localizzazione) trova giustificazione solo se conforme al principio di ragionevolezza e alla natura delle competenze urbanistico – edilizie esercitate e sia sorretta da una sufficiente motivazione sulla base delle risultanze, acquisite con una idonea istruttoria, a dimostrare la ragionevolezza della misura adottata in relazione al fine perseguito” (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 10/02/03, n. 673; Consiglio Stato, sez. VI, 06/08/02, n. 4096; Consiglio Stato, sez. VI, 03/06/02, n. 3098).
Pertanto i Comuni dovranno cautelativamente far precedere le loro scelte in materia di regolamentazione di impianti di telefonia mobile da idonea istruttoria, anche se, occorre evidenziare, “le scelte urbanistiche sottese all’approvazione degli strumenti urbanistici non necessitano di motivazione puntuale, specie in considerazione di quanti previsto dall’art. 3 legge 7 agosto 1990 n. 241, laddove esclude dall’obbligo generale di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale, nel cui novero rientra appunto il piano regolatore, e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindaco di legittimità” (cfr. T.A.R. Calabria – Catanzaro, 03/09/2001, n. 1255).
Pertanto è legittima l’approvazione da parte dei Comuni della variante specifica al P.R.G. per l’individuazione di aree per l’installazione di impianti di telefonia mobile.
Del pari legittima è l’imposizione dei limiti di distanza degli impianti stessi da edifici, scuole, ospedali, ecc..
E’ pacifico che il P.R.G. possa prevedere delle norme relative alle distanze da osservarsi nelle costruzioni al fine di un miglior assetto dell’agglomerato urbano.
Ne consegue che il P.R.G. obbliga i privati che intendono realizzare nuove costruzioni sul territorio comunale ad osservare nell’attività edificatoria, come nel caso di specie, le linee e le prescrizioni di zona che sono indicate nello stesso (cfr. Cass. Civ., sez. II, 1/8/2001, n. 10471).
Spesso si contesta che i Comuni adottano la variante al P.R.G. al solo fine di tutelare la salute dei cittadini dai campi elettromagnetici.
Al riguardo si osserva che l’esigenza della tutela sanitaria dei cittadini può sicuramente giustificare una disposizione di natura urbanistica.
La disciplina del territorio non è in funzione, eminentemente, delle persone?
La giurisprudenza ha inequivocabilmente stabilito che “La funzione urbanistica delle n.t.a. di uno strumento urbanistico non esclude affatto che nelle stesse non possono trovare riscontro esigenze di carattere sanitario o comunque di correttezza dei diversi insediamenti, proprio a ciò essendo rivolta la funzione della zonizzazione: sicchè, se la disciplina delle attività insalubri trova la sua sede nei regolamenti di igiene e nelle altre norme sanitarie, nondimeno le norme urbanistiche ben possono disporre in ordine alla corretta allocazione delle varie attività dell’uomo sul territorio” (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 24/10/1994, n. 825).
E’ evidente, pertanto, che i Comuni che regolamentano dal punto di vista urbanistico ed edilizio l’installazione degli impianti in questione non usurpano allo Stato l’esercizio delle funzioni relative alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, ma esercitano esclusivamente il loro incontestabile diritto di disciplinare il proprio territorio.
3. Il potere regolamentare dei Comuni in materia di installazione di impianti di telefonia mobile dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 04/09/2002, n. 198.
Successivamente alla legge n. 36/2001 è entrato in vigore il D. Lgs. 04/09/2002, n. 198, c.d. decreto Gasparri, il quale ha cambiato completamente “le regole del gioco”, rendendo oltremodo difficoltosa la gestione del problema inquinamento elettromagnetico da parte dei Comuni.
Il decreto Gasparri, stabilisce all’art.3, comma 1, che le infrastrutture di telecomunicazioni considerate strategiche ai sensi della legge n.443 del 21/12/2001 (c.d. legge obiettivo), sono opere di interesse nazionale, realizzabili solo con le procedure dettate dal decreto, in deroga all’art.8 della legge n.36/2001, che invece attribuisce alle regioni la competenza sulle modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti per telecomunicazioni.
Il comma 2 dell’art.3 prevede poi che le infrastrutture per telecomunicazioni, ad esclusione delle torri e dei tralicci relativi alle reti di televisione digitale terrestre, sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento.
Appare fin troppo evidente che tale disposizione normativa costituisce una deroga all’art.8 della legge n.36/2001 (legge quadro) e di fatto lo abroga nella parte in cui demanda:
– alle Regioni l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione (art.8, comma 1, lett.a) nonché la definizione delle procedure per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione dei predetti impianti (art.8, comma 1, lett.c) e l’individuazione degli strumenti e delle azioni per il raggiungimento degli obiettivi di qualità (art.8, comma1, lett.e);
– ai Comuni il potere di adottare regolamenti per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici (art.8, comma6).
Ma può considerarsi operativo il decreto Gasparri?
I principi ed i criteri direttivi della legge n. 443/2001 (c.d. legge obiettivo) non si riferiscono ad intere categorie o tipologie di infrastrutture, ma a progetti di singole “grandi opere” e comunque a specifiche infrastrutture che debbano essere puntualmente e concretamente individuate nel programma annuale.
Si tratta delle così dette grandi opere quali: valichi, ponte sullo stretto di Messina, cioè di opere chiaramente individuate.
Il fatto che nel caso di specie siamo in presenza di una tecnologia che per sua natura richiede “una rete di infrastrutture” non significa certo che la legge obiettivo abbia autorizzato l’individuazione, quali infrastrutture strategiche, di un intero comparto industriale.
Pertanto l’installazione di una pluralità di antenne, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori, ecc., ed a maggior ragione la modifica degli impianti esistenti non rientrano fra le grandi opere di “preminente interesse nazionale”.
Si tratta invece di una miriade di piccole opere, la cui natura non muta per il fatto che l’art. 3, comma 1 del D. Lgs. n. 198/02 le qualifica come opere di interesse nazionale.
Il Governo ha dunque utilizzato impropriamente e strumentalmente la delega di cui all’art. 1 della legge obiettivo, espandendo il concetto di infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale al di fuori dell’ambito definito dalla legge di delega.
Certo è che tale conclusione non può essere messa in discussione dal fatto che l’allegato 5 della delibera CIPE n. 121/01 contempli interventi nel comparto delle telecomunicazioni, atteso che detto allegato prevede solo investimenti finanziari per la realizzazione di reti.
Ma vi è di più!
Nello stesso allegato 5 della delibera CIPE n. 121/01, alla nota (1) apposta a fianco dei flussi di investimenti per reti a banda larga, per reti per terminali UMTS o GSM, per reti per televisione digitale terrestre e per infrastrutture per telecomunicazioni, e riportata in calice alla tabella, si precisa testualmente: “La distinta delle opere verrà effettuata con successiva delibera”.
Pertanto appare evidente che viene rinviata espressamente ed inequivocabilmente ed una ulteriore futura delibera CIPE l’individuazione delle diverse infrastrutture ritenute strategiche nel settore delle telecomunicazioni.
Nessuna delibera del CIPE risulta essere stata adottata e, comunque, nelle premesse del decreto legislativo Gasparri non viene menzionata altra delibera CIPE oltre alla predetta n. 121/2001.
Conseguentemente non è affatto errato concludere che a tutt’oggi il decreto Gasparri non può considerarsi operativo, per cui deve ritenersi applicabile in ogni caso la legge quadro n. 36/2002, le leggi regionali ed i regolamenti comunali per il corretto insediamento urbanistico degli impianti e per la minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
A prescindere dell’operatività o meno del decreto legislativo n. 198/2002, certo è che le norme in esso contenute violano palesemente gli artt. 32, 76, 117 e 118 della Costituzione.
Al riguardo diverse Regioni (Marche, Umbria, Emilia Romagna, Toscana, Campania, Basilicata e Lombardia) hanno presentato ricorso davanti alla Corte costituzionale.
Innanzitutto vi è palese violazione dell’art.76 della Costituzione per eccesso di delega legislativa.
Infatti la legge delega n.443/2001 (c.d. legge obiettivo) non contiene principi e criteri direttivi al Governo per l’emanazione di una normativa specifica relativa alle infrastrutture di telecomunicazioni.
Pertanto il decreto contiene norme che eccedono dall’ambito di applicazione della legge delega, violando norme (quali quelle contenute nella legge n.36/2001) che non sarebbero dovuto essere oggetto di intervento in base alla delega conferita.
Il decreto Gasparri presenta altresì vizi di illegittimità costituzionale che configurano la lesione delle competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni.
La disciplina in esame è soggetta alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni, ai sensi dell’art.117, comma 3 della Costituzione, e più precisamente alle materie “ordinamento della comunicazione”, “governo del territorio” e “tutela della salute”.
Nelle materie di legislazione concorrente alle regioni spetta la potestà legislativa, salvo che per la delimitazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Appare evidente che la disciplina del decreto Gasparri si pone chiaramente in contrasto con il ruolo riservato allo Stato nella legislazione concorrente di emanare leggi cornice, dette anche leggi quadro, che specificamente indicano i principi e gli indirizzi a cui le leggi regionali devono conformarsi.
Il decreto legislativo, infatti, pur affermando, nel primo periodo dell’art.1, di voler dettare “principi fondamentali in materia di installazione e modifica delle categorie di infrastrutture di telecomunicazioni”, prevede un’esplicita deroga ai normali procedimenti e competenze nella decisione sulla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni e contiene una minuziosa disciplina della procedura per l’installazione degli impianti (al decreto sono addirittura allegati i fac simile delle domande di istruttoria).
Certo è che i principi fondamentali stabiliti dalle leggi – quadro nazionali debbono aver un “livello di maggior astrattezza” rispetto alle regole positivamente stabilite dal legislatore regionale (v. Corte Cost. n. 65/2001) e debbono comunque lasciare ampi spazi discrezionali alle regioni nelle materie affidate costituzionalmente alla loro competenza concorrente.
Il decreto in esame appare pertanto in evidente contrasto con la potestà regolamentare urbanistica dei Comuni.
Al riguardo si evidenzia che dal combinato disposto degli artt. 7 e 42 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), si evince che i regolamenti sono gli atti fondamentali dell’Amministrazione comunale e i Comuni possono adottarli nelle materie di propria competenza e nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo Statuto.
Particolarmente significativo è altresì il contrasto delle norme in esame con l’art. 118 della Costituzione, il quale stabilisce al comma 2 che “i Comuni, le Provincie e le città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con la legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
Infine si evidenzia che l’art. 12, comma 4 del D. Lgs. n. 198/2002, il quale abroga espressamente l’art. 2 bis della legge 1 luglio 1997, n. 189, ovvero l’obbligo di assoggettare i progetti di infrastrutture che generano campi elettromagnetici alla preventiva valutazione di impatto ambientale, costituisce un ulteriore interferenza alla competenza degli enti locali e viola palesemente l’art. 32 della Costituzione.
Il decreto Gasparri vanifica completamente le leggi in materia emanate dalle Regioni e i regolamenti che nel frattempo i Comuni hanno approvato.
La Regione Emilia Romagna con la recentissima legge n. 30 del 25/11/2002, al fine di proteggere la salute dei cittadini, assicurare la salvaguardia del territorio e concorrere alla tutela dell’ambiente, ha stabilito che per la localizzazione e realizzazione delle infrastrutture definite strategiche dal D. Lgs. 04/09/2002 n. 198, “continuano a trovare applicazione le disposizioni regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica e in materia di trasformazione edilizia”.
Pertanto in Emilia Romagna continuano ad essere applicati sia la legge regionale che i regolamenti comunali disciplinanti l’installazione e la localizzazione di impianti per la radiodiffusione e la telefonia mobile.
Anche nella Regione Marche, al fine di contrastare le disposizioni del decreto Gasparri, è in corso di approvazione una legge che ribadisce la validità delle proprie leggi in materia di campi elettromagnetici, di pianificazione territoriale ed urbanistica e di trasformazione edilizia.
4. Conclusioni
Il problema dell’inquinamento elettromagnetico sta suscitando crescente preoccupazione tra i cittadini, poiché
studi epidemiologici indicano una correlazione tra l’esposizione prolungata a campi elettromagnetici e l’insorgenza di tumori, malattie neurodegenerative ed alterazioni di tipo neurologico e comportamentale.
Non bisogna dimenticare che l’art. 41 della Costituzione, pur riconoscendo che l’iniziativa economica privata è libera, al comma 2 precisa che essa non può svolgersi in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana. Da ciò deriva che la tutela della salute, valore essenziale ed assolutamente primario, si colloca in una posizione preminente rispetto alla libertà di iniziativa economica privata, che pure è libertà garantita dalla Costituzione.
E’ chiaro infatti che il conflitto tra più interessi previsti di una garanzia costituzionale si deve risolvere sulla base di una graduatoria che assegna ai valori della persona un rilievo maggiore e preminente rispetto a tutti gli altri.
Pertanto nel conflitto tra l’art. 32 (tutela della salute) e l’art. 41 (tutela dell’iniziativa economica), il bene afferente alla salute, come diritto fondamentale della persona, va considerato e posto al vertice della gerarchia degli interessi (T.A.R. Lazio, sez. II, 19/9/1992, n. 1852).
La giurisprudenza al riguardo ha affermato che “il diritto alla salute è costituzionalmente fondamentale e deve essere inteso nella sua accezione più ampia, comprensiva anche della salubrità ambientale e della qualità della vita, sicchè il conflitto tra interessi economici e industriali e l’interesse alla salubrità dell’ambiente non può che essere risolto in favore di quest’ultimo” (Cass. Pen., sez. III, 14/4/1991, Cornale ed altro, in “Nuova giu. Civ. commentata”, 1991, I, 785).
E’ stato correttamente osservato che “le esigenze produttive non possono mai funzionare come limite al diritto alla salute, ma anzi al contrario è quest’ultimo che deve potersi esplicare in tutta la sua compiutezza fino al sacrificio delle esigenze della produzione (Smuraglia C., voce Salute, III) Tutela della salute – dir. lav., in Enc. giur., vol. XXVII, Roma 1991, p. 2).
È evidente che di fronte ai più gravi rischi di inquinamento, incidenti, come nel caso di specie, sul primario bene della salute e della vita dei cittadini, non appare assolutamente possibile immaginare una recessione dell’interesse ambientale rispetto ad interessi economici imprenditoriali delle società che operano nel settore della telefonia mobile.
Certo è che il decreto Gasparri ha contribuito ad aggravare la situazione già incerta e conflittuale e ha dato via libera ai gestori all’installazione dei propri impianti in deroga agli strumenti urbanistici, alle leggi regionali ed ai regolamenti comunali.
Ci auguriamo che la Corte Costituzionale in tempi rapidi ripristini i poteri di Comuni e Regioni in materia.
In conclusione è auspicabile che l’inquietudine che oggi pervade tutti gli strati dell’opinione pubblica di fronte ai pericoli dell’inquinamento elettromagnetico trovi il suo naturale sbocco in un’organica ed adeguata legislazione tesa a considerare in termini non esclusivamente di profitto i rapporti tra sviluppo tecnologico e salute pubblica, nonché ed attribuire all’integrità dell’ambiente ed al diritto alla salute dei cittadini un valore superiore a quello fino ad oggi riservato.
Infatti in materia di ambiente e di salute pubblica, bisogna intervenire prima che la scienza dimostri con certezza gli effetti nocivi provocati dall’inquinamento elettromagnetico, affinchè non si ripeta il ritardo nella scoperta degli effetti dannosi alla salute così come è accaduto per l’amianto ed il benzene.

ROBERTO TIBERI
Avvocato in Ancona

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento