La libertà di commercio, nel cui contesto è inquadrabile quella di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, in quanto espressione del più generale principio della libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 della Costituzione, esige

Lazzini Sonia 27/09/07
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Tale obbligo ha un contenuto preliminare e procedimentale e rileva prima ed a prescindere dalle posizioni sostanziali, trovando il suo riferimento normativo nel principio di buona amministrazione e di correttezza cui la pubblica amministrazione deve uniformare la sua azione e rispetto al quale sorge, per il privato, una legittima aspettativa a conoscere il contenuto, gli atti istruttori presupposti ed i motivi dell’atto che essa intende adottare e che particolarmente lo riguarda
 
Il Tar Lazio, Roma, con la sentenza numero 6355 del 13 luglio 2007, in tema di autorizzazione all’apertura degli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande ci insegna che:
 
< per negare il rilascio di autorizzazioni all’apertura degli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande non può ritenersi sufficiente il mero richiamo ai parametri numerici di contingentamento definiti per la zona interessata, i quali non sono cristallizzati nel tempo, essendo legati, quanto alla loro determinazione, a fattori per loro natura suscettibili di variazione in relazione alle esigenze di pubblico interesse sopravvenute nel territorio comunale o nelle singole zone di esso e, quanto alla loro applicazione concreta, alle eventuali cessazioni di attività.
 
Pertanto è di norma necessario che l’Autorità amministrativa specifichi concretamente e precisamente, con riferimento agli atti del procedimento e ad altra attività istruttoria compiuta, che alla data di presentazione delle domande da parte degli interessati non siano intervenuti mutamenti, rispetto all’epoca di elaborazione dei parametri numerici ottimali di cui si pretende di dare esecuzione, che consentano di evaderle favorevolmente in relazione alla concreta applicazione degli stessi.>
 
Quindi:
 
< Non è infatti sufficiente formulare affermazioni generiche, ma è necessario che l’Autorità amministrativa faccia riferimento a concrete dimostrazioni del mancato mutamento della distribuzione della popolazione e del mancato incremento commerciale e turistico, effettuate attraverso un’indagine puntuale e aggiornata sui dati relativi all’andamento demografico, commerciale e turistico, in assoluto e in rapporto a ciascuna zona, e compia un riscontro con i dati rilevati in precedenza.>
 
a cura di Sonia LAzzini
 
 
REPUBBLICA ITALIANA   IN NOME DEL POPOLO ITALIANO     
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO       SEZIONE II TER        Anno            2007
composto dai Magistrati:
Michele    PERRELLI          – PRESIDENTE
Antonio    VINCIGUERRA       – CONSIGLIERE rel.est.
M.Cristina QUILIGOTTI        – CONSIGLIERE
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 7689/1998 R.G. proposto da DITTA ALFA Immobiliare s.r.l., in persona del suo rappresentante legale, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Cappelleri e Carlo Abbate, ed elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Milizie – 34;
c o n t r o
Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Marco Brigato, ed elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove – 21;
per l’annullamento
dell’ordinanza 4.5.1998 n. 112 del Sindaco al Comune di Roma, con la quale è stato negato al ricorrente il rilascio di autorizzazione alla somministrazione al pubblico di alimenti e bevande;
Visto il ricorso con gli atti e documenti allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;
Viste le memorie prodotte dalle parti e gli atti tutti della causa;
Udita alla pubblica udienza del 19.3.2007, con designazione del Consigliere dott. Antonio Vinciguerra relatore della causa, l’avv. Cristina Montanaro, delegata dall’avv. Marco Brigato per il Comune di Roma;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
La società a responsabilità limitata DITTA ALFA Immobiliare aveva chiesto autorizzazione per l’esercizio di attività di somministrazione di alimenti e bevande in Roma, locali di via Pozzo delle Cornacchie e piazza del Viminale (centro storico).
L’impugnata ordinanza sindacale respinge la domanda, recepito il parere della commissione per il commercio, espresso nella seduta del 22.4.1998, che ha negato la possibilità legale di accoglimento dell’istanza della società DITTA ALFA Immobiliare tenuto conto dei parametri numerici ottimali determinati con le ordinanze 7.9.1993 n. 201 e 20.9.1993 n. 563 del commissario straordinario al Comune di Roma e dalle ordinanze 23.12.1993 n. 799, 1.8.1995 n. 328 e 6.2.1996 n. 38 del Sindaco.
Il provvedimento è contestato dalla DITTA ALFA Immobiliare per violazione di legge e difetto di motivazione con riguardo alle circostanze attuali alla data della richiesta di autorizzazione (che giustificano un adeguamento dei parametri numerici di contingentamento degli esercizi commerciali della zona, richiamati dall’Amministrazione), nonché per la formazione del silenzio assenso sulla domanda come presupposto negativo della reiezione invece disposta.
Il Comune di Roma si è costituito in giudizio.
La causa passa in decisione all’udienza del 19.3.2007.
D I R I T T O
La delibera 12.5.1995 n. 105 del Consiglio comunale di Roma ha integrato la precedente delibera consiliare 7.6.1994 n. 94, aggiungendovi, tra gli altri l’art. 4 bis, con il quale ha vietato nel Centro Storico e nei Rioni Borgo, Testaccio e Trastevere l’apertura di nuovi esercizi commerciali. Le ragioni del divieto, riscontrabili nel provvedimento consiliare, fanno riferimento agli "effetti distorsivi" provocati dal moltiplicarsi delle attività commerciali non tradizionali che si sostituiscono alle attività tradizionali, con corrispondente soppressione di esercizi di particolare pregio, e che in tal modo compromettono "il delicato equilibrio della popolazione residente in alcune zone" e provocano disagio agli abitanti.
Come ha avuto reiteratamente modo di affermare la Sezione, per negare il rilascio di autorizzazioni all’apertura degli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande non può ritenersi sufficiente il mero richiamo ai parametri numerici di contingentamento definiti per la zona interessata, i quali non sono cristallizzati nel tempo, essendo legati, quanto alla loro determinazione, a fattori per loro natura suscettibili di variazione in relazione alle esigenze di pubblico interesse sopravvenute nel territorio comunale o nelle singole zone di esso e, quanto alla loro applicazione concreta, alle eventuali cessazioni di attività.
Pertanto è di norma necessario che l’Autorità amministrativa specifichi concretamente e precisamente, con riferimento agli atti del procedimento e ad altra attività istruttoria compiuta, che alla data di presentazione delle domande da parte degli interessati non siano intervenuti mutamenti, rispetto all’epoca di elaborazione dei parametri numerici ottimali di cui si pretende di dare esecuzione, che consentano di evaderle favorevolmente in relazione alla concreta applicazione degli stessi.
La libertà di commercio, nel cui contesto è inquadrabile quella di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, in quanto espressione del più generale principio della libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 della Costituzione, esige infatti che, pur nell’esercizio della potestà ad essi riconosciuta dalla legge 25 agosto 1991 n. 287 e dalle altre fonti normative in materia, i sindaci offrano rigorosa motivazione delle concrete e puntuali ragioni ostative al rilascio delle autorizzazioni, che non possono consistere nel mero, apodittico, richiamo al mancato mutamento di parametri numerici ottimali calcolati con riferimento a periodi pregressi, senza alcuna altra concreta specificazione.
Sarebbe stato pertanto necessario, nel caso di specie, che l’Autorità amministrativa indicasse – almeno con riferimento agli atti del procedimento o ad altra attività istruttoria compiuta – che, rispetto alla data di approvazione dei parametri numerici ottimali di cui ha fatto applicazione non fossero intervenuti, all’epoca di presentazione della domanda della società ricorrente mutamenti o variazioni di sorta, nell’ambito delle singole circoscrizioni o del territorio comunale, tali da consentire l’accoglimento della richiesta di autorizzazione amministrativa, in base a specifiche e dettagliate istruttorie che tengano conto di ogni mutamento avvenuto nella zona interessata, compreso l’eventuale sviluppo commerciale o turistico.
Non è infatti sufficiente formulare affermazioni generiche, ma è necessario che l’Autorità amministrativa faccia riferimento a concrete dimostrazioni del mancato mutamento della distribuzione della popolazione e del mancato incremento commerciale e turistico, effettuate attraverso un’indagine puntuale e aggiornata sui dati relativi all’andamento demografico, commerciale e turistico, in assoluto e in rapporto a ciascuna zona, e compia un riscontro con i dati rilevati in precedenza.
L’art. 2 della L. 5.1.1996 n. 25, sulla disciplina transitoria in materia di autorizzazione alla somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, prevede che “fino alla data di entrata in vigore del regolamento di esecuzione della legge 25 agosto 1991, n. 287, l’autorizzazione di cui ai commi 1 e 4 dell’art. 3 della medesima legge è rilasciata dai sindaci, previa fissazione da parte degli stessi, su conforme parere delle commissioni previste dall’art. 6 della legge stessa, di un parametro numerico che assicuri, in relazione alla tipologia degli esercizi, la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al consumatore ed il più equilibrato rapporto tra gli esercizi e la popolazione residente e fluttuante, tenuto anche conto del reddito di tale popolazione, dei flussi turistici e delle abitudini di consumo extradomestico”. Necessitando, come evidenziato in precedenza, una motivazione puntuale, ancorata a dati concreti – elencazione e tipologia dei locali situati in vicinanza, orario di apertura degli stessi, dati effettivi e attuali sulla popolazione residente e fluttuante, sul reddito e sulle abitudini di consumo – dai quali si possa desumere, plausibilmente, la saturazione della domanda(T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, 22.1.2004 n. 25), non può ritenersi sufficiente ad escludere il rilascio di ulteriori autorizzazioni un riferimento apodittico al numero di licenze già assentite per la stessa tabella merceologica e all’entità della popolazione residente e fluttuante – peraltro risalente ad epoca ormai remota – e agli elementi ulteriori elencati nell’art. 2 della L. n. 25 del 1996 prima citata, senza un preventivo rilevamento e senza esporre le ragioni di impedimento a seguito del riscontro effettuato.
Ciò considerato che la zona cui si riferisce la richiesta di autorizzazione – Centro Storico – ha notoriamente anche un notevole sfruttamento turistico e di svago.
Tanto avrebbe dovuto comportare una valutazione ampia e completa e non ispirata, sostanzialmente, alla conservazione degli equilibri acquisiti dagli esercizi commerciali esistenti (Consiglio Stato, V, 4.12.1990 n. 812).
Non risulta quindi in alcun modo dimostrato con l’impugnata ordinanza sindacale di rigetto dell’autorizzazione richiesta da parte ricorrente il nesso conseguenziale tra l’eccesso di concorrenza che l’apertura del nuovo punto di vendita determinerebbe e il conseguente pregiudizio dei consumatori.
In linea generale, peraltro, ogni provvedimento che incide sulla sfera giuridica del privato deve essere adeguatamente assistito da idonea istruttoria e motivato in relazione alla posizione di diritto soggettivo pienamente ed interamente protetta ad esso riferibile.
Tale obbligo ha un contenuto preliminare e procedimentale e rileva prima ed a prescindere dalle posizioni sostanziali, trovando il suo riferimento normativo nel principio di buona amministrazione e di correttezza cui la pubblica amministrazione deve uniformare la sua azione e rispetto al quale sorge, per il privato, una legittima aspettativa a conoscere il contenuto, gli atti istruttori presupposti ed i motivi dell’atto che essa intende adottare e che particolarmente lo riguarda.
Il ricorso deve essere pertanto accolto nei termini di cui in motivazione e assorbimento delle censure di ordine formale.
Le spese del giudizio debbono essere poste a carico dell’Amministrazione comunale e liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II ter, accoglie il ricorso in epigrafe e dispone, per l’effetto, l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Condanna il Comune di Roma al pagamento delle spese e degli onorari di lite, che si liquidano in complessivi €. 2.000 (duemila) a favore della società ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19.3.2007.
 
Michele Perrelli   PRESIDENTE
 
Antonio Vinciguerra    CONSIGLIERE est.
 
 
 
Depositata in Segreteria in data
Il Segretario
 

Lazzini Sonia

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