La legittimazione processuale dei singoli condòmini nei giudizi resi nei confronti del condominio

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La problematica inerente la legittimazione processuale del singolo condòmino nell’ambito dei procedimenti riguardanti interessi che coinvolgono l’intero condominio, è stato più volte trattato dalla Suprema Corte di Cassazione.

In particolare, per ciò che concerne il caso di ricorso incidentale tardivo proposto dal singolo condòmino (e non dal condominio “parte” nei cui confronti è stata proposta l’impugnazione principale), si è ravvisata la possibilità di considerare lo stesso già “parte” dei pregressi gradi di merito, dal momento che questi è stato rappresentato debitamente dall’amministratore[1].

A tal proposito, va evidenziato che, secondo un orientamento ormai consolidato della Suprema Corte[2], la legittimazione processuale dell’amministratore di condominio, accordata dall’art. 1131 c.c.[3] nei limiti delle sue attribuzioni, in ordine alle liti aventi ad oggetto interessi comuni dei condomini, rappresenta niente più che una deroga alla disciplina valida per ogni altra ipotesi di pluralità di soggetti del rapporto giuridico dedotto in lite, sopperendo all’esigenza di rendere più agevole la costituzione del contraddittorio nei confronti del condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini.

Pertanto, ciò implica una forma di rappresentanza processuale reciproca, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva, nascente dal fatto che ogni compartecipe non potrebbe tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere l’analogo diritto degli altri.

La conseguenza di tali premesse porta, ad esempio, ad affermare che il condòmino che intervenga personalmente nel processo in cui sia già parte l’amministratore ed in cui sia dedotta una situazione giuridica ascrivibile alla collettività condominiale, non si comporta come un terzo, ma appare come una delle parti originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni[4]; sicché, tale intervento non conoscerebbe nemmeno le preclusioni segnate dall’art. 268 c.p.c. e, ove spiegato in grado di appello, dall’art. 344 c.p.c. [5].

In base allo stesso principio, inoltre, non solo i singoli condòmini sarebbero legittimati ad intervenire a sostegno del condominio (pur se rappresentato dall’amministratore) al fine di tutelare i diritti collettivi, perfino nel giudizio di rinvio (nonostante la tipica connotazione dello stesso come giudizio chiuso dal punto di vista oggettivo e soggettivo[6]); ma gli stessi non potrebbero essere ammessi a testimoniare nelle controversie in cui l’amministratore sia rappresentante processuale del condominio per la tutela dei beni comuni [7].

In virtù di tale “inscindibilità” tra condominio e condòmini, possono farsi le seguenti riflessioni: la sentenza di primo grado notificata all’amministratore costituitosi per conto del condominio è idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione anche per i condòmini non costituitisi personalmente nel giudizio di primo grado[8]; il relativo giudicato fa stato anche nei confronti dei singoli condòmini non intervenuti singolarmente nel giudizio[9]; il provvedimento di condanna rivolto al condominio per un credito vantato da chi ha contratto con l’amministratore funge da titolo esecutivo anche nei confronti di tutti i condòmini, anche se questi non hanno formalmente assunto le vesti di parti del giudizio promosso dal creditore nei confronti dell’amministratore.[10]

Ovviamente, è fatto divieto ai creditori di agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo aver preventivamente escusso i condòmini morosi.

Proprio a tal proposito, poi, è stato introdotto il principio in virtù del quale in caso di decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del condominio impersonato dall’amministratore, laddove il creditore voglia agire nei confronti di un singolo condòmino, si dovrà necessariamente procedere alla notifica del titolo a quest’ultimo in quanto, in tal caso, il Condominio è considerato un soggetto distinto dai singoli condòmini ancorchè non perfettamente autonomo dal punto di vista patrimoniale.[11]

Il risvolto particolarmente interessante di questi rapporti di reciprocità tra condominio e singoli condòmini, fa sì che venga reputata ammissibile l’impugnazione da parte del singolo condòmino della sentenza di condanna emessa nei confronti dell’intero condominio[12], e venga, al contrario, ritenuta inammissibile un’impugnazione ai sensi dell’art. 404,1 c.p.c. effettuata dai singoli condòmini, in quanto questi non potrebbero dirsi terzi titolari di un diritto autonomo rispetto alla situazione giuridica affermata con la suddetta decisione, la quale fa stato anche nei loro confronti benchè non intervenuti giudizialmente.[13]

Dunque, salvo il caso di controversie su deliberazioni assembleari con finalità esclusivamente di gestione di un servizio comune, per le quali un cospicuo orientamento giurisprudenziale esclude la legittimazione processuale del singolo condòmino anche in caso di inerzia dell’amministratore vista la loro inidoneità ad incidere sull’interesse esclusivo di uno o più partecipanti[14], i giudici professano una generale ed indistinta legittimazione di ciascun condòmino ad impugnare una sentenza pronunciata nei confronti dell’amministratore, al fine di evitare gli effetti sfavorevoli della stessa.

Tuttavia, la nozione di “ente di gestione” sovente utilizzata nelle decisioni per descrivere la situazione condominiale, rischia di generare equivoci sulla soggettività autonoma del condominio[15]; sicchè, se la precedente giurisprudenza riteneva che il singolo condòmino dovesse sempre ritenersi parte nella controversia tra il condominio ed altri soggetti, seppur rappresentato ex mandato dall’amministratore (proprio per la mancanza assoluta di una qualsivoglia soggettività del condominio), i nuovi orientamenti prendono in esame l’autonomia del condominio come centro di imputazione di interessi, diritti e doveri, cui corrisponde una piena capacità processuale, di guisa che il condòmino sarà considerato parte del processo solo laddove vi intervenga attivamente.

In sintesi, dunque, viene tracciata una differenza tra la “parte condominio” e la “parte condòmino intervenuto”, la quale inciderebbe sull’individuazione dei limiti soggettivi del giudicato ed oggettivi inerenti il petitum e la causa petendi della domanda giudiziale.

Stante quanto affermato dalla Suprema Corte, dunque, la legittimazione processuale de singolo condòmino si configurerebbe solamente nel caso di controversie aventi ad oggetto azioni reali incidenti sul diritto pro quota o esclusivo di ciascun condòmino, o di azioni personali incidenti sui diritti di ciascun parteciapnte; nel caso di controversie inerenti la gestione o la custodia dei beni comuni, in nome delle esigenze plurime e collettive della comunità condominiale, invece, la legittimazione processuale spetterebbe solo al condominio in quanto centro d’imputazione della situazione sostanziale in esame.

Da quanto detto, deriva la conseguenza per cui la mancata impugnazione della sentenza da parte del condominio finirebbe per escludere la possibilità di impugnazione anche su iniziativa del singolo condòmino.

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[1] Cfr. C. Cass., sent. n. 27101/2017

[2] Cfr. C. Cass. Sez. Un., sent. n. 19663/2014

[3] In base al quale “Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.

Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto.

Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini.

L’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni.”

[4] Vedi fra le altre, C. Cass., sent. n. 10717/2011; C. Cass., sent. n. 12258/2002; C. Cass., sent. n. 7130/2001.

[5] Cfr. C. Cass., sent. n. 826/1997.

[6] Cfr. C. Cass., sent. n. 6813/2000; C. Cass., sent. N. 14809/2014.

[7] Cfr. C. Cass. Sent. n. 17925/2007; C. Cass. sent. n. 6483/1997.

[8] Cfr. C. Cass., sent. n. 177/2012.

[9] Cfr. C. Cass., sent. n. 12911/2012; sent. n. 12343/2002.

[10] V. fra le altre C. Cass., sent. n. 22856/2017; C. Cass. sez. un., sent. n. 9148/2008; C. Cass., sent. n. 20304/2004; C. Cass., sent. n. 6866/1982; C. Cass., sent. n. 3235/1971.

[11] Cfr. C. Cass., sent. n. 8150/2017.

[12] Tale considerazione si basa sull’assunto per cui il diritto di ogni partecipante al condominio ha ad oggetto le cose comuni nella loro interezza.

[13] Cfr. C. Cass., sent. n. 4436/2017.

[14] Cfr. C. Cass., sent. n. 19223/2011; C. Cass., sent. n. 9213/2005; C. Cass., sent. n. 6480/1998; C. Cass., sent. n. 8257/1997; C. Cass., sent. n. 2393/1994.

[15] Cfr. C. Cass. sez. un. 19663/2014.

Dott.ssa Mignacca Daria

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