La falsità del testamento: un caso di prova indiziaria

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    Indice

  1.  La questione di fatto giudicata in Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877
  2. L’ inammissibilità delle doglianze concernenti la falsità dei due testamenti olografi
  3. Censure in punto di riconducibilità del fatto all’ imputato
  4. Il paradigma della prova indiziaria o critica

1. La questione di fatto giudicata in Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877

De quo, la Corte d’ Appello di Milano ha condannato SMGE per aver formato due testamenti olografi falsi, attribuiti a GS e recanti data 16/05/2012 nonché 07/06/2012. Successivamente, sono stati rinvenuti altri due testamenti olografi, del 2005 e del 2009, nei quali GS nominava erede universale SMGE. La Corte d’ Appello procedente ha reputato SMGE colpevole di aver falsificato due dei summenzionati testamenti, “confezionati in parte per imitazione, in parte con la tecnica del ricalco “. Il ricorso per Cassazione di SMGE si articolava in quattro punti essenziali:

  1. la Corte d’ Appello di Milano ha attribuito ad SMGE i due testamenti rivelatisi falsi soltanto perché essi erano completamente favorevoli all’ imputato. Tuttavia, i Difensori di SMGE hanno eccepito che:
  • SMGE, incensurato e noto professionista, non pare incline ad un’operazione tanto insulsa e volgare come la falsificazione di un testamento olografo
  • l’abitazione della de cuius GS, nella quale sono stati trovati i testamenti, era frequentata anche da molti legatari della defunta
  • anche i legatari potevano trarre benefici dai due testamenti falsi. Per il vero, inoltre, SMGE è un esecutore testamentario nonché erede “scomodo “per i beneficiari dei legati mortis causa
  • la querela di falso, come dichiarato espressamente da una testimone, è stata un escamotage per avviare trattative con SMGE e così favorire talune parti in causa
  • è illogico reputare che SMGE abbia formato ben due testamenti olografi falsi, allorquando ne sarebbe stato sufficiente uno
  • SMGE, nei testamenti non falsificati del 2005 e del 2009 era già stato nominato erede di molti beni immobiliari e mobiliari; pertanto, egli non aveva alcuna necessità di confezionare altri ulteriori testamenti, per giunta falsificati.
  • SMGE si era reso disponibile ad accompagnare GS da un Notaio per redigere, senza costrizione alcuna, un testamento pubblico.
  1. la Corte d’ Appello di Milano ha optato per un apparato sanzionatorio eccessivamente severo e privo della concessione delle circostanze attenuanti generiche
  2. la Corte d’ Appello di Milano non ha adeguatamente motivato la falsità ed i metodi di falsificazione dei due testamenti recanti data 16/05/2012 e 07/06/2012. I grafologi non sono stati sufficientemente chiari. La grafia di GS non è uniforme, la scrittura sembra effettuata “per mano guidata della signora GS “, ma gli inchiostri paiono adeguatamente seccati
  3. la Corte d’ Appello di Milano ha reputato SMGE responsabile sulla base dell’argomento fondato del “cui prodest ? “, ma tale presunzione non è tecnicamente fondata “oltre ogni ragionevole dubbio “.

Da menzionare è pure la memoria integrativa del 28/07/2020, presentata dai nuovi Avvocati di SMGE. All’ interno di tale secondo documento difensivo, l’imputato ha censurato “ la mancanza e contraddittorietà della Motivazione sulla falsità delle scritture testamentarie “. Più dettagliatamente, tale memoria integrativa del 28/07/2020 ha eccepito che i grafologi hanno svolto perizie di pessima qualità, ovverosia “ la comparazione è stata svolta essenzialmente sulle firme [ della defunta testatrice ] e non su più estesi testi manoscritti; ci si affida alle conclusioni di falsità della prima scheda testamentaria [ del 16/05/2012 ], raggiunte dal CTU e dai CT dei legatari, assegnando peso al numero delle consulenze [ grafologiche ] convergenti, senza saggiare la effettiva tenuta della relative valutazioni; la Corte d’ Appello si è addirittura spinta ad assegnare valore alla propria verifica compiuta attraverso l’ esame diretto del documento “. In particolare, i Difensori di SMGE lamentano che la Corte d’ Appello non ha sufficientemente tenuto in conto elementi quali le interruzioni del flusso d’ inchiostro, la mancanza della tecnica del ricalco e la mancanza di pressione nella scrittura della defunta testatrice GS, la quale, a causa dell’età avanzata, alternava varie calligrafie, a seconda della propria altalenante salute psicofisica. In particolare, si è sottaciuto che, nell’ Ottobre 2012, GS era sì stata operata ad una cataratta, ma era stata comunque in grado di vendere un immobile, scegliere un medico in autonomia, telefonare ad un Notaio, firmare assegni ed occuparsi, più in generale, della gestione del proprio patrimonio, senza aiuti esterni decisivi. Inoltre, soprattutto ed anzitutto, la memoria integrativa del 28/07/2020 fa notare che la Corte d’ Appello è riuscita a provare la falsità materiale dei due testamenti qui in esame, ma non sussiste nemmeno la minima prova circa il coinvolgimento attivo di SMGE nella stesura dei due olografi falsi.

E’ eccessivamente generico incolpare SMGE sulla base del solo argomento del “cui prodest ? “, poiché si tratta di un metodo di prova anti-giuridico ed illogico. Altro ulteriore elemento da valutare è pure il tentativo di alcuni legatari di pattuire un accordo transattivo con SMGE, persona scomoda, la cui estromissione dai benefici testamentari avrebbe accresciuto le quote ereditarie dei legatari. Si ponga mente pure al fatto che SMGE non era il solo a frequentare l’abitazione di GS prima del decesso e, ogni modo, siffatta frequentazione non ha mai recato a forzare la volontà autonoma della de cuius. D’ altra parte, nel 2012, GS aveva deciso di contattare un Notaio per “favorire la persona che mi sta dietro “; ciò senza costrizione alcuna da parte di SMGE. In buona sostanza, a prescindere dalla falsità dei due testamenti del 16/05/2012 e dello 07/06/2012, GS ha sempre espresso le proprie volontà in maniera autonoma e, comunque, senza pressioni morali da parte dell’imputato SMGE, nominato erede unico già in un olografo del 2005.

2. L’ inammissibilità delle doglianze concernenti la falsità dei due testamenti olografi

Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 conferma, come già asserito nella Sentenza d’ Appello oggetto del ricorso per Cassazione, che i due testamenti del 16/06/2012 e dello 07/06/2012 sono falsi e non riconducibili alla autografia della defunta GS. Dunque, anche secondo Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877, come affermato dalla grafologa CTU del giudizio civile di primo grado, “entrambe le schede testamentarie sono risultate qualitativamente incompatibili con il tratto grafico delle autografie coeve; le due schede sono risultate apocrife, frutto di composizione artificiosa ed in nessuna parte riconducibili alla mano della de cuius GS “. Secondo la predetta CTU, i due testamenti sono stati scritti da una terza persona, in parte con la tecnica del ricalco e, in parte, per imitazione da modello. La falsificazione materiale è facilmente evincibile dai seguenti requisiti grafologici:

  1. la scrittura risulta troppo lenta
  2. la pressione della penna sui fogli è piatta e priva di vitalità
  3. le parole sono copiate mediante collage
  4. il getto dell’inchiostro è interrotto in maniera anomala
  5. verosimilmente, i fogli sono stati messi in verticale su un vetro per consentire la copiatura.

I predetti cinque sintomi grafologici di falsità sono stati confermati anche dai consulenti tecnici dei legatari, ad eccezione, come prevedibile, del CT nominato dall’ imputato SMGE. A parere di Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877, il lavoro della CTU è reso credibile dalla comparazione dei due olografi falsi sia con una quarantina di firme apposte dalla de cuius, dal 1998 al 2012, sia dall’ altrettanto preziosa comparazione con i testamenti non falsi del 2005 e del 2009. In secondo luogo, la CTU, durante il giudizio civile di primo grado, ha giustamente notato un importante “mutamento nella gestualità scrittoria “di GS a partire dal 2011. Tale cambio spontaneo di grafia manca nelle due schede testamentarie false del 17/05/2012 e dello 07/06/2012. Il CT dell’imputato aveva conferito parecchia importanza all’ invecchiamento degli inchiostri, ma tale ipotesi non è attendibile, in tanto in quanto, come ribadito anche da Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877, “la datazione chimica degli inchiostri è notoriamente probabilistica, essendo effettuata con simulazioni del processo di invecchiamento in laboratorio, mediante stufa, [tali simulazioni sono] prive di assoluta certezza ed approssimative di mesi nell’ ordine temporale. Per giunta, oltre agli errori di misurazione insiti nella tecnica di laboratorio, l’impossibilità di certezza di tali metodi di datazione è dovuta alla considerazione dello stato di conservazione dello scritto, dal momento che la semplice esposizione a raggi o fonti di calore può determinare mutamenti delle componenti chimiche dell’inchiostro, accelerandone il processo di invecchiamento”. Esiste pure il fatto che, come pertinentemente notato nella Sentenza di secondo grado impugnata in Cassazione, la de cuius GS, dai primi mesi del 2012, era andata incontro ad un notevole decadimento fisico, la vista era calata e non sarebbe stata nemmeno più in grado di reggere una penna per scrivere. Sotto il profilo mentale, GS era lucida, ma, dal punto di vista corporale, la defunta, nel 2012, non sarebbe nemmeno stata in grado di redigere i due testamenti olografi successivamente risultati falsi. Né, tantomeno, la telefonata della de cuius ad un Notaio può generare dubbi circa la estrema debolezza fisica di GS, ormai incapace di scrivere in piena autonomia.

In buona sostanza, la Corte d’ Appello, secondo Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877, ha ben valutato la falsità materiale dei testamenti olografi del 16/05/2012 e dello 07/06/2012. Siffatta contraffazione totale delle due schede testamentarie è stata adeguatamente provata dalla CTU nonché dai grafologi dei legatari. Dunque, Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 ribadisce “l’affidabilità e la completezza “delle analisi grafologiche, poiché “non sono state ignorate le argomentazioni dei consulenti di parte [e] la prospettiva tecnico-scientifica è stata [ben] integrata con quella logico-indiziaria relativa al contesto circostanziale di ipotetica redazione dell’atto […]. Tanto basta a soddisfare il controllo sulla Motivazione demandato alla Suprema Corte “.

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3. Censure in punto di riconducibilità del fatto all’ imputato

Purtroppo, nella fattispecie processuale qui in parola, non esistono testimoni oculari della falsificazione, ma, per Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877, è indubitabile, senz’ altro, che “il metodo per la creazione dei [due testamenti olografi] falsi (ricalco e imitazione) ha reso inutile l’accertamento sulla riferibilità della scrittura alla mano dell’imputato, o di chiunque altro, proprio perché la grafia è artatamente contraffatta “. Parimenti, durante il giudizio di primo grado, il Tribunale Ordinario, a pg. 14 delle Motivazioni, ha correttamente asserito che non è possibile dichiarare SMGE responsabile della falsificazione, in tanto in quanto “per la redazione dei due testamenti esaminati, è stato utilizzato come modello uno scritto della de cuius […] ed è stata impiegata, almeno parzialmente, la tecnica del ricalco; quindi è ovvio che, nelle schede testamentarie in questione, non possono rinvenirsi peculiarità grafiche [riconducibili alla scrittura dell’imputato SMGE]. Peculiarità [di qualcuno di specifico] che, nel momento in cui si imita e ricalca l’altrui grafia, non possono palesarsi “.

4. Il paradigma della prova indiziaria o critica

Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 non afferma la colpevolezza di SMGE sulla base dell’ argomento del “ cui prodest ? “, ossia “ a chi poteva giovare la falsificazione dei testamenti, se non a SMGE ? “. A tal proposito, nella Giurisprudenza di legittimità, Cass., SS.UU., 4 febbraio 1992, n. 6682 ha sottolineato che “ la prova indiziaria non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta o storica, [ specialmente ] quando la sua attitudine rappresentativa sia conseguita con una rigorosità metodologica, che giustifica e sostanzia il principio del c.d. libero convincimento del giudice “. Anche il comma 2 Art. 192 Cpp ammette la prova indiziaria, giacché “l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti “. Del pari, la prova indiziaria è assai auto-limitata anche in Cass., sez. pen. IV, 1° ottobre 2008, n. 39882, ai sensi della quale “ciascuna circostanza di fatto assumibile come indizio deve essere connotata, in primo luogo, dal requisito, non espressamente richiamato [nel comma 2 Art. 192 Cpp], ma fondante, della certezza, che implica la verifica processuale della sua sussistenza “. Altrettanto restrittiva è Cass., sez. pen. I, 21 maggio 2008, n. 31456, la quale rimarca che “la certezza della prova indiziaria non può assumersi in termini di assolutezza e di verità in senso ontologico, partecipando, invece, di quella specie di certezza che si forma nel Processo attraverso il procedimento probatorio “. Come si può notare, Cass., sez. pen. I, 21 maggio 2008, n. 31456 àncora con vigore la prova indiziaria, ex comma 2 Art. 192 Cpp, all’ interno del contesto probatorio del Procedimento Penale. La prova indiziaria, in Cass., sez. pen. I, 21 maggio 2008, n. 31456, non è assolutizzata e, anzi, essa deve sempre e comunque denotare i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza ex comma 2 Art. 192 Cpp. Mai e poi mai, la prova indiziaria deve limitarsi ad ipotesi troppo astratte e sganciate dalle altre prove ordinarie formatesi nel corso del dibattimento. Viceversa, tale indizio recherebbe ad una clamorosa violazione della ratio garantista fondante l’Art. 111 Cost. in tema di “giusto processo “. Del resto, anche Cass., sez. pen. I, 11 novembre 2015, n. 18149 invita alla concretizzazione processuale del comma 2 Art. 192 Cpp, in tanto in quanto “il procedimento probatorio […] conduce ad evitare che la prova indiziaria (indiretta) possa fondarsi su di un fatto verosimilmente accaduto, supposto o intuito, inammissibilmente valorizzando – contro indiscutibili postulati di civiltà giuridica [ ex Art. 111 Cost. ] – personali impressioni o immaginazioni del decidente o mere congetture “. La “certezza “della prova indiziaria ex comma 2 Art. 192 Cpp deve superare ogni ragionevole dubbio. Viceversa, la prova indiretta si trasformerebbe in una pura suggestione contraria alla ratio garantistica che sta alla base dell’intero Codice di Procedura Penale.

Sempre a tal proposito, Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 ha inteso commentare e qualificare i tre requisiti della gravità, della precisione e della concordanza ex comma 2 Art. 192 Cpp. La “gravità è la consistenza, la resistenza alle obiezioni, la capacità dimostrativa, vale a dire la pertinenza del dato rispetto al thema probandum “. In secondo luogo, Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877, con il lemma “precisione “intende significare “la specificità, l’univocità e la insuscettibilità di una diversa interpretazione altrettanto o più verosimile “. In terzo ed ultimo luogo, il lemma “concordanza “, ex comma 2 Art. 192 Cpp, “significa che i plurimi indizi devono muoversi nella stessa direzione, essere logicamente dello stesso segno, e non porsi in contraddizione tra di loro “. Come si vede, dunque, anche Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 accetta la prova indiziaria ex comma 2 Art. 192 Cpp, ma a condizione che l’elemento probatorio indiretto sia certo, serio e non frutto di astrazioni fantasiose incompatibili con l’impianto probatorio complessivo del Procedimento Penale.

Gravità, precisione e concordanza stanno anche alla base di Cass., SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748, per la quale “ [ necessita una ] lettura unitaria e complessiva dell’ intero compendio probatorio [ … ] [ e bisogna valutare ] ogni elemento indiziario singolarmente, ciascuno nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarlo, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo. Pertanto, anche Cass., SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748 utilizza la massima cautela nell’ impiego della prova indiziaria, la quale deve sempre e comunque essere contestualizzata nell’ oggettività probatoria del relativo Procedimento Penale. Una prova indiziaria de-contestualizzata non sarebbe né grave, né precisa, né concordante, come, viceversa, previsto dal comma 2 Art. 192 Cpp. Il Magistrato del merito può fare uso della prova indiziaria alla ferma condizione di non ipostatizzarla prescindendo dagli altri elementi probatori non indiretti. Il compito del Giudice è anche quello di provare contestualizzando l’intero insieme dei dati fattuali sia diretti sia indiretti.

Cass., sez. pen. I, 14 ottobre 2015, n. 5758 è molto critica e restrittiva nei confronti della prova indiziaria, in tanto in quanto “ la prova indiziaria, proprio in rapporto alle sue caratteristiche intrinseche, non può, per definizione, offrire una rappresentazione del fatto sovrapponibile a quella di una prova diretta; essa, invero, conduce alla scoperta dell’ identità dell’ autore di un fatto di reato attraverso significati intermedi, tali da attivare un fondato e rassicurante percorso logico di dipendenza tra più circostanze. [ … ]. Non può dunque pretendersi, dalla prova indiziaria, un tasso esplicativo delle modalità realizzative del fatto che vada oltre i limiti ontologici della prova [indiretta] stessa “.

Anche Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 afferma che la prova indiziaria ha valore soltanto nella misura in cui “un fatto umano (il reato) [è] legato a variabili non necessariamente razionali o non completamente intelleggibili “. Con tale asserto, Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 intende affermare che la prova indiziaria costituisce un valido aiuto nella formazione della c.d. “certezza processuale “, ma la prova indiretta, sebbene prevista anch’ essa dal comma 2 Art. 192 Cpp, non può avere un ruolo assolutamente decisivo. La prova indiziaria non possiede un grado di certezza pieno, perché segue regole epistemologiche indirette.

Pertanto, all’ interno di un Procedimento Penale, un apparato probatorio di tipo indiziario ha un ruolo ed una posizione assiologica inferiore rispetto ad un insieme di prove dirette, dunque maggiormente certe e maggiormente affidabili. Secondo Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877, un Processo fondato esclusivamente o prevalentemente su prove indiziarie viola le regole fondamentali e garantistiche del “giusto processo “così come delineato dall’ Art. 111 Cost.. Ora, Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 precisa che discolpare SMGE nel nome della sua onestà abituale, incensuratezza e vita perbene non è giuridicamente dimostrativo di alcunché, poiché “esula dagli ambiti della logica giuridica […]. [Questo falso postulato indiziario] si sgretola in una fallacia dimostrativa, allorché non propone una verità argomentata, ma postula un’adesione acritica ed intuitiva all’ interpretazione dei fatti ed alla soggettività del loro autore “. Dunque, a parere di Cass., sez. pen. V, 15 settembe 2020, n. 29877, l’errore della Sentenza di Corte d’ Appello impugnata per Cassazione da SMGE è consistito nel fondare l’intero apparato probatorio sul comma 2 Art. 192 Cpp.

Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 sostiene che non si può e non si deve, alla luce dell’Art. 111 Cost., asserire la colpevolezza, o meno, di un imputato solamente sulla base di “indizi […] gravi, precisi e concordanti”. Il comma 2 Art. 192 Cpp va sempre e comunque inserito in un contesto di altre ulteriori prove dirette, in tanto in quanto la prova indiziaria reca in sé stessa un’ontologica deminutio di quella certezza probatoria che costituisce una ratio basilare della Procedura Penale.

D’ altra parte, anche Cass., SS.UU., 30 ottobre 2003, n. 45276, Andreotti, hanno chiarito che “è ormai superata e ripudiata la teoria [ex comma 2 Art. 192 Cpp] del cui prodest. [Non deve esistere] la generica ed equivoca individuazione di un’area di interesse al compimento del delitto […]. [La prova indiziaria, spesso] costituisce solo una ragione di sospetto, di supposizione, di congettura [e rende] incerta la prova circa l’esclusività o la molteplicità dei moventi del delitto. [Spesso, il comma 2 Art. 192 Cpp] viola il pre-requisito della certezza “. Come si può notare, Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 contesta l’assolutizzazione e l’ipostatizzazione, anche per SMGE, dell’argomento indiziario “se non è stato lui, chi altri poteva avere interesse a farlo? “.

Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 non annichilisce totalmente la precettività del comma 2 Art. 192 Cpp, ma, senz’ altro, invita il Magistrato del merito a contestualizzare scrupolosamente i tre requisiti codicistici della gravità, della precisione e della concordanza. La prova indiziaria non può mai assurgere al rango di “prova-regina “.

Similmente, Cass., sez. pen. III, 22 gennaio 2020, n. 15755 (preceduta da Cass., sez. pen. V, 4 marzo 1988, n. 12329) sottolinea che “in tema di adeguatezza della Motivazione, non è censurabile, in sede di legittimità, la Sentenza del giudice d’ appello che fonda il giudizio di colpevolezza sul principio del cui prodest, purché esso sia supportato da altri elementi di fatto di sicuro valore indiziante “. Dunque, di nuovo, Cass., sez. pen. III, 22 gennaio 2020, n. 15755, nonché Cass., sez. pen. V, 4 marzo 1988, n. 12329 affermano la non-decisività e la non-preponderanza della prova indiretta ex comma 2 Art. 192 Cpp. Interessante è pure Cass., SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748, secondo cui “l’elemento dell’interesse [a consumare un determinato delitto] può rappresentare un indizio utile ai sensi del comma 2 Art. 192 Cpp, ove risponda ai requisiti [codicistici] di certezza, gravità e concordanza, ma richiede, poi, la convergenza di ulteriori circostanze che, valutate prima singolarmente e poi globalmente, ne comportino la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo “. A prescindere dal caso specifico di SMGE, Cass., sez. pen. V, 15 settembre 2020, n. 29877 richiede al Magistrato del merito di “provare la certezza, la gravità e la specificità degli indizi “, purché la prova indiziaria non sia né decisiva né de-contestualizzata. Senza dubbio, nella Giurisprudenza di legittimità degli Anni Duemila, il comma 2 Art. 192 Cpp non è visto con grande favore o, comunque, non è né assolutizzato né utilizzato alla stregua di una regola probatoria eccellentemente garantista.

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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