La domanda di risarcimento danni per mancata acquisizione del consenso informato è differente da quella con cui il paziente richiede i danni per il ricovero ospedaliero in assenza di un suo consenso

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Fatto

Nel caso esaminato dalla corte di cassazione nella sentenza oggetto di commento, una signora aveva chiesto il risarcimento dei danni subiti in occasione del ricovero presso l’ospedale di Fano, ritenendo che la stessa non avesse mai prestato il proprio consenso a detto ricovero. Il tribunale locale aveva ritenuto infondata la domanda attorea e conseguentemente la paziente aveva adito la Corte d’appello di Ancona, chiedendo la revisione della decisione di primo grado e insistendo nella condanna della struttura sanitaria al risarcimento dei danni, lamentando anche la violazione della normativa in tema di consenso informato del paziente. Tuttavia anche la corte di seconde cure aveva respinto le richieste di parte attrice, ritenendo – per quanto rileva in questa sede – inammissibile la domanda da quest’ultima proposta, volta ad ottenere il risarcimento dei danni per mancata acquisizione del consenso informato da parte della struttura sanitaria convenuta, perché tardivamente spiegata.

In particolare, la corte d’appello aveva ritenuto che tale domanda non fosse stata tempestivamente proposta durante il giudizio di primo grado, in quanto l’attrice – in tale sede – si era limitata esclusivamente a far valere la lesione della propria libertà personale, in considerazione del fatto che il ricovero presso la struttura ospedaliera di Fano era avvenuto senza che la stessa avesse prestato il proprio consenso al ricovero stesso. Secondo i giudici territoriali, infatti, tale domanda doveva ritenersi ben distinta da quella volta ad ottenere il risarcimento danni per la asserita omessa informazione circa il trattamento sanitario da eseguirsi (alla base della cosiddetta violazione del consenso informato del paziente).

Non soddisfatta della decisione di appello, la signora ha quindi promosso ricorso in cassazione per ottenere la revisione di detta decisione, fondando lo stesso su due motivi connessi alla violazione della normativa in materia di consenso informato.

In particolare, secondo la ricorrente i giudici di appello avrebbero errato nel dichiarare inammissibile la domanda di risarcimento danni per violazione del consenso informato, perché non avevano ritenuto tempestiva detta domanda connessa al ricovero della paziente senza che vi fosse stato il suo consenso in tal senso e perché tale comportamento aveva determinato la violazione del principio costituzionale che vieta il trattamento sanitario obbligatorio in assenza del consenso del paziente nonché l’esecuzione di trattamenti sanitari senza la preventiva acquisizione del consenso del paziente.

La decisione della Corte di Cassazione

La corte di cassazione, dopo aver esaminato congiuntamente i motivi promossi dalla ricorrente, li ha ritenuti entrambi inammissibili e conseguentemente ha rigettato il ricorso, confermando la decisione di secondo grado che aveva ritenuto inammissibile, perché tardiva, la domanda di risarcimento danni per violazione del consenso informato promossa da parte attrice.

Preliminarmente, gli Ermellini hanno evidenziato come i giudici della corte di appello abbiano interpretato la domanda della paziente come limitata ad ottenere soltanto il risarcimento dei danni subiti per la violazione della propria libertà personale a causa del ricovero effettuato in assenza di una sua volontà. Mentre, abbiano ritenuto che tale domanda non potesse essere estesa fino a ricomprendere il risarcimento dei danni subiti a causa della violazione della disciplina sul consenso informato.

Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha ritenuto che i giudici di seconde cure abbiano interpretato l’ estensione e l’ oggetto della domanda di risarcimento danni proposta in primo grado da parte attrice, utilizzando dei canoni interpretativi non palesemente illogici o incongrui.

A tal proposito, gli ermellini hanno richiamato l’orientamento consolidato di cassazione secondo cui il contenuto e l’ampiezza della domanda giudiziale può essere soggetta al controllo di legittimità da parte della cassazione soltanto per quanto concerne la logicità e la congruità della motivazione adottata dai giudici di merito per supportare la loro interpretazione della domanda stessa. Per fare ciò, i giudici di cassazione debbono identificare anche quale sia la volontà della parte che ha proposto la domanda, in base alle finalità che la stessa vuole perseguire con il giudizio.

Nell’effettuare tale interpretazione, il giudice di merito non deve necessariamente uniformarsi al tenore letterale della domanda proposta dalla parte e degli atti all’interno del quale la domanda è contenuta, bensì deve tenere in considerazione il contenuto sostanziale della pretesa che la parte far valere per come lo stesso è ricavabile dalla natura della vicenda e da come essa è rappresentata dalla parte.

Ebbene, nel caso di specie, secondo la cassazione, la corte di appello ha correttamente applicato i suddetti principi non avendo attribuito alle parole utilizzate dalla stessa attrice in primo grado alcun contenuto diverso rispetto a quello comunemente usato, né ricostruendo il significato complessivo della domanda in maniera irrazionale o contraddittoria rispetto alla vicenda descritta.

In tal modo, i giudici della corte di appello, in primo luogo, hanno correttamente ritenuto che la domanda proposta dall’attrice fosse diretta a far accettare che la stessa era stata ricoverata in ospedale senza che ella avesse prestato il relativo consenso: ebbene, tale richiesta mira a far valere la avvenuta lesione della libertà personale del paziente. In secondo luogo, i giudici della corte d’appello hanno correttamente ritenuto che la domanda con cui parte attrice aveva fatto valere l’effettuazione di trattamenti sanitari in assenza del consenso informato del paziente, fosse nettamente distinta dalla prima domanda e conseguentemente non potesse ritenersi inclusa nella stessa e quindi era da considerarsi tardivamente proposta. Tale ultima domanda, relativa alla violazione del consenso informato, infatti, non riguarda la violazione della libertà personale del paziente, ma riguarda la violazione della sua autodeterminazione terapeutica: pertanto, essa è configurabile soltanto qualora il paziente che deve effettuare delle scelte terapeutiche connesse alla propria salute, non viene preventivamente informato circa la natura, le caratteristiche, le conseguenze e le implicazioni che possono derivare dal trattamento sanitario propostogli.

La diversità di bene tutelato rende ancora più evidente che le due domande risarcitoria sono da ritenersi distinte l’una dall’altra. In considerazione della suddetta diversità, la corte di cassazione ha valutato corretta la decisione dei giudici di appello di ritenere tardiva la domanda di risarcimento per violazione del consenso informato proposta da parte attrice.

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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