La diversità di procedimento di cui all’art. 270 c.p.p.

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Come deve essere intesa la diversità di procedimento di cui all’art. 270 c.p.p.
(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 270)
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Corte di Cassazione -sez. III pen.- sentenza n.16571 del 24-02-2023

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Indice

1. La questione


La Corte di Appello di Cagliari, confermando quanto deciso dal giudice di prime cure, affermava la responsabilità dell’imputato in riferimento al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1.
Ciò posto, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, si doleva del fatto che la Corte territoriale avesse ritenuto infondata l’eccezione difensiva della inutilizzabilità di tali elementi probatori in un procedimento diverso da quello in cui sono state disposte, richiamando la nozione di “diverso procedimento” e precisando che essa debba ancorarsi ad un criterio di valutazione sostanzialistica, per cui si ha identità di procedimenti in presenza di una connessione sostanziale tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, e i reati per i quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


La Suprema Corte riteneva l’argomentazione appena esposta non meritevole di accoglimento.
In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione sulla scorta delle seguenti considerazioni.
Si osservava, in via preliminare, che l’art. 270 c.p.p., comma 1, stabilisce, innanzitutto, il principio del divieto di utilizzabilità dei risultati di intercettazioni disposte in procedimenti diversi, salvo che qualora esse siano indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, rilevandosi al contempo che, a tal riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la valutazione della indispensabilità di tali risultati ai fini dell’accertamento per cui si procede e per i quali è previsto l’arresto in flagranza, non debba essere espressamente motivata dal giudice di merito, potendo essere compiuta anche implicitamente, mediante l’attribuzione agli elementi utilizzati di specifica rilevanza ai fini della decisione adottata (Sez. 3, n. 5821 del 18/01/2022).
Premesso ciò, si notava inoltre che, ai fini del divieto di utilizzazione in procedimenti diversi dei risultati di intercettazioni, previsto dall’art. 270 c.p.p., comma 1, la diversità del procedimento deve essere intesa in senso sostanziale e ricollegata al dato dell’alterità del procedimento, in quanto instaurato in relazione ad una notizia di reato che derivi da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine (Sez. 6, n. 7320 del 19/01/2010).
Tal che se ne faceva conseguire come essa non possa essere ricollegata a dati puramente formali, come l’iscrizione della medesima notizia di reato da parte di due diversi uffici di procura (Sez.1, n. 29421 del 09/05/2006; Sez. 3, n. 348, del 13/11/2007; Sez. 5, n. 26693 dei 20/01/2015), tenuto conto altresì del fatto che, tra l’altro, il concetto di “diverso procedimento” non equivale a quello di diverso reato e in esso non rientrano quindi le indagini strettamente connesse e collegate, sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico, al reato in ordine al quale il mezzo di ricerca della prova è stato disposto (Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009).
Pertanto, secondo la Corte di legittimità, in modo del tutto condivisibile, le Sezioni Unite hanno affermato che, fuori dai casi in cui i risultati delle captazioni in procedimenti diversi in risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, il divieto di cui all’art. 270 c.p.p. non opera con riferimento agli esiti relativi ai reati che risultino connessi, ex art. 12 c.p.p., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata “ab origine” disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 c.p.p. (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019).
Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, gli Ermellini osservavano come
la Corte di appello di Cagliari avesse condiviso l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la nozione di “identico procedimento” -che evidentemente esclude l’operatività del divieto di utilizzazione previsto dall’art. 270 c.p.p. concernente procedimenti “diversi“, – prescinda da elementi formali, come il numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato, ma implichi una valutazione di tipo “sostanziale“, con la conseguenza che il procedimento è considerato identico quando tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, alla base dell’autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede, vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico, anche qualora le notizie di reato che vengono via via acquisite rientrino nella competenza territoriale di altra autorità giudiziaria.
Di conseguenza, alla stregua di codesto approdo ermeneutico, rilevava sempre la Suprema Corte nella decisione qui in commento, il giudice di merito, da un lato, aveva, pertanto, affermato che il divieto di utilizzabilità di cui all’art. 270 c.p.p., non fosse, nei caso di specie, operante, in quanto non vi era stata utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti distinti ed autonomi, ma nel medesimo, identico procedimento, che scaturisce dalla medesima notizia di reato e dalla medesima indagine, dall’altro, aveva quindi ritenuto, con motivazione (reputata) congrua ed esente da vizi logici, che si non tratti di utilizzazione di materiale probatorio appartenente a un procedimento diverso – soggetta al divieto di cui all’art. 270 c.p.p. – ma, ricorrendo ad una concezione sostanzialistica del concetto di “identità di procedimento“, che il procedimento fosse unico, in quanto scaturiva dalla medesima notizia di reato e in quanto concernente il medesimo traffico di stupefacenti.
Il ricorso era, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito come deve essere intesa la diversità di procedimento di cui all’art. 270 c.p.p..
Fermo restando che, come è noto, l’art. 270, co. 1, c.p.p. dispone che i “risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’articolo 266, comma 1”, c.p.p., si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che la diversità del procedimento deve essere intesa in senso sostanziale e ricollegata al dato dell’alterità del procedimento, in quanto instaurato in relazione ad una notizia di reato che derivi da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine, il che implica come siffatta diversità non possa essere ricollegata a dati puramente formali, come l’iscrizione della medesima notizia di reato da parte di due diversi uffici di procura, dovendosi altresì considerare che, tra l’altro, il concetto di “diverso procedimento” non equivale a quello di diverso reato e in esso non rientrano quindi le indagini strettamente connesse e collegate, sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico, al reato in ordine al quale il mezzo di ricerca della prova è stato disposto.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare la ricorrenza, o meno, di questo diverso procedimento, in presenza del quale, come si evince chiaramente dal tenore testuale del primo comma dell’art. 270 c.p.p., i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in questi procedimenti ove tali operazioni captative non sono state disposte.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, dunque, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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