La disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative nelle amministrazioni pubbliche

Redazione 09/11/04
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di Avv. Rosa Francaviglia, Dott.ssa Elena Brandolini
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Le collaborazioni coordinate e continuative nelle pubbliche amministrazioni sono manifestazione della tendenza favorevole alla flessibilizzazione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato; tuttavia, come è noto, la Riforma Biagi non concerne quest’ ultimo. Ciò collide con la progressiva assimilazione del rapporto di lavoro privato con quello alle dipendenze della P.A., ma, peraltro, conferma la tesi di quella dottrina autorevole che ha sempre ritenuto falsa e fuorviante la privatizzazione del pubblico impiego, attesa la natura inderogabilmente pubblicistica del datore di lavoro. Parimenti, è indubbio che le co.co.co. sono state spesso utilizzate in maniera distorta ed impropria dalle P.A. e dagli enti locali; in modo talmente improprio che la giurisprudenza erariale è stata chiamata a pronunziarsi su di esse in plurime occasioni . Di conseguenza, il Dipartimento della Funzione Pubblica è intervenuto con la circolare n° 4 del 15 luglio 2004 ( “ Co.co.co. nelle amministrazioni: presupposti e limiti alla stipula dei contratti “), recependo i principi giurisprudenziali fissati in materia con particolare riguardo a quelli della Corte dei Conti. Postulato- base è che nelle collaborazioni non è ravvisabile una forma di assunzione di personale alternativa alla stipula di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, né ci si può avvalere di tale tipologia contrattuale per prestazioni ordinarie, ma soltanto per quelle ad alta professionalità che non siano presenti nell’ amministrazione che intende avvalersene.

Se la riforma sul mercato del lavoro, come dianzi si è visto, risulta inapplicabile al pubblico impiego, le collaborazioni permangono e non devono mutuarsi in lavoro a progetto o subordinato od in altra formula tipologica a contenuto flessibile fra quelle previste innovativamente dal legislatore.

D’ altro canto, se le collaborazioni sono state espunte dalla Biagi per il lavoro privato perché ritenute elusive degli obblighi assicurativo-previdenziali e strumento di possibile abuso nei confronti dei lavoratori, è evidente che, permanendo nel pubblico, le stesse andavano ricondotte entro i paletti fissati dalla giurisprudenza contabile onde evitare che esse continuassero a prestarsi a logiche di favoritismo e di arbitrio anche assecondando i vari schieramenti partitocratici e quei “ professionisti “ ( od asseriti come tali ) che ne erano l’ espressione. A ciò aggiungasi il sensibile aumento del ricorso alle co.co.co. desunto dalle elaborazioni effettuate dall’ Aran sui dati Si.Co. del Ministero dell’ Economia e delle finanze.

In relazione al divieto di procedere ad assunzioni a qualsiasi titolo di cui alla L. n° 350/2003, la disposizione riguarda le sole assunzioni di personale a tempo indeterminato o determinato, ma non tange le co.co.co. che potranno essere stipulate nei limiti di spesa del bilancio e per le fattispecie previste.

Il D. Lgs. n° 276/2003 non si applica agli enti locali. In tal senso è il parere del Dipartimento della Funzione Pubblica del 3 febbraio 2004, secondo il quale: “ Per l’ affidamento degli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa le pubbliche amministrazioni dovranno fare riferimento a quanto previsto dall’ art. 7, comma 6° del T.U.P.I. n° 165/2001 e dall’ art. 110, co. 6° del T.U.E.L., poiché le disposizioni del D.Lgs. n° 276/2003 non sono applicabili alle P.A.”. Per tale spesa, peraltro, per tutti gli enti assoggettati al patto di stabilità, ci sarà il taglio del 10% rispetto a quanto mediamente erogato nel triennio 2001/2003, mentre per le P.A. in regola con il patto, la decurtazione non ingloba le spese già impegnate alla data di entrata in vigore del decreto.

In sostanza, prima che la Funzione Pubblica si pronunziasse sulla tematica delle collaborazioni esterne, l’ art. 34 della L. n° 289/2002 e l’ art. 3 della L. n° 350/2003 ne avevano ristretto l’ ambito applicativo ai fini del contenimento della spesa.

L’ art. 7 – co. 6° del T.U.P.I. e l’ art. 110 – co. 6° del T.U.E.L. evidenziano la possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di lavoro autonomo. E siccome l’ affidamento di incarichi a terzi non deve tradursi in forme atipiche di assunzione, con la conseguente elusione delle disposizioni sul reclutamento e delle norme in materia di contenimento della spesa, ne deriva che l’ elemento dell’ autonomia deve risultare prevalente ( Del. N° 33/1994 della Sez. Controllo Enti C.d.C. ) . Secondo il consolidato orientamento della Corte dei Conti, l’ affidamento dell’ incarico a terzi potrà dunque avvenire solo laddove la P.A. non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno. Ergo: è precluso alle P.A. affidare, mediante rapporti di collaborazione, i medesimi compiti che sono svolti dai dipendenti dell’ amministrazione, proprio al fine di evitare una duplicazione delle funzioni ed un aggravio di costi. Le condizioni necessarie per il conferimento degli incarichi sono tutte quelle indicate dalle pronunzie di responsabilità ( ex plurimis: Sez. Giur. Veneto n° 1124/2003 ) quali la rispondenza dell’ incarico agli obiettivi della amministrazione conferente; l’ impossibilità per l’ amministrazione conferente di procurarsi all’ interno della propria organizzazione le figure professionali idonee allo svolgimento delle prestazioni oggetto dell’ incarico, da verificare mediante una reale ricognizione; la specifica indicazione delle modalità e dei criteri di svolgimento dell’ incarico; la temporaneità dell’ incarico; la proporzione fra compensi erogati all’ incaricato e le utilità conseguite dalla amministrazione. Tali condizioni devono tutte coesistere e nessuna esclude l’ altra; in caso contrario ben posso ravvisarsi gli estremi di responsabilità amministrativa. Altresì, è palese che esse devono constare da atto scritto ( rectius : dal contratto di attribuzione dell’ incarico di collaborazione che deve indicare oggetto della prestazione e durata della collaborazione individuata con precisione o per relationem). La proroga contrattuale è ammissibile se funzionalizzata al raggiungimento dello scopo negoziale, ma ha comunque carattere di eccezionalità; mentre vanno escluse proroghe reiterate, seriali ed ingiustificate. Il carattere di eccezionalità degli incarichi esterni e delle co.co.co. significa dover fronteggiare esigenze peculiari per le quali la P.A. necessita dell’ apporto di apposite competenze professionali. In caso contrario, se la P.A. ha necessità costante di far fronte ad esigenze organizzative che esulino da tale eccezionalità, essa dispone di strumenti differenti dalle collaborazioni quali la riqualificazione, la riconversione, la formazione e l’ aggiornamento del personale interno onde ottimizzare le risorse umane disponibili. Ecco perché le procedure previste dai processi di progressione economica orizzontale e le procedure concorsuali attinenti le pregressioni verticali devono tener conto dei nuovi fabbisogni di professionalità che assumano carattere di permanenza e necessità. In quanto al contenuto della prestazione, oggetto dell’ incarico di collaborazione, giova rammentare che deve trattarsi di prestazioni di elevata professionalità ossia prestazioni d’ opera intellettuale da affidarsi a soggetti muniti di abilitazione all’ esercizio di una certa professione ed iscritti in appositi albi ovvero in prestazioni non reperibili nel settore pubblico. La collaborazione è di per sé incompatibile con l’ affidamento di compiti di gestione e di rappresentanza, tenuto conto dell’ assenza di vincolo di subordinazione fra committente e prestatore d’ opera e dell’ esistenza di un certo grado di autonomia che differenzia i collaboratori dai funzionari e dai dirigenti pubblici posti in rapporto di subordinazione con il datore di lavoro-amministrazione ed agenti secondo gli indirizzi impartiti e gli obiettivi assegnati, rispondendo del loro operato “ secondo le leggi penali, civili ed amministrative “ ( art. 28 Cost. ), laddove, nel caso della inadempienza contrattuale del collaboratore la sola conseguenza possibile sarà il recesso del committente secondo le norme generali ( artt. 1453, 2227 e 2237 c.c. ).

Mancando il requisito dell’ incardinazione, il collaboratore, eccettuata l’ ipotesi di eventuale ed espressa procura, non potrà giammai agire per conto della P.A. ( art. 417 bis c.p.c. ); chè, se così facesse, si avrebbe un “ falsus procurator “ ez artt. 1398 e 1399 c.c. . .

Sotto il profilo erariale, il conferimento di un incarico di collaborazione in carenza dei presupposti e dei requisiti sopraindicati equivale a responsabilità amministrativa in capo al dirigente , ferma restando quella civile risarcitoria ex art. 2126 c.c. ( rapporti di lavoro di fatto ) se – come spesso avveniva per le co.co.co. nel settore privato – trattavasi di lavoro dipendente dissimulato sotto le parvenze della parasubordinazione.

La mancanza di una definizione codicistica dell’ istituto, la cui unica nozione è quella desumibile dall’ art. 409 n° 3 c.p.c., ha portato sia la dottrina che la giurisprudenza alla ricostruzione dogmatica della categoria dei parasubordinati, a mezzo fra i lavoratori dipendenti e quelli autonomi, ma sicuramente più affine ai primi rispetto ai secondi. I tre elementi della continuità, in antitesi alla occasionalità, della coordinazione e della prestazione prevalentemente personale escludono, peraltro, che siano rinvenibili nelle collaborazioni quegli elementi ( indici rivelatori ) sottesi alla subordinazione quali la dipendenza dal datore di lavoro e l’ assoggettamento al potere disciplinare, gerarchico e direttivo di quest’ ultimo; la predeterminazione dell’ orario lavorativo; l’ inserimento nell’ organizzazione datoriale e via dicendo. In adesione al criterio sostanzialistico e stante l’ insufficienza di quello meramente nominalistico, occorre sottolineare che l’ effettiva qualificazione del rapporto intercorrente fra le parti deve fondarsi su quegli indici enucleati dalla giurisprudenza della S.C. ( S.U. n° 61/1999 ) tesi ad identificare la natura effettiva della prestazione nel suo concreto atteggiarsi. Il potere di coordinazione è variabile e, quindi, si appalesa diversamente a seconda della prestazione convenuta con il committente con conseguente possibilità di valutazione diversificata in ragione alle singole fattispecie. Escluso che possano applicarsi de plano regole e principi propri del rapporto di lavoro subordinato, di certo non potranno configurarsi né l’ obbligo di prestazione oraria, né il relativo controllo delle presenze, né il potere di attribuire le ferie unilateralmente da parte del committente

( fatta salva la possibilità di inserire nella convenzione di collaborazione la possibilità di sospendere la prestazione per un dato periodo di tempo specie se il collaboratore si avvalga di strutture, impianti e strumenti del committente ), né l’ attribuzione di buoni-pasto ( mentre è ammissibile il rimborso spese se pattuito convenzionalmente ). Per le trasferte, invece, il collaboratore viene assimilato al lavoratore dipendente ( art. 5 del T.U.I.R. e relative circolari applicative ) facendosi riferimento alla sede di lavoro del committente, se chiaramente identificabile dal contratto, od al domicilio fiscale del collaboratore, se la sede di lavoro non è chiaramente individuabile ( da ultimo vedasi Circolare Agenzia delle Entrate n° 58/E del 18 giugno 2001 ).

In quanto alla problematica della precarizzazione dei collaboratori, la stessa si atteggia in modo differente rispetto al lavoro privato , stante che in ambito pubblicistico deve ritenersi radicalmente esclusa – ex art. 36, 2° co. del T.U.P.I. ( la cui legittimità costituzionale è stata confermata dalla Consulta con la pronunzia n° 89/2003 ), l’ operatività di qualsiasi meccanismo di automatica conversione del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con conseguente esclusione del disposto di cui all’ art. 69 del D. Lgs. n° 276/2003, essendo previsto che – seppure in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’ assunzione o l’ impiego di lavoratori da parte delle P.A. – giammai potranno costituirsi rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime P.A.. E’, dunque, evidente che la tutela del collaboratore deve intendersi limitata ai rimedi risarcitori nei limiti posti dall’ art. 2126 c.c. in termini di diritto alle differenze retributive ed al versamento dei prescritti contributi previdenziali nei limiti della prescrizione semprechè si integri la fattispecie di rapporto di collaborazione sostanziatesi in rapporto di lavoro subordinato.

Ne deriva che i meccanismi e le tecniche di tutela dei collaboratori in sede pubblicistica sono non solo diversi, ma anche di minore incisività rispetto al settore privato insorgendo l’ esigenza richiamata dalla Funzione Pubblica di “ armonizzazione “ del sistema in relazione a quanto disposto dall’ art. 86, co. 8° del D.Lgs. n° 276/2003.

All’ autonomia collettiva viene, comunque, preclusa la possibilità di inserzione di meccanismi di automatica conversione a sanatoria di situazioni pregresse o verificabili, vigendo i limiti costituzionali prescritti per l’ accesso per pubblico concorso, l’ imparzialità ed il buon andamento della P.A. ( ipotesi che sarebbe sanzionata ex art. 1418 c.c. e dall’ art. 36 – 2° co. del T.U.P.I. ). Relativamente alla responsabilità erariale in cui incorre il dirigente che abbia stipulato un contratto di co.co.co. illegittimo, escluso che possa ravvisarsi errore professionale scusabile, deve ritenersi sussistente l’ elemento psicologico quantomeno della colpa grave. La quantificazione del danno andrà operata non sulla scorta di criteri prettamente civilistici, bensì sulla base di parametri pubblicistici di valutazione della cosiddetta “ utilità gestoria “, stante l’ inconfigurabilità di un arricchimento dell’ ente da opporre in compensazione in relazione a prestazioni lavorative effettuate in posizioni di “ status contra legem “ ed il principio della “ compensatio lucri cum damno “ va, pertanto, a ciò rapportato.

Giova rammentare che la disciplina sui controlli interni nelle P.A. di cui al D.Lgs. n° 286/1999 nelle quattro tipologie del controllo di regolarità amministrativo- contabile, di gestione, strategico e di valutazione dirigenziale, presuppone programmazione, verifica e riscontro dei risultati. Ciò si traduce, anche in assenza di estensione del lavoro a progetto alle P.A., nella necessità che ogni collaborazione sia connessa a programmi, progetti o fasi di essi.

Da ultimo, il Legislatore con il decreto tagliaspese di cui alla L. n° 191/2004, ha previsto che le spese per le amministrazioni pubbliche ( escluse le università e gli enti di ricerca ) per studi e consulenze non debbano essere superiori per l’ anno 2004 alla spesa annua media nel biennio 2001 – 2002, ridotta del 15%, salvo deroghe per eventi straordinari. I relativi provvedimenti devono essere motivati e sono consentiti solo nelle ipotesi prescritte. In assenza di tali presupposti, l’ adozione del provvedimento costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il provvedimento va comunque preventivamente comunicato agli organi di controllo ed agli organi di revisione di ciascun ente. Viene disposto, altresì, che le P.A. emanino direttive, nell’ esercizio dei diritti dell’ azionista, nei confronti di società a totale partecipazione pubblica, per conformarsi a tali disposizioni e che tali direttive vadano previamente comunicate alla Corte dei Conti ( rectius: alla sezione regionale di controllo competente per territorio ). Tale comunicazione non attiva un autonomo procedimento di controllo preventivo, ma integra un elemento istruttorio di controllo successivo.

AVV. ROSA FRANCAVIGLIA
MAGISTRATO DELLA CORTE DEI CONTI

DOTT.SSA ELENA BRANDOLINI
MAGISTRATO DELLA CORTE DEI CONTI

Redazione

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