La multiforme disciplina del sequestro nell’ esperienza processuale penale italiana

Redazione 22/09/03
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di Ivan Caradonna

I. La pluralità delle tipologie del sequestro.

Il nuovo codice di procedura penale al Titolo III del Libro III, dedicato ai mezzi di prova, disciplina l’ istituto del sequestro finalizzato alla ricerca della prova, mentre lo stesso codice di rito al Titolo II del Libro IV, dedicato alle misure di cautelari reali, detta la normativa concernente il sequestro conservativo e quello preventivo.

Questa divisione fra i due tipi di sequestro, introdotta dal legislatore nel nuovo codice di procedura penale, prende spunto da due esigenze:da un lato escludere che il sequestro penale possa servire per finalità diverse da quelle probatorie, dall’altro dare ampio riconoscimento alla nuova figura di sequestro “preventivo” che per presupposti e finalità si differenzia radicalmente dal primo.

E’ evidente che la caratteristica comune di ogni tipo di sequestro è l’indisponibilità della res.

Tale indisponibilità del bene, permette la sua “fuoriuscita” dalla sfera di possesso del proprietario, possessore, detentore: la mancanza dell’effettiva disponibilità materiale realizza il fine dell’ impossibilità dell’ alterazione della la condizione giuridica del bene.

Al pari del sequestro penale,quindi, gli altri due tipi di sequestro rappresentano misure dirette a garantire al procedimento la disponibilità di un bene e ad evitarne la possibile manomissione.

Si evidenzia che la finalità cui risponde ognuno dei sequestri è radicalmente diversa. Difatti, il sequestro penale assicura al procedimento le possibili prove: vale a dire i materiali utili alla ricostruzione processuale dell’ evento penalmente rilevante; laddove il sequestro preventivo impedisce che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravarne o protrarne le conseguenze ovvero agevolare la commissione di altri reati.

Il sequestro conservativo- dal canto suo- assicura al procedimento

alcuni beni perché con essi sia garantito il pagamento delle spese di

giustizia o delle somme dovute al danneggiato.

Mentre il sequestro penale risponde ad esigenze di natura probatoria (ed è perciò disciplinato assieme agli altri mezzi di ricerca della prova), gli altri due tipi di sequestro rispondono a finalità cautelari (e sono perciò disciplinati nel Libro IV del codice dedicato alle misure cautelari).

II. Uno prospettiva diacronica sulla disciplina del sequestro penale.

Prima di procedere ad una disamina dell’ argomento occorre proporre all’ attenzione del lettore un breve cenno diretto ad illustrare il processo storico-evolutivo compiuto dall’istituto del sequestro penale nel nostro ordinamento.

Il sequestro penale è tornato alla ribalta negli anni immediatamente precedenti all’emanazione del vigente codice di procedura penale, divenendo oggetto di un processo di progressiva valorizzazione da parte della giurisprudenza.

Invero, accanto al tradizionale sequestro probatorio, l’attuale codice di procedura penale ha previsto e disciplinato la nuova figura di sequestro che si colloca non più sul fronte delle esigenze processuali, ma su quello delle cautele sostanziali.

E’ bene precisare che l’interesse per il sequestro penale non va valutato isolatamente, in quanto esso si inserisce in una più complessa rimeditazione di alcuni istituti processuali provocata da quegli interventi normativi denominati come “legislazione d’emergenza”[1].

L’ esame degli assi portanti del codice Rocco, codice ideato per confrontarsi con le figure di reato tradizionali e rapportate ad un modello diverso di società, evidenza come il complesso dei suoi precetti resti agevolmente riconducibile negli schemi ormai obsoleti in cui si esprime il processo logico destinato a dar vita al sillogismo giudiziale: la ricostruzione del fatto, l’individuazione del colpevole, i momenti dell’immancabile riassunzione nel campo di rilevanza penale dell’attività antisociale [2].

Caduto lo Stato totalitario, il sistema si è trovato impreparato a fronteggiare forme di criminalità diverse da quelle tradizionalmente comprese come materia del processo penale.

In conseguenza del nuovo compito affidatogli- la gestione dei nuovi fenomeni di criminalità emergente- il processo penale ha finito con l’abbandonare le proprie caratteristiche di “neutralità” rispetto al raggiungimento di determinati risultati, per assumere il ruolo di “efficiente promotore” dei medesimi[3].

Fu così coniata la definizione di “processo forte” che, in qualche maniera, stava ad indicare un dannoso sbilanciamento dei valori: alle esigenze di tutela della collettività venivano sacrificate quelle di tutela personale dell’imputato.

Le considerazioni brevemente fin qui esposte si accompagnano ad altre a cui si richiamano le prassi processuali proprie degli anni immediatamente precedenti l’emanazione del nuovo codice di procedura; è, questa, la fase caratterizzata dalla c.d. paura della “fuga dalla sanzione”.

La paura della “fuga dalla sanzione” venne esorcizzata attraverso l’uso di strumenti predisposti dall’ordinamento per obiettivi diversi da quelli sanzionatori.

In sostanza “il sistema tende a recuperare rimedi sanzionatori” atipici attraverso il processo[4].

Emblematica è proprio la vicenda del sequestro delle cose pertinenti al reato: disciplinato dal codice Rocco quale mezzo di assicurazione della prova, è stato gradualmente anticipato come misura propedeutica del provvedimento punitivo finale, trasformandosi così in una vera e propria sanzione anticipata.

Il codice di rito vigente, che prevede misure che possono essere disposte nel corso del processo penale in funzione di esigenze cautelari e con effetti limitativi delle libertà e delle disponibilità di beni da parte del soggetto sottoposto ad indagine/imputato, ha avuto il merito storico di recepire quelle istanze avanzate da una realtà sociale in trasformazione e nello stesso tempo indotta da un’emergenza legislativa assunta come normale punto di rilevanza interpretativa.

Peraltro, a partire dal 1980 si assiste ad un’inversione di tendenza che è stata incisivamente definita con la locuzione “garantismo inquisitorio”.

La necessità di restituire alla giurisdizione il suo ruolo primario, di contenere il potere giudiziario, di precludere la via della “invenzione di regole” si palesò in tutta la sua più indifferibilità [5].

Segno tangibile di tale mutamento di rotta è facilmente ravvisabile nella legge 24 novembre 1981, n. 689, intitolata “Modifiche al sistema penale” che, coerentemente, viene definita “punto di intersezione fra le scelte di politica criminale e le esigenze di garanzia dall’arbitrio giudiziario” [6].

In questo quadro le cautele processuali non sono circoscritte più a quelle limitative della libertà personale in senso stretto, ma- in ossequio ai principi di proporzionalità e di adeguatezza- il codice prevede una vasta gamma di misure, da quelle personali, a quelle interdittive, a quelle cd. cautelari reali.

Il nuovo codice dà quindi formale riconoscimento al sequestro preventivo,premurandosi a differenziarlo per natura e funzioni dal sequestro a fini di prova.

Nel tratteggiare le figure principali del sequestro penale e di quello preventivo, risultano evidenti le ragioni che hanno indotti alcuni Autori a definire quest’ultimo “misura idonea a far conseguire i risultati più significativi ed a suscitare le valutazioni più controverse” [7]

E’ opportuno difatti riconoscere che l’applicazione di questa misura può risultare invasiva nei riguardi di taluni beni fondamentali tutelati dal nostro ordinamento giuridico. Potenzialità lesiva che deve essere coartata entro quei principi di proporzionalità, gradualità ed adeguatezza che- esplicitamente previsti per le cautele personali- devono essere estesi tout court in via interpretativa a tutte le misure cautelari.

L’ oggetto del sequestro penale

L’oggetto del sequestro penale viene dal codice di rito individuato nel “corpo del reato” e nelle “cose pertinenti al reato” (art. 253, primo comma, c.p.p.).

La prima delle due formule trova interpretazione autentica nel chiarimento fornito dal legislatore, secondo il quale “sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo” (art. 253 II comma, c.p.p.).

La definizione è sufficientemente comprensiva da includere anche le cose il cui uso, porto, detenzione costituisce reato, nonché le cose acquisite direttamente con il reato o da questo create, quelle che rappresentano comunque vantaggio- patrimoniale e non patrimoniale- tratto dal reato, ed in genere qualsiasi bene valutabile economicamente, dato o promesso all’autore del reato per la consumazione di esso.

Viceversa, quanto all’individuazione delle “cose pertinenti al reato”, occorre affidarsi all’interpretazione giurisprudenziale.

E sempre ad un’opportuna interpretazione giurisprudenziale che si deve un’ulteriore puntualizzazione: poiché la legittimità del sequestro resta subordinata al presupposto che l’oggetto sul quale viene eseguito sia suscettibile d’essere qualificato come “corpo del reato” o come “cosa pertinente al reato”, non ci si può basare su mere “possibilità” in ordine alla configurabilità di reati, sorrette da valutazioni del tutto congetturali, ma è indispensabile che si conosca in via preventiva a quale specifico illecito penale l’oggetto su cui il sequestro cade sia riferibile. Od, almeno, che siano chiari i parametri in base ai quali si ritiene di ravvisare nella condotta del possessore della cosa da sequestrare fatti costituenti reato8.

Infine,il sequestro penale può cadere su cose che presentino carattere materiale sotto ogni aspetto (oggetti, animali) o che servano a fissare determinate rappresentazioni (documenti, registrazioni sonore e simili) o che costituiscano mezzi per utilizzare o trasformare energie naturali (es. condutture elettriche); può trattarsi di cose sia mobili che

immobili,commerciabili ed in commerciabili.

IV. Limiti concernenti l’oggetto del sequestro penale

La legge pone dei limiti alla sequestrabilità.

Detti limiti sono stati ispirati alla salvaguardia di alcuni interessi ritenuti prevalenti rispetto alle esigenze che il sequestro penale intende realizzare.

In prima battuta possiamo affermare che tali limiti riguardano gli atti relativi all’oggetto della difesa ed alla corrispondenza tra imputato e difensore.

L’art. 103 II comma c.p.p. stabilisce che “presso i difensori ed i consulenti tecnici non si può procedere a sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa”.

La collocazione nell’ambito delle prescrizioni concernenti le “garanzie di difesa dell’imputato” intende sottolineare che la norma è preordinata non tanto ad impedire l’assicurazione per fini probatori di determinati atti che potrebbero essere coperti da segreto, quanto a rafforzare la tutela dell’interesse e della posizione istituzionale della difesa nell’ ambito del procedimento/processo penale.

La insequestrabilità per ragioni di natura difensiva viene estesa anche alla “corrispondenza tra l’imputato ed il proprio difensore, in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni” (art. 103, sesto comma, c.p.p.).

Il divieto di procedere a sequestro di carte, documenti e corrispondenza destinati all’esercizio dell’attività di difesa cede di fronte all’eventualità che essi costituiscano corpi di reato, come dispone l’art. 103 II e VI comma c.p.p., ma resiste di fronte alle cose pertinenti al reato che -se affidate al difensore o al consulente tecnico per l’adempimento del loro ufficio- ricadono nella previsione di insequestrabilità.

L’art. 256 I comma c.p.p. impone – dal canto suo- ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati ed agli incaricati di un pubblico servizio di consegnare immediatamente all’autorità giudiziaria che ne abbia fatto richiesta qualsiasi atto e documento ed ogni altra cosa esistente presso di essi per ragioni del loro ufficio o incarico.

Tale obbligo viene meno se i predetti soggetti dichiarino per iscritto che ciò di cui si chiede l’esibizione è coperto da segreto di Stato.

Tale dichiarazione impedisce che l’organo procedente possa esercitare il potere di sequestro una volta opposta l’esistenza stessa del segreto, del quale, tuttavia, è previsto che si chieda specifica conferma al Presidente del Consiglio dei Ministri.

La mancata acquisizione, da parte del giudice, potrebbe successivamente indurre quest’ultimo a dichiarare “non doversi procedere per l’esistenza di un segreto di Stato”, ove quella prova dovesse apparirgli essenziale per la definizione del processo (art. 256, terzo comma, c.p.p.).

Coperti dal segreto di Stato sono, in generale, gli atti ed i documenti “la cui diffusione sia idonea a recar danno all’integrità dello Stato democratico, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni dello Stato rispetto agli altri Stati ed alle relazioni con essi, alla preparazione ed alla difesa militare dello Stato” (art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801).

Tuttavia, non possono formare oggetto di segreto “fatti, notizie e documenti concernenti reati diretti all’eversione dell’ordinamento costituzionale” (art. 204, primo comma, c.p.p., richiamato dall’art. 256, quinto comma), di fronte ai quali si verifica una piena reviviscenza del potere di sequestro.

Sempre l’art. 256 I comma, c.p.p. dispone l’insequestrabilità di atti, documenti e qualsiasi altra cosa esistente, per ragioni di ufficio, di incarico, di ministero, di professione o di arte, presso pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio, impiegati, ministri di culto, esercenti professioni forensi o sanitarie, quando costoro, su richiesta di esibizione avanzata dall’Autorità Giudiziaria, dichiarino per iscritto che trattasi di atti coperti da segreto d’ufficio o professionale.

Tuttavia, se la stessa Autorità ha motivo per dubitare della fondatezza di tale assunto e ritiene di non poter ulteriormente procedere sconoscendo quegli atti, compie i necessari accertamenti a seguito dei quali, ove la dichiarazione risulti infondata, ordina il sequestro (art. 256, secondo comma, c.p.p.).

V. I soggetti legittimati a disporre il sequestro penale.

Analizzando l’adozione del provvedimento di sequestro penale, si deve

fare riferimento ai soggetti ai quali è attribuita la legittimazione a disporre la misura coercitiva.

Secondo la disciplina dettata dal codice, è possibile distinguere un sequestro disposto dall’autorità giudiziaria ed un sequestro d’iniziativa della polizia giudiziaria.

Per quel che riguarda l’autorità giudiziaria, legittimata dall’art. 253, I comma, c.p.p., viene in primo luogo in evidenza il ruolo svolto dal P.M., in quanto titolare dell’attività investigativa e dunque soggetto naturalmente idoneo a valutare quelle esigenze relative all’ “accertamento dei fatti”, che stanno a fondamento del sequestro penale.

Oltre che all’organo investigatore, anche a quello giurisdizionale è concesso adottare provvedimenti di sequestro: ciò si verificherà, di regola, ad imputazione già formulata, allorché le parti avranno come naturale interlocutore il giudice.

Questi potrà disporre la misura coercitiva tanto a richiesta di parte, quanto ex officio, se in fase di dibattimento (art. 507 c.p.p.).

Talvolta, però, l’intervento del giudice può essere sollecitato ancor prima che si sia conclusa la fase delle indagini preliminari.

L’art. 368 c.p.p. configura tale ipotesi qualora nel corso delle indagini preliminari il p.m. rifiuti un sequestro richiesto dall’interessato (il danneggiato, l’offeso o anche la persona sottoposta ad indagine).

Il giudice per le indagini preliminari provvede dopo che lo stesso pubblico ministero gli abbia trasmessa l’istanza accompagnata dal proprio parere.

La decisione va adottata nelle forme del rito camerale ed è soggetta a ricorso per Cassazione a norma dell’art.127, settimo comma, c.p.p.

Secondo la Corte Costituzionale[9], nel caso in cui il pubblico ministero non adempisse il dovere di investire della richiesta di sequestro da lui non condivisa il giudice per le indagini preliminari, questi ben potrebbe, nel corso dell’udienza preliminare, disporre del “potere sostitutivo conferitogli dall’art. 368, in quanto non potuto esercitare per l’inottemperanza da parte del pubblico ministero della procedura ivi dettata”.

VI. Il sequestro probatorio ex art. 354 comma 2°

Il sequestro probatorio si differenzia dalle altre misure coercitive in quanto rientra fra i mezzi di ricerca della prova ed ha come oggetto le cose pertinenti al reato ed i corpi del reato, così come previsto dall’art. 253 del c.p.p.: “sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo”.

La distinzione sostanziale tra “ corpo del reato” e “ cose pertinenti al reato” va individuata nel fatto che mentre il primo è inerente al reato,costituendone un dato fondamentale al fine della commissione dello stesso, il secondo (cose pertinenti al reato ) è legato all’illecito da un rapporto di strumentalità.

Presupposto del sequestro probatorio, ex art. 354 c.p.p. , è la commissione di un reato, sia pur accertato in via incidentale nella sua astratta configurabilità, e non la mera intenzione di commetterlo[10].

Il pubblico ministero è il dominus dell’attività investigativa ed è il titolare primario di tutti gli atti connessi, sequestro incluso. Ed è quindi logico che, in linea generale, la titolarità primaria e principale dell’istituto del sequestro ricade in mano al P.M.

È dunque ovvio che laddove l’intervento del P.M., in relazione al caso concreto ed alle circostanze dello stesso, possa risultare essere tempestivo, la polizia giudiziaria informi (urgentemente) il suo ufficio della opportunità di procedere al sequestro, con seguente decisione del P.M. stesso sulla opportunità o meno di agire in tal senso.

Ed è dunque anche per tali motivi che il codice di rito prevede, parallelamente alla funzione primaria del P.M., anche una clonata funzione autonoma e di iniziativa della P.G[11].

Nel corso delle indagini preliminari, il codice di procedura, nel secondo comma dell’art. 354 c.p.p., individua un momento operativo–temporale in cui la polizia giudiziaria ha un ampio potere-dovere discrezionale, legato naturalmente al rispetto delle leggi e delle procedure di rito, sui modi e mezzi di azione; potere-dovere che va di volta in volta gestito secondo le esigenze del caso concreto in base a opportune motivazioni logiche.

Il sequestro si inserisce in questo momento di azione temporale, e cioè quando sussista il pericolo di mutamento della situazione di fatto per l’impossibilità di un tempestivo intervento del P.M., sicché allo stesso procede l’ufficiale di polizia giudiziaria e non anche l’agente di P.G., la cui legittimazione all’ azione è ricondotta all’ esistenza di quelle particolare “necessità ed urgenza” previste dall’ art. 113 disp. Att. C.p.p.

La procedura di sequestro, come qualsiasi altro atto di P.G, deve essere documentato mediante verbale nel rispetto delle forme di rito ed in presenza degli elementi sostanziali che lo legittimano (art. 357 II comma).

Inoltre,il verbale di sequestro, senza ritardo, e comunque non oltre le 48 ore, sarà trasmesso al Pubblico ministero del luogo dove il sequestro è stato eseguito che – nelle 48 ore successive- con decreto motivato e previa verifica della sussistenza dei presupposti, lo convalida ovvero ne dispone la restituzione.

Il pubblico ministero, indipendentemente dalla loro restituzione, potrà, altresì, disporre sulle stesse cose un altro autonomo sequestro.

Copia del verbale redatto dalla P.G. viene rilasciato alla persona nei cui confronti è stato operato il sequestro ed alla stessa viene notificato immediatamente il decreto di convalida emesso dal P.M.

I soggetti aventi diritto alla restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, che comunque non sospende l’esecuzione del provvedimento stesso.

Circa l’utilizzabilità del verbale di sequestro, va precisato che esso è inserito nel fascicolo delle indagini preliminari ed è utilizzabile in tale sede, nonché nei procedimenti speciali .

Per sua natura il sequestro è atto irripetibile pertanto il relativo verbale è destinato al confluire nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431 comma 1 lettera b, ed è, pertanto, soggetto a lettura ex art. 511 c.p.p. con conseguente deliberazione a norma dell’art. 526 c.p.p..

Nel medesimo fascicolo devono essere inseriti anche il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, acquisite dalla P.G., qualora non debbano essere custoditi altrove.

Il sequestro preventivo ex art. 321 comma III bis c.p.p.

Il sequestro preventivo, previsto dall’art. 321 c.p.p., deve la sua differenziazione rispetto a quello penale[12] – oltre che alla finalità cui è chiamato a realizzare – anche in relazione all’oggetto, individuato principalmente nelle cose pertinenti il reato.

Il rapporto di pertinenza, però, diversamente da quanto previsto per il sequestro penale, si specifica non già nella finalità probatoria, bensì in quella di evitare l’aggravarsi od il protrarsi delle conseguenze del reato ovvero la commissione di altri reati [13]. L’art. 321 I comma c.p.p. disciplina non solo i presupposti, l’oggetto, la forma e la revoca del provvedimento di sequestro preventivo, ma anche l’organo competente in relazione al momento procedimentale in cui viene adottata la misura cautelare reale.

Nell’indicare gli organi legittimati a disporre il sequestro preventivo (prima dell’esercizio dell’azione penale il giudice per le indagini preliminari e, successivamente, il “giudice competente a pronunciarsi nel merito”), l’art. 321 chiarisce che esso può disporsi fin dall’inizio delle indagini.

Per esigenze di sintesi, quindi, possiamo affermare che le necessità per l’accertamento dei fatti connotano la finalità del sequestro penale così da farlo identificare con quello probatorio, mentre le necessità di prevenzione di ulteriori conseguenze dannose o penalmente rilevanti connotano il sequestro preventivo [14].

Relativamente all’analisi del primo comma dell’art. 321 c.p.p., occorre precisare che le cose pertinenti al reato ivi menzionate non costituiscono definizione generica atta a ricomprendere anche il corpo del reato, menzionato, invece, dal II dello stesso art. 321.

Come appare evidente, il sequestro preventivo può trovare applicazione solo in quanto il sequestro penale non sia stato disposto per mancanza dei relativi presupposti, ovvero in quanto siano venute meno le esigenze probatorie che ne avevano imposto l’applicazione.

Risulta, quindi, possibile la convertibilità del sequestro penale in quello conservativo, conformemente quanto previsto dal III comma dell’art. 262 c.p.p.

Da quanto precede appare evidente che l’aggravamento ed il protrarsi delle conseguenze di un reato, costituenti le ipotesi omogenee in cui può darsi il sequestro preventivo, postulano la commissione di un reato, anche a livello di tentativo ove si tratti di delitto[15].

Con riferimento agli aspetti procedimentali, va immediatamente evidenziato che, se il sequestro penale è disposto con decreto motivato del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari ovvero dagli organi giurisdizionali nel corso del processo, il sequestro preventivo-a dimostrazione della maggior problematicità ed anche al fine di non consentire un’ utilizzazione dello strumento non in linea con la particolarità dell’istituto- può essere disposto in via generale, con decreto motivato dell’organo giurisdizionale solamente su richiesta del pubblico ministero.

Onde consentire l’applicabilità dell’istituto nell’ambito anche delle indagini preliminari, il primo comma dell’art. 321 c.p.p. stabilisce che “prima dell’esercizio dell’azione penale” esso è adottato dal giudice delle indagini preliminari.

Nel 2° comma dell’art. 321 c.p.p. è disciplinato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca della cosa.

Si tratta di una misura diversa da quella dl 1° comma, per la quale non sono necessari i presupposti previsti nel comma in predicato.

L’unica condizione è la confiscabilità del bene, tanto nell’ipotesi obbligatoria quanto in quella facoltativa.

Compito del giudice è verificare che i beni rientrino nella categoria delle cose oggettivamente suscettibili di confisca.

La misura del sequestro preventivo per la successiva confisca dimostra un’ efficacia pervasiva notevole sui patrimoni di provenienza illecita. Inoltre è opportuno precisare che in tale evenienza le disposizioni codicistiche devono essere correlate a quelle emergenti dalla legislazione speciale di cui all’art. 12 sexies d.l. 8.6.1992, nr. 306 convertito il Legge 7.8.1992, nr. 356, aggiunto dal d.l. 20.6.1994, nr. 399 convertito in legge 8.8.1994, nr. 501.

Il rapporto pertinenziale, che è una delle condizioni del sequestro preventivo, deve ugualmente sussistere anche quando il sequestro preventivo attiene alla fattispecie di cui all’art. 12 sexies l. n. 356/92, poiché detta ultima disposizione non ha introdotto una misura di prevenzione ma “un criterio semplificato di accertamento del legame tra fattispecie criminosa e disponibilità economica”, nel senso di una presunzione della riconducibilità del patrimonio all’attività illecita allorché, procedendo si per uno dei reati previsti dall’art. 12 sexies, si riscontra la sproporzione tra il patrimonio e il reddito.

Secondo quanto prevede l’art. 321 III comma, il sequestro è revocato immediatamente o su richiesta del pubblico ministero o dell’interessato quando risultano mancanti- anche per fatti sopravvenuti- le condizioni di applicabilità previste nel 1° comma dell’ articolo in predicato.

Infatti l’art. 15 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12, integrando la disposizione dell’art. 321 III comma, ha riconosciuto anche al pubblico ministero il potere di revocare il sequestro preventivo, con apposito decreto motivato.

Detto decreto deve essere notificato a coloro che hanno il diritto di proporre impugnazione.

Viene escluso però che il pubblico ministero possa respingere l’altrui richiesta di revoca: il P.M. quando non intenda accogliere una tale richiesta, deve trasmetterla al giudice -corredandola del proprio parere motivato- entro il giorno successivo a quello del deposito.

E’ appena il caso di rilevare un’ apparente discrasia: se da un canto l’art. 55 c.p.p. statuisce in capo alla polizia giudiziaria il dovere di impedire che i reati vengano portati a ulteriori conseguenze, gli artt. 347 e 348 del c.p.p non attribuiscono alla medesima P.G. un autonomo potere di sequestro preventivo da esercitare anche al di fuori dei casi espressamente previsti dal codice di rito.

Tale discrasia è da qualificare solo apparente se si fa riferimento alle modifiche successive all’ entrata in vigore del nuovo rito, e segnatamente alla novella rappresentata dal D.L. 14 gennaio 1991 n.12 che ha aggiunto all’art. 321 cod. proc. pen. il comma III bis. Quest’ ultimo ha introdotto la possibilità in capo alla polizia giudiziaria di eseguire il sequestro preventivo qualora ricorrano motivi di urgenza, fermi restando gli obblighi di trasmissione nelle quarantotto ore successiva del relativo verbale al P.M.16

Questi, entro le 48 ore dal sequestro da lui operato o dalla ricezione del verbale, chiederà al giudice di provvedere alla eventuale convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta del titolare dell’ indagine. L’inosservanza dei termini sopradetti da parte del pubblico ministero, della polizia giudiziaria o del giudice per le indagini preliminari comporta la caducazione del sequestro stesso (art. 322 III comma).

VIII . Sequestro preventivo di cose appartenenti a

persona diversa dall’indagato.

Il panorama del dibattito dottrinale e giurisprudenziale in ordine

al sequestro preventivo trova un punto critico circa l’ applicabilità

dell’ istituto sopra citato a cose che appartengono -a titolo di

proprietà o per altro diritto reale- a persona diversa dall’indagato,

con riferimento anche all’ipotizzabilità di una loro successiva

confisca.

In particolare, la giurisprudenza si è chiesta se le cose costituite in pegno possano formare oggetto di sequestro preventivo, ai sensi del primo e secondo comma dell’art. 321 c.p.p.

In linea generale, si propende per la soluzione affermativa, facendo però salva l’esigenza di non sacrificare oltre il necessario i diritti dei sequestratari estranei al fatto reato, tenuto conto della specificità della posizione del terzo. Più precisamente, il giudice, nell’applicazione del primo comma dell’art. 321 c.p.p., può graduare la portata oggettiva del sequestro preventivo, nel senso che ben può limitare l’efficacia della misura alle facoltà spettanti al debitore indagato o imputato, lasciando impregiudicate le facoltà che sono di esclusiva competenza del creditore pignoratizio. Inoltre, non è precluso il sequestro finalizzato alla confisca delle cose costituite in pegno regolare limitatamente alle facoltà inerenti alla posizione del debitore garante, indagato o imputato, impregiudicate anche qui le facoltà correlativamente spettanti sulle stesse cose al creditore pignoratizio estraneo all’illecito penale. Spetta al giudice di merito, attingendo ai poteri conferitigli dal combinato disposto degli artt. 81,104 e 259 I comma c.p.p., adottare gli accorgimenti opportuni per assicurare, con equilibrio degli opposti interessi, la corretta custodia ed amministrazione delle cose sequestrate, procedendo se del caso a designare come custode lo stesso creditore pignoratizio -con le facoltà che gli derivano dal diritto di garanzia-fino alla vendita ed all’assegnazione della cosa o del credito dato in pegno.Ovviamente sotto il preciso controllo dell’Autorità giudiziaria.

IX. Sottoponibilità a sequestro preventivo
di un bene già sottoposto a sequestro penale

La controversia giurisprudenziale concerne l’ammissibilità del sequestro preventivo di un bene già sottoposto a sequestro penale.

La soluzione deve necessariamente essere cercata partendo dall’esame dell’art. 321 I comma, c.p.p., secondo cui il sequestro preventivo è consentito quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati.

Il pericolo, per essere concreto, deve riflettersi su una situazione che renda quantomeno probabile, sia pure in itinere, la cessazione del vincolo di indisponibilità impresso dal sequestro probatorio e che renda reale e non presunta la prospettiva della riconduzione del bene nella sfera di chi potrebbe servirsene in contrasto con le esigenze protette dall’art. 321 c.p.p.

Una siffatta concreta possibilità non è da escludere nel vigente sistema processuale stante la disciplina che regola il sequestro probatorio e, in seno ad esso, la restituzione all’avente diritto delle cose non più necessarie a fini di prova. Se ne deduce la posibilità di uno iato tra il provvedimento di cessazione del sequestro penale e quello di applicazione del sequestro preventivo; un’interruzione che, per quanto possa essere breve, non elimina il rischio di veder pregiudicati o vanificati gli obiettivi della misura preventiva.

Tale pericolo è sicuramente escluso se si fa riferimento alla fase delle indagini preliminari. Difatti, spettando al p.m. il potere-dovere di restituzione e quello della relativa esecuzione, lo stesso p.m. può ovviare al predetto pericolo rivolgendosi in tempo al GIP chiedendo l’ emissione del provvedimento di sequestro preventivo, ovvero emettendo direttamente- in via d’urgenza e salvo convalida- il relativo decreto. Tuttavia, al di fuori di tale ipotesi e quando sia stata esercitata l’azione penale, è ben possibile che il p.m. – a causa della mancanza di un punto di saldatura tra i due provvedimenti o dei tempi tecnici occorrenti per le comunicazioni o notifiche – si venga a trovare nell’impossibilità di attivarsi prontamente per l’applicazione della misura preventiva.

In simili evenienze, ai fini dell’ adozione della misura cautelare reale,

non è necessario che la cessazione del sequestro penale e la

restituzione delle cose non più necessarie a fini di prova siano già

intervenute o già disposte, ma è sufficiente che sussista in itinere la

probabilità che ciò avvenga e che l’imputato riacquisti la libera

disponibilità del bene. Fermo restando, in ogni caso, il concorso del

pericolo attuale e concreto della protrazione dell’attività criminosa o

dell’aggravamento dei suoi effetti.

X. Particolare ipotesi di sequestro preventivo

Una particolare ipotesi di sequestro preventivo, è quella disciplinata dall’art.1 del decreto legge 15 gennaio 1991, n.8 il quale stabilisce che ne possono informare oggetto i beni appartenenti a persona vittima del reato di cui all’art. 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione), al coniuge e ai parenti e affini conviventi o ad altre persone qualora vi sia “fondato motivo di ritenere che tali beni possano essere utilizzati, direttamente o indirettamente, per far conseguire agli autori del delitto il prezzo della liberazione della vittima”.

All’indisponibilità dei beni sequestrati può derogarsi ex art. 7 del citato D.P.R., previa autorizzazione del giudice, quando gli interessati ne facciano richiesta per motivi familiari, professionali economici o imprenditoriali (art.1 – 3° comma del predetto decreto legge) ovvero quando ne faccia richiesta il pubblico ministero per l’esecuzione di operazioni controllate di pagamento di riscatto, a fini di prova e di individuazione dei responsabili del delitto.

Al fine di agevolare il pagamento del riscatto post delictum, la revoca del sequestro è prevista come obbligatoria quando sia cessata la permanenza del reato (art. 2 del decreto legge già citato); ma ciò non impedisce di adottare un sequestro preventivo “ordinario”, se ne ricorrono i presupposti.

Il procedimento di riesame

Le differenze non prive di riflessi sostanziali riscontrate nelle discipline attinenti le modalità per l’esecuzione dei due tipi di sequestro ( penale e preventivo, rispettivamente) ed i distinti ruoli assegnati ai diversi soggetti intervenienti , vanno invece perdendo consistenza nella fase costituita dal provvedimento di riesame.

Il legislatore, infatti, si è preoccupato di omogeneizzare la disciplina afferente ad entrambi i tipi di sequestro in punto di controllo successivo, attraverso la previsione della procedura di riesame del decreto, attivabile dinanzi al tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento(art. 257 c e 322 c.p.p.).

La legittimazione alla proposizione della richiesta di riesame spetta all’imputato, alla persona sottoposta alle indagini preliminari, a quella le cui cose sono state sequestrate ed alla persona che avrebbe diritto alla loro restituzione. La richiesta di riesame – che non sospende in nessun caso l’esecuzione del provvedimento di sequestro- deve essere proposta entro 10 giorni dalla data di esecuzione del provvedimento e non è previsto che debba essere corredata da nuovi motivi.

Il tribunale è chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di riesame entro 10 giorni dalla ricezione degli atti; l’inutile decorrenza di tale termine comporta la perdita di efficacia del sequestro penale e di quello preventivo.

Il procedimento incidentale finalizzato al riesame dei provvedimenti di sequestro penale e preventivo si può concludere con pronunce di annullamento, di riforma o di conferma del provvedimento in esame ovvero con un pronunciamento di rimessione delle parti dinanzi al giudice civile (art. 324, ottavo comma).

Quest’ultimo rappresenta un’ ipotesi si spiccata peculiarità che attiene all’ipotesi di contestazione della proprietà della cosa oggetto di sequestro rispetto alla quale non siano ritenute sussistenti le ragioni per una legittima esistenza o persistenza del vincolo reale in ambito di indagini preliminari o di processo penale.

Note:

[1] BARATTA, in La legislazione dell’emergenza e la cultura giuridica garantista nel processo penale, in Dei delitti e delle pene, 1983, p. 543, parla esattamente più che di “emergenza”, di “emergenze”: l’emergenza sociale della fine degli anni sessanta; quella contro la criminalità politica degli anni settanta; l’emergenza economica, quella contro la criminalità organizzata e l’emergenza “politico-istituzionale”

[2] Sulla crisi del modello tradizionale del Codice Rocco, cfr. ROMANO, “Prevenzione generale e prospettive di riforma”, in Teorie e prassi della prevenzione generale dei reati” a cura di Romano e Stella , Bologna, 1980.

[3] Sul punto cfr. FERRARESE, L’istituzione difficile. La magistratura tra professione e sistema politico, 1984.

[4] Cfr. SIRACUSANO, “Tutela penale provvisoria e giustizia penale differita”, in Pol. dir. 1981; CONSO in Disfunzioni del processo penale e difesa della società: i provvedimenti provvisori. Atti del Convegno di studio “E. De Nicola” del 1982, Milano.

[5] Sul punto cfr. FERRARESE M. R., “Immagini del diritto e diritto senza immagine, materiali per una storia della cultura giuridica”; TEUBNER “Aspetti, limiti ed alternative della legislazione”, in Sociologia del diritto, 1985

[6]Cfr. PEDRAZZI, Presentazione in Dolcini- Giarda – Mucciarelli – Paliero -Riva Crugnola, “Commentario delle “Modifiche al sistema penale”, Milano, 1982

[7] Così CHIAVARO, “Misure cautelari e libertà personale alla luce della seconda legge-delega e del nuovo progetto preliminare di un codice di procedura penale”, in Verso una nuova giustizia penale?, Milano, 1989.

[8] Cfr. Cass. III, sent. 2987 del 19.9.96 (cc. 8.7.96) rv. 206395: “Il sequestro non può essere finalizzato ad accertare un possibile reato, ma deve ipotizzare l’esistenza di un reato, lasciando ovviamente alla sede di merito la possibilità di escluderlo in base alle successive risultanze” (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di ordinanza confermativa di decreto di sequestro preventivo, la S.C. ha osservato che il tribunale non aveva affatto chiarito sotto quale profilo reputava configurabile in concreto allo stato un reato e sotto quale aspetto riteneva la condotta sussumibile con riferimento ad una specifica incriminazione).

[9] Corte Costituzionale sentenza n.190 del 23 aprile 1991

[10] Cfr. Cass. III, sent. 813 del 29.5.93 (cc. 31.1.93) rv. 19404: “Il provvedimento di sequestro (sia probatorio, che preventivo) può essere emesso o mantenuto soltanto quando sia possibile stabilire in modo chiaro ed univoco il vincolo esistente tra la res, oggetto di espressione, ed il reato. Occorre cioè la indicazione del reato, per il quale si procede: tale specificazione non può però ridursi alla mera indicazione della disposizione, che si assume violata, ma deve contenere, sia pure in forma rudimentale ed embrionale, la precisazione del fatto concreto”.

[11] Piu precisamente: Cass. V, sent. 1170 del 25.6.92 (cc. 6.5.92) rv. 190826. “La polizia giudiziaria non ha un generale e autonomo potere di sequestro, ma può eseguire di propria iniziativa, a determinate condizioni, tanto sequestri probatori e cioè di cose necessarie per l’accertamento dei fatti (art. 354, comma secondo, nuovo cod. proc. pena.) quanto sequestri che abbiano una funzione preventiva (art. 321, comma terzo bis, nuovo cod. proc. pen.). Soltanto in questo secondo caso il sequestro deve essere convalidato dal giudice (art. 321, comma terzo bis, cit.), mentre nel primo caso competente a convalidarlo è il pubblico ministero (art. 355, comma secondo cod. proc. pen.)”

Ed ancora: Cass. III, sent. 1935 del 30.7.94 (cc. 15.6.94) rv. 199417: “L’articolo 354 codice procedura penale consente alla polizia giudiziaria gli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone, onde assicurare che «le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell’intervento del Pubblico Ministero». Trattasi di attività di accertamento e rilevazione che spetta alla Polizia Giudiziaria organizzare secondo ragionevoli modalità, considerate le condizioni di tempo e di luogo e la natura delle indagini in corso. Se il Pubblico Ministero non può intervenire tempestivamente, la polizia giudiziaria non è affatto obbligata a disporre subito il sequestro, ma come bene indica l’art. 354, secondo comma cod. proc. pen. può provvedere solo «se del caso» ed intanto rientra nella sua facoltà tenere sul posto le cose oggetto dell’accertamento, informandone il P.M”.

[12] Cass. III, sent. 2676 del 18.7.96 (cc. 18.6.96) rv. 206048 : “Il sequestro preventivo è consentito non solo per non aggravare o protrarre le conseguenze del reato, bensì anche per non «agevolare la commissione di altri reati». Si deve, in tal caso, dimostrare che la libera disponibilità della cosa agevoli la commissione di altri specifici reati, in modo da non dilatare il concetto di «agevolazione» in maniera eccessiva e da consentire di accertare l’attuazione della funzione preventiva della misura cautelare, sicché la specificità e la probabilità dell’agevolazione di detti nuovi reati, considerati quale conseguenzialità logica della fattispecie criminosa, sono i parametri cui ci si deve riferire per valutare la legittimità del sequestro preventivo sotto questo profilo”.

[13] Cfr. Cass. V, sent. 1671 del 09.06.98 (cc. 18.3.98) rv. 210928: “In tema di sequestro preventivo, la nozione di cose pertinenti al reato, è più ampia di quella di corpo di reato definita dall’art. 254 comma 2 cod. proc. pen., in quanto non solo include in sè i beni costituenti corpo di reato ma abbraccia anche tutte le cose legate anche indirettamente alla fattispecie criminosa. Ciò comporta che, in astratto, ogni bene può essere pertinente a reato, salvo verificarne in concreto il legame con quest’ultimo. Nulla esclude, quindi, che i locali in cui vengono svolte attività criminose” (nella specie: attività di intermediazione finanziaria senza abilitazione) possano ritenersi pertinenti a reato. Tuttavia, la pertinenza della cosa al reato va collegata al fine di evitare una indiscriminata compressione del diritto di proprietà e di uso del bene alla finalità di impedire che la disponibilità della cosa stessa da parte dell’indagato comporti il pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato. Si tratta comunque di una valutazione di merito che, se congruamente motivata in riferimento alla specifica stabile strumentalità della cosa sottoposta a sequestro all’attività illecita ed alla possibilità che quest’ultima venga reiterata, si sottrae al sindacato di legittimità)

[14] Cfr Cass. III, sent. 778 del 30.6.93 (cc. 25.3.93) rv. 195134 in Cass. Pen. 1994, 997: “Presupposto del sequestro preventivo è la commissione di un reato, sia pure accertato in via incidentale nella sua astratta configurabilità. È quindi illegittimo il sequestro preventivo disposto prima che il reato sia commesso, sul mero presupposto che l’agente avesse intenzione di commetterlo: risulterebbero infatti violate non solo la norma dell’art. 321 cod. proc. pen., che prevede implicitamente il reato come presupposto del sequestro, ma anche quelle dell’art. 1 cod. pen. e dell’art. 25 secondo comma Cost., giacché il principio di legalità condiziona alla previsione tipica non solo la punibilità dell’agente, ma anche l’applicabilità delle misure cautelari e delle altre misure strumentali al giudizio penale. (In applicazione di questi principi la S.C. ha annullato senza rinvio il provvedimento che disponeva e quello che confermava il sequestro preventivo di opere edilizie interne, conformi al disposto dell’art. 26 della legge n. 47 del 1985, sul presupposto che esse, in quanto preliminari a un mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, vietato dagli strumenti urbanistici vigenti).

[15] Cfr. Cass. V, sent. 2899 del 27.6.00 (cc. 19.5.00) rv. 216548: “Il “periculum in mora” che, ai sensi del primo comma dell’art. 321 cod. proc. pen., legittima il sequestro preventivo, deve intendersi non come generica ed astratta eventualità, ma come concreta possibilità, desunta dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto, che il bene assuma carattere strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o alla agevolazione della commissione di altri reati: la legge ha inteso, infatti, contenere il sacrificio dei diritti dei cittadini nei ristretti limiti dettati dalle effettive esigenze di prevenzione concrete del processo penale”.

16 Cass. III, sent. 4452 del 13.2.96 (cc. 13.12.95) rv. 204466: “Gli artt. 347 e 348 cod. proc. pen. attribuiscono alla Polizia Giudiziaria, nel periodo antecedente alla comunicazione della notizia di reato ed in quello successivo, il potere di espletare un ventaglio di attività ad iniziativa. Tra le attività — libere e tipicizzate, tutte tese all’assicurazione delle fonti di prova — che la Polizia Giudiziaria è autonomamente legittimata ad effettuare deve ricomprendersi, dopo la modifica introdotta con il D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12 nell’art. 321 cod. proc. pen., anche il sequestro preventivo”

Cfr. Cass. III, sent. 1038 del 28.9.95 (cc. 30.3.95) rv. 202953: “Il Pubblico Ministero che, a norma dell’art. 321, comma terzo bis, cod. proc. pen., riceve il verbale di un sequestro preventivo eseguito in via d’urgenza dalla polizia giudiziaria ha il potere di qualificarlo giuridicamente. Pertanto, se lo ritiene sequestro preventivo, richiede al giudice la convalida; se invece lo ritiene sequestro probatorio, lo può convalidare lui stesso a norma dell’art. 355, comma primo stesso codice: poiché contro la convalida è ammessa richiesta di riesame al tribunale ex artt. 355, comma terzo, e 324 cod. proc. pen., non viene eluso il controllo giurisdizionale sulla decisione del P.M.. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, si era dedotta violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. sull’assunto che il P.M. non poteva senza adeguata motivazione riqualificare il sequestro come probatorio e che così facendo aveva espropriato il G.I.P. della giurisdizione riservatagli dall’art. 321 citato).” Vedi anche Cass. VI, sent. 3981 del 26.1.93 (cc. 10.11.92) rv. 192939; Cass. VI, sent. 2085 del 7.7.92 (ud. 5.6.92) rv. 191002

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