La disciplina degli Hedge Funds negli Stati Uniti

Sgueo Gianluca 04/09/08
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1.1 Profili storici. La nascita dei fondi speculativi e le strategie di mercato che ad essi si legano
L’origine degli hedge funds può essere collocata, per grandi linee, all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso.
Si tratta tuttavia di una collocazione di massima, in ordine alla quale esistono opinioni discordanti. Infatti, benchè l’utilizzo dello strumento in questione si sia sviluppato sicuramente in quel periodo storico, non è certa la data in cui venne introdotto per la prima volta sul mercato finanziario.
Inoltre, all’origine del repentino sviluppo degli stessi vi è stata l’assenza di una disciplina normativa articolata che ne condizionasse l’andamento. Simile circostanza, com’è facile immaginare, ha contribuito, da un lato, alla fortuna di questo strumento economico. Ma, dall’altro lato, ha reso (e rende tuttora) complicata la ricostruzione dei passaggi di questo sviluppo[1].
La data approssimativa in cui è possibile collocare la nascita di questi fondi è, dunque, il 1949. Fu allora che un economista, Alfred Wislow Jones[2], ideò uno strumento che, per il tempo, era assolutamente innovativo. Si trattava, in parole semplici, di un veicolo di investimento dotato di grande flessibilità, basato su una private partnership.
Il principio di funzionamento era estremamente semplice. L’economista raccolse un capitale di circa 100.000 dollari (una somma significativa, considerata l’epoca) attraverso l’estesa rete di amici e conoscenze su cui poteva contare. Di questa somma, in realtà, poco meno della metà fu lui stesso ad investirla. Successivamente venne creata una società, nella forma giuridica della general partnership, che prese il nome di A.W. Jones & Co. All’interno di questa società i soci erano, al tempo stesso, anche i responsabili dei debiti contratti dal fondo. Le tecniche d’investimento della società erano, in sostanza, due. La prima tecnica prende il nome di “vendita allo scoperto”[3]. Venivano acquistati titoli azionari che, si riteneva, avessero potenzialità di crescita maggiori rispetto a quelli previsti per il mercato di riferimento. Contemporaneamente, venivano venduti, allo scoperto, titoli che avevano la tendenza opposta. Le cui potenzialità, in altri termini, apparivano minori rispetto a quelle del mercato di riferimento.
La seconda tecnica si combinava alla prima, e la completava. Si tratta della tecnica della cd. “leva finanziaria”, ed era lo strumento dal quale il fondo traeva le proprie prospettive di guadagno. In sostanza, infatti, venivano utilizzate risorse finanziarie prese a prestito, la cui garanzia era costituita dal capitale a disposizione.
In realtà non si trattava di tecniche innovative. Entrambe erano conosciute ed applicate dagli azionisti ed investitori, ma con grande cautela.
Era infatti certo l’elevato tasso di rischio che simili operazioni comportavano e, dunque, la possibilità che conducessero lo speculatore ad ottenere grandi guadagni ma, anche, la possibilità che conducessero alla bancarotta.
Invece, l’intuizione di Jones fu quella di combinare i due strumenti in modo che il rischio del mercato venisse, se non proprio neutralizzato, almeno ridotto in modo sensibile.
Era questa l’intuizione semplice ma al tempo stesso geniale: in un mercato tendente al rialzo, è pressocchè certo che i titoli sottoquotati avranno una crescita maggiore rispetto a quella che è prevista per il mercato di riferimento. Così anche, ma in senso contrario, per i titoli sopraquotati. In un mercato tendente al ribasso la situazione si inverte completamente.
Ora, combinando una strategia volta a trarre il meglio dai titoli sottoquotati (acquistandoli) e da quelli sopraquotati (vendendoli), si riusciva ad evitare il rischio derivante da improvvise oscillazioni di mercato e si otteneva un profitto sicuro[4].
 
1.2 Il successo della strategia di investimento sui fondi speculativi ed i suoi successivi sviluppi
L’iniziativa appena descritta si rivelò vincente. Nel 1952 la società si trasformò in una limited partnership e, nel 1966, il patrimonio raggiunse la cifra di 70 milioni di dollari[5].
In realtà il successo dell’iniziativa dipese molto anche da alcune peculiarità strutturali dello stesso. Tre in particolare: anzitutto, i margini di remunerazione del gestore del fondo, che venne legata ai profitti che il fondo produceva, nella misura del 20% della somma complessiva.
Inoltre, la circostanza per cui il gestore stesso era chiamato ad investire i propri capitali nel fondo, rischiando in prima persona. Infine, la libertà che veniva concessa agli altri partecipanti al fondo. In sostanza, ciascun partecipante gestiva in assoluta libertà una percentuale del capitale complessivo. Questo comportava la possibilità di liquidare immediatamente le posizioni, senza vincolarle a particolari gerarchie, che avrebbero appesantito e rallentato il processo.
Questo ultimo profilo, peraltro, subì alcuni cambiamenti e si arrivò presto alla creazione di portafogli di investimento totalmente indipendenti, ciascuno specializzato in un settore diverso. Fu per questo che si coniò l’espressione fund of funds, per specificare la presenza di un fondo che investe in più hedge funds contemporaneamente.
Le strategie dei fondi di investimento ebbero pertanto un repentino successo. Nel 1966 uscì un articolo su Fortune, cui si deve il merito, anzitutto, di aver coniato l’espressione hedge funds, e che, soprattutto, rese note le strategie che ne animavano l’esistenza[6]. L’articolo diede il via a molti imprenditori, che decisero di imitare il metodo di Jones. Vi è un’indagine che ha studiato il fenomeno ed ha scoperto che, già nel 1968, erano state create oltre 215 investment partnerships, di cui 140 definite come hedge funds ed un patrimonio complessivo che raggiungeva i due miliardi di dollari.
Tuttavia, gran parte dei nuovi imprenditori decise di adottare una tecnica più rischiosa: per non ridurre il margine di profitto, abbandonarono il sistem di vendite allo scoperto, che garantiva la copertura del fondo. Questa soluzione, da un lato, permise maggiori guadagni. Dall’altro lato, tuttavia, rese gli hedge funds estremamente vulnerabili ai ribassi di mercato[7].
Fu per questa ragione che, a seguito dei periodi di crisi economica che si ebbero tra il 1969 ed il 1970 e, successivamente, tra il 1973 ed il 1974, molti operatori di mercato subirono perdite ingenti e furono costretti ad abbandonare l’utilizzo dei fondi speculativi. Simile circostanze ridusse drasticamente il numero dei fondi speculativi, che tornarono ad essere un sistema di investimento di nicchia.
 
1.3 L’evoluzione degli hedge funds negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso
Come si è detto, alla fine degli anni Settanta il numero di investitori che utilizzata il metodo dei fondi speculativi si era ridotto in modo sensibile. Tra quelli rimasti in attività, invece, vennero adottate strategie improntate ad una maggiore cautela, al fine di evitare grosse perdite economiche del settore.
Ci sono numerosi esempi che possono essere fatti a tale proposito. Particolarmente noto è il caso di Julian Robertson il quale deteneva una cospicua serie di fondi on-shore ed off-shore. Il suo metodo per evitare perdite ed aumentare i profitti fu quello della diversificazione.
L’imprenditore, infatti, arrivò a detenere posizioni su azioni emesse dalle casse di risparmio, sui titoli di società chimiche e sulle principali valute estere. Tutti i capitali che ricavava da queste attività venivano reinvestite per finanziare il capitale principale, che era invece legato al settore petrolifero.
Come alcune analisi economiche[8] hanno spiegato, la strategia di Robertson era particolarmente complessa, ma ingegnosa. In sostanza, egli puntava sulla trasformazione delle casse di risparmio in società per azioni. Al tempo stesso, giocava sulla diminuzione di valore delle società chimiche, al momento in cui queste si avvicinavano alla scadenza dei propri brevetti. Infine, attendeva che il dollaro subisse delle sopravvalutazioni. In concomitanza degli eventi descritti, l’imprenditore assumeva posizione lunghe nelle materie prime petrolifere e posizioni corte nelle azioni di società dello stesso settore. Fu grazie a questa tecnica che il suo fondo iniziale di circa 8 milioni di dollari arrivò a produrre un rendimento annuo superiore al 43%.
Gli anni Novanta segnarono un ulteriore punto di svolta nella storia dei fondi di speculazione. In particolare, nel 1992, li si ritenne responsabili della crisi monetaria che avrebbe condotto al riallineamento dei tassi di cambio tra tutte le monete appartenenti allo SME, il Sistema Monetario Europeo[9].
Altri eventi negativi particolarmente significativi furono quelli legati alla crisi asiatica, che si verificò intorno al 1997, ed il caso decisamente più noto alla cronaca: quando, nel 1998, si verificò il fallimento del maggior hedge fund, il Long-Term Capital Management. Si trattava di un hedge fund creato nel 1994 da Jhon Meriweter.
I guadagni iniziali, superiori al 40% netto del capitale, subirono un tracollo clamoroso in ragione delle forti oscillazioni del mercato, e resero questo fondo un esempio della rischiosità dei fondi speculativi[10].
 
2.1 La disciplina giuridica degli Hedge Funds. Creazione
Dal breve excursus storico svolto nelle pagine precedenti si ricavano alcune interessanti considerazioni. Anzitutto, in linea generale, c’è da dire che non esiste una definizione univoca di fondo speculativo.
Se assumiamo come data la nozione originariamente ideata negli anni Cinquanta del secolo scorso, dobbiamo tuttavia considerare che quel modello ha subito cambiamenti talora anche radicali. Ne sono un esempio le speculazioni economiche dei primi anni Settanta e, più recentemente, quelle avutesi negli anni Novanta.
In entrambi i casi, pur con una serie di significative differenze, i fondi speculativi sono stati reinterpretati in modo profondamente differente, al punto che alcuni economisti si sono interrogati sull’opportunità di continuare a parlare di hedge funds o, piuttosto, ponendo l’accento sulle diversità presenti e, dunque, sulla sostanziale presenza di un elemento del tutto differente.
Basti pensare alla grande varietà di definizioni che sono state date. Tra queste, quelle più celebri sono le seguenti: “A mutual fund that emloys leverage and uses various techniques of hedging”, utilizzata da George Soros, uno dei più noti capitalisti statunitensi ed utilizzatore di questa tecnica di investimento. Oppure, la Bank for International settlements li ha definiti come “Speculative funds managing investments for private investors”, la TASS, una delle più note agenzie di rating specializzata in fondi speculativi, li ha definiti come “All are in the business of delivering absolute returns”. La Banca d’Italia, infine, ha usato recentemente la seguente definizione: “Organismi finaziari, localizzati generalmente in centri off-shore o negli Stati Uniti, contraddistinti dal numero ristretto di soci partecipanti e dall’elevato investimento minimo richiesto. Non hanno vincoli in materia di obiettivi e strumenti di investimento e possono assumere posizioni finanziandosi anche con forti indebitamenti. Sono soggetti a unanormativa prudenziale più limitata rispetto agli altri operatori finanziari”.
Le differenze appena evidenziate, peraltro, sono tali sia nelle caratteristiche di base dei fondi speculativi, sia, anche, nelle strategie tramite i quali questi sono stati gestiti nel tempo. In buona sostanza, dunque, ci sono almeno tre variabili di cui si deve tener conto[11]. La prima variabile consiste nelle modalità di investimento e nelle tecniche di finanziamento utilizzate dai fondi speculativi.
La seconda variabile attiene la posizione che gli investitori – sia individuali che istituzionali – assumono nella gestione dei fondi speculativi.
Inoltre, variano le strategie a lungo termine.
Dunque, fatta questa doverosa premessa, è possibile tentare di dare una definizione degli aspetti principali della disciplina giuridica dei fondi speculativi, facendo riferimento alle ipotesi più note e frequenti.
Si parta dal presupposto che la strutturazione di base dei fondi speculativi è quella di fondi di investimento privati[12]. Ovviamente le modalità per costituire una simile tipologia di fondo sono tra i più svariati, a seconda del tipo di capitali che si vogliono attrarre. In generale, tuttavia, le modalità più frequenti sono due: la limited partnership, oppure la società di capitali, che è maggiormente utilizzata per i fondi off-shore.
In generale, comunque, la maggior parte dei fondi che hanno sede legale negli Stati Uniti assumono la prima delle due vesti, che, per fare un paragone con l’ordinamento italiano, potrebbe essere considerata una società in accomandita semplice.
La costituzione del fondo deve avere forma scritta e rispetta le leggi dello Stato nel quale nasce. Ciò significa che, pur esistendo regolazioni federali di simili strumenti, tuttavia gran parte della disciplina è posta a livello locale. Appunto in ragione della legge del luogo, il numero dei soci è variabile. Si distinguono comunque in genere soci accomandatari, che prendono il nome di general partners, e soci accomandanti, che sono chiamati limited partners.
Il compito dei primi è quello di gestire il funzionamento del fondo. I secondi, invece, rispondono limitatamente alle quote che hanno investito nell’impresa ma, ovviamente, hanno anche guadagni proporzionati all’entità dell’investimento effettuato.
In generale, poi, c’è da osservare che esiste anche una seconda categoria di hedge funds, che è nata più di recente, e che consiste in realtà nell’emanazione di società di asset management tradizionali, o anche di grandi banche, che intendono inserirsi in un particolare segmento del mercato ed offrire ai clienti tutti gli strumenti possibili di investimento[13].
 
2.2 La regolazione dei fondi di investimento: regole applicabili ed esclusioni
Una peculiarità fondamentale degli hedge funds è quella di sottrarsi completamente al rispetto dei regolamenti che vengono emanati per proteggere il contraente debole in una transazione finanziaria.
Dunque, ad esempio, non vengono assoggettati all’obbligo di registrazione presso la SEC, ossia la Security and Exchange Commission – obbligo che invece hanno tutte le altre imprese di investimento – né soggiacciono all’obbligo di comunicare le informazioni di maggiore rilievo la pubblico, né, ancora, sono soggetti alle norme che disciplinano i conflitti di interesse tra gestori e clienti.
Per evitare l’obbligo di registrazione, in realtà, l’hedge fund deve avere due caratteristiche: anzitutto, il numero di partecipanti deve essere inferiore alle 100 unità. Oppure deve avere un numero di investitori illimitato[14]. Il meccanismo per verificare se è necessaria o meno la registrazione è abbastanza semplice: quando una società acquista una quota che eccede il 10% del fondo, allora è necessario il conteggio di tutti i soci della società partecipante. In talmodo si previene la creazione di società appositamente istituite per investire in hedge funds ed eludere al tempo stesso il limite dei 100 investitori.
La seconda condizione consiste nella dichiarazione della volontà di non effettuare alcuna offerta pubblica di acquisto o di vendita delle proprie quote. La giurisprudenza statunitense, peraltro, ha interpretato questo limite in modo piuttosto restrittivo. Ha cioè sostenuto che l’offerta nonè pubblica se avviene attraverso il contatto personalee se c’è un legame, preesistente al momento dell’offerta di partecipazione, tra l’investitore ed il general partner.
Le regole che, invece, si applicano ai fondi di speculazione sono quelle relative alla prevenzione del riciclaggio di danaro e quelle inerenti la salvaguardia dell’integrità del mercato[15].
 
2.3 La qualità di investitore
Anche in questo caso bisogna premettere che non è facile, ed anzi è praticamente impossibile, tracciare il profilo ideale dell’investitore di fondi speculativi. Ciò, semplicemente perché la varietà di investitori è tale che praticamente qualsiasi soggetto operante sul mercato azionario può essere coinvolto nella gestione di un simile strumento finanziario.
Ad ogni modo, si può dire che gli investitori si dividono in due categorie: quelli privati e quelli istituzionali. Questi secondi sono quelli la cui figura ricorre più frequentemente, poiché operano sul lungo periodo, hanno una buona conoscenza degli strumenti finanziari a loro disposizione (e, dunque, anche dei rischi che affrontano) e dispongono di un capitale medio-alto.
Appunto al fine di evitare l’eccessiva confusione di soggetti investitori, ed in particolare di soggetti privati privi di caratteristiche adeguate, l’ordinamento statunitense pone dei vincoli all’acquisto di questa definizione. Si distinguono due categorie: investitori accreditati: ovvero gli investitori istituzionali come le banche o le compagnie assicurative, i fondi pensione che abbiano un patrimonio superiore ai 5 milioni di dollari, le società che abbiano un patrimonio superiore ai 5 milioni di dollari ed anche i soggetti privati il cui patrimonio superi il milione di dollari o che nei due anni precedenti all’investimento abbiano goduto di introiti pari ad almeno 200.000 dollari[16].
Investitori qualificati: sono tali le persone fisiche che abbiano investito almeno 5 milioni di dollari; oppure un investitore istituzionale che investe almeno 25 milioni di dollari[17].
Si tratta di regole piuttosto stringenti, se prese singolarmente. In realtà ci sono almeno due considerazioni da fare. La prima è che la legge ritiene sia sufficiente la buona fede. Seppure possa apparire strano, l’offerente non ha alcun obbligo di verificare se il soggetto con cui contratta abbia le caratteristiche necessarie per farlo. L’unico vincolo che ha è quello di verificare se le informazioni fornite possano apparire poco accurate, sintomo di un investitore non qualificato o accreditato[18].
Inoltre, la SEC ha accolto lo sviluppo di mezzi informatici, quali internet, in modo estremamente favorevole, stabilendo in sostanza che le informazioni ivi reperibili siano equivalenti a quelle assumibili su carta. Dunque, ammettendo la possibilità che, ad esempio, un sito internet di una società possa far fede del volume di affari della stessa[19].
Un’ultimo aspetto interessante è quello riguardante gli effetti di queste restrizioni. Appunto in ragione del fatto che la legge impone il possesso di requisiti specifici per l’accesso, gli apporti di capitale richiesti per accedere sono piuttosto elevati: generalmente compresi tra i 500.000 dollari ed il milione.
La quota di accesso, inoltre, può subire variazioni nel corso del tempo. Ad esempio, in un fondo che è stato appena creato sarà di dimensioni più ridotte perché si cercheranno di richiamare il maggior numero di investitori. Quando invece il numero di partecipanti avrà raggiunto una dimensione maggiore, allora verrà alzata la soglia, con una duplice finalità. Anzitutto, allontanare gli investitori più piccoli. Inoltre, attirare gli investitori di maggiore spessore, in grado di far crescere considerevolmente l’importo del fondo.
 
3.1 La disciplina sulla gestione dei fondi speculativi. La differenza dai fondi comuni di investimento
La natura di investimento privato che caratterizza i fondi speculativi non si riflette solamente sulla disciplina dell’accesso agli stessi, ma anche sulle regole che ne informano la gestione. Anche in questo caso, infatti, è garantita un’ampia flessibilità nella gestione, che costituisce peraltro il principale punto di diversificazione rispetto ai fondi comuni di investimento.
In particolare, ciò che distingue i due elementi, oltre agli aspetti legati alla remunerazione del gestore, sono due aspetti principali[20]. Il primo riguarda la circostanza per cui un fondo comune deve rendere esplicita la sua politica relativa al controllo del portafoglio. Come si è già detto, invece, un hedge fund non presenta questo vincolo e può quindi sfruttare meglio le situazioni favorevoli che si presentano, senza dover renderne conto al pubblico ed agli investitori[21].
Una seconda differenza consiste nel fatto che l’hedge fund offre vantaggi fiscali più consistenti ai propri investitori. In generale, infatti, un fondo comune perde i vantaggi della condizione per cui il soggetto che si interpone tra l’avente diritto economico ed il fisco è trasparente (altresì conosciuta come “condizione pass-through”) quando ottiene un rendimento lordo superiore al 30% dalla vendita di titoli che detiene nel portafoglio da almeno 3 mesi. Questo perché il cliente del fondo pagherebbe l’imposta prima attraverso il fondo e poi, di nuovo, a livello personale[22].
 
 
3.2 Il net asset value, o valore del fondo 
Un altro aspetto importante della disciplina sulla gestione dei fondi speculativi riguarda il valore del fondo medesimo. A tale proposito, c’è da notare che tale valore viene espresso attraverso uno specifico coefficiente, che prende il nome di NAV, o net asset value. Esso indica le consistenze attive del fondo, sottratto il numero delle consistenze passive.
Se però il coefficiente appare semplice nella sua struttura, è più complesso e laborioso il calcolo di ciascuna posizione detenuta sul fondo, perché richiede ovviamente un metodo appropriato di valutazione[23].
Si deve tenere in considerazione, infine, che il valore realmente conseguito dal fondo dopo un investimento in attività illiquide può essere determinato solo ed esclusivamente al momento in cui vengono liquidati i titoli che rappresentano quell’investimento. Sicchè, quando un investitore ritira il proprio capitale in un momento intermedio tra l’inizio dell’investimento e la liquidazione, al fine di attribuirgli comunque la quota di profitto o di perdita, gli hedge funds sono “costretti” ad utilizzare un sistema di conti paralleli.
 
 


[1] Ne parla, ad esempio, Pia P., Hedge funds: fondi di copertura o fondi speculativi?, Torino, 2002, pag. 5: “Per tanti anni la fortuna degli hedge funds è stata proprio quella di sfuggire ai lacci e lacciuoli normativi – intrecciati al fine di proteggere il risparmiatore o per garantire l’integrità e la stabilità del mercato finanziario – lontano dai riflettori della scena economica – salvo poche ecezioni – ma costantemente presenti sui mercati finanziari di tutto il mondo”.
[2] Esistono alcuni volumi che ricostruiscono le fortune di questo economista australiano, emigrato negli Stati Uniti. In particolare, è interessante la lettura di Caldwell T., Introduction: the model for superior performance, in Lederman J., Klein R.A., Hedge funds: investment and portfolio strategies for the institutional investors, Irwin, 1995
[3] Molto interessante, a tale proposito, la ricostruzione operata da Eichengreen B., Mathieson D., Hedge funds: what do we really know?, in Economic issues, International monetary Fund, X, 2000, pag. 15: “Both short selling and leverage are regarded as risky when practiced in isolation. Jones is credited with showing how these instruments could be combined to limit market risk. Jones’s insight was that there were two distinct sources of risk in stock investments: risk from individual stock selection adn risk of a drop in general market. He sought to separate out the two. Jnes mantained a basket of shorted stocks to hedge against a drop in the market. Thus controlling for market risk, he used leverage to amplify his returns from picking individual stocks. He went long on stocks that he considered undervalued and short on those that were overvalued. The fund was considered hedging to the extent the portfolio was split between stocks that would gain if the market went up, and short positions that would benefit if the market went down. Thus the term hedge funds”.
[4] V. Pia P., Hedge funds: fondi di copertura o fondi speculativi?, Torino, 2002, pag. 7: “Operando in tal modo Jones era in grado di neutralizzare il rischio di mercato (…). Qesta strategia procurerebbe un risultato positivo in entrambi i casi, risultando quindi indifferente il trend di mercato (market neutral). È stato utilizzato il condizionale perché il risultato dipende non solo dalla corretta individuazione dei titoli sottoquotati e sopraquotati ma anche dalla circostanza che il mercato si accorga della discrepanza e reagisca di conseguenza. In altri termini, la performance di questa strategia dipende dalla deliberata assunzione del rischio specifico associato a singoli titoli. Un’attenta diversificazione può comunque ridurre tale rischio”.
[5] Come chiarisce Cottier P., Hedge funds and managed futures, Berna, 1997, pag. 16: “Jones was indeed managing a hedge fund in the true sense of the word, although, on average, he was hedging only a part of his stock market beta risk. Later on, other non-traditional funds started applying similar strategies in other sectors like mergers and acquisitions, convertible bonds, or interest rate products. The investment community started to call them hedge funds as well although they were mainly exploiting market inefficiencies through the use of various sophisticated arbitrage techniques. Nowadays, even funds taking large directional bets are thrown in the big and heterogeneous bucket called hedge funds”.
[6] L’articolo è il seguente: Loomis CL, The Jones nobody keeps up with, in Fortune, 1966, pagg. 237-247
[7] È possibile approfondire questo aspetto leggendo il Tremont & Tass Report del 1999, su www.tremontadvisers.com, nel quale si spiega che: “As Jones pointed out, few managers have the ability to short the market, since most equity managers have a long only mentality”.
[8] Si veda, ad esempio, Roher J., The red-hot world of Julian Robertson, in Institutional Investor, 1986, pagg. 86-92
[9] Molto interessante, in tal senso, è l’analisi svolta da Jaffe T., Machan D., How the market overwhelmed the central banks, in Forbes, 1992, nel quale si spiega come: “è noto che George Soros, manager del Quantum Fund, guadagnò in meno di due mesi 2 miliardi di dollari, scommettendo sulla rottura dello SME e sul calo dei tassi d’interesse europei e dei mercati azionari. Il suo portafoglio era composto da posizioni corte per un valore di circa 10 miliardi di dollari, posizioni lunghe in marchi per 6 miliardi di dollari e in franchi per n importo inferiore. Contemporaneamente aveva acquistato titoli azionari del mercato inglese per 500.000 dollari. Il presupposto era che generalmente il mercato azionario sale quando una valuta viene svalutata. La strategia veniva completata con posizioni long su obbligazioni tedesche e francesi e posizioni allo scoperto su titoli azionari di entrambi i mercati. L’aspettativa era che una rivalutazione delle suddette valute avrebbe determinato un ribasso dei tassi d’interesse con effetti positivi per il mercato obbligazionario ma negativi per quello azionario. Grazie alle ampie linee di credito e all’uso di margini, Soros potè mantenere queste posizioni utilizzando solo un miliardo di dollari”.
[10] Per maggiori informazioni è possibile ricorrere a wikipedia, alla voce Long-Term Capital Management.
[11] Si tratta di un problema che pongono in evidenza tutte le ricerche sul settore. Si prenda, a titolo di esempio, quanto rileva Pia P., Hedge funds: fondi di copertura o fondi speculativi?, Torino, 2002, pag. 10: “Il primo ostacolo appare nel momento stesso in cui si vuole circoscrivere il campo di azione definendone l’oggetto. Non esiste una univoca descrizione capace di identificare chiaramente l’hedge fund e quindi la semplice definizione dello stesso non è uninime”. Alle stesse conclusioni giunge Fung W., Hsieh D.A., A primer on hedge funds, in Journal of empirical finance, VI, 1999, pag. 309: “The depth of the literature is still limited to show readers how hedge funds are organized juxtaposed with stylized facts that are often hard to piece togheter into a coherent framework”.
[12] V. Schneeweis T., Dealing with myths of hedge funds investment, in The journal of alternative investments, I, 1998, nel quale si spiega che i fondi speculativi possono essere considerati fondamentalmente come una privatizzazione dei trading floors delle banche d’investimento. Lo sviluppo delle nuove tecnologie ha consentito ai nuovi professionisti della gestione del risparmio di abbandonare le banche d’investimento in cui operavano, per impiegare in proprio quelle strategie che per anni sono state alla portata delle grandi istituzioni finanziarie”.
[13] Gli esempi sono molteplici, si prenda in particolare quello costituito dalla Putnam investment, che ha creato la Sun Trust Bank.
[14] Cfr. Satterlee Burke S., SEC adopts final rules for privately offered funds, 1997, in www.ssbb.com, in cui si spiega che: “The national security markets improvement act of 1996 amended the investiment company act of 1940 and the investment adviser act of 1940 in several ways that are of significance to investments managers to hedge funds and other investment vehicles, while on the exclusion from registration contained in Section 3 (c( (1) of the Investment Company Act”.
[15] Dunque, ad esempio, è necessario comunicare al Tesoro degli Stati Uniti qual è la posizione rilevante in determinate valute e titoli pubblici, nonché segnalare alla SEC l’eventuale detenzione di azioni di società non quotate.
[16] Caratteristica questa piuttosto strana da comprendere se non si è avvezzi al sistema. Si tratta di una regola il cui scopo è principalmente quello di operare una selezione sulla base di due criteri. Anzitutto, la liquidità della persona che garantisce la possibilità di far fronte ai debiti, nel caso in cui la speculazione non andasse a buon fine. Inoltre, la (quasi) certezza che un patrimonio elevato, o un introito annuale molto alto denotino figure competenti nel campo della finanza.
[17] Sul sito, già citato, www.ssbb.com, si trova la seguente definizione: “Trusts whose trustees are qualified purchasers under (1) or (2) at the time that trust assets are invested in the Section 3 c (7)fund and whose settors or other asset contributors were qualified purchasers under (1) or (2) at the time they contributed funds to the trust and certain qualified institutional buyers acting for their own accounts or for other qualified purchasers
[18] Cfr. Pia P., Hedge funds: fondi di copertura o fondi speculativi?, Torino, 2002, pag. 16: “è interessante rilevare che l’offerente non è tenuto a verificare, attraverso la dichiarazione dei redditi o altri mezzi, se il potenziale investitore sia “accreditato” (qualificato) o meno, è sufficiente la buona fede, a meno che vi siano ragioni di credere che le informazioni rilasciate siano inaccurate”.
[19] Il testo completo della Security and Exchange Commission è del 1995, contenuto nella Release n. 33-7233, in base ad esso: “The commission believes that the use of electronic media should be at least an equal alternative to the use of paper-based media. Accordingly, issuer or third party information that can be delivered in paper under the federal securities laws may be delivered in electronic format”.
[20] Interessanti approfondimenti su questo tema sono contenuti in Manuli E., Hedge Funds, Roma, 1991, pagg. 18 ss.
[21] Ovviamente questa circostanza non equivale ad assenza totale di regole. Al contrario, sono i gestori stessi che si pongono delle limitazioni autonome, al fine di dare maggiore sicurezza agli investitori. Lo rileva anche Manuli E., Hedge Funds, Roma, 1991, pag. 18: “Sono un esempio di queste limitazioni i minimi accettabili di capitalizzazione e di flottante per i singoli titoli, il divieto di detenere partecipazioni in aziende considerate troppo rischiose (rating inferiore alla tripla A o in settori giuridicamente pericolosi come quello dle tabacco), l’obbligo di non sottoscrivere azioni emesse da società in gravi condizioni finanziarie ed il cui valore nominale sia sceso al di sotto di un minimo considerato accettabile”.
[22] In sostanza, nota Friedland D., nel suo Report sul Magnum Group of Funds del 1998 (consultabile online al sito www.magnumfund.com), che il rendimento futuro di un fondo comune d’investimento dipende dalla direzione dei mercati in cui opera. Il fondo comune, in quanto tale, è paragonato ad un tappo posto sulla superficie dell’oceano: esso andrà su e giù a seconda delle onde. Il rendimento futuro delle strategie di molti fondi speculativi, invece, tende ad essere fortemente prevedibile ed indipendente dalla direzione dei mercati. Esattamente come un sottomarino – questo è il paragone fatto – che viaggia seguendo una linea diretta sotto la superficie dell’acqua, senza essere influenzato dalle onde.
[23] Come nota Alquati R., Hedge funds: a closer look at their strategies of investment, Stern Business School of New York, 1999, pag. 6: “If the security/instrument is traded on an exchange, either market bid, market offer or mid-market price is taken; if there is a liquid OTC market for the security/instrument, three or more quotes are procured from different brokers in order to calculate an average quote price; if the security/instrument is illiquid, a model such as Black Scholes may be used; if there is no such model available a pricing committee may determine tthe fair value of the position”.

Sgueo Gianluca

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