La declaratoria di incostituzionalità di norme penali di favore

Redazione 16/01/19
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Il principio della riserva di legge in materia penale assegna al legislatore il monopolio della normazione in materia penale. Ciò si trae dall’art. 25, comma 2, Cost., in base al quale “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Come si ripercuote questo principio sull’ambito del sindacato di legittimità della Corte Costituzionale?

Riserva di legge e sentenze della Corte Costituzionale

Il principio di riserva di legge costituisce un limite generale alla possibilità per la Corte Costituzionale di emettere sentenze da cui derivi un effetto sfavorevole per il reo. In altri termini, la Corte Costituzionale non solo non può introdurre nuove incriminazioni, ma non può neppure estendere quelle esistenti a casi non previsti, né emettere decisioni che incidano in senso peggiorativo sul piano della sanzione penale, risultando altrimenti violato l’art. 25 Cost.   L’introduzione di nuove incriminazioni, l’estensione dell’ambito applicativo di incriminazioni esistenti, il peggioramento del regime sanzionatorio sono tutte scelte riservate alla esclusiva discrezionalità del legislatore.

Sindacato sulle norme penali di favore

Costituisce un’eccezione alla impostazione appena descritta il sindacato relativo alle c.d. norme penali di favore.  Si tratta delle norme che stabiliscono, in relazione a taluni soggetti o ipotesi un trattamento più favorevole di quello che risulterebbe dall’applicazione di norme generali o comuni. Affinché possa dirsi sussistente una norma penale di favore è necessaria la contemporanea presenza nell’ordinamento giuridico di una norma sfavorevole di portata generale e di una favorevole di natura speciale.

In relazione alle norme penali di favore è pacificamente ammesso il sindacato di ragionevolezza imposto dall’art. 3, comma 1, Cost. Tali norme, infatti, rischiano talvolta di risultare irragionevolmente discriminatorie in melius.

In passato si era sostenuta l’irrilevanza nel giudizio a quo della declaratoria di incostituzionalità delle norme penali di favore, muovendo dall’assunto che il principio di irretroattività sfavorevole avrebbe impedito l’applicazione della norma di favore censurata nel giudizio in corso. Tale impostazione è stata in seguito superata dalla Corte Costituzionale sulla base di alcune considerazioni.

Innanzitutto, la Corte Costituzionale (con sentenza n. n. 148/1983) ha rilevato che, a seguire il precedentemente orientamento “ne deriverebbero implicazioni assai gravi, specialmente in ipotesi come quella in esame. Norme sicuramente applicabili nel giudizio a quo, in ordine alle quali si producessero dubbi di legittimità costituzionale, non ritenuti dal giudice manifestamente infondati, rischierebbero di sfuggire ad ogni sindacato della Corte, non essendo mai pregiudiziale la loro impugnazione; e la Corte stessa verrebbe in tal senso privata – quanto meno nei giudizi instaurati in via incidentale – di ogni strumento atto a garantire la preminenza della Costituzione sulla legislazione statale ordinaria. In presenza di previsioni sul tipo dell’art. 5 della legge n. 1 del 1981, quand’anche lesive degli imperativi costituzionali di eguaglianza in materia penale, non sarebbe infatti utilizzabile nemmeno l’estremo rimedio di un annullamento dell’intera disciplina entro la quale si fosse prodotta l’ingiustificata disparità di trattamento (come si é verificato nel caso della sentenza n. 147 del 1969, sulla contemporanea dichiarazione d’illegittimità costituzionale dei delitti di relazione adulterina e di concubinato)”. Da quanto appena esposto l’ammissibilità del sindacato sulle norme penali di favore risponde all’esigenza di evitare la creazione di “zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all’interno delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile”.

Ad ogni modo la Corte Costituzionale ha affermato che la pronuncia di incostituzionalità delle norme penali di favore è sempre destinata a rilevare nel giudizio a quo quanto meno per quel che concerne le formule di proscioglimento e i dispositivi delle sentenze penali: per effetto della pronuncia emessa dalla Corte essi dovrebbero imperniarsi, sul primo comma dell’art. 2 cod. pen. (sorretto dal secondo comma dell’art. 25 Cost.) e non sulla sola disposizione annullata dalla Corte stessa. Inoltre, in ogni caso “non può escludersi a priori che il giudizio della Corte su una norma penale di favore si concluda con una sentenza interpretativa di rigetto […] o con una pronuncia comunque correttiva delle premesse esegetiche su cui si fosse fondata l’ordinanza di rimessione: donde una serie di decisioni certamente suscettibili d’influire sugli esiti del giudizio penale pendente”.

Con una successiva sentenza (Corte Cost. n. 394/2006), la Corte Costituzionale ha poi precisato che nel caso di declaratoria di incostituzionalità di norme penali di favore “la riserva al legislatore sulle scelte di criminalizzazione resta salva: l’effetto in malam partem non discende dall’introduzione di nuove norme o dalla manipolazione di norme esistenti da parte della Corte, la quale si limita a rimuovere la disposizione giudicata lesiva dei parametri costituzionali; esso rappresenta, invece, una conseguenza dell’automatica riespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso oggetto di una incostituzionale disciplina derogatoria”.

Pacificamente ammessa la possibilità del sindacato in discorso, occorre coordinare l’impostazione appena esposta con il principio di irretroattività favorevole e e il principio di irretroattività sfavorevole. In particolare, occorre distinguere due ipotesi.

Qualora la declaratoria di incostituzionalità investa una norma di favore esistente al momento della commissione del fatto, in applicazione del principio di irretroattività sfavorevole l’imputato non potrà essere condannato per effetto della rimozione dall’ordinamento della norma penale di favore dichiarata incostituzionale. Cionondimeno, come esposto in precedenza, la declaratoria di incostituzionalità potrà comunque incidere sulla formula di proscioglimento e sul dispositivo, nonché sulla ratio decidendi della decisione del giudice a quo.

Qualora, invece, la declaratoria di incostituzionalità investa una norma di favore sopravvenuta rispetto alla commissione del fatto, il soggetto potrebbe venire condannato per effetto della declaratoria di incostituzionalità della norma di favore. Si consideri, infatti, che il principio di retroattività favorevole trova al contempo il suo fondamento e il suo limite nel principio di eguaglianza stabilito nell’art. 3 Cost. Ciò significa che il principio di retroattività favorevole (al contrario del principio di irretroattività sfavorevole) può essere derogato per la tutela di interessi costituzionali di pari rango ed è destinato a trovare applicazione in quanto la norma sopravvenuta sia costituzionalmente legittima.

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