La consulenza tecnica espletata in mediazione può essere riprodotta in giudizio?

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Per comprendere la decisione del Tribunale di Ascoli Piceno in materia di riproduzione della consulenza tecnica, espletata in un procedimento di mediazione civile e commerciale, in giudizio è necessario analizzare il decreto legislativo 28 del 2010. In particolar modo si necessita una disamina degli articoli 8, 9 e 10 del decreto sopra citato e un’analisi della giurisprudenza degli ultimi anni in merito.

Articolo 8 commi 1 e 4 del decreto legislativo 28/2010

L’articolo 8 del decreto legislativo del 4 marzo 2010 n. 28 prevede, al primo comma ultimo periodo, la possibilità per il mediatore civile e commerciale di avvalersi di uno o più mediatori ausiliari nel caso in cui la controversia richieda particolari competenze tecniche. Al quarto comma del decreto de quo, invece, si stabilisce come il mediatore possa avvalersi di esperti iscritti agli albi dei consulenti presso i Tribunali. Pertanto, può accadere che in sede di mediazione possa esserci anche un esperto che dovrà rispondere ai quesiti che gli vengano posti, rimanendo anch’esso terzo ed imparziale.

Vincolo di riservatezza ex articoli 9 e 10 del decreto legislativo 28/2010 e giurisprudenza recente

L’articolo 9 del decreto in oggetto è rubricato “dovere di riservatezza” e prevede che chiunque presti la propria opera sia a servizio dell’organismo di mediazione sia all’interno di un procedimento di mediazione è tenuto al vincolo di riservatezza in merito alle dichiarazioni ricevute e alle informazioni acquisite.

L’articolo 10, rubricato “inutilizzabilità e segretezza professionale”, stabilisce come tutte le informazioni assunte durante un procedimento di mediazione non possano essere utilizzate in un giudizio “avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni”.

Si rende necessario, inoltre, citare alcune pronunce in merito alla questione esaminanda.

In relazione alla figura del consulente tecnico, la recente giurisprudenza ha ritenuto come la riproduzione dell’elaborato del consulente tecnico esterno nominato in mediazione sia ammissibile in giudizio in quanto non esista una norma che lo vieti “specificamente nella causa che può seguire”. (ordinanza del Tribunale Civile di Roma sez. XIII del 17 marzo 2014). Tale pronuncia si fonda su due punti essenziali. Il primo punto si basa sul fatto che non si possa “e non si deve, però, neppure enfatizzare oltre ogni limite il principio della riservatezza, rischiando di andare oltre quello che il legislatore ha stabilito. Riservatezza ad ogni costo e sempre non significa infatti agevolare con sicurezza il successo della mediazione ed il raggiungimento dell’accordo”. Il secondo punto fa riferimento al principio di economicità sancito dall’articolo 111 della Costituzione che si fonda a sua volta nel principio della ragionevole durata del processo. Infatti, l’ordinanza del 17 marzo 2014 sopra esaminata sottolinea come le parti possano “per il timore di una sua circoscritta utilità, di rifiutarsi di acconsentire alla nomina, da parte del mediatore, di un esperto anche quando l’ausilio di un tecnico specializzato potrebbe chiarire aspetti fondamentali, perché dubbi, della situazione in conflitto – infatti – farsi carico della spesa non irrisoria per il compenso da attribuire all’esperto potrebbe apparire inappropriato e non conveniente proprio per la prospettiva di non poter produrre la relazione dell’esperto nella causa che potrà seguire”.

Un’altra Ordinanza del Tribunale di Roma, XIII sezione del 16 luglio 2015, che merita di essere accennata, ha previsto che la possibilità di nomina di un consulente nel procedimento di mediazione è espressamente prevista dalla legge; anche nel caso di mancato accordo, la consulenza in mediazione ed in particolare la relazione dell’esperto elaborata e depositata in quel procedimento non è un atto privo di utilità successive, potendo essere prodotto ed utilizzato nella causa che segue alle condizioni, nei limiti e per gli effetti che la giurisprudenza ha motivatamente elaborato”.

Inoltre, con una più recente ordinanza del 13 marzo 2015 il Tribunale di Parma, prima sezione civile, ravvisa la possibilità di utilizzare la relazione peritale anche in assenza di una delle parti. Infatti, la parte diligente che presentandosi ha richiesto la c.t.u. potrà utilizzarla in un giudizio ex articolo 700 c.p.c. al fine di provare il fumus boni iuris della perizia espletata in mediazione con la parte che invitata è rimasta contumace. La perizia risulta attendibile poichè il c.t.u. è stato nominato da un soggetto terzo ed imparziale ossia l’Organismo di mediazione.

La vicenda

In questa sede si rende necessario focalizzare l’attenzione sulla parte della vicenda inerente al solo espletamento della consulenza tecnica in sede di mediazione civile e commerciale e al suo utilizzo in giudizio.

Le società Alfa e Beta (in qualità di garante di Alfa) si opponevano, con atto di citazione in opposizione, ad un decreto ingiuntivo proposto dalla Banca Gamma.

Le parti attrici opponenti si erano viste ingiungere la somma di euro 84.017,97 oltre interessi. Alfa e Beta rilevavano l’illegittimità della somma ingiunta per sussistenza di fattispecie illegittime e, pertanto, richiedevano il ricalcolo del credito alla Banca Gamma.

La Banca si costituiva in giudizio richiedendo il rigetto dell’opposizione infondata in fatto e in diritto.

Alla prima udienza di comparizione delle parti il giudice si riservava in merito alla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo richiesta dalla convenuta, ritenendo che la materia del contendere fosse da ricondursi a quelle elencate nel comma 1- bis dell’articolo 5 del decreto legislativo del 4 marzo 2010 n. 28. materia obbligatoria di mediazione. Perciò, il giudice mandava le parti in mediazione.

L’opponente richiedeva al giudice di sospendere la rimessione in mediazione in quanto le parti erano in pendenza di trattative. All’udienza fissata le parti davano esito negativo delle trattative riportandosi a quanto sollevato in prima udienza. A fronte di ciò giudice rigettava quanto richiesto e mandava le parti in mediazione invitando il mediatore a redigere c.t.u. e a nominare il c.t.u. ex articolo 8 comma 1 del decreto legislativo in esame, vista la natura tecnica della materia del contendere. Successivamente, la difesa di parte attrice chiedeva una integrazione dei quesiti della c.t. e il Giudice con provvedimento si pronunciava, invitando la parte istante a comunicare l’integrazione dei quesiti all’organismo di mediazione. Ad esito di alcuni rinvii, le parti chiedevano la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni dando atto che la c.t. avesse dato esito negativo e, quindi, il giudice fissava l’udienza per la discussione ex art. 281 sexies c.p.c.  All’udienza de qua il giudice pronunciava sentenza verbale ove rigettava l’opposizione in quanto infondata in fatto ed in diritto.

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Sentenza dal Tribunale di Ascoli Piceno del 18 ottobre 2018 in riferimento alla producibilità in giudizio della c.t.u. espletata in mediazione

Dalla sentenza de qua è emerso come le parti avendo deciso espressamente di far confluire la consulenza tecnica, esperita nel procedimento di mediazione, nel giudizio in oggetto, unitamente al verbale di mediazione negativo, svincolavano la c.t.u. dal vincolo di riservatezza. A fronte di ciò il giudice ha potuto accertare come prive di pregio le contestazioni degli opponenti. Infatti, a seguito dell’analisi della c.t.u. in sede giudiziale il Giudice ha potuto rilevare come l’operato dell’istituto di credito fosse stato corretto. Sottolineando anche come la difesa delle parti attrici-opponenti non proponevano alcuna critica all’elaborato peritale.

Conclusioni

In conclusione, essendo la consulenza tecnica svincolata dal vincolo di riservatezza ha la stessa valenza di una perizia espletata in giudizio su incarico del giudice.

 

 

Sentenza collegata

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Dott.ssa Naccarella Stefania

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