La confisca per equivalente alla luce della sentenza dell’11 Novembre 2009 n. 42894

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La questione giuridica cui la pronuncia in commento è rivolta a dare risoluzione concerne il corretto ambito di applicazione della cosiddetta”Confisca per Equivalente”, la quale rappresenta un istituto che negli ultimi anni ha subito una profonda evoluzione.
Essa è definita come un provvedimento ablativo applicato a somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo possegga disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto ed al profitto del reato.
 
Il primo intervento legislativo che ha permesso la sua introduzione all’interno del nostro ordinamento risale alla Legge n. 108 del 7 Marzo 1996 in tema di Usura, prevedendo che la confisca per equivalente potesse estendersi “ A somme di denaro di cui si abbia disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi, o degli altri vantaggi o compensi usurari”.
Successivi interventi si sono avuti con la legge 29 Settembre 2000 n. 300 e nel 2001 con la legge 27 Marzo n. 97, i quali hanno contribuito ad estenderne l’applicabilità.
La svolta legislativa è avvenuta con il DLGS 231 del 2001, il quale all’art. 19 prevede che “Nei confronti dell’ente è sempre disposta la confisca del prezzo o del prodotto del reato”; in particolare, il secondo comma statuisce che “Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato”.
 
La medesima, quindi, mira ad impedire l’ipotesi in cui il colpevole possa assicurarsi il vantaggio che era oggetto del suo disegno criminoso attraverso l’impiego economico di beni di provenienza delittuosa.
Il fondamento dell’istituto risiede nel profitto del reato prescindendo dalla pericolosità della cosa o dall’uso della medesima.
La giurisprudenza negli ultimi tempi ha tendenzialmente mirato ad estendere la portata della norma prevedendone l’applicazione ai reati contro la Pubblica Amministrazione e gli interessi della Comunità Europea, ai delitti di usura e ai reati di truffa ( Cass. Pen. Sez. I 9 Marzo 2005 n. 9395)
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, poi, con la sentenza n. 41936 hanno suffragato ancor più tali orientamenti stabilendo una riferibilità diretta dell’art. 640 quater c.p. alle disposizioni contenute nell’art. 322 ter, senza alcuna distinzione tra comma 1 ( per i delitti previsti dagli artt. Da 314 a 320 c.p., confisca di beni che costituiscono profitto o prezzo di reato ovvero quando essa non sia possibile, confisca di beni di cui si abbia disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo) e comma 2 ( Per il delitto di cui all’art. 321 c.p. , confisca di beni di cui il reo abbia disponibilità per un valore corrispondente a quello di detto profitto).
 
Con la sentenza 11 Novembre 2009 n. 42894 La Cassazione ha fatto si’ che prevalesse l’intento di contrastare il fenomeno criminoso di indebita percezione di fondi  disponendo la sequestrabilità in via preventiva ( ai sensi degli articoli 19 comma 2 e 53 del Dlgs 231/2001) anche del finanziamento emesso da un istituto bancario a favore di una società il cui amministratore fosse coinvolto in una vicenda di corruzione.
Riprendendo recentissime pronunce, la Corte ha sostenuto che la ratio dell’istituto consiste nel privare il reo di ogni probabile vantaggio economico derivante dall’attività criminosa anche nell’ipotesi di impossibilità di aggredire l’oggetto principale, facendo perno sulla capacità “ Dissuasiva e Disincentivante di tale tipologia di risposte sanzionatorie” definendo la confisca  una “Vera e propria Sanzione” ( Cass. Sez. Unite 2 Luglio 2008 n. 26654).
Inoltre, il sequestro preventivo ( Art. 53 Dlgs 231/2001 ) disposto per i casi di confisca per equivalente del profitto del reato di corruzione può incidere contemporaneamente ed Indifferentemente sui beni dell’ente ( società) che ha tratto beneficio economico dal reato stesso e su quelli della persona fisica che lo ha commesso, con l’unico limite per il quale il vincolo cautelare non può superare il valore complessivo del profitto ( Cass. Sez. VI 5 Marzo 2009 n. 26611 rv. 244254).
La Corte ha sostenuto che la cautela reale disposta nei confronti dell’ente, ai sensi degli articoli 19 comma 2 e 53 del Dlgs 231/2001, consistente nel sequestro preventivo dell’equivalente del prezzo del reato di corruzione che era stato attribuito al legale rappresentante della società, si riflette sui beni nella disponibilità dell’ente medesimo.
 
 
Avv. Antonella Russomanto

Russomanto Antonella

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