La confisca a carico dell’Ente responsabile per i reati dei propri organi

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L’entrata in vigore del d.lgs 231/2001 ha rappresentato uno degli eventi più significativi degli ultimi decenni. Da allora in avanti , le persone giuridiche sono divenute destinatarie di risposte sanzionatorie.

Con l’introduzione della responsabilità amministrativa degli enti, si è sentita l’esigenza di riformulare la misura della confisca a tale nuova forma di responsabilità; la confisca penale tradizionale ex art. 240 c.p. è apparsa, infatti, inapplicabile all’ente.

L’ampliamento del novero delle ipotesi di confisca, applicabile alle persone fisiche piuttosto ché alle persone giuridiche, non permette di individuare aspetti comuni a tutte le disposizioni che si riferiscono ad essa.

La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria, abbandonano la concezione unitaria della medesima a favore dell’individuazione , al suo interno, di differenti tipi funzionali di confisca.

Accanto l’ipotesi tradizionale di confisca  con finalità preventiva, attualmente, si individuano ipotesi di confisca con finalità punitiva, ovvero di misure ablative che sanciscono un’illiceità oggettiva in termini assoluti.

Il d.lgs 231/2001 individua diverse misure privative del patrimonio dell’ente.

Le stesse trovano il loro fondamento negli articoli 9 e 19 , 23, 6 comma 5° e 15 comma 4° del d.lgs 231/2001.

La prima ipotesi di confisca descritta ex artt. 9 e 19 d.lga 231/2001 rappresenta una misura sanzionatoria. La normativa infatti, prevede che nei confronti dell’ente sia sempre disposta , con sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato , salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Ove, non sia possibile eseguire la confisca di cui sopra, la stessa può avere ad oggetto somme di danaro , beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo del reato.

Pacificamente, si attribuisce alla confisca di cui all’art. 9 e 19 d.lgs 231/2001 una natura afflittiva e sanzionatoria : il legislatore ha infatti , ricondotto la confisca tra le sanzioni amministrative , insieme alla sanzione pecuniaria, alla sanzione interdittiva e alla pubblicazione della sentenza.

Inoltre, i presupposti previsti ex art. 19 d.lgs 231 /2001 confermano tale conclusione, essendo necessaria, ai fini della sua applicabilità, una sentenza di condanna.

La sanzione della confisca è applicabile sin dalla  fase cautelare, essendo espressamente richiamata ex art. 53 d.lgs 231/2001 rubricato “sequestro preventivo”.

Ulteriore ipotesi di confisca descritta dal d.lgs 231/2001 è individuata ex art. 23 d.lgs 231/2001. La disposizione sancisce , nei confronti di coloro che trasgrediscono una sanzione o una misura cautelare interdittiva , la pena della reclusione , la sanzione amministrativa pecuniaria e la confisca del profitto , a norma dell’articolo 19.

Tale misura restrittiva , richiamando la disposizione di cui all’articolo 19, si presenta quale sanzione principale a presidio dell’illecito previsto a carico dell’ente , per l’inquinamento dei divieti imposti dalla misura interdittiva.

Differente rispetto alle ipotesi di confisca sopra analizzate appare la misura descritta dall’art. 6 comma 5° d.lgs 231 /2001.

La dottrina maggioritaria osserva come la norma , disponendo la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato,  anche ove sia esclusa la responsabilità amministrativa dell’ente, più che una funzione sanzionatoria, assuma una funzione ripristinatoria , volta a ricreare l’equilibrio economico dell’ente e a neutralizzare ogni alterazione economica che il reato presupposto ha causato.

L’ultima ipotesi di confisca prevista dal decreto legislativo istitutivo della responsabilità amministrativa dell’ente è descritta dall’art. 15 comma 4° .

La disposizione , nel imporre , in presenza di determinati requisiti, la prosecuzione dell’attività dell’ente , anche ove sussistano i presupposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva, sancisce la confisca del profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività.

In questa  ipotesi  di confisca manca sia una finalità di ripristino , sia una finalità special – preventiva che guarda ai rischi connessi alla permanenza  in capo all’ente di determinati vantaggi patrimoniali derivanti dell’illecito.

Una parte della dottrina attribuisce alla stessa una natura di sanzione sostitutiva della sanzione interdittiva.

Il d.lgs 231/2001 individua inoltre tre tipologie di misure ablative per equivalente: art. 19 comma 2° , art. 6 comma 5°, art. 53.

L’obiettivo del legislatore , nel prevedere la confisca per equivalente, è quello di privare il reo di qualsiasi arricchimento illecito, ricreando quell’equilibrio economico che il reato ha scomposto.

La  confisca per equivalente estende il campo applicativo di tale misura, essendo scomparso il necessario legame tra la cosa oggetto di confisca e il reato commesso.

Essa non mira a sottrarre al condannato il bene utilizzato o ricavato dal reato, ma a privare il condannato di qualsiasi oggetto di consistenza economica equivalente.

 L’orientamento maggioritario, sostenuto in dottrina e in giurisprudenza, riconosce , dalla ratio che ha spinto il legislatore ad introdurre la misura ablativa per equivalente, l’impronta sanzionatoria della stessa.

La misura per equivalente  è disposta solo quando non è possibile eseguire la confisca qualificata. Dalla lettura delle disposizioni di riferimento, emerge come essa sia sussidiaria , operando solo laddove non sia possibile agire direttamente sul profitto o sul prezzo del reato, ovvero quando i beni suscettibili di confisca non siano materialmente apprensibili.

La funzione suppletiva dell’ablazione per equivalente, come sostenuto  dalla dottrina e ben testimoniato dalla giurisprudenza, è da intendersi in senso operativo: essa opererà solo ove sussistano i presupposti della confisca qualificata e concretamente manchino i beni confiscabili , non realizzandosi una sostituzione dei presupposti applicativi  che rimangono  quelli previsti per la misura ablativa diretta.

La natura giuridica rivestita dalla misura restrittiva è strettamente connessa alla sua applicazione nel tempo.

Il riconoscimento della natura sanzionatoria della stessa esclude che essa possa applicarsi in via retroattiva. Gli artt. 25 e 2 della Cost disciplinano il principio di legalità, di riserva di legge, di tassatività e determinatezza ed irretroattività della pena, escludendo che si possa essere puniti senza una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

Un tema molto discusso, in giurisprudenza, ha riguardato il rapporto intercorrente tra la confisca per equivalente o più in generale, la confisca ex art. 19 d.lgs 231/2001 e la possibile estinzione del reato presupposto per prescrizione.

Fino ad un tempo meno recente, le soluzioni, al riguardo, non apparivano univoche: a fronte di orientamenti che sostenevano che la prescrizione del reato presupposto escludesse in automatico  la sanzione restrittiva nei confronti dell’ente, sussistevano tendenze opposte.

La Corte di Cassazione , intervenuta sulla questione, ha chiarito come la prescrizione del reato non comporti automaticamente la prescrizione della sanzione amministrativa : l’art. 60 del decreto in esame, nel prevedere che non si possa procedere alla contestazione dell’illecito amministrativo, ove il reato presupposto si estingua per prescrizione, si riferisce all’ipotesi in cui, la contestazione avvenga  successivamente alla prescrizione del reato presupposto. Al contrario, laddove la contestazione sia stata avviata prima della prescrizione del reato presupposto, l’accertamento della responsabilità dell’ente prosegue.

Un aspetto di grande interesse in tema di  confisca è stato riscontrato con riferimento  alla nozione da attribuire al profitto confiscabile, soprattutto in seguito all’introduzione della confisca per equivalente , con cui si è avvertito il bisogno di inquadrare, in maniera più rigorosa, la delimitazione di profitto e il quantum dello stesso confiscabile.

Le prime pronunce Giurisprudenziali in tema di profitto risalgono agli anni novanta.

La Cassazione a S.U. nel 2004 definisce il profitto, quale vantaggio economico non riconducibile né al profitto netto né al profitto lordo. Nello specifico, la Suprema Corte di Cassazione  riconduce al profitto del reato il vantaggio di natura economica che deriva dall’illecito, ossia un beneficio aggiunto di tipo patrimoniale, che non deve, necessariamente, essere conseguito da colui che ha posto in essere l’attività delittuosa. Il profitto deve derivare causalmente  dall’attività del reo.

A tale decisione seguirono ulteriori pronunce in cui la nozione di profitto fu oggetto di discussione.

In materia di reati contro la PA è stato deliberato che il quantum di profitto confiscabile deve essere determinato considerando i ricavi conseguiti dall’eventuale accordo corruttivo, con detrazione dei costi sostenuti per la realizzazione dell’operazione, ad eccezione dei costi sostenuti considerati integralmente illeciti.

Ulteriore orientamento giurisprudenziale ha sostenuto la confiscabilità del profitto lordo, ritenendo che dall’utilità economica conseguita in esito alla commissione del fatto incriminato , non sono detraibili i costi sostenuti a fronte di attività illecita ovvero lecite.

Il contrasto giurisprudenziale vigente è stato in parte sopito con l’intervento delle SU della Cassazione Penale del 2008.

La Suprema Corte ha elaborato un criterio di valutazione del profitto confiscabile che, partendo dall’analisi dei criteri fino ad allora percorsi dalla giurisprudenza, si ponesse quale punto di sintesi e di equilibrio.

Le SU hanno rigettato i risalenti approcci di prelievo netto e del ricavo lordo. La tesi del prelievo netto rischiava di riversare sullo Stato il rischio di esito negativo del reato, permettendo al   reo  e all’ente di sottrarsi  a qualunque rischio di perdita economica. L’ipotesi di ricavo lordo risultava eccessivamente estensiva, comportando un trattamento potenzialmente devastante in capo all’ente.

La Corte ha attribuito al profitto un significato ampio , che ricomprende qualsiasi vantaggio patrimoniale o finanziario direttamente collegabile alla commissione del fatto illecito: il profitto è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente.

Al concetto di vantaggio economico non va attribuito il significato di utile netto o di reddito , ma quello di beneficio aggiunto di tipo patrimoniale che sia collegabile alla commissione del fatto illecito .

Al fine di evitare che il suddetto approccio risultasse eccessivamente premiante nei confronti di soggetti e di fattispecie, per le quali emerga una completa e dominante matrice criminale, le SU hanno distinto tra i reati che si esplicano in un contesto  di attività totalmente illecita , da quelli che , partendo da uno scenario di legalità, da essa se ne discostano occasionalmente , consumando il reato.

Nel primo caso , denominato di reato contratto, il profitto confiscato corrisponde all’intero valore percepito dall’agente; nel secondo caso , denominato di reato in contratto, dal valore attribuibile al profitto del reato, si decurta quanto lecitamente percepito e correttamente impiegato in attività lecite.

Il profitto , per essere confiscabile, deve essere pertinente al reato  secondo un rapporto di “causa ed effetto”, dovendo risultare una conseguenza economica immediata ricavata dal fatto di reato,  che comporti una visibile modificazione positiva del patrimonio dell’ente.

Attenta dottrina, nell’evidenziare gli indubbi pregi della sentenza delle SU,  rileva , tuttavia, alcune incertezze , in tema di profitto, ancora, ad oggi, attuali.

Le ambiguità che dottrina e giurisprudenza hanno affrontato, riguardano il concetto di profitto netto temperato , l’ambiguità nella definizione delle utilitas del danneggiato e la difficile distinzione, in concreto , tra reato contratto e reato in contratto.

La stessa dottrina auspicava il superamento delle residue incertezze , tramite l’attuazione della direttiva comunitaria 2014/42, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato.

La direttiva è stata attuata con d.lgs 202/2016.

Seppur il decreto attuativo sia giudicato favorevolmente per gli interventi di adeguamento e attuazione alla normativa europea in tema di confisca, non manca chi sostiene che, il legislatore non abbia sfruttato, sino in fondo, l’occasione per definire in maniera più sistematica i vari tipi di confisca esistenti nel nostro ordinamento e per chiarire la nozione di profitto.

 Dibattuta in giurisprudenza la sequestrabilità per equivalente dei beni appartenenti alla società in presenza di un reato tributario commesso dagli amministratori, non essendo prevista dal d.lgs n 231 /2001 a responsabilità dell’ente per l’illecito tributario commesso a suo vantaggio o nel suo interesse dal soggetto apicale, sicché non è applicabile la speciale confisca di valore stabilità ex art. 19 d.lgs 231/2001.

Per un primo indirizzo, può ammettersi l’aggressione dei beni della società quando la stessa abbia tratto vantaggio dalla commissione del delitto tributario , non verificandosi quindi la rottura del rapporto organico fra l’amministratore e la società. Ne deriva che quest’ultima non può essere considerata estranea al reato se ha beneficiato degli incrementi economici che le sono derivati dalla commissione del reato e se l’amministratore imputato ha avuto la libera disponibilità dei beni societari e li ha gestiti in qualità di legale rappresentante.

Su altro fronte si è obiettato che l’automatica inclusione dei beni societari nel novero di quelli confiscabili comporterebbe un’inammissibile applicazione analogica della legge: i beni dell’ente possono essere oggetto di sequestro e di confisca per equivalente solo quando la società rappresenti uno schermo fittizio , di modo che il profitto del reato finisca per avvantaggiare direttamente il reo attraverso lo schermo dell’ente.

Al contrario, non essendo prevista dal d.lgs n. 231/2001 la responsabilità dell’ente per l’illecito tributario commesso a suo vantaggio o nel suo interesse dal soggetto apicale, non può trovare applicazione la confisca ex art. 19 d.lgs n. 231/2001.

I fautori di tale orientamento , sostenendo la natura penale delle previsioni di cui al d.lgs n. 231/2001, escludono che le disposizioni legislative siano suscettibili di applicazione analogica in malam partem.

 Il contrasto giurisprudenziale è stato composto dalla Cassazione penale a SU.

La Corte di cassazione  ha affermato come sia consentito, nei confronti di una persona giuridica, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario, commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto sia nella disponibilità di tale persona giuridica.

Al contrario , non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio.

Inoltre, affermano come il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, è escluso quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a questi  o a persona, compresa quella giuridica, non estranea al reato.

Le SU argomentano la pronuncia  ponendo la distinzione tra la confisca diretta del profitto del reato e l’istituto della confisca per equivalente.

La confisca diretta  ha per oggetto il profitto del reato, vale a dire l’utilità economica direttamente o indirettamente conseguita con la commissione del reato.

La confisca per equivalente, invece, ha per oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al profitto del reato ed è destinata ad operare nei casi in cui la confisca diretta non sia possibile.

Nella nozione di profitto rientrano sia i beni appresi per effetto diretto e immediato dell’illecito, sia ogni altra utilità comunque ottenuta dal reato, anche in via indiretta o mediata, come ad esempio i beni acquistati con il denaro ricavato dall’attività illecita, quale, ad esempio, il bene immobile acquistato con somme di denaro illecitamente conseguite.

L’art. 322 ter del c.p rende obbligatoria per alcuni reati contro la pubblica amministrazione, tra cui i reati tributari,  la confisca del prezzo o profitto del reato  e introduce la possibilità di procedere alla confisca per equivalente nel caso in cui tale prezzo o profitto non sia facilmente aggredibile.

In tema di reati tributari, osservano la Sezioni Unite, il profitto confiscabile è costituito da qualsiasi vantaggio patrimoniale tratto dalla realizzazione del reato e può consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento di un tributo.

Nel caso in cui il profitto del reato sia costituito da denaro, la trasformazione dello stesso in beni di altra natura, non è di ostacolo al sequestro preventivo che potrà avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito.

Le SU concludono ammettendo la confisca diretta del profitto di reato nei confronti di una persona giuridica per le violazioni fiscali commesse dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica nell’interesse della società, quando il profitto o i beni direttamente riconducibili a tale profitto sono rimasti nella disponibilità della persona giuridica medesima.

In conclusione, merita ricordare un recente orientamento dottrinale, che sostiene come il reato tributario sia entrato a far parte dei   reati presupposto di cui al decreto n. 231/2001, veicolato dal reato di auto riciclaggio.

I fautori di tale orientamento ritengono che l’inserimento dell’auto riciclaggio tra i reati presupposto della  231 /2001 fa si che anche i reati fiscali ne diventino parte: i proventi da evasione fiscale o i risparmi da dichiarazione infedele si considerano auto riciclati , se impiegati in attività economiche , finanziarie , imprenditoriali.

Tale indirizzo esclude a monte i dubbi circa  la confiscabilità per equivalente dei beni appartenenti alla società, in presenza di un reato tributario commesso dagli amministratori, essendo applicabile la confisca speciale di cui all’art. 19 d.lgs 231/2001.

Federica Comito

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