La CGUE riconosce la qualifica di consumatore in capo al condominio

(sentenza del 2 aprile 2020, causa C-329/19)

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiamata a pronunciarsi in via interpretativa sul ricorso pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Milano, ha sancito, con la recente sentenza del 2 aprile 2020, causa C-329/19, la possibilità di estendere la nozione di consumatore accolta dalla direttiva 93/13/CEE in favore del condominio, ente che, secondo granitica giurisprudenza di legittimità nazionale, non può essere considerato persona giuridica.

Ebbene, al fine di poter meglio apprezzare la portata della pronuncia pregiudiziale interpretativa del giudice europeo, si rende necessario preliminarmente un previo inquadramento circa la natura giuridica del condominio nell’ordinamento italiano, per poi procedere ad analizzare l’ambito applicativo della predetta direttiva, sino ad esaminare la pronuncia della Corte di Giustizia, muovendo dalla vicenda processuale da cui la stessa ha tratto origine.

 

La natura giuridica del condominio

Nonostante la recente riforma in tema di condominio (legge 11 dicembre 2012, n. 220, entrata in vigore il 18 giugno 2013), non risulta allo stato dell’arte del tutto sopito il dibattito giurisprudenziale e dottrinale circa la natura giuridica da riconoscere al condominio.

Senonché, non può negarsi che, tra le diverse ricostruzioni che sono state proposte nel tempo, quella che senza dubbio ha ottenuto maggior seguito considera il condominio alla stregua di un ente di gestione, volto a garantire il buon funzionamento dei beni comuni.[1]

Più nello specifico, la Cassazione, in diverse pronunce rese nel suo massimo consesso[2], ha escluso la possibilità di qualificare il condominio come un soggetto di diritto distinto dei singoli condòmini, proponendone la qualificazione in termini di ente di gestione sfornito di personalità giuridica.

Nel dettaglio, l’assenza di soggettività in capo al condominio sarebbe confermata dalla circostanza che l’amministratore di condominio agisce in qualità di mandatario dei condòmini e non quale rappresentante di un’autonoma entità.[3]

Ebbene, è evidente che, ai fini che qui interessano, la tesi che qualifica il condominio come ente di gestione ed il conseguente difetto di soggettività giuridica non agevolano la risoluzione della questione circa la estensibilità nei confronti della condominio della qualifica di consumatore, ma anzi tendono a complicarla[4], anche se deve darsi atto di un orientamento della giurisprudenza di legittimità nazionale che già dal 2015 ha osservato che “al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l’amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale”.[5]

 

La nozione di consumatore nella Direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993

Quanto alla nozione di consumatore accolta dalla disciplina europea, la direttiva 93/13 CEE, all’art. 2, lett. b), qualifica il consumatore come “qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale”, definizione sostanzialmente ripresa dall’art. 3, co. 1,  lett. a) d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo), che ha recepito nell’ordinamento giuridico italiano le disposizioni della direttiva in parola.[6]

È evidente quindi che, rimanendo sul piano letterale delle disposizioni tanto europee quanto nazionali, la sussistenza della qualifica di consumatore è ancorata alla ricorrenza congiunta di due imprescindibili presupposti, quali l’essere persona fisica e lo svolgimento di attività di tipo non professionale, con conseguente difficoltà, rectius astratta impossibilità oggettiva di riscontrare il primo requisito in capo al condominio, cosicché il contratto stipulato tra il condominio ed un professionista dovrebbe essere, a rigore, escluso dall’ambito applicativo della suddetta disciplina consumeristica.

 

La vicenda e la posizione del giudice a quo nell’ordinanza di sospensione

Ciò premesso in ordine alla qualificazione giuridica del condominio nel sistema interno e alla nozione europea di consumatore, accolta pressochè pedissequamente dal legislatore italiano nel Codice del consumo, è ora possibile procedere ad esaminare la vicenda processuale da cui la pronuncia della Corte di Giustizia trae origine.

In particolare, a fronte di un contratto di fornitura di energia termica stipulato tra un condominio milanese ed una società, quest’ultima, invocando la clausola presente nel contratto stesso in forza della quale il debitore, in caso di ritardato pagamento, avrebbe dovuto corrispondere dal momento della scadenza del termine di pagamento “interessi di mora al tasso del 9,25%”, notificava al condominio atto di precetto, intimando il pagamento della somma di Euro 21.025,43.

Il condominio, in sede di opposizione al precetto, sostenendo di essere un consumatore ai sensi della direttiva 93/13, ha eccepito il carattere abusivo della clausola contrattuale.

Ebbene, il giudice milanese, pur riconoscendo la abusività della clausola e il conseguente potere di annullamento d’ufficio, ha sospeso il procedimento e ha sollevato questione pregiudiziale interpretativa avanti Corte di Giustizia dell’UE, interrogandola sulla possibilità di annoverare, all’interno della categoria dei consumatori, il condominio, indipendentemente dalla qualificazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità nazionale, “allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione”. [7]

In particolare, ad avviso del giudice a quo, l’esclusione dell’applicabilità della direttiva 93/13 per il sol fatto che la parte interessata non è né una persona fisica né una persona giuridica rischierebbe di privare di tutela taluni “soggetti” giuridici che versano in una situazione di debolezza rispetto al professionista, debolezza che giustificherebbe l’applicazione dello statuto di protezione dei consumatori.

 

La pronuncia della CGUE 2 aprile 2020, causa C-329/19

La Corte di Giustizia, dopo aver esaminato la menzionata nozione di consumatore accolta dalla direttiva europea e seguita dall’ordinamento italiano e, preso atto del sopra riportato contrasto giurisprudenziale interno in ordine alla natura giuridica del condominio, osserva che, almeno in linea teorica, stante l’assenza di corporeità in capo al condominio, questo non sarebbe astrattamente qualificabile come consumatore, con conseguente non applicabilità nei suoi confronti della relativa disciplina consumeristica.

Sul punto, la Corte ha premura di specificare che siffatta conclusione non colliderebbe con un’altra precedente sentenza[8], analoga al caso deciso dal giudice remittente, posto che in quella occasione i contratti di fornitura di energia termica, che la Corte aveva assoggettato alla disciplina consumeristica, erano stati stipulati non dal condominio, rappresentato dall’amministratore, bensì dai condòmini.

Senonché, quello che sembra essere un insormontabile ostacolo al riconoscimento della tutela consumeristica in capo al condominio viene agevolmente superato dai giudici europei attraverso il richiamo al par. 4 dell’art. 169 TFUE, al considerando 12 della direttiva 93/13 e al considerando 13 della direttiva 2011/83 (modificativa della precedente direttiva del 1993).

Segnatamente, la prima disposizione normativa citata stabilisce che non è impedito, in materia di tutela dei consumatori, ai singoli Stati membri di “mantenere o introdurre misure di protezione più rigorose”, purché compatibili con i trattati.

Il considerando 12 della direttiva 93/13, invece, sancisce che la direttiva, procedendo ad una armonizzazione soltanto parziale e minima delle legislazioni nazionali in materia di clausole abusive, lascia “agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato, un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe” di quelle contenute nella medesima direttiva.

Il considerando 13 della direttiva 2011/83, invece, prevede che gli Stati membri dovrebbero restare competenti, conformemente al diritto dell’Unione, per l’applicazione delle disposizioni della direttiva in parola ai settori che non rientrano nel suo ambito di applicazione e che possono, in particolare, “decidere di estendere l’applicazione delle norme della presente (n.d.r.: suddetta) direttiva alle persone giuridiche o fisiche che non siano consumatori” ai sensi di quest’ultima.

Ebbene, alla luce delle disposizioni europee appena richiamate, dunque, emerge che gli Stati membri dell’UE mantengono la facoltà di regolare la materia della tutela del consumatore e delle clausole abusive in maniera autonoma, sempre nel rispetto dei trattati europei.

Di conseguenza, il sopra citato orientamento della Corte di Cassazione orientato a fornire una maggiore protezione al consumatore, mediante l’estensione dell’ambito applicativo della tutela prevista dalla direttiva 93/13 al condominio, che non è una persona fisica, né una persona giuridica, non fa altro che porsi nel solco dei principi europei in materia.[9]

In altri termini, come osservato espressamente dalla Corte di Giustizia, anche se il condominio “non rientra nella nozione di “consumatore” ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, gli Stati membri possono applicare disposizioni di tale direttiva a settori che esulano dall’ambito di applicazione della stessa (…) a condizione che una siffatta interpretazione da parte dei giudici nazionali garantisca un livello di tutela più elevato per i consumatori e non pregiudichi le disposizioni dei trattati”.

Pertanto, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, il giudice europeo conclude che, a discapito dell’assenza della condizione della natura di persona fisica in capo al condominio e alla luce della medesima esigenza di tutela propria sia della legislazione europea che di quella interna, la littera legis della direttiva 93/13 e la sua proiezione nel Codice del consumo “non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva”.

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Note

[1] In via generale, si rammenta che il condominio consiste in una tipologia di comunione forzosa, che si caratterizza per la coesistenza, da un lato, della proprietà individuale dei singoli condomini, che sono titolari di piano o di porzioni di piano e, dall’altro lato, di una comproprietà sui beni comuni, che sono funzionalmente e strutturalmente collegati ai primi.

[2] Il riferimento in particolare è alla recente sentenza Cassazione civile sez. un., 18/04/2019, n. 10934; in precedenza, nel medesimo senso, Cassazione civile sez. un., 18/09/2014, n. 19663; nel medesimo senso, anche a sezione semplice, Cassazione civile sez. II, 09/11/2017, n. 26557; per completezza, in senso contrario, ma più risalente nel tempo, anche Cassazione civile sez. un., 08/04/2008, n. 9148.

[3] In questo senso, CARINGELLA F., BUFFONI L., Manuale di diritto civile, 2017, p. 480.

[4] Per completezza, si sottolinea che nel 2002 era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 1469 bis c.c. per violazione degli artt. 3, 25 e 41 Cost.; in particolare, quanto alla censura fondata sulla disparità di trattamento, la Consulta ha ritenuto costituzionalmente legittima la limitazione alle sole persone fisiche dell’ambito applicativo della normativa europea sulla tutela dei consumatori, ritenendo che “La preferenza nell’accordare particolare protezione a coloro che agiscono in modo occasionale, saltuario e non professionale si dimostra non irragionevole allorché si consideri che la finalità della norma è proprio quella di tutelare i soggetti che secondo l’id quod plerumque accidit sono presumibilmente privi della necessaria competenza per negoziare; onde la logica conseguenza dell’esclusione dalla disciplina in esame di categorie di soggetti – quali quelle dei professionisti, dei piccoli imprenditori, degli artigiani – che proprio per l’attività abitualmente svolta hanno cognizioni idonee per contrattare su un piano di parità.”

[5] La massima è tratta da Cassazione civile sez. VI, 22/05/2015, n. 10679

[6] In particolare, l’art. 3, co. 1 lett. a) del Codice del consumo recita: “Ai fini del presente codice ove non diversamente previsto, si intende per: a) consumatore o utente: la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.

[7] Le parole sono tratte dalla sentenza della Corte giustizia UE, sez. I, 02/04/2020, n. 329, che riporta il quesito pregiudiziale contenuto nella ordinanza di sospensione del procedimento adottato dal Tribunale di Milano in data 01/04/2019.

[8] Nella sentenza della Corte di Giustizia, viene richiamata la “sentenza del 5 dicembre 2019, EVN Bulgaria Toplofikatsia e Toplofikatsia Sofia (C-708/17 e C-725/17, EU:C:2019:1049, punto 59)”.

[9] Nella sentenza della Corte di Giustizia, infatti, i giudici europei scrivono testualmente che “Un tale orientamento giurisprudenziale s’inscrive nell’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito dalla summenzionata direttiva (v., in tal senso, sentenza del 7 agosto 2018, Banco Santander e Escobedo Cortés, C-96/16 e C-94/17, EU:C:2018:643, punto 69)”.

Lorenza Pedullà

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