La Cassazione interviene in materia di inquinamento ambientale

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     Indice

  1. La questione
  2. La soluzione adottata dalla Cassazione
  3. Conclusioni

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 452-bis)

1. La questione

Avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Lecce, Sezione per il riesame, confermava un decreto con il quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce aveva già disposto il sequestro preventivo di un terreno adibito all’estrazione di materiali inerti, in relazione alla contravvenzione di abusiva coltivazione di cava e al delitto di inquinamento ambientale (rispettivamente previsti dagli artt. 44, comma 1, lett. a) e c), d.P.R. n. 380 del 2001 e 452-bis cod. pen.), l’indagato proponeva ricorso per Cassazione.

In particolare, tra i motivi addotti, con il secondo, ci si doleva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 452-bis cod. pen. e di vizio di motivazione per travisamento della prova in punto di ritenuta configurabilità del delitto di inquinamento ambientale atteso che, secondo la difesa, i giudici della cautela avrebbero erroneamente ritenuto configurabile il fumus del delitto de quo a fronte di un’attività estrattiva durata pochi mesi e consistita nello scavo del terreno e nel mero scorticamento meccanico dello strato superficiale tufaceo, che non aveva provocato immissioni tossiche di gas nocivi idonee a compromettere significativamente la qualità dell’aria, né aveva comportato sversamenti sul suolo o infiltrazioni nel sottosuolo di sostanze inquinanti causativi del deterioramento dei corpi recettori o dell’inquinamento della falda acquifera.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

Il motivo summenzionato non era ritenuto meritevole di accoglimento.

Gli Ermellini addivenivano a tale giudizio alla luce di quella giurisprudenza di legittimità secondo la quale, da un lato, il «delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., introdotto dalla legge n. 68 del 2015, è un reato di danno, che non tutela la salute pubblica, ma l’ambiente in quanto tale e presuppone l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova fattispecie incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 e segg. d.lgs. 3 aprile 2006, n, 152» (così Sez. 3, n. 50018 del 19/09/2018), dall’altro, ai «fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici» (in tal senso Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018) precisandosi al contempo che la «”compromissione” e il “deterioramento” di cui al delitto di inquinamento ambientale… consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi» (così Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016).

Orbene, tali essendo le coordinate ermeneutiche dettate dalla giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte riteneva come i giudici della cautela avessero correttamente affermato la sussistenza del fumus del delitto de quo, posto che lo scorticamento dello strato tufaceo riscontrato nel fondo condotto in locazione dall’indagato., in quanto esteso ad un’area di circa 1.000,00 mq. e profondo non meno di 4/5 m., aveva comportato un evidente deterioramento del bene in cui l’attività estrattiva era svolta, inteso come decadimento delle sue caratteristiche qualitative.

3. Conclusioni 

La decisione in esame desta un certo interesse essendo trattate diverse tematiche giuridiche afferenti il delitto di inquinamento ambientale.

Difatti, in tale pronuncia, come appena visto, si afferma, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che: a) il delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., introdotto dalla legge n. 68 del 2015, è un reato di danno, che non tutela la salute pubblica, ma l’ambiente; b) ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici; c) la “compromissione” e il “deterioramento”, di cui al delitto di inquinamento ambientale, consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare la sussistenza di tale illecito penale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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