La Cassazione indica come calcolare il danno permanente da incapacità di lavoro di un bambino

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Avv. Pier Paolo Muiá – Dott.ssa Maria Muià

riferimenti normativi: art.1223 c.c

Precedenti giurisprudenziali: 22.5.2018 n. 12567 le Sezioni Unite

Fatto

A seguito di complicazioni durante la fase del parto, causate da un ritardo nella procedura di parto cesario, il neonato aveva riportato alla nascita gravi lesioni,  consistenti in una tetra paresi. I genitori del neonato si erano rivolti, dunque, al giudice di primo grado per vedere condannare la struttura sanitaria e i due medici, che avevano seguito la fase del parto, al risarcimento del danno subito dal neonato a causa del comportamento negligente da essi tenuto.

In entrambi i gradi di giudizio di merito venne riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale a favore dei genitori del minore.

Dinnanzi ad una tale decisione i convenuti decisero di proporre ricorso per Cassazione, ed in particolare, per quanto qui di interesse, l’Azienda sanitaria propose impugnazione prospettando tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo l’Azienda sanitaria lamentava la decisione della Corte di Appello di riconoscere una invalidità del minore pari al 100%, contrariamente alle indicazioni date dai consulenti che stimavano il grado di invalidità permanente molto prossimo al 100%; con il secondo motivo lamentava il fatto che la Corte territoriale nella liquidazione del danno patrimoniale consistito nelle spese di assistenza non aveva tenuto conto del valore capitalizzato dell’indennità di accompagnamento erogata dall’INPS e del valore economico delle prestazioni pubbliche di assistenza domiciliare.  Con il terzo ed ultimo motivo l’Azienda sanitaria lamentava il fatto che la Corte d’Appello nel calcolare la liquidazione del danno patrimoniale legato al mancato guadagno non avesse correttamente applicato le norme del codice civile.

La decisione della Corte                                                   

Valutati i motivi di ricorso prospettati dai ricorrenti, la Corte di Cassazione ha ritenuto accoglibile solo l’ultimo motivo di ricorso proposto dall’Azienda sanitaria, provvedendo così a rinviare la causa ad altra corte d’Appello, perché decida, secondo il principio da essa espresso, limitatamente alla quantificazione del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno.

In particolare esaminando il terzo motivo di ricorso i Giudici ermellini si sono discostati dalla decisione del Tribunale, confermata dalla Corte d’Appello, che aveva liquidato i danni patrimoniali futuri da perdita della capacità di guadagno senza applicare il metodo dello sconto o della capitalizzazione e senza applicare il c.d. coefficiente di minorazione, limitandosi a liquidare il danno moltiplicando il presunto reddito che il danneggiato avrebbe percepito se fosse rimasto sano, per il numero di anni lavorativi sperati.

Secondo la Suprema Corte la liquidazione del danno permanente da incapacità di lavoro, patito da un fanciullo, deve avvenire dapprima moltiplicando il reddito annuo, che si presume sarà perduto, per un coefficiente di capitalizzazione corrispondente alla presumibile età in cui il danneggiato avrebbe iniziato a produrre reddito; e poi riducendo il risultato così ottenuto attraverso la moltiplicazione di esso per un coefficiente di minorazione, corrispondente al numero di anni con cui la liquidazione viene anticipata, rispetto al momento di presumibile inizio, da parte della vittima, dell’attività lavorativa.

In riferimento al primo motivo di ricorso (il riconoscimento del 100% di invalidità da parte della Corte d’Appello), i Giudici di legittimità evidenziano l’inammissibilitá del motivo per difetto di interesse, in quanto l’errore commesso nella percentuale riconosciuta al minore non ha avuto effetti economici negativi, perché  nonostante la Corte territoriale avesse riconosciuto un’invalidità del 100% la somma di denaro liquidata a titolo di risarcimento del danno biologico corrispondeva ad una invalidità del 98,5%, ovvero quella ritenuta dai consulenti, e non quella solo astrattamente proclamata dalla Corte d’appello.

Con riguardo al secondo motivo di ricorso (mancata detrazione da danno patrimoniale liquidato del valore capitalizzato dell’indennità di accompagnamento erogata dall’INPS al minore e del valore economico delle prestazioni pubbliche di assistenza domiciliare) la Corte di Cassazione richiama la decisione delle Sezioni Unite secondo cui dall’ammontare del danno subito da un neonato in fattispecie di colpa medica, e consistente nelle spese da sostenere vita natural durante per l’assistenza personale, deve sottrarsi il valore capitalizzato della indennità di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall’ente pubblico, in conseguenza di quel fatto, essendo tale indennità rivolta a fronteggiare ed a compensare direttamente il medesimo pregiudizio patrimoniale causato dall’illecito, consistente nella necessità di dover retribuire un collaboratore o assistente per le esigenze della vita quotidiana del minore reso disabile per negligenza al parto.

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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