La Cassazione estende anche all’amante la tutela penale apprestata dall’art. 572 c.p. con la previsione del reato di maltrattamenti in famiglia

Redazione 01/04/11
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La caratteristica di relazione stabile, tipica di alcuni rapporti extraconiugali,
ha indotto la Corte di Cassazione a estendere il reato di maltrattamenti in famiglia,
e la conseguente pena, anche a una relazione adulterina. I giudici del Supremo
consesso hanno infatti confermato la misura cautelare in carcere, disposta dal
Tribunale del riesame di Messina, per un soggetto accusato di maltrattamenti e
lesioni volontarie aggravate ai danni di una donna, che aveva una relazione con
l’indagato. Contro la decisione del riesame, l’uomo era ricorso alla Suprema Corte
evidenziando la carenza dell’elemento costitutivo del reato di maltrattamenti
in famiglia, contestatogli dall’accusa, previsto dall’art. 572 c.p. Il ricorrente,
in particolare, aveva sottolineato il fatto che egli ancora conviveva con la moglie
e i figli nella casa coniugale e che la relazione adulterina con la parte offesa
non sarebbe mai sfociata in "uno stabile rapporto di comunità familiare".
Alla luce di ciò, si escludeva la possibilità di configurare, nella
fattispecie concreta, il reato di maltrattamenti in famiglia, non essendo la situazione
"suscettibile di determinare reciproci rapporti e obblighi di solidarietà
ed assistenza" con l’amante, elementi costitutivi del reato contestato. La
VI sezione penale della Cassazione, con la sentenza 7929/2011, ha ritenuto
infondata le tesi prospettata dall’indagato, il cui ricorso è stato dichiarato
inammissibile, così confermando la misura cautelare disposta nei suoi confronti.

Per giustificare la posizione della Corte, che è giunta ad affermare, sotto
il profilo esaminato, la piena equiparazione dell’amante alla moglie, occorre
precisare come l’illecito previsto dall’art. 572 c.p. si configura allorquando
tra l’agente e la vittima ricorra un rapporto stabile e duraturo, assimilabile
alle consuetudini familiari, il quale determina l’insorgenza di una serie di reciproci
doveri di assistenza e di solidarietà la cui violazione integra gli estremi
del reato in questione. E’ proprio sulla base di tale ricostruzione della fattispecie
penale che, peraltro, si è condivisa, nel tempo, la pacifica configurabilità
del reato di maltrattamenti in famiglia anche quando l’azione delittuosa sia commessa
ai danni di persona convivente more uxorio, in quanto il richiamo contenuto nell’art.
572 c.p. alla "famiglia" deve intendersi riferito "ad ogni consorzio
di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti
rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo,
ricomprendendo questa nozione anche la famiglia di fatto" (cfr. Cass. pen.,
sez. II, sent. 40727/2009).
I giudici di legittimità, nel caso in questione, hanno ritenuta accertata
e ben motivata nell’ordinanza originaria del GIP, ripresa sul punto dal Tribunale
del riesame, la circostanza che l’indagato avesse con la vittima una relazione
stabile e duratura, nonostante il perdurare della convivenza con moglie e figli.
Ciò che basta ad affermare, in conseguenza della violazione degli obblighi
di mutua assistenza e solidarietà che da quella relazione discendono, la
ricorrenza del reato di maltrattamenti anche quando vittima sia l’amante e non
il legittimo coniuge dell’indagato (Anna Costagliola).

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