L’U.E. e la tutela ambientale nello sviluppo socio-economico

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Sebbene non prevista all’interno dei trattati istitutivi è stata ritagliata in via interpretativa una competenza normativa degli organi comunitari nel settore della politica ambientale, in particolare dell’art. 2 del trattato CEE in cui si parla dell’esigenza di uno “sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della comunità” e di “ una espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento più rapido del tenore di vita”, ma anche gli artt. 100, 101 e 102 in cui si prevede una tutela dagli inquinamenti sul funzionamento del mercato comune, il tutto inserito nella possibilità d’azione per gli organi comunitari prevista dall’art. 235 con i “poteri impliciti” nell’ipotesi che tale azione risulti necessaria per il migliore funzionamento del mercato comune, solo nel successivo Atto Unico Europeo i trattati istitutivi vennero modificati e integrati con riferimenti espliciti alla tutela ambientale.

Con il “quinto programma d’azione “ del 1993 si introducono esplicitamente le politiche di tutela nella gestione delle risorse con riferimento allo sviluppo sostenibile; al controllo integrato degli inquinamenti; alla riduzione dei consumi (fonti di energia non rinnovabili); miglioramento dell’ambiente umano; valutazione e gestione dei rischi, si tenta quindi di effettuare un sistematico contemperamento tra esigenze ambientali e di sviluppo economico e sociale, rendendo il tutto quasi inscindibile.

I principi si cui si fonda il diritto comunitario in tema di ambiente sono relativi sia alla qualificazione dell’ambiente come oggetto di tutela giuridica, sia all’individuazione delle caratteristiche essenziali delle azioni di tutela, insieme con la definizione dei ruoli dei diversi livelli territoriali di governo nella tutela ambientale stessa.

Nella qualificazione dell’ambiente si fa riferimento innanzitutto al principio dell’antopocentrismo (art. 130 R del trattato CE), ossia della centralità della persona umana che si contrappone alla concezione ecocentrica dove la centralità è data dalla biosfera nel suo insieme, indipendentemente dall’utilità umana sulle risorse naturali, bisogna evitare a riguardo un opposto estremismo culturale altrimenti si  sprofonda in alcuni equivoci derivanti dal fatto che una eccessiva riduzione dell’intervento umano potrebbe ridurre lo sviluppo nelle aree meno progredite.

D’altra parte bisogna considerare che il paesaggio europeo è in notevole grado (es. Toscana) artificiale, creato nei secoli dall’uomo, un equilibrio da mantenere che tuttavia evidenzia la circostanza che la valutazione sull’ambiente è comunque una valutazione effettuata dall’uomo stesso, resta dunque la necessità di una responsabilità della persona umana quale elemento di centralità rispetto all’ambiente in cui agisce e agli elementi in esso posti, una responsabilità che si risolve nel perseguire una relazione di equilibrio in divenire.

L’ambiente deve essere considerato secondo un principio di unitarietà, nel quale vi è un equilibrio ecologico che necessita di una protezione coordinata dei singoli elementi componenti l’habitat naturale, una funzione sistematica da proteggere giuridicamente, anche in considerazione del suo carattere fondamentale  quale presupposto necessario all’esistenza dell’umanità stessa , da cui ne discende il principio di primarietà.

Occorre tuttavia considerare questa non in termini assoluti ma contemperati con altri interessi fondamentali, da valutare unitariamente all’interno dei processi decisionali considerandoli e bilanciandoli tra loro in un tutto inscindibile tra tutela ambientale e necessità di sviluppo socio-economico, nel quale la Corte di giustizia in ambito comunitario connette il principio del bilanciamento tra gli opposti interessi, questo comporta necessariamente il coinvolgimento dei vari livelli territoriali e di vari gruppi di pressione riconosciuti, senza che questo debba tuttavia impedire una decisione finale.

L’ambiente nella ricerca della sua tutela essendo inserito nell’economicità della società umana finisce per acquisire anch’esso un valore economico secondo il principio di economicità, vi sono quindi costi ambientali in ogni attività umana, necessita pertanto finanziare le azioni di tutela e compensare gli eventuali danni ambientali, viene quindi ad introdursi il concetto di sviluppo sostenibile che può tradursi anche come bilanciamento sostenibile, nel quale si considerano sia le esigenze ambientali che i costi e i valori economici, tra i costi ambientali si inseriscono anche i costi sociali o costi esterni, detti anche “esternalità”, si tende pertanto ad internalizzare tali costi, fatto che giuridicamente avviene attraverso sia gli strumenti economici, quali forme di tassazione ambientali, incentivazioni finanziarie o fiscali e permessi commerciali, sia con gli strumenti risarcitori non fondati su colpa o dolo ma sulla semplice responsabilità oggettiva (art. 130 R. par. 2, del Trattato CEE).

Si ha in tal modo la possibilità di scaricare sui soggetti inquinatori i costi per ridurre l’inquinamento stesso, inducendoli così a introdurre le tecnologie necessarie per una migliore gestione delle risorse naturali, vi è tuttavia il pericolo di una distorsione del principio nella possibilità di riconoscere a chi paga un diritto all’inquinamento, si tende, pertanto, a trasfondere tale principio in una responsabilità civile per danno ambientale, fino a riconoscere, nel “quinto programma d’azione”, la necessità di una valutazione economica dell’ambiente non solo quantitativa ma anche qualitativa, essendo alcuni aspetti ambientali per la loro particolarità fuori mercato, tuttavia in una società fondata su un approccio economico vi è la necessità di monetizzare la maggior parte possibile del patrimonio ambientale, al fine di permettere ai soggetti economici di considerare nelle scelte di investimento i costi dell’impatto ambientale stesso (cap.7 del programma).

Le azioni di tutela devono anzitutto configurarsi come una tutela preventiva (principio di prevenzione), di cui la V.I.A. ne diventa lo strumento fondamentale (direttiva n. 97/11/CE), si introduce il principio di precauzione che nell’assorbire in sé la prevenzione ne amplia la portata mediante una sostanziale inversione dell’onere della prova, costringendo a dimostrare prima dell’inizio delle attività che non vi saranno danni seri e irreversibili, tale principio viene ad integrarsi con l’ulteriore principio del bilanciamento, ossia nella necessità di operare un bilanciamento tra i due interessi, valori ed esigenze che intervengono evitando decisioni unidirezionali.

Si può intendere il bilanciamento in termini interni, ovvero nella necessità di individuare concretamente gli interessi ambientali, ed esterni, quale composizione ragionevole di tutti gli interessi garantiti coinvolti sempre nell’ottica di uno “sviluppo sostenibile”, si ha pertanto l’impossibilità di una definizione rigida del concetto di tutela ambientale e quindi di una corrispondente azione predeterminata, i parametri a cui si rifà l’azione comunitaria (dati scientifici e tecnici disponibili, vantaggi ed oneri che possono derivare dall’azione o non azione, sviluppo socio-economico della Comunità nel suo insieme e sviluppo equilibrato delle sue singole regioni, condizioni dell’ambiente nelle varie regioni della Comunità) sono indicati all’art. 130 R, par. 3, del trattato CEE.

Il bilanciamento presuppone a sua volta una gradualità nelle azioni di tutela dell’ambiente, considerando le esigenze economiche e sociali su cui si opera, questo indipendentemente da espliciti riferimenti nel trattato CE, la gradualità a sua volta si completa con il principio di dinamicità, per il quale è inevitabile un equilibrio non statico ma in divenire degli interessi in gioco e delle relative azioni a tutela dell’ambiente, considerando tra l’altro la dinamicità tecnologica e dei relativi valori guida, necessita pertanto una informazione ambientale continua e a costi sostenibili per tutti i soggetti coinvolti, questa deve essere “ascendente”, verso i centri decisionali, e “discendente”, verso gli utenti, vi è tuttavia la necessità di porre dei limiti all’informazione derivanti dalla riservatezza commerciale o industriale al fine di evitare distorsioni nella concorrenza, in un difficile equilibrio tra accesso all’informazione e tutela della riservatezza (direttiva n. 90/313/CEE).

In stretto rapporto con la tutela ambientale vi è sia l’attività  manifatturiera che agricola, la quale è costituita dai prodotti della terra, dell’allevamento, della pesca e dei prodotti di prima trasformazione, la finalità propria della politica agricola comune, come contemplata nell’art. 39 del Trattato CEE, sono relativi all’incremento produttivo, alla stabilizzazione dei mercati, alla formazione di prezzi ragionevoli e al raggiungimento di un buon tenore di vita per la popolazione agricola, questo comporta la necessità di interventi sull’irregolarità fisiologica della produzione sia in termini finanziari che ambientali, al fine di assicurare sia il reddito che l’approvvigionamento, tanto che con la riforma del 1992 si fa riferimento ad una produzione agricola compatibile con la cura dello spazio naturale e la protezione ambientale (reg. n. 2078/92).

Infatti il reg. n. 2078/92 promuove metodi di coltivazione non inquinanti, incentiva la salvaguardia di terreni abbandonati e a rischio di danni ecologici, estensivizza le colture promuovendo condizioni agricole compatibili con gli spazzi naturali e con utilizzi alternativi dei terreni, oltre a favorire il riposo (set-aside) ventennale dei terreni.

Un efficace uso dell’ambiente può favorire l’occupazione aiutando ad evitare il rischio di una disoccupazione di lunga durata, soprattutto giovanile, che si risolva in una “trappola della disoccupazione”, con una conseguente difficoltà di inserimento, estendendo le possibilità di occupazione anche in termini qualitativi, si può inoltre aiutare ad evitare il formarsi dell’ulteriore “trappola della povertà”, nella quale viene a mancare l’incentivo al miglioramento per la scarsa redditività e qualità del lavoro, come si incominciò a realizzare nell’Europa del XVII Secolo l’integrazione lavorativa avviene mediante l’istruzione tecnica, elemento preliminare e necessario all’inserimento lavorativo, se si vuole evitare l’esaurimento rapido delle risorse erariali, d’altronde già nella città di Lione, nel XVI Secolo, Vauzelles ci descrive uno sforzo diretto, oltre che alla distribuzione della ricchezza, alla creazione di nuove fonti di benessere e di occasioni di avanzamento economico.

Tuttavia alla base di questi sforzi per un loro successo vi deve essere il rispetto del principio di cooperazione tra i livelli di governo e del relativo principio di corresponsabilità, vi è inoltre la necessità di tenere conto delle tradizioni e della sensibilità delle diverse regioni della Comunità (art. 3B, C.2, Trattato CE), circostanza che viene riconosciuta nel principio di sussidiarietà, sempre con la possibilità, attraverso la clausola di salvaguardia, di un diverso livello di tutela ambientale a partire da un minimo comune.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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