L’inammissibilità de plano dell’istanza di risarcimento per sovraffollamento carcerario

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Abstract

 

Con la sentenza in argomento, la Cassazione ha affrontato la tematica connessa alla rilevabilità de plano dell’inammissibilità di una istanza avanzata a norma dell’art. 35 ter legge n. 354/1975.

 

 

Il fatto

 

Con provvedimento adottato de plano, il Magistrato di Sorveglianza di Avellino dichiarava inammissibile la richiesta avanzata ex art. 35 ter O.P. dal detenuto il quale aveva lamentato di avere sofferto la restrizione detentiva in condizioni di sovraffollamento e quindi in violazione di quanto disposto dall’art. 3 CEDU. In particolare, la declaratoria di inammissibilità veniva fatta derivare dal tenore letterale della norma richiamata, la quale avrebbe imposto il requisito della “attualità” del grave pregiudizio quale presupposto per accedere al rimedio risarcitorio dinanzi al Magistrato di Sorveglianza: osservava il giudice che le lesioni non attuali dei diritti avrebbero dovuto ritenersi di competenza del giudice civile, considerata la natura eccezionale della competenza risarcitoria del Magistrato di Sorveglianza; così si richiamava una relazione acquisita dall’Istituto di Pena dalla quale si desumeva che, al momento dell’istanza, il detenuto era stato già allocato in una condizione di restrizione non inferiore ai tre metri quadrati (con illuminazione naturale ed artificiale adeguata, congrua areazione, mobilio individuale, fruizione di televisione, riscaldamento invernale e cambio di effetti letterecci), e se ne faceva derivare l’inammissibilità dell’istanza per mancanza di un requisito necessario (e cioè appunto l’attualità del pregiudizio denunziato).

 

 

I motivi addotti dal detenuto in sede di legittimità

 

Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato personalmente deducendo la manifesta illogicità della declaratoria di inammissibilità sostenendosi che la stessa struttura normativa del reclamo risarcitorio riguarda i pregiudizi patiti in passato e non soltanto quelli in atto.

 

 

La valutazione giuridica formulata dalla Corte di Cassazione nella decisione in commento

 

La Cassazione ha annullato il suddetto provvedimento per le seguenti ragioni.

Gli ermellini hanno innanzitutto evidenziato  – una volta osservato che “il modello del reclamo giurisdizionale introdotto con l’art. 35-bis, che si svolge secondo le cadenze degli artt. 666 e 678 cod. proc. pen.,appare, sotto il profilo logico-sistematico, conforme alla ratio che complessivamente sottende alla introduzione del rimedio compensativo nella forma specifica della riduzione della pena da espiare, volto alla effettiva e congrua riparazione del pregiudizio per inumano trattamento detentivo in violazione dell’art. 3 della Convenzione EDU” – che “lo schema procedimentale del reclamo giurisdizionale introdotto con l’art. 35-bis O.P. si distingue dal procedimento di sorveglianza in senso stretto, caratterizzato tra l’altro dalla procedibilità di ufficio, mentre quello in esame prende avvio con il reclamo dell’interessato che, pur non richiedendo una forma specifica, deve indicare almeno cosa si chiede (petitum) e perché (causa petendí)”.

Una volta effettuata tale premessa, il ragionamento decisorio svolto dagli ermellini nella pronuncia in commento è stata articolata attraverso due argomentazioni.

In primo luogo è stato osservato che il “primo comma del citato art. 35 ter O.P. prevede in maniera inequivoca che «Salvi i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell’art. 666, comma 2, del codice di procedura penale, il magistrato di sorveglianza fissa l’udienza e ne fa dare avviso anche all’amministrazione interessata che ha diritto di comparire ovvero di trasmettere osservazioni e richieste». “Tra le peculiarità del procedimento disciplinato dall’art. 35-bis 0.P., quindi, vi è certamente, la previsione del doppio grado di giudizio di merito nel contraddittorio delle parti: difatti, la decisione sul reclamo deve essere adottata dal magistrato di sorveglianza all’esito dell’udienza nel contraddittorio delle parti e al comma 4 è prevista l’impugnazione di tale decisione attraverso il reclamo al Tribunale di Sorveglianza, introdotto dalla Legge n. 10/2014 in sede di conversione del d.l. n. 146/2013 in luogo della sola ricorribilità per cassazione, normalmente prevista (salvo casi specifici come per l’applicazione delle misure di sicurezza, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o tendenza a delinquere) per i provvedimenti del magistrato di sorveglianza assunti all’esito di procedimento in contraddittorio”.

Posto ciò, i giudici di Piazza Cavour hanno osservato che la “descritta cadenza processuale introdotta dall’art. 35-bis O.P. e la scelta legislativa del contraddittorio nel doppio grado di merito impone di considerare come la possibilità per il magistrato di sorveglianza di emettere un provvedimento fuori dal modello partecipato sia limitata alla sola eccezione prevista dallo stesso art. 35-bis, comma 1, O.P. laddove fa salvi i casi di «manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell’art. 666, comma 2,»” e perciò, “soltanto nei casi in cui risulti che la richiesta sia «manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi», il magistrato di sorveglianza potrà dichiarare con decreto de plano il reclamo inammissibile”. Nello specifico, è stato messo in risalto che l’“esercizio da parte del magistrato di sorveglianza del potere di cui all’art. 666,comrna 2, cod. proc. pen. deve essere limitato alle ipotesi in cui la «presa d’atto» dell’assenza delle condizioni di legge non richieda accertamenti di tipo cognitivo, né valutazioni discrezionali”. Infatti, sempre secondo quanto dedotto dalla Cassazione in questa pronuncia, “la ricognizione dei presupposti di ammissibilità della domanda non deve involgere una implicita valutazione del merito con la adozione di provvedimenti di sostanziale rigetto in assenza della esplicazione del regolare contraddittorio che l’art. 35-bis O.P. impone” e dunque “la carenza delle condizioni di legge deve essere rilevabile ictu oculi, non deve comportare valutazioni discrezionali, né valutazioni negative fondate su argomentazioni complesse o rese opinabili da possibili differenti ricostruzioni della situazione di fatto posta a base della richiesta” dato che “l’anticipazione alla fase del vaglio preliminare di ammissibilità di una decisione sostanzialmente nel merito sull’istanza violerebbe il contraddittorio, che nei procedimenti di esecuzione e di sorveglianza, laddove previsto, garantisce il diritto di partecipazione dell’interessato finalizzato alla possibilità di prospettare le proprie opzioni nella dialettica tra le parti”.

Chiarito ciò, la Cassazione ha individuato le conseguenze processuali che scautiscono dall’adozione di una decisione di questo genere affermando, una volta rilevato che “il provvedimento che il giudice assume de plano, senza fissazione dell’udienza in camera di consiglio, fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, è affetto da nullità di ordine generale e a carattere assoluto, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, che, se accertata in sede di legittimità, comporta l’annullamento della decisione impugnata”, che “l’adozione del rito planano si traduce nella inosservanza dalla norma processuale, infra indicata, stabilita a pena di nullità: se – come nella specie – il giudice provvede de plano, fuori dei casi tassativamente previsti dall’art. 666 cod. proc. pen., comma 2, con conseguente inosservanza delle forme di rito prescritte, tanto comporta, secondo il generale principio di diritto, del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la “nullità di ordine generale e di carattere assoluto, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli artt. 178 e 179 c.p.p.” del procedimento (Sez. 1, 11 giugno 2013, n. 29505, Rv 256111 e Sez. 3, 29 gennaio 2013, n. 11421, Rv 254939), per effetto della estensiva applicazione delle previsioni della “omessa citazione dell’imputato e della assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza” (Cass., Sez. 3, 29 maggio 1998, n. 1730, Rv 211550; Sez. 1, n° 41754 del 16.09.2014, Rv. 260524)”.

Detta opzione ermeneutica viene a sua volta ritenuta l’unica formulabile in casi di questo tipo atteso che tale lettura, “oltre a rispettare la formulazione testuale ed il significato logico del richiamo all’art. 666, offre il vantaggio di assicurare alle parti la possibilità di uno scrutinio di merito, esteso a tutte le questioni coinvolte ed articolate in due successivi gradi innanzi a giudici dotati di pieni poteri di cognizione sul fatto quando la decisione si sia addentrata in tali profili, mentre quando si sia limitata al riscontro immediato e formale d’inammissibilità siffatto raddoppio del sindacato di merito non è necessario ed è esperibile il solo controllo di legittimità”.

Ebbene, il passaggio argomentativo sin qui esaminato si palesa condivisibile anche poiché detto costrutto ermeneutico, al di là della conformità delle sue argomentazioni giuridiche ai principi di diritto ivi enunciati quanto al regime di nullità rilevabile, trova conferma in un’altra decisione con cui il Supremo Consesso ha in eguale misura recentemente rilevato che “la procedura definitoria semplificata, che consente di evitare la fissazione di udienza camerale, è possibile esclusivamente nelle ipotesi di difetto delle condizioni di legge o di mera riproposizione di richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi”(Cass. pen., sez. I, sent. n. 43722/2015) trattandosi di “una norma di stretta interpretazione, con la conseguenza che il provvedimento de plano può essere adottato nelle sole ipotesi in cui la presa d’atto dell’assenza delle condizioni di legge non richiede né accertamenti di tipo conoscitivo (infatti, l’attivazione di un qualsivoglia potere istruttorio deriva dallo svolgimento di procedura partecipata, ai sensi dell’art. 666, comma 5, c.p.p.) né valutazioni discrezionali, in fatto o in diritto”(ibidem).

Va da sé pertanto che il regime di stretta interpretazione dell’art. 666, co. II, c.p.p., trovando una evidente conferma nel pregresso orientamento nomofilattico elaborato in subiecta materia, è stato correttamente osservato nella fattispecie in esame.

Precisato ciò, venendo ad esaminare la seconda argomentazione addotta dalla Cassazione nella decisione in esame, il provvedimento in questione è stato stimato fallace anche per un’altra ragione. Difatti, il “Magistrato di Sorveglianza ha dichiarato inammissibile de plano il reclamo per difetto di una condizione di legge, che è stata individuata nell’assenza di attualità del pregiudizio derivante da condizione detentiva inumana e degradante, in contrasto con la previsione regolatrice di cui all’art. 69, comma 6, lett. b), O.P.” mentre invece, pur “avendo il Legislatore ricondotto il pregiudizio derivato al detenuto dalle condizioni inumane e degradanti della carcerazione a quello più generale dell’esercizio dei diritti del soggetto ristretto, derivante dall’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dall’ordinamento penitenziario, attraverso il richiamo espresso del comma 1 dell’art. 35-ter all’art. 69, comma 6, lett. b), 0.P., ciò non autorizza a ritenere che le caratteristiche di «gravità» e «attualità» del pregiudizio indicate da tale ultima norma costituiscano presupposto essenziale per accedere al rimedio risarcitorio compensativo che può essere richiesto dal detenuto al magistrato di sorveglianza a norma dei commi 1 e 2 dell’art. 35-ter O.P.” atteso che: 1) “il rinvio al pregiudizio di cui all’art. 69, comma 6, lett. b), O.P. oltre ad essere menzionato esplicitamente al comma 1 dell’art. 35-ter, si riflette anche sul comma 3 con il richiamo al «pregiudizio di cui al comma 1», ancorchè sia evidente che la condizione detentiva inumana e degradante risarcibile attraverso la azione dinanzi al giudice civile non possa essere attuale” così come, “pur essendo chiara la indicazione della competenza del magistrato di sorveglianza, il risarcimento di un pregiudizio inferiore a quindici giorni di cui al comma 2 non potrebbe mai essere attuale al momento della decisione”; 2) l’“essenziale caratteristica della introduzione del rimedio di cui alla disposizione in esame è rappresentata dalla finalità compensativa risarcitoria e, quindi, da un quid pluris rispetto alla ordinaria inibizione della prosecuzione dell’inosservanza da parte dell’amministrazione delle regole in funzione della realizzazione del diritto negato o compromesso, cui è finalizzato il reclamo giurisdizionale in genere” visto che “mentre l’attualità del pregiudizio è condizione connaturale al reclamo di cui all’art. 69, comma 6, O.P. in ragione della correlazione con la tipologia di tutela ( art. 35-bis comma 3), non è presupposto necessario quando il reclamo è volto ad ottenere quegli effetti compensativi che garantiscano una riparazione effettiva delle violazioni della CEDU risultanti dal sovraffollamento, richiesti dalla Corte EDU nella sentenza “pilota” Torreggiani, che il Legislatore ha voluto attuare con predeterminazione del quantum e, in via prioritaria, in forma, per così dire, “specifica” con la riduzione della durata della pena ancora da espiare nella misura di un giorno per ogni dieci di pregiudizio sofferto , rimedio questo che presuppone soltanto, ma necessariamente, la detenzione in atto”.

Di conseguenza, alla luce di tale duplice ordine di considerazioni, i giudici di legittimità ordinaria hanno rilevato che “il richiamo contenuto all’art. 35-ter, comma 1, O.P. al pregiudizio di cui all’art. 69, comma 6, lett. b), individua la categoria del reclamo relativo alla violazione dei diritti inviolabili del detenuto e il modello procedimentale applicabile, ma non può essere riferito ai presupposti del pregiudizio in termini di necessaria attualità al momento della domanda e, ancor meno, della decisione”.

Posto ciò, può ritenersi questo secondo passaggio motivazionale anch’esso condivisibile. Infatti, tale iter argomentativo si allinea sulla scorta di numerosi precedenti con cui è stato parimenti dedotto che il “richiamo contenuto nell’art. 35-ter, comma 1, Ord. Pen. al pregiudizio di cui all’art. 69, comma 6, lett. b), individua la categoria del reclamo relativo alla violazione dei diritti inviolabili del detenuto ed al modello procedimentale applicabile, ma non può essere riferito ai presupposti del pregiudizio in termini di necessaria attualità al momento della domanda e, ancor meno, della decisione (tra le più recenti, Cass. pen., sez. I, sent. n. 25180/2016) stante il fatto che “l’attualità del pregiudizio non è condizione di accoglibilità della domanda riparatoria rivolta al Magistrato di sorveglianza, in quanto il richiamo contenuto nell’art. 35 ter ord. pen. al pregiudizio di cui all’art. 69, comma sesto, lett. b), ord. pen., ai fini della riduzione della pena, non si riferisce al presupposto della necessaria attualità del pregiudizio medesimo”(Cass. pen., sez. I, sent. n. 876/2015).

 

Conclusioni

 

La sentenza in esame si palesa del tutto condivisibile. Le ragioni indotte, difatti, si allineano lungo la scia di un pregresso orientamento nomofilattico costante sul punto. Inoltre, una lettura dell’art. 35 ter o.p. di questo tenore, ad avviso di chi scrive,  rappresenta una interpretazione preferibile rispetto ad altre quanto meno in ossequio al principio del favor rei.

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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