L’imposta di scopo – addizionale ici – per la realizzazione di opere pubbliche prevista dalla legge finanziaria per il 2007

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Prima di iniziare il commento alle norme della Legge Finanziaria per il 2007 (Legge n° 296 del 2006) che istituiscono la “imposta di scopo per la realizzazione di opere pubbliche”, precisamente i commi da 145 a 151 del primo (ed unico) articolo di essa, si potrebbe dire che la via del federalismo è lunga e difficile e cosparsa di piccole (per fortuna, finora) invenzioni fiscali di dubbia utilità e di cui francamente non si sentiva il bisogno.
            Quando, una ventina d’anni fa, studiavo il diritto tributario all’università, imparai che la “imposta di scopo” era considerata incostituzionale da tutti o quasi perché ogni imposta doveva servire, almeno potenzialmente, al finanziamento di qualsiasi spesa pubblica, sia essa dello Stato o di un altro Ente Pubblico percettore di quella imposta. Certo in vent’anni le opinioni cambiano e pure le situazioni, ma, francamente, smentire una delle poche regole non scritte che finora aveva resistito, e che derivava dall’interpretazione dei principi generali e di quelli costituzionali del diritto tributario, non ci sembra sia servito a molto, se non a confondere ancora di più un quadro giuridico già complesso e di difficile gestione.
            Detto questo, passiamo a vedere come si configura questa imposta di scopo.
 
            I commi 145, 149 e 150 della Legge Finanziaria per il 2007 prevedono che, a decorrere dal 1° Gennaio 2007, i Comuni possono deliberare, attraverso l’emanazione di un apposito regolamento adottato ai sensi dell’articolo 52 del Decreto Legislativo n° 446 del 1997, l’istituzione di una imposta di scopo il cui gettito è destinato esclusivamente alla parziale copertura, fino ad un massimo del 30%, delle spese per la realizzazione di opere pubbliche individuate fra le seguenti categorie:
a)      opere per il trasporto pubblico urbano;
b)      opere viarie, con l’esclusione della manutenzione straordinaria ed ordinaria delle opere esistenti;
c)      opere particolarmente significative di arredo urbano e di maggior decoro dei luoghi;
d)     opere di risistemazione di aree dedicate a parchi e giardini;
e)      opere di realizzazione di parcheggi pubblici;
f)       opere di restauro;
g)      opere di conservazione di beni artistici ed architettonici;
h)      opere relative a nuovi spazi per eventi ed attività culturali, allestimenti museali e biblioteche;
i)        opere di realizzazione e manutenzione straordinaria dell’edilizia scolastica.
 
Come si nota agevolmente, a conferma anche di quanto abbiamo detto all’inizio dell’articolo, le lettere da a) ad e) prevedono categorie di opere che rientrano fra quelle c.d. “di urbanizzazione primaria” (strade, piazze, fognature ed allacciamenti ai servizi pubblici essenziali) o “di urbanizzazione secondaria” (servizi ed attrezzature di pubblico interesse) di un’area urbana che i Comuni dovrebbero coprire del tutto o quasi coi ricavi delle tasse per le concessioni edilizie (gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione) e delle relative sanzioni, come fu previsto per la prima volta dalla c.d. “Legge Bucalossi”, la Legge n° 10 del 1977, ma che alcune delle Leggi Finanziarie degli ultimi anni, come, per esempio, quella per il 2005 (la Legge n° 311 del 2004),  hanno previsto potersi utilizzare, fino al 75% nel 2005 e fino al 50% nel 2006, per coprire la spesa corrente (stipendi e consumi correnti) dei Comuni. Una decisione, quest’ultima, del tutto sbagliata che ha messo i Comuni in condizione di destinare le risorse, per esempio, per la manutenzione delle strade al pagamento degli stipendi. Per quanto riguarda, poi, le lettere da f) ad i), si può dire che non è certo con questa imposta di scopo che si può risolvere il problema della scarsità di risorse per la salvaguardia del patrimonio artistico, per gli spazi per la cultura e per l’edilizia scolastica.
 
      L’imposta di scopo altro non è che un’addizionale dell’Imposta Comunale sugli Immobili – ICI, essendo disciplinata dalle norme vigenti su di essa (contenute nel Decreto Legislativo n° 504 del 1992) e che può avere un’aliquota massima dello 0,5 per mille della base imponibile, cioè del valore degli immobili ai fini ICI. L’imposta è dovuta, in relazione alla natura ed al tempo necessario per la realizzazione dell’opera pubblica da finanziare, per un periodo massimo di cinque anni (commi 148 e 147).
Nel caso di mancato inizio della realizzazione dell’opera pubblica entro due anni dalla data prevista dal progetto esecutivo di essa, i Comuni sono tenuti a rimborsare ai contribuenti i versamenti effettuati nei due anni successivi a tale data (comma 151). Il rimborso dell’imposta sarà, pertanto, quasi sempre parziale (potrebbe anche essere fatta pagare interamente prima della data da cui scatta il rimborso) e nel caso di mancata realizzazione dell’opera l’imposta funzionerà da addizionale ICI a tutti gli effetti, senza vincolo di destinazione per la parte di essa non restituita. Insomma, non è proprio un sistema garantista per il contribuente, né è fatto per aumentare la popolarità dei sindaci.
Infine, il regolamento che istituisce l’imposta determina:
a)    l’opera pubblica da realizzare (quindi occorrerà un regolamento per ogni singola opera pubblica da finanziare con l’imposta di scopo);
b)   l’ammontare della spesa da finanziare (pari, nel massimo, al 30% del costo dell’opera);
c)    l’aliquota dell’imposta;
d)   l’applicazione di esenzioni, riduzioni o detrazioni in favore di determinate categorie di soggetti, in relazione all’esistenza di particolari situazioni sociali o reddituali, in particolare di quei soggetti che già godono di esenzioni o riduzioni ai fini del versamento dell’ICI sulla prima casa e di quelli con reddito annuo inferiore a 20.000 Euro lordi (si ampliano, in tal modo, i casi delle agevolazioni che possono essere concesse dai Comuni rispetto a quelle previste dalle norme sull’ICI);
e)    le modalità di versamento degli importi dovuti.
 
 Gianfranco Visconti
Consulente di direzione aziendale
 

Visconti Gianfranco

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