L’etica nei sistemi sociali complessi

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I fenomeni antropologici non possono essere analizzati settorialmente ma organicamente come si presentano nella realtà, superando vecchie cesure interdisciplinari (Malinowski), si è elaborato quindi il concetto di “personalità di base” quale rapporto tra le capacità ed esigenze della persona e l’aggregato sociale con le sue regole , norme e riti, vi è pertanto una esigenza di adattamento dell’individuo (Kardiner), la “coazione sociale” esercita un’ azione concreta sui comportamenti psico-antropologici dei singoli e induce alla costituzione di una serie di valori e miti collettivi, in cui tuttavia non deve essere assolutizzato il solo fattore economico (Durkheim).

Lévy-Bruhl si pone il problema della frammentazione dell’umanità in sistemi sociali plurimi per cui l’individuo acquista il suo significato solo se inserito in un determinato sistema di rapporti culturali codificati, da questo ne conclude l’impossibilità dell’esistere di leggi e valori universali insiti nell’essere umano, vi è tuttavia il rischio di confondere i due piani dei valori dell’essere e della loro formulazione sociale quella che Parsons definisce come “azione sociale”, la quale non è altro che il risultato di una interiorizzazione nel corso del processo di socializzazione di un insieme di credenze, valori e regole di condotta atte a mediare il rapporto tra i singoli con i loro egoismi individuali e il loro contesto relazionale.

Parsons parla di “prerequisiti funzionali” alle azioni di sistema rivolte alla soddisfazione dei bisogni di sopravvivenza, integrazione interna ed equilibrio esterno, queste sono:

  • Adattamento nei rapporti con l’ambiente esterno al fine del reperimento delle risorse necessarie alla sopravvivenza;

 

  • Stabilizzazione e integrazione del sistema mediante adeguate attività di controllo delle devianze;

l’equilibrio che questi “prerequisiti funzionali” svolgono tendono a mantenere in omeostasi ossia in equilibrio il sistema, tuttavia due elementi vengono ad incidere: l’attività e l’apprendimento, i quali creano nuovi processi di differenziazione a cui seguono processi di integrazione fino ad atti di rottura rivoluzionari sia in termini di valori che sociali.

In questa analisi Parsons perfeziona i concetti di “status” e “ruolo” quali elementi che forniscono valori e aspettative comportamentali sociali venendo a incidere sull’agire dei singoli, si valorizza quello che Mauss definisce come il rito del dono quale meccanismo di scambio della convivenza sociale, specularmente interviene la promessa che crea obblighi e diritti nei rapporti sociali il cui vincolo morale è rafforzato oltre che dai possibili mezzi di coazione formali o informali attivabili, anche dallo “status” e dai “ruoli”(Reinach).

Searle nella sua teoria sulla creazione del mondo sociale e istituzionale considera i nuovi ruoli e modi di agire come funzioni di status accettati collettivamente e implicanti una propria deontologia, i poteri che ne nascono, poteri deontici, costituiscono ragioni per l’azione indipendentemente dai singoli desideri, viene meno pertanto la rilevanza degli stati psicologici nel formarsi delle “strutture normative” senza che questo tuttavia possa comprimere qualsiasi spazio di libertà, vi è sempre una “lacuna causale” tra le intenzioni, le decisioni e le azioni che ci permette di non compiere un’azione da noi decisa indipendentemente dai poteri deontici, si è tuttavia osservato che vi è necessità comunque di valutare l’aspetto psicologico individuale in quanto, come osserva Ferraris, la normativa esiste solo se vi è nella testa delle persone.

La rivalutazione dell’individuo quale soggetto non impedisce di cercare l’oggettività nelle leggi come leggi naturali, che in quanto calate nella natura possiedono quella universalità e necessità considerate indispensabili per garantirne la durata e la forza nel tempo, tanto da indurre Lévy-Strauss ad ipotizzare una organizzazione neurofisiologica dell’uomo che si rifletta sulla sua “Cultura” e quindi sulla organizzazione che da essa nasce, sebbene l’attenzione sulle possibili e varie trasformazioni che talvolta investono in modo radicale la società e gli individui che la compongono ha fatto dubitare sull’esistenza di tali leggi (Harré-Morin-Sabbins).

L’economia comportamentale ha evidenziato l’esistenza di una miscela di cooperazione e competizione nella specie umana condivisa con i primati che garantisca il successo evoluzionista sia del singolo che del gruppo in cui si identifica (de Waal), infatti vi è la necessità di competere per risorse limitate e proprio la tipologia e le modalità di distribuzione delle stesse viene ad incidere sull’evoluzione e quindi sulla delimitazione dei gruppi sociali e della loro morale (Chase), dobbiamo considerare che il pensiero simbolico, il linguaggio e la trasmissione di informazioni può realizzarsi validamente solo in presenza di una affidabilità tra individui, questo dovrebbe favorire evolutivamente la selezione del gruppo tra competitori, circostanza che impone un controllo della competizione interna al gruppo, peraltro utile entro limiti non distruttivi al fine dell’evoluzione del gruppo stesso in termini di fitness rispetto agli altri gruppi, si ha pertanto una selezione multilivello (SML)(D.S. Wilson – E.O. Wilson).

In questa competizione multilivello vi è un intreccio fra altruismo e localismo che determina una selezione di tipo sociale, infatti vengono ad essere più efficienti e quindi prevalere i gruppi dotati di un “altruismo localistico” tanto che si è osservato, anche in altri primati, che l’altruismo è direttamente proporzionale al grado di competizione fra gruppi, parallelamente lo stesso sentimento della “vergogna” acquista una propria funzione di collante sociale, tanto da indurre a sottolineare che la capacità di formulare giudizi morali emerge dall’empatia che si forma tra membri del gruppo, la morale risulta pertanto come il risultato dell’evoluzione di una pluralità di fattori biologici e culturali a più livelli in una successione di transizioni in nicchie mutevoli (Pievani).

Quando l’evoluzione economica e sociale porta al limite di rottura il sistema può esservi o un’implosione o un’esplosione, l’atto rivoluzionario da cui dovrebbe emergere la nuova organizzazione comporta una rottura dell’etica così che nel caos che si determina vi è un progressivo sperimentare fino all’estremismo possibile nel contesto, solo successivamente sperimentata la massima pressione sostenibile la stabilizzazione nascente dal coagularsi degli interessi di nuove forze crea la nuova etica e si avrà il passaggio dal magma della genesi fondato sull’etica di una leadership mistica ad una istituzionalizzazione e stratificazione etica (Alberoni).

La visione etica viene ad influire non solo la lettura degli eventi sociali ma anche l’interpretazione delle misurazioni matematiche, dando e fornendo ad esse coerenza con la nostra storia etica, quello che non risulta per noi coerente viene a perdersi nel prosieguo della nostra storia (Lloyd), così che anche un aspetto puramente contabile quale l’inflazione acquista una lettura etica per il sistema sociale, d’altronde la mancanza di vincoli esterni determinati da minacce al sistema del gruppo determina, come già detto, un rilassamento nei rapporti operativi ed il prevalere di interessi esclusivamente individualistici favoriti da un senso di sicurezza che frantuma il gruppo proiettando all’interno le minacce e i conflitti venuti meno dall’esterno, ad una prima fase euforica e anarcoide nel quale prevarrà come modello vincente il comportamento truffaldino subentrerà una progressiva implosione che avrà come possibile reazione o un irrigidimento etico della leadership o lo sgretolamento del sistema (Etica descrittiva).

Quanto finora detto fa inserire l’etica negli aspetti naturalistici della specie umana, senza che questo possa appiattirla esclusivamente su stati mentali di carattere non cognitivo quali emozioni e attitudini (Teorie non cognitiviste), piuttosto vi è una simbiosi tra la sensibilità degli agenti con le loro reazioni affettive derivanti dalle proprietà naturali del mondo (Naturalismo scientifico e Teorie della sensibilità) con la riflessione culturale ed esperienziale (Teorie non realiste).

Precisa Railton che le proprietà morali sono qualcosa di oggettivo riducibili alle proprietà naturali o in termini analitici, come sostenuto da Lewis, o secondo un giudizio sintetico di identità come affermato dallo stesso Railton, nel qual caso si vengono ad identificare i giudizi di valore con la normazione sociale convenuta o all’estremo con le disposizioni valutative del singolo, tuttavia nel tentativo di non ridurre direttamente l’aspetto morale alla natura si è sostenuto che i giudizi di valore non sono originati dalla stessa e quindi a fatti naturali ma più semplicemente permettono di comprendere gli stessi (Brink – Teorie naturaliste non riduzioniste), l’analogica delle proprietà morali con qualità secondarie che permettono all’osservatore fornito di una sensibilità morale di esprimere giudizi morali su fatti e qualità sociali o naturali con cui viene ad interferire è stata avanzata da Mc Dowell, in questa ipotesi sono i fatti e gli oggetti a provocare le reazioni sul singolo dotato di una sua sensibilità morale (Teorie della sensibilità).

E’ stato osservato da più parti la mancanza di una effettiva “motivazione” nella determinazione del compimento di una azione morale (Cognitivismo non realista), contrapponendosi per questo al naturalismo con un razionalismo logico di matrice kantiana sulle modalità di formazione delle giustificazioni relative alle proprietà morali, le quali devono possedere carattere universale e oggettivo non legato ai desideri che per la loro soggettività verrebbero a negare la stessa oggettiva universalità, tale che l’obbligo morale vincola di per se stesso senza ulteriori motivazioni (Nagel). Questo tuttavia non elimina la possibilità di vincoli contrattualistici (Teorie contrattualistiche), quindi volontari, che Rawls considera necessari per far sorgere “costruzioni di principi di giustizia” sociali anche se solo ideali, mentre Gauthier li individua in forme di cooperazione necessarie per interessi egoistici individuali, secondo una visione antropologica hobbesiana non kantiana.

Se per alcuni la morale è innanzitutto un problema di conoscenza, per altri trattasi in realtà di una presa di posizione dell’individuo, quindi di una manifestazione di atteggiamenti valutativi del soggetto che per Mackie si risolve in una creazione variabile e relativa del singolo che affonda i suoi atteggiamenti in una sensibilità morale e nelle reazioni emotive che ne conseguono, le quali devono possedere unicità e coerenza con altre asserzioni vere, come affermato da Blackburn, la morale potrebbe essere quindi un cristallo poliedrico di cui in realtà le immagini sopra descritte ne sono frammenti provenienti dalla stessa fonte, la necessità della creazione che si spinge nella ricerca diventa da bisogno naturale originario necessario per la sopravvivenza, di per se stessa una necessità etica per l’individuo che si riflette sul gruppo come necessità della sua comunicazione e della sua ricezione, un principio che permette di superare la conflittualità intergruppo e nel gruppo una volta che appare superato il pericolo proveniente da una “Natura esterna”.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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