L’esclusione dalla garanzia assicurativa contro gli infortuni per dolo o colpa grave dell’assicurato

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Perché la garanzia infortuni sia operante, non è sufficiente che si sia verificato l’evento, ma è necessario che quest’ultimo sia dovuto ad una causa “fortuita, violenta ed esterna”, ove il termine “fortuito”, sta ad indicare un fatto che provochi un infortunio del tutto indipendente dalla volontà della persona che lo subisce.

Perché possa ritenersi “fortuita” la causa deve essere costituita da fattori accidentali ed imprevedibili, indipendenti dalla volontà dell’assicurato.

Nella “fortuità” rientrano implicitamente i caratteri della eccezionalità, straordinarietà, anormalità e imprevedibilità dell’evento lesivo.

 È antitetico al concetto di infortunio e di fortuità un evento che consegua ad un comportamento doloso o colposo dell’assicurato.

L’indennizzo previsto dalla polizza infortuni non è corrisposto dall’assicuratore se l’infortunio interviene per dolo o colpa grave dell’assicurato.

Si richiama anche l’art. 1900 c.c., ai sensi del quale “l’assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o colpa grave del contraente, dell’assicurato o del beneficiario, salvo patto contrario per i casi di colpa grave”.

È, dunque, possibile assicurare qualsiasi rischio, purché non riguardi attività illecita e purché la causa dell’evento non dipenda da azione dolosa o colposa grave dell’assicurato(1).

Il dolo consiste nella coscienza e volontà del soggetto agente di produrre l’evento infortunio. Perché possa essere corrisposto l’indennizzo l’infortunio deve essere del tutto indipendente, sotto il profilo causale, dalla volontà della persona che lo subisce, sicché non rientra nel concetto di infortunio il suicidio, caratterizzato dalla coscienza e volontà dell’agente di produrre l’evento morte.

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale,

il suicidio, essendo caratterizzato dalla coscienza e volontà dell’agente di produrre l’evento morte, non rientra nel concetto di infortunio, che va inteso invece come fatto prodotto da causa fortuita, violenta ed esterna. In caso di assicurazione contro gli infortuni, spetta alla parte che chiede il pagamento dell’indennizzo dare la dimostrazione che la morte sia catalogabile come infortunio, e quindi provare la causa fortuita, violenta ed esterna(2).

È onere dell’attore che chiede il pagamento dell’indennizzo la prova della verificazione del rischio assicurato quale fatto costitutivo della pretesa, e dunque la prova che la morte sia conseguita ad un infortunio accidentale(3).

In genere la polizza infortuni prevede la copertura anche delle ipotesi di colpa, purché non si tratti di “colpa grave”.

Per colpa si intende la “non-previsione di qualcosa di prevedibile” attraverso l’uso dell’ordinaria diligenza, vale a dire un’errata valutazione sulle conseguenze delle proprie azioni commissive od omissive.

È possibile una graduazione della colpa a seconda della maggiore o minore antidoverosità del comportamento del soggetto agente. In giurisprudenza si è specificato che (4), a differenza della colpa lieve,

la colpa grave è quella che corrispondente alla violazione della diligenza minima, tale, cioè, che, non un uomo di media prudenza ed avvedutezza, ma una qualsiasi persona è tenuto ad osservare.

Esaminato il comportamento in concreto tenuto dall’assicurato e tenuto conto del parametro di condotta richiesto dal bonus pater familias, la colpa grave consiste in una “condotta inescusabile” connotata da una massima ed inescusabile imprudenza o imperizia, ovvero da una particolare noncuranza nell’applicazione delle norme di diritto, avendo l’assicurato omesso di osservare non solo la diligenza del bonus pater familias, ma anche quel grado minimo ed elementare di diligenza che tutti sono tenuti ad osservare, senza poter dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norme violate.

La colpa grave può concretizzarsi nella inosservanza del minimo di diligenza; prevedibilità e prevenibilità dell’evento dannoso con giudizio rimesso al giudice attraverso il criterio dell’id quod plerumque accidit; assenza di difficoltà oggettive ed eccezionali nell’ottemperare ai doveri di servizio violati; violazione di quei comportamenti che anche le persone meno diligenti e caute sono solite osservare; atteggiamento di grave disinteresse nell’espletamento dei propri compiti, agendo senza le opportune cautele; deviazione macroscopica dal modello di condotta connesso ai propri compiti, senza il rispetto delle comuni regole di comportamento(5).

Nel valutare il grado di colpa occorre tener conto della qualifica professionale, della posizione funzionale e delle specifiche competenze ed attribuzioni del soggetto agente, potendosi esigere un maggior o minor grado di diligenza e perizia a seconda di tali elementi.

 

 

(1) Scalfi, I contratti di assicurazione, cit., pp. 72 ss.

(2) Tribu. Torino, sez. IV civile, 27 aprile 2013; App. Milano, 3 gennaio 1989.

(3) Con l’articolo 1927 c.c., in particolare, il legislatore disciplina il caso di morte per suicidio dell’assicurato: si tratta di un sinistro volontario. Il nostro ordinamento, in tal caso, introduce una ipotesi di deroga all’art. 1900 c.c., consentendo l’assicurazione di tale rischio solo nel caso in cui il suicidio sia compiuto dall’assicurato prima che siano trascorsi due anni dalla stipulazione del contratto. Lo stesso tempo è richiesto nel caso di riattivazione della polizza del contratto. Nelle condizioni di polizza è possibile che le parti stabiliscano diversamente, escludendo totalmente il rischio del suicidio o assumendolo a diverse condizioni.

(4) App. Milano, 27 settembre 1974, n. 2233, in Riv. Dir. Prat. Ass., 1975, 4, p. 740.

(5) Corte dei Conti, sez. Veneto, 11 novembre 1996, n. 439; Corte dei Conti, sez. Veneto, 10 febbraio 1997, n. 71.

Serpetti Antonio

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