L’atto di emulazione e l’abuso del diritto

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In diritto si definisce atto emulativo o atto di emulazione quell’atto, che costituisce l’esercizio di un diritto soggettivo, che non abbia altra finalità se non quella di nuocere o recare molestia agli altri, configurandosi come abuso del diritto.
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Indice

1. Origini degli atti di emulazione


L’atto emulativo nasce intorno all’Ottocento, in seguito alle trasformazioni sociali, politiche ed economiche avvenute in Francia e Germania, come strumento di risposta e controllo, da parte dell’ordinamento, al cosiddetto abuso del diritto.

2. Ordinamento italiano


L’ordinamento giuridico italiano, a differenza di altri, non prevede un divieto di abuso del diritto e di compiere atti emulativi, che sono contemplati nell’articolo 833 del codice civile in relazione all’esercizio del diritto di proprietà.
L’articolo 833 del codice civile rubricato “atti di emulazione” recita:
Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.
I Requisiti dell’emulatività sono:

  • un atto di esercizio del diritto di proprietà (ad esempio, l’innalzamento di un muro di cinta)
  • la finalità pregiudizievole (ad esempio, perché il muro di cinta, straordinariamente alto, ostruisce la veduta del vicino)
  • l’inutilità dell’atto (ad esempio, perché la sua unica finalità è quella di togliere la veduta al vicino)

In relazione al fondamento, la ratio di un simile divieto va ravvisata nel principio dell’abuso del diritto che, nonostante non sia stato espressamente recepito nel codice civile, deriva lo stesso dalla concezione del diritto soggettivo come diritto tutelato per il raggiungimento di interessi socialmente apprezzabili.
Il titolare del diritto di proprietà che compia un atto che costituisce esercizio del suo diritto, senza che lo stesso persegua un interesse socialmente apprezzabile, e dove questo atto persegua un fine riprovevole, compie un atto emulativo vietato dalla legge.

3. Origini dell’abuso di diritto


Il concetto di abuso di diritto nasce dall’elaborazione della giurisprudenza francese verso la seconda metà del 1800 sotto il nome di “abus de Droit “.
 
3. 1 Nel diritto romano
Accenni di quello che è considerato abuso del diritto possono essere trovati nel diritto romano. Anche non essendo univoche le fonti in materia, parrebbe che nel diritto romano classico il termine aemulatio avesse come significato quello di “imitazione motivata da invidia e atta a suscitare risentimento”.
In questo senso l’aemulatio presenterebbe elementi comuni alla moderna nozione di abuso, sia con riferimento all’intento malevolo, sia in relazione alla non meritevolezza della tutela per un atto altrimenti lecito.
 
3.2 La giurisprudenza francese
L’espressione abuso del diritto si iniziò a configurare nel XIX secolo.
La necessità di apportare correzioni al diritto privato spinse infatti i giudici francesi a interrogarsi sulla possibilità di considerare come abusivo l’esercizio di diritti di per sé riconosciuti come legittimi dall’ordinamento.
In questi termini, in un primo momento, la figura dell’abuso del diritto venne intesa come strumento di “autocorrezione” del sistema.
La necessità di giustizia sostanziale spinse i giudici francesi ad affermare che in alcune ipotesi sussistesse responsabilità del titolare del diritto per avere cagionato danno a terzi, anche se questo diritto fosse formalmente riconosciuto dall’ordinamento.
Una delle prime sentenze in cui è possibile osservare la posizione assunta dai giudici francesi è la sentenza della Corte di Amiens (e successivamente della Court de Cassation) del 1915 (caso Coquerel c/Clèment-Bayard).
La questione riguardava la decisione del proprietario di un terreno di impiantare nello stesso pertiche con spuntoni.
La condotta di per sé legittima, in quanto espressione dell’esercizio di un diritto, venne considerata abusiva poiché nelle vicinanze del terreno, era collocata una fabbrica di mongolfiere la cui attività era impedita (e l’interesse leso) essendo che le stesse, planando, si infilzavano negli spuntoni.
Nonostante le ampie riflessioni della giurisprudenza sul tema, l’originario Codice Napoleonico del 1804 non fa menzione di un vero e proprio divieto di abuso del diritto.
 
3.3 Il BGB tedesco
Il divieto di abuso del diritto trova precisa codificazione in Germania nel BGB del 1900 che configurò, per i casi di abuso di diritto, la concessione alla controparte di un’eccezione che paralizzava l’azione.
Esplicite relazioni all’abuso del diritto sono ravvisabile ai paragrafi § 262 (divieto di atti emulativi), § 826 (obbligo di risarcimento del danno doloso contrario ai “buoni costumi”), § 242 (obbligo di buona fede nell’esecuzione della prestazione) e § 226 del BGB.
Questo in particolare modo statuisce che “l’esercizio di un diritto è inammissibile se il suo unico scopo è arrecare danno agli altri”.
L’elaborazione della nozione di abuso del diritto compiuta in Germania si impose all’attenzione degli studiosi nell’intera Europa.
L’esperienza tedesca fu raccolta e positivizzata dai codificatori svizzeri (art. 2 dello ZGB del 1907), greci (art. 281 del codice civile greco del 1946), spagnoli (art. 7 comma 2 delle disposizioni preliminari al codice civile spagnolo del 1974).

4. Istituti collegati all’abuso di diritto


Sulla base della configurazione dell’abuso di diritto, sono stati elaborati altri istituti, accomunati dall’esercizio capzioso di un diritto.
Uno dei più importanti è l’abuso della personalità giuridica, che in molti ordinamenti in determinati casi porta all’estrema conseguenza del superamento della personalità giuridica nelle società.
C’è è poi la Verwirkung, di solito tradotta come rinuncia tacita all’azione, secondo la quale perde il diritto di agire chi abbia ispirato alla controparte la ragionevole certezza che non avrebbe esercitato un proprio diritto.
Analoga elaborazione tedesca è quella della preclusione all’azione di annullamento per la parte che era a conoscenza delle cause di annullabilità di un negozio giuridico.


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5. In ambito fiscale europeo


In materia tributaria c’è stata una lunga discussione della giurisprudenza comunitaria iniziata con la sentenza Halifax del 21 febbraio 2006, che sancisce l’operatività del principio dell’abuso anche al di fuori dei casi previsti dalla normativa europea.
In particolare si stabilisce che la VI direttiva europea in materia tributaria, non impone a un contribuente di scegliere necessariamente l’operazione che implica il maggiore aggravio fiscale. Stabilisce anche che per potere parlare di abuso, le operazioni poste in essere con il fine di eludere l’applicazione della normativa IVA devono procurare un vantaggio fiscale contrastante con l’obiettivo perseguito dalle disposizioni applicate.
La Corte di Giustizia si è pronunciata nel 2008, su proposta della Suprema Corte di Cassazione italiana, anche sul caso Part Service S.r.l..
La questione era relativa alla possibilità che l’abuso del diritto, come previsto dalla sentenza Halifax, venisse integrato esclusivamente nel caso nel quale il risparmio di imposta fosse l’unica ragione giustificatrice dell’operazione fiscale posta in essere.
Nel pronunciarsi, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha sancito un altro principio per il quale si può essere una pratica abusiva anche quando il vantaggio fiscale rappresenti lo scopo essenziale ma non esclusivo delle operazioni poste in essere.

6. Diritto tributario italiano


In materia tributaria, partendo dal diritto comparato ed europeo, la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Tributaria Civile, con la sentenza n. 10981/ 2009, ha affermato che “il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti con l’utilizzo, anche se non contrastante con nessuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla semplice aspettativa di quei benefici”.
L’esistenza di un principio anti elusivo in tema di tributi è ricavabile anche nei principi costituzionali in materia tributaria, in particolare nel principio di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione (ai sensi dell’articolo 53 Costituzione).
Questo principio non contrasta con la riserva di legge prevista in materia all’articolo 23 della Costituzione non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali che non derivano dalla legge stessa, ma nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere all’unico scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali.
L’evoluzione giurisprudenziale di questa figura ha portato all’introduzione, con il Decreto Legislativo n.128/2015 in materia di “disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente”, di una disposizione contenente la definizione di abuso del diritto.
Questa disciplina legislativa è stata inserita all’articolo 10 bis della Legge 27 luglio 2000 n. 212 in materia di “disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”.

7. Diritto civile italiano


Nonostante il divieto di abuso di diritto in Italia fosse previsto nell’articolo 7 del progetto del codice civile del 1942, la disposizione fu eliminata nel testo definitivo.
In ambito civile non si rinviene nessun enunciato normativo che vieti espressamente l’abuso del diritto e neppure che lo definisca.
Ci sono, però, alcune norme specifiche:
Articolo 330 del codice civile, abuso della potestà genitoriale.
Nel campo dei diritti reali che disciplinano casi particolari di abuso.
L’esempio più noto è rappresentato dall’articolo 833 del codice civile che vieta al            proprietario di un fondo di compiere atti emulativi, vale a dire, quegli atti, che rientrano nelle facoltà del proprietario, che non abbiano altro scopo se non quello di nuocere o recare molestia al proprio vicino.
Articolo 2793 del codice civile, in materia di abuso della cosa data in pegno.
Al di là delle predette ipotesi specifiche, si ritiene che il divieto di abuso del diritto sia riconducibile alle clausole di buona fede in senso oggettivo (articoli 1175 e 1375 codice civile), come è testimoniato dalla più recente giurisprudenza in tema di obbligazioni e contratti.
Si avrà abuso del dirittoquando il titolare di un diritto soggettivo, anche in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti. Ricorrendo questi presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall’esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell’individuo o dell’imprenditore, giacché quello che è censurato in questo caso non è l’atto di autonomia negoziale, ma l’abuso di esso”.

8. In Francia e in Inghilterra


Nell’ordinamento francese, l’abuso del diritto nasce come nozione giurisprudenziale.
Il Codice Napoleonico del 1804 non fa nessun cenno all’abuso del diritto né nella parte relativa al diritto di proprietà, né in quella relativa all’esercizio dei diritti soggettivi.
Nel giugno del 1945 la commissione di riforma del Codice Napoleonico ha effettuato un primo tentativo di codificazione senza successo.
Nonostante la mancata relazione espressa all’istituto nel codice civile francese, il termine abuso del diritto compare in più di trecento articoli della legislazione francese.
Nel sistema giuridico britannico, la disciplina dell’abuso del diritto non trova applicazione perché non c’è la possibilità di qualificare come illecito un atto che, tenendo conto dell’unico metodo oggettivo, non presenta nessun profilo di illiceità, anche se adottato all’unico fine di creare un danno agli altri.
Nonostante questo, in alcuni settori dell’ordinamento inglese e a determinate condizioni, è stata riconosciuta l’illiceità di atti che, seppur legittimi, sono stati posti in essere con l’unico intento di arrecare danno alla controparte.

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