L’attività di lobbying in Italia: i flebili tentativi di una possibile regolamentazione

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ll «lobbying» è lo strumento di rappresentanza politica con il quale gruppi, organizzazioni ed individui, legati tra loro da interessi comuni, incidono, legittimamente, sulle istituzioni al fine di influenzarne le decisioni a proprio vantaggio. I «gruppi di pressione», così come viene definito il fenomeno in Italia, rappresentano oggi una parte fondamentale della dialettica politica: il lobbismo è infatti considerato come un aspetto indispensabile del procedimento parlamentare. Ma, malgrado ciò, il nostro ordinamento giuridico non prevede una normativa che regolamenti la rappresentanza di interessi particolari in Parlamento. 
Una situazione leggermente migliore è quella che riguarda l’Unione europea. Se da un lato, infatti, può affermarsi che da poco più di un anno è stato istituito il Registro dei lobbisti, dall’altro occorre precisare da subito che l’iscrizione (e la consequenziale osservanza del Codice di condotta, di requisiti e sanzioni) non è obbligatoria, per cui le adesioni al Registro non rendono l’idea della reale attività che i circa quindicimila lobbisti e le 2500 organizzazioni – secondo il Rapporto Stubbs del Comitato Affari costituzionali dello scorso 2008 – esercitano tra Bruxelles e Strasburgo.
Il fenomeno, la cui nascita si attribuisce generalmente al Parlamento britannico ma la cui regolamentazione è invece ricondotta agli Stati Uniti d’America, è stato affrontato in modo eterogeneo nei Paesi europei ed extraeuropei: in alcuni Stati l’attività lobbistica è stata oggetto di una regolamentazione specifica che prevede obblighi e diritti per chi esercita il lobbismo: è il caso di Canada, Stati Uniti, Israele, Germania, Svizzera ed Austria. In altri Stati prevalgono, invece, procedimenti consuetudinari e i relativi codici di condotta e di deontologia professionale: è il caso questo di Francia e Gran Bretagna. In altri Paesi ancora, ed è questo il caso dell’Italia, manca ogni forma di normazione.  
Attualmente in Italia l’unico limite è dato esclusivamente dal rispetto dei valori fondamentali della Costituzione e, questa lacuna normativa, ha portato molto spesso ad eccessi e al superamento di limiti che si sono rilevati poi lontani dagli scopi di ricerca ed informazione, a causa della complessità della vita sociale e delle decisioni a livello istituzionale, oltretutto connotando spesso l’attività di lobbying in senso negativo.
In Italia, dal 1948 al 2006, sono state presentate 25 proposte di legge volte a riconoscere e disciplinare il fenomeno lobbistico, ma nessuna è mai stata discussa in aula: c’è sempre stata, infatti, una sorta di ritrosia da parte del legislatore a causa, probabilmente, del forte ruolo esercitato dai partiti nel rapporto tra Stato e società. In questo contesto, due sono state le modalità inerenti la regolamentazione del rapporto tra gruppi di pressione e decisore pubblico:
 
          regolamentazione – trasparenza: che palesa al cittadino i vari fattori che hanno portato ad una determinata decisione pubblica;
          regolamentazione – partecipazione: che oltre a rendere trasparente il processo decisionale ne consente la partecipazione dei rappresentanti di interessi particolari. 
Ben sei sono state le proposte presentate soltanto nella XV legislatura: il disegno di legge n. 1866 è quello a cui, generalmente, si presta maggiore attenzione, non soltanto perché è stato giudicato, nel complesso, positivamente dalle stesse associazioni di lobbisti ma soprattutto perché è il primo disegno di legge ad essere stato presentato da un Ministro del Governo, segno questo che è stato considerato come il riconoscimento istituzionale di un fenomeno che per molto tempo si è voluto che passasse quasi inosservato.  Nell’attuale legislatura sono, invece, tre i disegni di leggi finora presentati.
 
Il disegno di legge n. 1866 della 15^ legislatura.
Il disegno di legge – definito Santagata dal nome dell’allora Ministro per l’Attuazione del programma – si prefigge di regolare il rapporto tra i gruppi di pressione e i decisori pubblici, garantendo la partecipazione dei rappresentanti di interessi particolari nel processo decisionale legislativo.
Il ddl, prevedendo anzitutto che i decisori pubblici rendano conoscibili a chi ne faccia richiesta i documenti presentati dai lobbisti (art. 6), individua nel Cnel il soggetto garante dell’esercizio delle attività di lobbying. Si prevede infatti l’istituzione di un apposito «Registro pubblico dei rappresentanti di interessi particolari» con lo scopo di rendere pubblici soggetti, settori e attività di chi influenza i processi decisionali (art. 3).
Compito del Cnel, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge e consultando le varie organizzazioni rappresentative di settore, è l’emanazione di un Codice di deontologia il cui rispetto sarà requisito irrinunciabile (art. 4).
Le varie organizzazioni lobbistiche, dal canto loro, dovranno presentare ogni anno al Cnel una relazione sulla loro attività di rappresentanza di interessi particolari, potendo essere chiesto loro, dallo stesso organo garante, informazioni a chiarimento della loro attività. (art. 5 comma 1). Il Cnel entro il 30 di giugno di ogni anno, invierà al Parlamento una relazione sulla propria attività di verifica (art. 5 comma 5 ).
Come soggetto garante delle attività lobbistiche, compito del Cnel è anche e soprattutto quello di emettere sanzioni al fine di assicurare il corretto adempimento degli obblighi del lobbista: si prevede anzitutto, salvo che il fatto non costituisca reato, una sanzione amministrativa che va da 2000 a 20000 euro per coloro che esercitano attività lobbistica senza essere iscritti nel Registro (art.8), ma anche la possibilità di censurare, sospendere o cancellare dal Registro, con un provvedimento motivato, i lobbisti responsabili di falsità, di violazioni della legge e del Codice deontologico (art. 8 comma 2).
Il disegno di legge – che contiene una relazione con un’analisi tecnico-normativa – istituzionalizza alcune definizioni che hanno fatto parte del linguaggio comune in tema di lobbying:
 
          «rappresentanti di interessi particolari»: vi si indicano i soggetti che rappresentano interessi leciti presso i decisori pubblici e presso i membri del Parlamento al fine di incidere su processi decisionali pubblici in atto;
          «portatori di interessi particolari»: vi si intendono i datori di lavoro che intrattengono un rapporto di lavoro dipendente con i rappresentanti di interessi particolari;
          «decisori pubblici»:  vi si intende il Governo ( Ministri, vice Ministri, Sottosegretari), i membri del Parlamento nazionale e i vertici delle Autorità indipendenti;
          «processi decisionali pubblici»: vi si indica il processo di formazione degli atti normativi e degli atti amministrativi;
          «attività di rappresentanza di interessi»: ci si riferisce all’attività svolta dai portatori di interessi particolari attraverso proposte, richieste, suggerimenti, studi e ricerche ed ogni altra iniziativa utile.
Anche se il ddl aveva accolto sostanzialmente le richieste dei «gruppi di interesse» con la previsione del Registro e del Codice deontologico, vi sono dei passaggi per i quali gli stessi lobbisti auspicavano un miglioramento del testo:
 
          secondo quanto prevede l’art. 8 si rilevava, infatti, che la sanzione sarebbe stata corrisposta senza contraddittorio: si richiedeva, pertanto, che l’iscritto fosse chiamato a rispondere prima che la sanzione venisse comminata;
          l’art. 9 invece escludeva dalla copertura della legge l’attività di rappresentanza di interessi particolari svolta da enti pubblici o altri soggetti rappresentativi di enti pubblici; secondo i lobbisti anche i soggetti pubblici svolgono attività lobbistica così come i soggetti privati, tanto che a Bruxelles, per esempio, i rappresentanti delle varie regioni italiane devono sottostare alle stesse regole dei lobbisti delle aziende private.
          altro punto controverso è dato dal «concetto di decisore pubblico» che non comprenderebbe oltre a Governo e Parlamento, le Regioni le Province e i Comuni: pertanto chi avrebbe dei vincoli presso le istituzioni centrali non li avrebbe nelle istituzioni locali.
 
Il progetto di legge n. 1594 della 16^ legislatura
Il progetto di legge n. 1594 dell’on. Milo dell’Mpa è stato presentato alla Camera dei Deputati l’1 agosto 2008 e assegnato in Commissione il 16 marzo 2009.
Malgrado il testo sia stato presentato da forze politiche opposte rispetto a quelle del ddl Santagata, i contenuti e l’impalcatura stessa del progetto appaiono abbastanza  coincidenti: segno questo che, probabilmente, è comune, ai fini di una corretta regolamentazione e trasparenza del lobbismo, la volontà di creare un Registro pubblico di lobbisti e di varare il relativo Codice deontologico.
Poche infatti risultano, almeno a parere dello scrivente, le differenze tra i due testi che ineriscono più che altro sull’aspetto sanzionatorio il quale, nel presente testo, appare più blando rispetto al ddl n. 1866: le sanzioni vanno infatti da un minimo di 1000 (mille) a un massimo di 10000 (diecimila) euro; nel caso in cui venga disposta la cancellazione dal Registro, perché il lobbista cancellato possa richiedere una nuova iscrizione possono passare soltanto 18 (diciotto) mesi contro i quattro anni previsti dal ddl Santagata nel quale la maggiore rigidità in fatto di sanzioni si riscontrava, già, laddove questo prevedeva che in caso di cancellazione del lobbista dal registro occorreva farne una pubblicazione – a carico del lobbista stesso – su due quotidiani nazionali, di cui uno economico, entro 30 (trenta) giorni dalla notificazione allo stesso della cancellazione.
Per contro è possibile ravvisare nel progetto di legge n. 1594 una maggiore rigidità in entrata per i professionisti, che oltretutto vengono specificamente individuati nell’art. 3: essi, infatti, possono iscriversi nel Registro tenuto dal Cnel solo se hanno già esercitato attività di rappresentanza di interessi nei tre anni precedenti, o comunque, dopo un periodo di affiancamento di tre anni sotto la guida di un esperto in materia (art. 3).
Il progetto di legge dell’on. Milo prevede anche la possibilità che siano gli stessi decisori pubblici a poter chiedere l’intervento dei rappresentanti di interessi sollecitando «informazioni, incontri, udienze, proposte, richieste, suggerimenti, emendamenti, studi, ricerche, analisi, memorie scritte, documenti e qualsiasi altra documentazione relativa all’interesse documentato a corredo di iniziative da intraprendere nel corso della medesima attività» (art. 8).
Il progetto n. 1594 prevede 12 mesi di tempo dall’entrata in vigore del testo per definire forme e modalità di esercizio dell’attività in base a quanto disposto dalla legge dinanzi ai decisori pubblici, alle Amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo ed alle Autorità indipendenti contro i 90 giorni previsti dal ddl n. 1866.
Nella 16^ legislatura vi sono altri due progetti di legge in materia presentati dagli on. Mura e Pisicchio dell’IdV che si differenziano dal progetto trattato per la tenuta del Registro affidato in questo caso alle Presidenze di Camera e Senato, al Governo e alle varie altre istituzioni dove viene esercitata l’attività e per le multe fino a 50 mila euro per coloro che effettuano il lobbying senza essere iscritti nel Registro.
 
Il caso particolare della Regione Toscana e Molise
La Toscana è stata la prima Regione a dettare una specifica disciplina in materia istituzionalizzando il fenomeno lobbistico con la legge regionale n. 5 del 2002. La legge, che è stata approvata con una larga maggioranza e col solo voto contrario del Pci, ha la scopo di favorire la presenza di soggetti rappresentativi di interessi nell’attività politica ed amministrativa della Regione, al fine consentire la trasparenza dell’attività politica.
In questo modo la Regione Toscana, così come successivamente la Regione Molise (che ha replicato la legge toscana con la legge regionale n. 24 del 2004), hanno riconosciuto i gruppi di pressione sviluppandone il loro ruolo di portatori di interessi.
La legge n. 5 ad ogni modo non definisce né le «lobbies», né i «gruppi di pressione o di interesse», ma distingue nell’art. 2 tra gruppi che rappresentano categorie economiche, sociali e del terzo settore (che risultano rappresentativi a livello regionale e provinciale), e in altri gruppi comunque presenti sul territorio toscano.  Questa distinzione è importante ai fini della registrazione nel «Registro dei gruppi di interesse accreditati» presso il Consiglio regionale: per il primo gruppo infatti l’iscrizione avviene d’ufficio, i secondi, invece, devono inviare una richiesta al Consiglio regionale.
Tutti devono essere costituiti da almeno sei mesi e «perseguire interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico».
Il registro, diviso in cinque settori (attività istituzionali, attività produttive, sanità, cultura e turismo, territorio e ambiente), al 2006 contava 102 gruppi di interesse iscritti, con un aumento del 9% rispetto al 2005, e 115 ad oggi. Vi si annoverano, tra gli altri, l’Associazione Amici dei Musei fiorentini, il Comitato per lo sport regionale, l’Associazione conciatori della Toscana, Tethys – Associazione culturale di quartiere, Confcommercio, Lega Coop, Cgil, Cisl, Cna, Coldiretti.
Malgrado i rappresentanti dei gruppi possano accedere ai locali del Consiglio regionale e seguire i lavori delle Commissioni di loro interesse, al 2006, non risultava alcun documento inviato alle Commissioni, nessuna proposta e nessuna spiegazione su atti del Consiglio.
L’art. 4, infine, pone l’attenzione alle sanzioni; è previsto infatti il divieto di «esercitare nei confronti dei consiglieri regionali e delle rispettive organizzazioni, forme di pressione tali da incidere sulla libertà di giudizio e di voto». Spetta alla Presidenza del Consiglio esaminare il comportamento e le relative sanzioni che vanno dal richiamo, alla sospensione temporanea, alla revoca.  Ma, non essendoci stata alcuna attività, quanto meno concreta, dei gruppi di pressione toscani, nessuna sanzione è stata comminata dalla Presidenza del Consiglio regionale.
Ad ogni modo, le leggi sono rimaste praticamente inattuate e, malgrado abbiano avuto il merito di rendere palesi i gruppi di pressione, al fine di una reale applicazione avrebbero, molto probabilmente, dovuto consentire ai gruppi in questione di agire oltre che sul Consiglio anche sulla Giunta regionale.
 
Giuseppe Massimo Abate
 
 
Bibliografia
Progetto di legge n. 1594 (16^ legislatura)
Progetto di legge n. 854 (16^ legislatura)
Disegno di legge n. 1866 (15^ legislatura)
Regione Molise – legge n. 24 del 22 ottobre 2004
Regione Toscana – legge n. 5 del 18 gennaio 2002
Cattaneo A. – Zanetto P., Fare Lobbying. Manuale di pubblic affairs, etas 2007
Mazzei G., Lobby della trasparenza. Manuale di relazioni istituzionali, Centro Doc. Giornalistica 2006
Fotia M., Le lobby in Italia. Gruppi di pressione e potere, Nuova Biblioteca dedalo, 2002

Abate Giuseppe Massimo

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