L’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore: se lo stesso esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano a

Lazzini Sonia 20/09/07
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Il Tar Lombardia, Milano, con la sentenza numero 5265  del 18 giugno 2007 ci offre un importante insegnamento in tema di contratto collettivo da applicare ad un data attività ai fini di determinare il costo del personale

 

<Nell’ipotesi di determinazione ad opera del giudice del merito della giusta retribuzione spettante al lavoratore secondo i canoni di sufficienza e proporzionalità di cui all’art. 36 Cost., mediante l’utilizzazione dei parametri rappresentati da contratti collettivi non direttamente vincolanti per le parti, l’identificazione della disciplina collettiva alla quale fare riferimento va condotta secondo i criteri dettati dall’art. 2070 cod. civ. e quindi in relazione all’attività effettivamente esercitata dal datore di lavoro; nei rapporti di lavoro inerenti ad imprese con attività plurima, tale identificazione va compiuta con riferimento all’attività prevalente se si tratta di attività diverse ma funzionalmente collegate con nesso di interdipendenza o accessorietà, ovvero con riguardo a ciascuna delle attività se queste presentino carattere di autonomia, pur risultando in qualche modo complementari>

  

Ai fini dell’individuazione del contratto collettivo applicabile, ove l’imprenditore eserciti attività plurime , l’appartenenza alla categoria professionale va determinata, ai sensi dell’art. 2070 c.c., accertando se le distinte attività siano tra loro autonome, sotto il profilo tecnico e produttivo, o invece connesse, perché dirette al conseguimento dell’identica finalità produttiva. Nel primo caso, per ciascuna delle attività sarà applicabile, nei confronti dei singoli lavoratori alla stessa addetti, la regolamentazione contrattuale per essa prevista, mentre, solo nel secondo caso, dovrà ricevere applicazione la disciplina relativa all’ attività principale, rispetto alla quale le altre si pongono in rapporto di complementarietà ed accessorietà rispetto ad un fine unico.

 

Nel caso di esercizio, da parte dell’imprenditore, di attività plurime, tra loro diverse, ai fini della individuazione del contratto di categoria applicabile ai rapporti di lavoro, occorre accertare se le distinte attività siano tra loro autonome, sotto i profili tecnico e produttivo, o invece connesse, perché dirette al conseguimento della identica finalità produttiva. Nel primo caso, per ciascuna delle attività sarà applicabile, nei confronti dei singoli lavoratori alla stessa addetti, la regolamentazione contrattuale per essa prevista, mentre, solo nel secondo, dovrà ricevere applicazione la disciplina relativa alla attività principale, rispetto alla quale le altre si pongono in rapporto di complementarità e accessorietà rispetto a un unico fine (Cassazione civile , sez. lav., 23 settembre 2000 , n. 12624).>

 
Fondamentale inoltre risulta la seguente affermazione
 

< Ulteriore argomento a favore di tale applicazione deriva, inoltre, dal rispetto dei principi di concorrenza e parità di trattamento in materia di gare pubbliche codificati dall’art 2 del d.lg.s n° 163 del 12-4-2006.

 

E’ evidente che l’applicazione di un contratto collettivo diverso da parte delle imprese partecipanti ad una gara di appalto comporta una differenza di condizioni iniziali, in particolari nel costo del lavoro, che già di per sé non assicura il rispetto di tali fondamentali principi.

 

Ne discende, quindi, in maniera obbligata l’interpretazione per cui le imprese partecipanti ad una gara pubblica per l’affidamento di un servizio devono fare applicazione al proprio personale impiegato in quel servizio del contratto collettivo del settore di attività in cui rientra il servizio oggetto dell’appalto.>

 
Ed ancora
 

< La legge n° 327 del 7-11-2000, proprio al fine di garantire la tutela dei lavoratori e la parità di condizioni tra le imprese, ha disciplinato espressamente le modalità di valutazione dei costi del lavoro nelle gare di appalto, con una disposizione ora sostanzialmente confluita nell’art 87 comma 2 lettera 6 del d.lgs. n° 163 del 12-4-2006.

 

In particolare, nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizio e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro come determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali.

 

In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.

 

Sono considerate anormalmente basse ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 25 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, le offerte che si discostino in modo evidente da tali parametri. >

 
 
A cura di Sonia LAzzini
 
Sentenza n. 5265 depositata il 18.6.2007
 
  
REPUBBLICA ITALIANA
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
 
Sezione prima
 
ha pronunciato la seguente
 
S E N T E N Z A
 

sul ricorso n. 1442 del 2006 proposto da DITTA RICORRENTE S.r.l , in persona del legale rappresentante, rappresentata e difeso dagli Avvocati Franco Fiorenza e Michele Borlasca, con domicilio eletto in MILANO Piazza Santa Maria Beltrade 1 presso l’Avvocato Borlasca  

 
 
contro
 
 

Comunità Montana Valceresio, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocato Vincenzo Avolio con domicilio eletto in Milano viale Gian Galeazzo 16  

 
 
e nei confronti di
 

ATI DITTA ALFA s.p.a. s.r.l. , in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avvocato Giorgio Barbini, con domicilio eletto in Milano via Rontgen 18   

 
 
per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione,
 
 

della determinazione n° 73 del 2006 con cui è stata aggiudicata la gara di appalto del servizio di gestione dell’impianto di depurazione comunitario Molino del Freddo nel Comune di Arcisate per il periodo 1-4-2006-31-3-2009;

 

dei verbali della commissione di gara del 20-3-2006 e del 22-3-2006;

 

della nota del Segretario generale della Comunità del 20-3-2006 prot. n° 156;

 
e per il risarcimento del danno;
 
Visti gli atti tutti della causa;
 

visti gli atti di costituzione della amministrazione resistente e della ATI controinteressata .

 

Udito alla udienza pubblica del 21-2-2007 il relatore primo referendario Cecilia Altavista;

 

Uditi altresì i procuratori delle parti, come da verbale in atti;

 
Ritenuto in fatto e diritto quanto segue:
 
 
FATTO
 
 

In data 18-1-2006 la Comunità Montana Val Ceresio bandiva una gara d’appalto da aggiudicarsi per pubblico incanto al prezzo più basso per il servizio di gestione dell’impianto di depurazione comunitario nel Comune di Arcisate Cuasso Molino del Freddo per il periodo 1-4-2006-31-3-2009.

 

A seguito della presentazione delle offerte e dell’esame da parte della Commissione la offerta più bassa risultava quella della ATI DITTA alfa-Laboratorio Analisi ambientali con un ribasso del 43,21%. La ricorrente DITTA RICORRENTE s.rl. risultava seconda classificata con un ribasso del 38,20%. La stazione appaltante procedeva alla verifica della anomalia delle offerte per entrambi e per la DITTA BETA s.p.a., le quali presentavano le proprie giustificazioni.

 

L’Amministrazione valutava congrua e giustificata l’offerta della prima classificata e procedeva a disporre l’aggiudicazione.

 

Avverso tale provvedimento e avverso i verbali di gara è stato proposto il presente ricorso per i seguenti motivi:

 

violazione di legge in relazione all’art 1 della legge n° 327 del 2000; agli artt 23 e 25 del d.lgs. n° 157 del 1995; al D.M; del 25-10-2005 CCNL delle imprese dei servizi di igiene ambientale; al capitolato speciale di appalto e alle norme integrative del bando di gara;

 

eccesso di potere; difetto di istruttoria; carenza e vizio di motivazione; violazione della par condicio; sviamento di potere; errore materiale; violazione del principio di buon andamento della P.A. 

 

Si sono costituite l’Amministrazione resistente e la ATI aggiudicataria   contestando la fondatezza del ricorso;

 

Con atto notificato il 15-6-2006 la ATI DITTA alfa- laboratorio di analisi proponeva altresì ricorso incidentale contestando l’offerta della ricorrente.

 

Alla camera di consiglio del 5 luglio 2006 è stata respinta l’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato, in relazione al profilo della sussistenza del periculum in mora.

 

All’udienza pubblica del 21 febbraio 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.

 
DIRITTO
 
 

Sostiene la ATI ricorrente che la aggiudicataria avrebbe presentato una offerta economica più bassa, in relazione ad un errato calcolo dei costi del personale. Tale censura è fondata .

 

Risulta dalle giustificazioni rese dalla ATI aggiudicataria con la nota del 17-3-2006 che le tariffe del personale sono state individuate in base al CCNL del personale dipendente delle Imprese Edili e Affini.

 

Ad avviso della aggiudicataria tale contratto sarebbe applicabile al proprio personale in quanto svolgerebbe anche una attività edile, ovvero la costruzione degli impianti di depurazione.

 

Ritiene il Collegio che l’Amministrazione abbia errato nel considerare legittime le giustificazione fornite da DITTA alfa-Laboratorio di Analisi riguardo all’applicazione di tale contratto collettivo.

 

Si ritiene, infatti, di dovere richiamare l’orientamento della Corte di Cassazione che afferma l’applicazione del contratto collettivo del settore di attività prevalente salvo però che un settore di attività imprenditoriale debba ritenersi del tutto autonomo.

 

Tale orientamento si basa sull’applicazione dell’art 2070 del codice civile anche ai contratti collettivi di diritto comune .

 

La norma prevede che l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determini secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore. Se l’imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività .

 

Nell’ipotesi di determinazione ad opera del giudice del merito della giusta retribuzione spettante al lavoratore secondo i canoni di sufficienza e proporzionalità di cui all’art. 36 Cost., mediante l’utilizzazione dei parametri rappresentati da contratti collettivi non direttamente vincolanti per le parti, l’identificazione della disciplina collettiva alla quale fare riferimento va condotta secondo i criteri dettati dall’art. 2070 cod. civ. e quindi in relazione all’attività effettivamente esercitata dal datore di lavoro; nei rapporti di lavoro inerenti ad imprese con attività plurima, tale identificazione va compiuta con riferimento all’attività prevalente se si tratta di attività diverse ma funzionalmente collegate con nesso di interdipendenza o accessorietà, ovvero con riguardo a ciascuna delle attività se queste presentino carattere di autonomia, pur risultando in qualche modo complementari (Cass. Sez. Lav., sent. n. 4324 del 09-04-1992).

 

Ai fini dell’individuazione del contratto collettivo applicabile, ove l’imprenditore eserciti attività plurime , l’appartenenza alla categoria professionale va determinata, ai sensi dell’art. 2070 c.c., accertando se le distinte attività siano tra loro autonome, sotto il profilo tecnico e produttivo, o invece connesse, perché dirette al conseguimento dell’identica finalità produttiva. Nel primo caso, per ciascuna delle attività sarà applicabile, nei confronti dei singoli lavoratori alla stessa addetti, la regolamentazione contrattuale per essa prevista, mentre, solo nel secondo caso, dovrà ricevere applicazione la disciplina relativa all’ attività principale, rispetto alla quale le altre si pongono in rapporto di complementarietà ed accessorietà rispetto ad un fine unico.

 

Nel caso di esercizio, da parte dell’imprenditore, di attività plurime, tra loro diverse, ai fini della individuazione del contratto di categoria applicabile ai rapporti di lavoro, occorre accertare se le distinte attività siano tra loro autonome, sotto i profili tecnico e produttivo, o invece connesse, perché dirette al conseguimento della identica finalità produttiva. Nel primo caso, per ciascuna delle attività sarà applicabile, nei confronti dei singoli lavoratori alla stessa addetti, la regolamentazione contrattuale per essa prevista, mentre, solo nel secondo, dovrà ricevere applicazione la disciplina relativa alla attività principale, rispetto alla quale le altre si pongono in rapporto di complementarità e accessorietà rispetto a un unico fine (Cassazione civile , sez. lav., 23 settembre 2000 , n. 12624).

 

Solo per le attività complementari ed accessorie sussiste la possibilità di fare riferimento al contratto collettivo disciplinante l’ attività principale.

 

Nel caso di specie, ritiene il collegio che l’assunzione di un servizio di smaltimento rifiuti a seguito di una gara di appalto, servizio da gestire per un periodo di tre anni, debba essere considerata una attività autonoma della impresa rispetto a qualsiasi tipo di attività esercitata.

 

Pertanto, è necessaria l’applicazione al proprio personale impegnato nella gestione del servizio il trattamento del contratto collettivo dei dipendenti dei servizi di igiene ambientale.

 

Ulteriore argomento a favore di tale applicazione deriva, inoltre, dal rispetto dei principi di concorrenza e parità di trattamento in materia di gare pubbliche codificati dall’art 2 del d.lg.s n° 163 del 12-4-2006.

 

E’ evidente che l’applicazione di un contratto collettivo diverso da parte delle imprese partecipanti ad una gara di appalto comporta una differenza di condizioni iniziali, in particolari nel costo del lavoro, che già di per sé non assicura il rispetto di tali fondamentali principi.

 

Ne discende, quindi, in maniera obbligata l’interpretazione per cui le imprese partecipanti ad una gara pubblica per l’affidamento di un servizio devono fare applicazione al proprio personale impiegato in quel servizio del contratto collettivo del settore di attività in cui rientra il servizio oggetto dell’appalto.

 

La legge n° 327 del 7-11-2000, proprio al fine di garantire la tutela dei lavoratori e la parità di condizioni tra le imprese, ha disciplinato espressamente le modalità di valutazione dei costi del lavoro nelle gare di appalto, con una disposizione ora sostanzialmente confluita nell’art 87 comma 2 lettera 6 del d.lgs. n° 163 del 12-4-2006.

 

In particolare, nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizio e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro come determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali.

 

In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.

 

Sono considerate anormalmente basse ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 25 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, le offerte che si discostino in modo evidente da tali parametri.

 

Sotto questi profili il ricorso è pertanto fondato e va accolto con annullamento dell’aggiudicazione nei confronti della ATI DITTA alfa Laboratorio di analisi, la cui offerta avrebbe dovuto essere considerata anormalmente bassa e non giustificata.

 

L’annullamento dei provvedimenti impugnati per tale motivo di ricorso comporta l’ assorbimento delle altre censure .

 

Deve, invece, essere esaminato il ricorso incidentale proposto dalla controinteressata che ha ad oggetto la valutazione di anomalia effettuata sull’offerta della ricorrente.

 

Infatti, poiché l’accoglimento del ricorso principale non comporta l’annullamento dell’intera procedura ma solo della aggiudicazione alla controinteressata, da cui deriverebbe la attribuzione dell’appalto alla seconda classificata DITTA RICORRENTE, sussiste l’interesse alla decisione di tale ricorso incidentale.

 

Sostiene il ricorrente incidentale che l’Amministrazione avrebbe comunque errato nella valutazione della anomalia della offerta, in quanto tale offerta sarebbe incongrua, in quanto avrebbe calcolato una quantità di rifiuti smaltiti e sostanze chimiche reagenti inferiori a quanto previsto dal capitolato.

 

Tali profili di censura non sono suscettibili di accoglimento.

 

Essi, infatti, sono rivolti esclusivamente nei confronti della offerta della DITTA RICORRENTE.

 

Tale offerta è stata ritenuta congrua, a seguito dell’esame delle giustificazioni, come risulta dal verbale della Commissione nella seduta del 22-3-2006.

 

Avverso il giudizio di congruità, il ricorrente incidentale non formula alcuna specifica censura se non limitandosi alla mera affermazione della illegittimità delle determinazioni della Commissione di gara.

 

E’ giurisprudenza costante, anche di questo Tribunale, che la verifica dell’anomalia dell’offerta sia espressione di una potestà tecnico-discrezionale dell’autorità amministrativa, non sindacabile in sede di legittimità se non per aspetti di manifesta illogicità, insufficiente motivazione ovvero errore di fatto (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4082, Consiglio di Stato Sez. IV, 17 giugno 2003, n. 4350; Consiglio di Stato Sez. V, 29.08.2005, n. 4406; Consiglio di Stato Sez. VI, 4.11.2002, n. 6004; Consiglio di Stato Sez. VI, 23.04.2002, n. 2199; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 17 luglio 2006 , n. 1838),

 

In ogni caso risulta, infatti, dalle giustificazioni inviate dalla DITTA RICORRENTE alla Comunità Montana il 19-3-2006 che la quantità di grigliato sia stata così calcolata in forma ridotta, in quanto riferita solo ai residui di carta essiccata, mentre le sabbie e i detriti sono riutilizzati dalla impresa. Risultano altresì da tale documentazione le modalità di calcolo delle quantità di reagenti chimici impiegati dalla DITTA RICORRENTE.

 
Il ricorso incidentale pertanto deve essere respinto.
 

Ll’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione comporta la caducazione automatica del contratto stipulato, "sub specie" di inefficacia successiva dichiarata dal giudice amministrativo, in quanto il negozio pienamente efficace al momento della nascita, diviene inefficace per il sopravvenire di una inidoneità funzionale in cui venga a trovarsi il programma negoziale per l’incidenza esterna di interessi giuridici preminenti, incompatibili con l’interesse interno negoziale (Consiglio di Stato n° 2332 del 5 maggio 2003; Consiglio Stato, sez. V, 28 settembre 2005, n. 5194; Consiglio Stato , sez. VI, 06 luglio 2006 , n. 4295).

 

Ritiene il Collegio, infatti, di seguire la tesi fatta propria anche dal Consiglio di Stato della caducazione automatica del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione.

 

Tale tesi trova ora un fondamento normativo nella disposizione dell’art. 246, co. 4 del d.lgs. n° 163 del 12-4-.2006 , che stabilisce altresì che le procedure di progettazione, approvazione, e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi e relative attività di espropriazione, occupazione e asservimento, di cui alla parte II, titolo III, capo IV, Lavori relativi a infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi, la sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente.

 

La disposizione replica, correggendola, l’art. 14, co. 2, d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190, secondo cui la sospensione o l’annullamento giurisdizionale della aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle infrastrutture non determina la risoluzione del contratto eventualmente già stipulato dai soggetti aggiudicatari. La espressa previsione della caducazione al posto della espressione risoluzione indica che anche il legislatore ha preso una chiara posizione sugli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto stipulato con l’aggiudicataria a favore della tesi della automaticità degli effetti caducatori, facendo salvo il contratto solo rispetto alle c.d. opere strategiche .

 

Il previo esperimento della fase di evidenza pubblica opera, dunque, in forza della normativa applicabile e dell’autovincolo derivante dalla lex specialis di gara, secondo un rapporto di presupposizione; pertanto, assumendo la fisionomia propria di una condizione legale di efficacia del contratto, l’annullamento dell’aggiudicazione fa venire meno retroattivamente un presupposto condizionante del contratto determinandone, con automatico effetto caducante, la perdita di efficacia ( T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 12 aprile 2006, n. 364).

 

Nel caso di specie dalla caducazione del contratto deriva altresì l’obbligo per l’Amministrazione di procedere alla stipulazione di un nuovo contratto con il secondo classificato.

 

Quanto alla domanda di risarcimento del danno, la giurisprudenza è ormai costante nel ritenere che ai fini dell’ammissibilità della domanda risarcitoria conseguente all’annullamento di un provvedimento ammi-nistrativo non sia sufficiente il solo annullamento del provvedimento di aggiudicazione, ma debba valutarsi la sussistenza dell’elemento psi-cologico quanto meno della colpa, in quanto la responsabilità patri-moniale della pubblica amministrazione conseguente all’annullamento di provvedimenti illegittimi deve essere inserita nel sistema delineato dall’articolo 2043 C.C.

 

Pertanto, occorre verificare se, in concreto, tale elemento sia ravvisa-bile nel caso di specie.

 

Deve al riguardo precisarsi, che al fine dell’accertamento dell’elemento soggettivo non deve farsi riferimento all’atteggiamento psicologico dell’agente, ma al funzionamento complessivo dell’apparato pubblico, al fine da verificare se, in concreto, esso sia stato tale coerente con le regole di legalità, imparzialità e buon andamento che devono presiede-re, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, all’esercizio della fun-zione amministrativa, e cioè se, in definitiva, l’attività della pubblica amministrazione che ha dato luogo alla illegittimità del provvedimen-to sia scusabile ovvero sia coerente con il più generale comportamento di buona fede; al riguardo la giurisprudenza ha affermato in tema di risarcimento che, ferma restando la permanente difficoltà di individua-re un "quid pluris" rispetto alla stessa illegittimità dell’atto, la colpa dell’amministrazione deve essere valutata tenendo conto dei vizi che inficiano il provvedimento, della gravità delle violazioni imputabili al-l’amministrazione, anche alla luce del potere discrezionale concreta-mente esercitato dall’amministrazione, delle condizioni concrete, del-l’apporto eventualmente dato dai privati al procedimento (C.d.S., sez. IV, 12 gennaio 2005, n. 43; Consiglio Stato , sez. IV, 11 ottobre 2006 , n. 6059).

 

Nel caso di specie risulta evidente la colpa dell’Amministrazione nel non aver fatto applicazione dei principi generali in materia di applicazione dei contratti collettivi di lavoro, di rispetto dalle parità di condizioni negli appalti pubblici, nonché di tutela del lavoro dipendente.

 

Pertanto deve essere risarcito il danno nella misura del 10% dell’offerta del ricorrente per il periodo in cui illegittimamente il servizio è stato gestito dalla Ati DITTA alfa-Laboratorio di analisi. Tale criterio, infatti, secondo la giurisprudenza costante, è un criterio di determinazione in via equitativa del danno, con riferimento a quanto indicato dagli articoli 345 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 allegato F sui lavori pubblici, che fissa nella decima parte del valore le opere non eseguite il corrispettivo a carico dell’amministrazione per il recesso anticipato dal contratto, e 37-setpies della legge 11 febbraio 1994 n. 109, introdotto dall’articolo 11 della legge 18 novembre 1998 n. 415, che fissa nella stessa misura l’ "indennizzo a titolo di risarcimento per mancato guadagno" nel caso di risoluzione del rapporto di concessione di opera pubblica per inadempimento del concedente (Consiglio Stato , sez. V, 11 maggio 2004, n. 2962).

 

Il ricorso è dunque fondato e va accolto con annullamento dell’aggiudicazione e conseguente inefficacia del contratto stipulato.

 

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

 
P. Q. M.
 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sez. I, accoglie il ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

 

Dichiara la inefficacia del contratto stipulato in data 31-3-2006

 

Accoglie la domanda di risarcimento del danno nei limiti indicati.

 
Spese compensate.
 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

 

Così deciso in Milano nella Camera di Consiglio del 21 febbraio 2007, con l’intervento dei Magistrati:

 

Piermaria Piacentini       – Presidente

 

Elena Quadri      Primo Referendario

 
Cecilia Altavista                       Primo Referendario Est.
 

IL PRESIDENTE    L’ESTENSORE

 

Lazzini Sonia

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