L’acclarata illegittimità dell’aggravante di clandestinità: linee-guida per un rifondato diritto delle migrazioni

Nasso Ilario 23/12/10
Scarica PDF Stampa

Qui la Presentazione del Prof. Antonio Saitta1

 

 

  1. INTRODUZIONE.

Con la sentenza n. 249 dell’8 luglio 2010, la Corte costituzionale decide per la caducazione della circostanza aggravante di c.d. “clandestinità del reo”, introdotta dal decreto-legge n. 92/2008, in attuazione del nuovo corso di politica criminale annunciato dall’Esecutivo della XVI legislatura – già all’indomani del suo insediamento – in materia di flussi d’immigrazione.

La pronuncia accoglie i numerosi rilievi critici formulati dalla quasi unanime dottrina, provvidenzialmente disinnescando le tensioni originatesi dall’attrito fra la disposizione dichiarata illegittima e i fondamentali parametri informativi del sistema, in primis individuabili nel principio d’eguaglianza degli individui (tutti) innanzi alla legge.

La Corte coglie, così, l’occasione per rimediare alle distorsioni provocate dall’impiego malaccorto delle categorie penalistiche, fisiologicamente irriducibili a strumento d’attuazione dei contingenti programmi elettorali, ed anzi funzionali al contenimento dei rischi di un ricorso debordante alla pretesa punitiva statuale2.

Il giudice delle leggi riafferma, pertanto, le pregresse acquisizioni in tema di governo dell’immigrazione, e ribadisce l’esigenza di perseguire un bilanciamento non irragionevole tra le istanze di tutela della sicurezza (e di presidio delle frontiere nazionali) e di riconoscimento dei diritti superprimari, come tali azionabili anche dallo straniero, quale che ne sia il titolo legittimante la permanenza sul suolo della Repubblica.

 

2. GENESI DELL’AGGRAVANTE DI CLANDESTINITÀ.

Che la disposizione indubbiata avrebbe raccolto le plurime perplessità degli addetti ai lavori, lo si era compreso dalla stessa evoluzione del suo iter di approvazione, occasione di un confronto parlamentare così acceso da fare della circostanza in parola uno dei provvedimenti normativi più controversi della presente legislatura.

Con l’art. 1, lett. f) del decreto-legge n. 92 del 23 maggio 2008, il Consiglio dei ministri approvava la modifica dell’art. 61, I c., Cod. pen. (mai medio tempore emendato), cui aggiungeva il n. 11-bis, ampliativo della casistica delle circostanze aggravanti comuni3.

Il decreto traduceva normativamente i propositi della neo-insediata maggioranza di governo sulla tematica della sicurezza pubblica, che all’uopo si affidava al duplice canale della decretazione d’urgenza, relativamente agli aspetti ritenuti d’indifferibile regolamentazione, e della via legislativa ordinaria, per tutto quanto non ricadente nel primo ambito.

Emanato il decreto-legge de quo, il relativo disegno di legge di conversione (A.S. n. 692) veniva affidato ratione materiae alla Commissione Affari costituzionali, ed alla Commissione Giustizia, riunite: confrontandosi sulla problematica del ricorso agli strumenti penalistici dispiegati dal Governo, i senatori ben presto divergevano insanabilmente sull’opportunità e ammissibilità delle opzioni fatte proprie dall’Esecutivo, reciprocamente rimproverandosi una scarsa propensione al dialogo4.

Confermato – dalla deliberazione in sede referente – il contenuto della disposizione introduttiva dell’aggravante di clandestinità, il testo perveniva infine all’esame dell’Assemblea di Palazzo Madama, ove la discussione era introdotta dalla Relazione all’Aula del sen. Berselli; questi informava del rigetto della proposta (formulata in Commissione dagli esponenti della minoranza) di sopprimere l’aggravante medesima, giustificata alla luce dei benèfici effetti general-preventivi asseritamente ritraibili dal mantenimento della scrutinata circostanza5.

Rigettate anche le sollevate pregiudiziali d’incostituzionalità6, le deduzioni in ordine all’illegittimità dell’aggravante erano ignorate dalla maggioranza, in considerazione dell’applicabilità della circostanza medesima al reo che, illecitamente presente in Italia, avesse manifestato – in ragione della sua condizione d’irregolarità – un più intenso grado di ribellione all’ordinamento, e andasse perciò assoggettato ad un trattamento penale deteriore7.

Unico accadimento significativo, la mera riformulazione letterale della proposizione normativa, nel dichiarato intento di renderla linguisticamente più omogenea ai precedenti numeri dell’art. 61, c. I., Cod. Pen.

Transitato alla Camera il disegno di legge (qui rinominato A. C. n. 1366 Governo), la circostanza aggravante proseguiva senza rilevanti variazioni lungo il percorso di conversione, pur emergendo nel frattempo la problematica della potenziale vanificazione della portata applicativa di essa, per ragioni di sistema8.

Anche alla Camera l’auspicato scambio di vedute era precluso dal clima di dicotomico arroccamento dei deputati sulle rispettive posizioni politiche: ne discendeva l’affossamento di ogni proposta emendativa, tanto in Commissione9 quanto in Aula10.

È in questa fase che si collocava l’unico “colpo di scena” dell’avanzamento, altrimenti prevedibile, della conversione del disegno di legge: il Governo optava, infatti, per l’apposizione della questione di fiducia, motivata dall’approssimarsi della scadenza del decreto, ed in considerazione dell’alto numero di emendamenti presentati in Aula11; la questione, apposta all’emendamento “Dis. 1.1 del Governo” (interamente sostitutivo dell’articolo unico del d.d.l. di conversione del decreto-legge n.92), veniva quindi approvata dalla Camera, nella prescritta forma della votazione per appello nominale.

Al Senato della Repubblica – cui il testo licenziato dalla Camera dei deputati perveniva in seconda lettura – non rimaneva che prendere atto delle indicazioni del Governo, e così ratificare l’operato dell’altro ramo del Parlamento: cosa puntualmente avvenuta, nell’ultimo giorno utile per non incorrere nella decadenza retroattiva del decreto-legge12.

Firmata dal Capo dello Stato, la legge 24 luglio 2008, n. 125, recante misure in materia di sicurezza pubblica, è, infine, pronta per la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 173 del 25 luglio 2008.

 

 3. ELEMENTI DI DIRITTO COMPARATO E COMUNITARIO.

L’ingente flusso di stranieri in ingresso nel territorio italiano non esaurisce certamente l’intero andamento dei movimenti migratori, e poiché uno dei tratti distintivi dell’epoca contemporanea può rinvenirsi nella dimensione planetaria assunta dal fenomeno degli spostamenti transnazionali, risulterà di notevole giovamento la succinta rassegna delle risposte normative fornite da Paesi terzi nei riguardi delle degenerazioni patologiche del fenomeno migratorio, anche al fine di collocare nel contesto delle soluzioni di regolamentazione sovranazionali quelle scelte del legislatore interno poi censurate dalla pronuncia in commento.

Annoverabili fra i Paesi maggiormente coinvolti dal fenomeno migratorio, gli Stati Uniti d’America hanno progressivamente optato – a fronte del costante aumento del numero degli ingressi annui – per l’introduzione di fattispecie di reato poste a presidio delle disposizioni della legge sull’immigrazione (rappresentata dall’Immigration and Nationality Act del 1952, e successive modificazioni), seguitando con più convinzione in questa politica, successivamente ai tragici avvenimenti del settembre 200113.

Integra reato l’ingresso illegale nel territorio statunitense, e la fattispecie base può tradursi in un’aggraved felony, se si aggiunge alla commissione di altra fattispecie penale. Sono esplicitate con puntualità le nozioni d’ingresso e di straniero, e le ulteriori ipotesi d’illecito criminale eventualmente configurabili14.

La portata applicativa della relativa disciplina, tuttavia, non può compiutamente valutarsi senza rammentare che l’ordinamento degli USA prescinde dal principio d’obbligatorietà dell’azione penale: donde la concreta esiguità dei casi d’immigrazione irregolare risolventisi nella sottoposizione del responsabile a procedimento penale15.

Ciò che maggiormente cattura l’attenzione dell’osservatore italiano è, però, la mancanza di previsioni che inaspriscano il trattamento sanzionatorio contemplato per un determinato reato, ove risulti la condizione di irregolarità del reo straniero, e per il sol fatto della ricorrenza di siffatta condizione16: in conclusione, nessuna aggravante di clandestinità è contemplata dall’ordinamento d’oltreoceano.

Quanto al Regno Unito, originariamente risparmiato dalla propria conformazione insulare, il Paese ha sperimentato, negli ultimi decenni, flussi migratori sempre più consistenti, per fronteggiare i quali ha elevato l’ingresso irregolare di stranieri al rango di reato fin dal 1971.

Anche il Regno unito predilige, tuttavia, la gestione amministrativa dei provvedimenti repressivi dell’immigrazione non autorizzata, e consente agli organi competenti di disporre l’allontanamento dello straniero illecitamente pervenuto all’interno dei confini nazionali, o trasgredente le prescrizioni all’uopo fornite dall’Autorità preposta: sicché emerge anche oltremanica la limitata frequenza statistica delle condanne penali per il reato d’immigrazione clandestina17.

Dalla disamina dei precetti normativi inglesi concernenti il trattamento dell’immigrazione illecita, coordinati con i principi transepocali che informano l’intero ordinamento britannico, è, pertanto, possibile e affermare che nemmeno in Regno Unito, come già negli Stati Uniti, lo straniero irregolare rischi concretamente una condanna per la sua condotta d’illecito ingresso nel territorio statuale né, tanto meno, un

aggravamento di pena giustificato dal suo status d’irregolare: e questo impedisce, pertanto, di ritenere la normativa sin qui scrutinata quodammodo simile a quella italiana18.

Di avviso ancor più radicalmente ostile alla criminalizzazione della clandestinità, il Regno di Spagna ha ritenuto che l’incriminazione dell’immigrazione illecita sia superflua (quando non controproducente), dovendosi preferire la via della più oculata gestione dei flussi migratori (anche a mezzo di accordi con gli Stati rivieraschi) e della repressione dello sfruttamento e favoreggiamento dell’immigrazione irregolare19.

Ne discende che nessuna circostanza del reato, meno che mai aggravante, è contemplata in ragione della natura irregolare della presenza dell’immigrato nel territorio di Spagna (mentre sembra, per converso, residuare qualche margine alla configurabilità della condizione irregolare quale scriminante dello stato di necessità)20.

Risulta, dunque, irrefutabilmente accertato anche in prospettiva comparatistica che la contestuale previsione di un reato e di un’aggravante che, in maniera diretta o indiretta, si fossero prestati a sanzionare l’immigrazione illecita avrebbe costituito – ove non si fosse avuta l’opportuna presa di posizione della Consulta – un unicum nel panorama internazionale: singolarità ulteriormente comprovante l’eversività della cassata disposizione aggravatrice.

Sul fronte comunitario, poi, il processo di costruzione di uno spazio sovranazionale consacrato alla circolazione delle persone ed all’abbattimento delle barriere doganali ha innanzitutto condotto all’implementazione di soluzioni operative tali da consentire il libero spostamento dei cittadini comunitari: in questo solco si colloca, evidentemente, la stipula degli Accordi di Schengen, coraggiosa attestazione di reciproca fiducia fra i Paesi aderenti21.

È, però, alla sottoscrizione del Trattato di Amsterdam che si deve la devoluzione alla sede deliberativa comunitaria – di cui al “primo pilastro” (qualificato tale sulla base del sistema poi soppresso a Lisbona) – di una parte considerevole delle attribuzioni inerenti gli spostamenti transfrontalieri; è, altresì, con il Trattato di Amsterdam che l’Unione pone le basi per la definizione di una politica comune in materia d’immigrazione, anche avuto specifico riguardo alla questione dell’immigrazione irregolare e della disciplina dei rimpatri22.

Da ultimo, le linee generali della politica europea in tema d’ingresso e stabilimento di cittadini extracomunitari, definite in attuazione delle pertinenti disposizioni del Trattato di Maastricht – ed affatto compromesse dalla solo apparente battuta d’arresto rappresentata dalla mancata approvazione della Costituzione dell’UE – hanno ottenuto rinnovata affermazione con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona23.

A decisiva testimonianza dell’attenzione europea per il settore in questione, è, infine, significativo che la politica migratoria dell’Unione abbia rappresentato il banco di sperimentazione di tecniche di regolamentazione ritenute – fino a non molto tempo addietro – sacralmente interdette alla normazione sovranazionale: è, ad esempio, il caso dell’introduzione di sanzioni criminali per lo sfruttamento della manodopera irregolare24. 

 

4. LE PERPLESSITÀ FORMULATE SULL’INCOSTITUZIONALITÀ DELLA CIRCOSTANZA AGGRAVANTE.

L’applicazione giudiziaria dell’aggravante in argomento offriva lo spunto per la riemersione delle riserve di compatibilità costituzionale che il disattento excursus parlamentare aveva frettolosamente archiviato.

Dottrina e giurisprudenza non tardavano, infatti, d’avvedersi dei macroscopici travalicamenti consumati dalle previsioni del decreto-legge (e della pedissequa legge di conversione) in danno dei valori superprimari di riferimento.

La disposizione in parola si palesava confliggente, in primis, con l’art. 3 della Carta: lo stesso legislatore, d’altra parte, non aveva fatto mistero d’aver inteso confezionare un’aggravante modulata sullo status soggettivo dell’immigrato irregolarmente soggiornante sul suolo nazionale25.

L’immigrato irregolare era, per ciò solo, attinto da norme punitive più severe di quelle generalmente valevoli per i restanti consociati, l’aggravamento della pena essendo fatto esclusivamente dipendere dall’(in)osservanza di prescrizioni amministrative attinenti alla regolamentazione della presenza dello straniero in Italia.

L’aggravante de qua, inoltre, avendo natura soggettiva e comune, si dimostrava applicabile indipendentemente dall’apporto causale che la condizione d’irregolarità del non cittadino potesse offrire o no all’integrazione degli estremi del reato, con effetti immancabilmente paradossali26, accentuati dalla riferibilità dell’aggravante stessa a entrambe le tipologie d’illecito criminale (eccezion fatta per i soli reati rispetto ai quali lo stato di clandestinità già costituisse elemento del fatto tipico).

La circostanza obliterava un dato tutt’altro che secondario: molto spesso l’immigrato si ritrova in condizione d’irregolarità non già ab initio, ma in seguito alla cessazione della validità del titolo legittimante la sua permanenza in Italia (e la conseguente sua entrata nel novero dei c.d. “overstayers”); l’aggravante in esame, al contrario, accomunando fattispecie certamente meritevoli di sottoposizione a statuti normativi non coincidenti, si preannunciava applicabile tanto allo straniero illecitamente entrato, quanto a quello indebitamente trattenutosi, così come al cittadino di altro Stato comunitario non in regola con le disposizioni sulla circolazione infraeuropea, piuttosto che, ancora, allo straniero rientrato in Italia in violazione del divieto di reingresso27.

Inconsistenti si dimostravano da subito gli accostamenti della circostanza de qua all’aggravante della latitanza, alla quale la circostanza di clandestinità in alcun modo avrebbe potuto apparire assimilabile: questa, infatti, non avrebbe mai potuto sovrapporsi alla prima, non condividendone minimamente la ratio: laddove, infatti, la condizione della latitanza è volontariamente indotta dal contegno del reo che scientemente si sottrae ad un provvedimento giudiziale restrittivo della libertà personale, approfittandone per ulteriormente delinquere, la circostanza di clandestinità era inficiata dall’irrecuperabile carenza di nesso causale tra la medesima e il reato di riferimento, fondandosi sull’elevazione della condizione di straniero illecitamente soggiornante al rango di dettaglio personale sistematicamente giustificativo di un peggioramento del trattamento penalistico28.

Ulteriore punto dolente dell’aggravante, la prevista presunzione di (maggiore) pericolosità in capo al reo immigrato irregolare, del tutto distonica rispetto alle consolidate acquisizioni della legge penale, insofferente a valutazioni predeterminate della propensione alla delinquenza dell’agente29.

La norma non sembrava, peraltro, conciliabile con le prescrizioni degli strumenti pattizi internazionali, e delle stesse fonti comunitarie, così da violare l’art. 117, I c., Cost.30.

Da più parti erano, inoltre, formulate riserve circa la vaghezza del testo della disposizione, foriera di un’ulteriore confliggenza con il principio di precisione della fattispecie31.

Eterodosso appariva, già ad un rapido esame, il ricorso al criterio del mancato possesso della cittadinanza quale motivo d’inasprimento della pena, a fronte dell’orientamento univocamente antitetico di buona parte del diritto penale, che fonda, piuttosto, sul contrario parametro del possesso della cittadinanza la causa di numerose incriminazioni32.

Innegabile avrebbe dovuto, pertanto, ritenersi l’asservimento della disposizione de qua ad un autentico diritto penale d’autore, pericolosamente disancorato dal fatto e dalla sua concreta portata offensiva33, giustificata dovendosi, perciò, ritenere la conclusiva disapprovazione manifestata dalla dottrina nei riguardi della previsione di cui all’art. 61, I. c., n. 11-bis, Cod. pen.

 

5. L’INCARDINAMENTO DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ: LE ORDINANZE DI RIMESSIONE.

Il quadro di cui sopra induceva, in primis, il Tribunale di Latina, a distanza di solamente due mesi dall’introduzione dell’aggravante a trasmettere gli atti alla Consulta: il giudice laziale non riteneva di poter soprassedere oltre sino alla stabilizzazione della norma mediante la sua conversione, ribadendo l’improcrastinabile necessità di provocare una statuizione definitiva sulla compatibilità costituzionale dell’aggravante.

La prognosi in ordine all’assenza di soluzioni di continuità tra il decreto-legge e l’adottanda legge di conversione, unitamente all’indubbia rilevanza della questione prospettata e alle convinte voci di disappunto sul contenuto dell’esaminato provvedimento legislativo confortavano, pertanto, il Tribunale di Latina nel motivare l’ordinanza di rimessione.

Fatti propri i rilievi in ordine alle lacune antiegualitarie della circostanza aggravante –apportatrice di una gratuita divaricazione del trattamento penale riservato agli immigrati irregolari – rispetto a quello valevole per la restante generalità dei consociati, l’organo giurisdizionale denunciava, altresì, il singolare automatismo instaurato tra lo stato d’illecito pervenimento e/o trattenimento in Italia e il la valutazione di spiccata idoneità alla delinquenza: punto evidentemente dirimente, siccome frontalmente opposto alle esigenze di accertamento caso per caso della pericolosità del reo34.

Ritenuta, quindi, la violazione degli artt. 3, 13, 25, II c., e 27, I e III c. della Costituzione, il Tribunale di Latina35 dava corso all’incidente di costituzionalità, inoltrando gli atti a Palazzo della Consulta: seguito, dopo appena otto giorni, dal Tribunale di Livorno36.

Dalla lettura sinottica delle ordinanze di rimessione, emerge il non eccessivo timore che l’aggravante abbia decisamente vulnerato il principio di uguaglianza dei cittadini innanzi alla legge penale (facendo discendere da un semplice modo d’essere un’apposita – e più grave – sanzione penale)37: logico corollario delle argomentazioni di cui ai rispettivi provvedimenti giurisdizionali, la constatazione della pericolosa tendenza alla differenziazione degli statuti penali, non più unitariamente rivolti alla generalità dei consociati, ma settorializzati e rischiosamente

modellati su specifici tipi d’autore38.

Da ultimo, anche il Tribunale di Ferrara39 sollevava incidente di costituzionalità, e poneva l’attenzione sulla violazione del finalismo rieducativo della pena, frustrato dall’impossibilità di ricondurre obiettivamente l’aggravamento della sanzione criminale ad una maggior propensione del reo alla lesione dei beni giuridici tutelati dalla norma penale, con conseguente ingiustizia ed iniquità del carico sanzionatorio comunque imposto al condannato.

All’udienza pubblica del 9 giugno 2010, innanzi alla Corte si procedeva, pertanto, alla discussione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, c. I., n. 11-bis, Cod. pen., e la stessa era, infine, decisa nella camera di consiglio dell’8 luglio 2010.

 

6. LA PRONUNCIA DELLA CORTE.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 249/2010 risarcisce innanzitutto la cornice dei principi fondamentali di un diritto penale liberalgarantistico, e ricolloca il sistema delle sanzioni criminali in un alveo normativo più adeguato al rispetto della dignità della persona40. La distinzione tra cittadino e straniero, lungi dall’ammettere una diversificazione sul piano della fruizione dei diritti inviolabili della persona (riconosciuti ad ogni essere umano, indipendentemente dalla comunità statuale di appartenenza), diviene pressoché irrilevante innanzi alla legge penale, che si misura esclusivamente con il fatto di reato, la sua portata aggressiva dei beni giuridici e l’attitudine delinquenziale dell’agente, ogni altra caratteristica dell’autore esulando dall’accertamento di reità, in quanto radicalmente priva di influenza sul contegno criminoso posto in essere.

La circostanza di cui al decreto-legge n. 92/2008, peraltro, è dalla Corte censurata anche sotto il profilo dell’irragionevolezza, per la contraddizione intrinseca alla sopravvenuta esclusione dei cittadini comunitari dall’assoggettamento alla previsione aggravatrice, nonostante la plausibile possibilità che anche costoro si diano a forme di soggiorno illegale. Sul fronte del nesso eziologico o psichico, la Corte costituzionale pure rileva l’incongruenza dell’inasprimento della pena in conseguenza di un contegno che nulla aggiunge al disvalore (soggettivo o materiale) delle condotte di reato cui l’aggravante in parola dovesse accedere, per di più verosimilmente estranee alla problematica del controllo dei flussi migratori. La quaestio legitimitatis è conclusivamente risolta nel senso della sussistenza di un irrimediabile contrasto41 tra l’art. 61 Cod. pen., come integrato dalla normativa introdotta a mezzo del primo “pacchetto sicurezza”, e gli artt. 3, I. c., e 25, II. c., Cost.

Dalla dichiarata illegittimità della disposizione in oggetto è fatta, inoltre, discendere l’eliminazione dal sistema legale, a titolo d’incostituzionalità derivata, dell’art. 1, c. I, l. 94/2009, introdotta all’unico scopo di precludere la sottoposizione dei cittadini comunitari all’aggravante de qua, unitamente all’art. 656, c. 9, lett. a), Cod. proc. pen., limitatamente alla parte in cui dispone l’esclusione della sospensione dell’esecuzione della pena detentiva per i condannati ex art. 61, I. c., n. 11-bis, Cod. pen (previsione aggiunta dall’art. 2, I. c, lett. m), d.l. n. 92/2008).

 

7. PER UN BILANCIO COMPLESSIVO: INCONGRUENZE DI SISTEMA E MUTAMENTI PROSPETTICI NELL’APPROCCIO AL FENOMENO MIGRATORIO.

La circostanza aggravante di clandestinità sotto alcun profilo avrebbe potuto essere tollerata, in un sistema penale dell’eguaglianza e in un ordinamento sensibile alle istanze, anche sovrastatuali, d’inclusione e solidarietà sociale: è ciò che la Corte.

Dalla disamina comparatistica sopra esposta, l’approccio penalistico alla disciplina dei flussi migratori è risultato oggettivamente minoritario: pur non mancando, infatti, Stati in cui la violazione delle norme in materia assurge ad illecito criminale, si è constatata la portata spesso apparente (o scarsamente effettiva) delle disposizioni incriminatrici eventualmente previste.

Assistiamo, oggigiorno, in Italia alla consumazione di un’inquietante torsione dell’essenza stessa del diritto penale, la cui fisionomia va progressivamente mutando da diritto della repressione di eventi lesivi a diritto della prevenzione di pericoli (e fobie collettive)42.

La disciplina dell’immigrazione si sta indubitabilmente rivelando la sedes materiae elettiva della nuova tendenza securitaria, perseguita a mezzo di norme ostili all’alieno, come tali non riconducibili ad alcuno dei principi coessenziali ad un diritto moderno e costituzionalmente ispirato.

Pare insinuarsi l’idea che l’inibizione della minaccia terroristica, lo stroncamento dell’immigrazione illegale, il controllo di ciò che appare troppo distante siano altare privilegiato su cui legittimamente sacrificare i diritti inviolabili dell’uomo, in favore dei benefici asseritamente derivanti in fatto di tenuta complessiva della comunità superindividuale, ed anche al costo d’assecondare la costruzione di un diritto penale di classe, con cui proteggere le “persone dabbene” dall’intrinseca (!) pericolosità dei soliti discriminati43.

Peraltro sia detto, incidenter tantum, che le tanto proclamate istanze securitarie paiono in concreto smentite da alcuni provvedimenti legislativi in tema d’andamento del processo penale, che contraddicono nella prassi giudiziaria la spedita assicurazione del reo alla giustizia44.

Il ricorso al diritto penale nei termini sin qui riscontrati, dunque, non persuade l’osservatore attento, oggi costretto a constatarne un utilizzo incoerente con la sua precipua funzione di selezione dei più gravi comportamenti meritevoli di sanzione criminale, e consistente nel suo ripiegamento a fini di controllo egemonico sull’evoluzione dei rapporti interni alla comunità organizzata.

Sarebbe, piuttosto, auspicabile la pronta cessazione dell’invalsa tendenza alla penalizzazione di larga parte dei fenomeni – più o meno patologici – connaturati alle dinamiche della collettività, congiuntamente all’acquisizione definitiva della consapevolezza che la via penalistica non possa rappresentare la panacea di ogni male, vero o presunto che sia: indicazioni in tal senso sembra possano desumersi dagli ammaestramenti della sentenza n. 249/2010.

Occorre rifuggire dal rischio che il principio d’eguaglianza sia destrutturato sino allo snaturamento: il predetto canone, per vero – universalmente condiviso quale valore fondativo di ogni ordinamento propriamente detto – va prioritariamente declinato come parità d’attenzione riservata a ciascuno dalla legge, in contrasto con i presupposti di dichiarata ineguaglianza dell’Ancien Régime, e quale pilastro della nuova organizzazione liberale della società. Traducendosi nell’esigenza che le differenziazioni si giustifichino solamente su di un piano oggettivo – dimodoché non siano ammessi status prevalenti l’uno sull’altro – esso impone che le disparità fattuali (o di partenza) siano rimosse attraverso meccanismi approntati dall’ordinamento (allo scopo di offrire a tutti i consociati le medesime possibilità), e si dimostra quale supernorma di

chiusura del sistema, a vocazione generale gerarchicamente sovraordinata.

Logico precipitato dell’esposizione di cui sopra è l’urgenza che lo straniero goda di un’attenzione ordinamentale non irragionevolmente inferiore a quelle tributata al cittadino e che, in sede penale, non sia attinto da disposizioni gratuitamente proiettate a stigmatizzarne la condizione personale.

Si invoca, pertanto, una correzione dell’impostazione di fondo, quale delineatasi nell’evoluzione della più recente normativa in materia di gestione (a scopi artatamente dissuasivi) dei flussi d’ingresso degli stranieri: urge la riscoperta, attuale e convinta, dei valori fondativi del sistema legale e costituzionale che davvero rappresentano la ricchezza identificativa della nostra società: l’afflato solidaristico, la rimozione delle diseguaglianze ingiustificate, l’apertura al prossimo e la partecipazione di «tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese», ex art. 3, II. c., Cost., devono ritornare a formare l’autentico patrimonio identitario con cui affrontare le sfide di un mondo (a ragione o a torto) globalizzato ed intimamente interconnesso.

È conclusivamente avvertita la non retorica urgenza di una profonda rivisitazione dell’attuale disciplina dell’immigrazione, le cui direttrici siano orientate nel senso della cooperazione transfrontaliera, dell’accoglienza e dello scambio di idee.

I dati demografici avvalorano la prospettiva del cospicuo aumento della popolazione d’immigrati in Italia45: una tendenza non più realisticamente invertibile, ma solo gestibile con gli strumenti delle politiche legislative e sociali. Purché non venga intesa come ostile invasione, tale realtà ben può essere volta a vantaggio dell’intera comunità, considerato l’apporto in termini umani, lavorativi ed economici che le fasce sempre più consistenti di popolazione straniera immigrata nel nostro Paese hanno sinora saputo offrire alla collettività46.

È, dunque, alla luce di tali riflessioni che può avviarsi un doveroso e scrupoloso esame delle carenze sistemiche, e delle situazioni meritevoli d’intervento, al fine di poter ripristinare le condizioni giuridiche necessarie a conciliare una volta per tutte accoglienza, convivenza e legalità, nell’implementazione delle statuizioni dell’Assise costituzionale, e nel supremo rispetto della dignità di cui ciascun essere umano è portatore.

1 La nota qui pubblicata del Dr. Ilario Nasso è il frutto di un più ampio lavoro svolto dall’Autore grazie al contributo di una borsa di studio post lauream offerta dalla Fondazione Panarello agli studenti brillantemente laureati presso l’Università di Messina con una tesi in diritto costituzionale.

Com’è noto, negli ultimi mesi si sono registrati numerosi interventi della Corte costituzionale (l’ultimo, non potuto prendere in considerazione da Nasso ratione temporis, proprio con sentenza n. 359 del 17 dicembre 2010) in tema di trattamento penale del fenomeno dell’immigrazione clandestina, volti a verificare la compatibilità ai principi costituzionali del quadro normativo italiano in materia, soprattutto alla luce delle disposizioni introdotte dal legislatore nel corso dell’attuale XVI legislatura.

Ilario Nasso, che già durante il corso di studi universitari si è dedicato con particolare entusiasmo all’approfondimento delle materie gius-pubblicistiche, ha svolto delle originali riflessioni in tema di “aggravante di clandestinità” e le ha condensate nella nota che adesso viene pubblicata come commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 249/2010 con la quale, per l’appunto, il giudice delle leggi ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.61, numero 11-bis, c.p., introdotto dall’art. 1, lettera f), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92. Si tratta di una pronunzia, adesivamente commentata dall’A., con la quale la Corte ha riaffermato il primato dei principi costituzionali in tema di diritti fondamentali dell’uomo a fronte di una soluzione normativa offerta dal legislatore senza aver adeguatamente ponderato i diversi valori costituzionali in emersione.

Le osservazioni di Ilario Nasso, caratterizzate dall’attenta lettura del dato normativo e dei principi ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale già maturata in materia, offrono elementi di riflessione tecnicamente approfonditi, utili per la comprensione della giurisprudenza costituzionale che (come la sentenza n. 359 del 2010 dimostra) ha ancora tanto da dire su questa tormentata materia, alla ricerca di un difficile punto di equilibrio tra le esigenze della sicurezza e quelle della tutela, anche in una dimensione sovranazionale, dei diritti fondamentali dell’uomo. Messina, 18 dicembre 2010. Prof. Antonio Saitta

2 S. Moccia, Dalla tutela di beni alla tutela di funzioni: tra illusioni postmoderne e riflussi illiberali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 343 ss.

3 Occorre preliminarmente osservare come l’imperizia legistica abbia nuovamente trionfato: trattandosi dell’ultimo numero del comma I, lo si sarebbe dovuto individuare con il numero 12, anziché con un curioso 11-bis: in tal senso, F. Piccioni – U. Nannucci, Il decreto sicurezza, Ravenna 2008, 121.

4 Le osservazioni di ambo le parti, le soluzioni emendative prospettate e l’esito della relativa votazione si desumono dal Bollettino della seduta riunita delle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato della Repubblica (in sede referente), del 10 giugno 2008.

5 Lo si apprende da AP, Senato della Repubblica, legislatura XVI, Assemblea – Resoconto stenografico, XVII seduta dell’11 giugno 2008, 18.

6 Una cui più estesa descrizione è rinvenibile in AP, Senato della Repubblica, legislatura XVI, Assemblea – Resoconto stenografico, XVII seduta dell’11 giugno 2008, 23 ss.

7 È quanto si legge in AP, Senato della Repubblica, legislatura XVI, Assemblea – Resoconto stenografico, XVII seduta dell’11 giugno 2008, 27 ss, ove emerge l’adesione di alcuni componenti delle forze di maggioranza al paradigma del versari in re illicita, quale fondato motivo d’inasprimento della pena da comminare.

8 Si paventava, infatti, la possibilità che l’aggravante di clandestinità – in sede di giudizio di bilanciamento fra circostanze – fosse dichiarata soccombente a fronte del rilievo della concomitanza di altre circostanze attenuanti (ritenute prevalenti): lo evidenziava l’on. Brigandì (LNP), come si rileva da AP, Camera dei Deputati, legislatura XVI, Resoconto della seduta delle Commissioni riunite I e II, del 1° luglio 2008, in sede referente, 5.

9 Il testo dei più significativi emendamenti presentati all’esame delle Commissioni è consultabile in AP, Camera dei Deputati, legislatura XVI, Resoconto della seduta delle Commissioni riunite I e II, del 7 luglio 2008, in sede referente, 41-43.

10 Non sortiva effetti nemmeno il richiamo al contenuto della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2004/38/CE del 29 aprile 2004, relativa alla libera circolazione dei cittadini e dei loro familiari: per una disamina degli interventi in Aula, v. AP, Camera dei Deputati, legislatura XVI, Lavori dell’Assemblea – Discussioni, XXXIII seduta dell’11 luglio 2008, 24-63.

11 Lo puntualizzava il Ministro per i rapporti con il Parlamento, le cui dichiarazioni sono raccolte in AP, Camera dei Deputati, legislatura XVI, Lavori dell’Assemblea – Discussioni, XXXIV seduta dell’14 luglio 2008, 2.

12 L’epilogo dell’iter di approvazione può essere ricostruito in AP, Senato della Repubblica, legislatura XVI, Assemblea – Resoconto stenografico, XLVI seduta del 23 luglio 2008, 6-61.

13 Una chiara rappresentazione delle tendenze del diritto dell’immigrazione in USA è contenuta in D. Apollonio – T. Lochner – M. Heddens, An Analysis of Federal Immigration Prosecutions: Paper presented at the annual meeting of the Midwest Political Science Association 67th Annual National Conference, Chicago 2009, 3 ss.

14 In argomento, v. M. Jasper, The Law of Immigration, Oxford 2008, 30 ss.

15 Lo ricordano, realisticamente, O. Schmidtke – S. Ozcurumez, Of. States, Rights and Social Closure: Governing Migration and Citizenship, New York 2008, 48 ss.

16 Ed invero, l’unica conseguenza derivante in capo all’immigrato condannato per altri reati consiste nell’impossibilità di accedere ad alcuni benefici di legge, quali l’annullamento dell’ordine di allontanamento, la concessione del diritto d’asilo, l’utilizzabilità della procedura d’allontanamento volontario: lo si apprende da W. Kidane, The Challenges of Representing Detained Non Citizens in Expedited Removal Proceedings from the Perspective of the Dickinson Law Immigration Clinic, in Widener Law Journ., 2008, 394 ss., e da M. Vargas, Working Paper on Immigration Consequences of Guilty Pleas or Conviction in New York Courts, New York 2005, 4 ss.

17 Ne conviene K. Browne, Immigration Law, Guilford 2009, 169.

18 Laddove, infatti, la condizione d’immigrato irregolare è tendenzialmente ininfluente ai fini della configurabilità di un’attenuante determinata dalle precarie condizioni socio-economiche del reo (benché alcune sentenze in tal senso siano state pronunciate, quantomeno con riferimento ai casi di duress by threats, o di necessity, riconducibili allo stato di necessità), la stessa irrilevanza è dato rinvenire sul versante dell’efficacia in malam partem: in tal senso, D. Ormerod, Smith & Hogan Criminal Law. Cases and Materials, Oxford 2006, 386 ss.

19 Su cui, v. E. Pomares Cintas, Las incongruencias del Derecho Penal de la inmigración ilegal. Especial referencia al delito de promoción o favorecimiento de la inmigración clandestina de trabajadores a España, in AA. VV., El derecho penal ante el fenómeno de la inmigración, a cura di E. Juan Pérez Alonso – J. M. Zugaldía Espinar, Valencia 2007, 297 ss.

20 Lo chiariscono G. Fornasari – A. Menghini, Percorsi europei di diritto penale, Padova 2008, 164 ss.; sulla possibilità che l’immigrato adduca a propria giustificazione la causa di giustificazione dello stato di necessità, v. M. G. Bermejo, La ponderación de intereses en el estado de necesidad y el delito de tráfico de drogas (Comentario a la Sentencia del Tribunal Supremo de 8 de marzo de 2005), in Anu. de Der. pen. y cien. pen., 2008, 935 ss.

21 Sul contenuto dei quali (frutto di un’autentica sperimentazione, confortata dalle proposte provenienti da vari gruppi di studiosi, interessati alla formulazione di suggerimenti in ordine alla creazione di un’area comunitaria di transito e di scambio), v. L. MANCA, L’immigrazione nel diritto dell’unione europea, Milano 2003, 51, e M. Pastore, La cooperazione intergovernativa nei settori dell’immigrazione, dell’asilo e della sicurezza interna, in AA. VV., Da Schengen a Maastricht, Apertura delle frontiere, cooperazione giudiziale e di polizia, a cura di B. Nascimbene, Milano 1995, 3 ss.; quanto, poi, all’altrettanto epocale confluenza di Schengen nell’acquis communautaire, v. B. Nascimbene, L’incorporazione degli accordi di Schengen, op. ult. cit., 732 ss..

22 Sul punto, v. B. Nascimbene – C. Favilli, Orientamenti comunitari, in IX Rapporto sull’immigrazione 2003-ISMU, Milano, 2004, 79 ss.

23 Il programma d’interventi, infatti, si presta tuttora al rafforzamento del ruolo dell’UE nell’ampliamento degli spazi di libertà e sicurezza, ferma la contestuale abolizione del sistema dei pilastri: se ne occupa A. Lang, Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone, in AA. VV. Trattati del’Unione europea e della Comunità europea, a cura di A. Tizzano, Milano 2004, 435 ss.

24 Sulle tendenze evolutive della normazione penale comunitaria, avuto particolare riguardo alla tematica della protezione dei diritti fondamentali, v. G. Grasso, La protezione dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario ed i suoi riflessi sui sistemi penali degli Stati membri, in Riv. int. dir. dell’uomo, 1991, 617 ss.

25 Inascoltate rimangono le precedenti statuizioni della Corte costituzionale, già investita di questioni attinenti alla legittimità di differenziazioni della legge penale (penale e processuale) fondate sull’improbabile criterio discretivo della cittadinanza del reo: in materia di misure alternative alla detenzione, ad esempio, la Consulta aveva esemplarmente sancito l’irragionevolezza dell’approccio ermeneutico tendente ad escluderne la fruizione da parte dell’immigrato irregolare: in proposito, v. Corte cost., sent. n. 78/2007.

26 Sui quali v. C. Fiore – S. Fiore, Diritto Penale, Parte generale, 3a ed., Torino 2008, 447.

27 Una casistica del tutto eterogenea, come evidenziato da V. Plantamura, La circostanza aggravante della presenza illegale sul territorio nazionale, in AA. VV., Le nuove norme sulla sicurezza pubblica, a cura di S. Lorusso, Padova 2008, 277.

28 Sul punto, v. A. Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte generale, 8° ed., Milano 2003, 473 ss.

29 Stabilire in argomento una presunzione iuris et de iure di maggiore pericolosità, significherebbe affermare che tutti gli immigrati irregolari vivono in condizioni di depravazione e siano dediti alla criminalità: in materia, v. Corte cost., sent. n. 139/1982.

30 Avuto specifico riguardo alle previsioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e della direttiva 2004/38/CE del Parlamento e del Consiglio, introduttiva di limitazioni all’adozione di provvedimenti di allontanamento in tal senso si pronuncia l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, nelle Osservazioni sulle norme in materia di stranieri contenute nei provvedimenti del “pacchetto sicurezza” approvati dal Consiglio dei ministri nella riunione del 21 maggio 2008, 5 ss.

31 Riflessione inevitabile, stante la vaghezza dell’avverbio “illegalmente”, per una ricognizione semantica del quale, v. S. Centonze, Sicurezza e immigrazione. La nuova disciplina dell’immigrazione dopo il c.d. pacchetto sicurezza, Milano 2009, 43 ss.

32 Così, G. Dodaro, Discriminazione dello straniero irregolare nell’aggravante comune della clandestinità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1636.

33 Come efficacemente è stato affermato, il diritto penale degenera in diritto penale dell’autore (anziché del fatto) ogniqualvolta la punizione abbia luogo in ragione di ciò che il reo rappresenti (ovvero per via delle sue caratteristiche personali) e non già per ciò che abbia compiuto: distorsione talvolta affiorante anche in sistemi penali d’ispirazione liberale (basti pensare alle categorie degli “esercenti mestieri girovaghi”, dei mendicanti, dei delinquenti abituali, senza tralasciare quella dei “mafiosi” o dei “terroristi islamici”): in materia, v. D. Pulitanò, Tensioni vecchie e nuove sul sistema penale, in Dir. pen. e proc., 2008, 1079 ss., e G. Flora, Profili penali del terrorismo internazionale: tra delirio di onnipotenza e sindrome di auto castrazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 62 ss.

34 Come segnalato, ex multis, da L. Masera, Profili di costituzionalità della nuova circostanza aggravante comune applicabile allo straniero irregolare, in Corr. mer., 2008, 1175 ss.

35 Trib. Latina, ord. 1 luglio 2008, in Corr. Merito. 2008, p. 1175 ss.

36 Trib. Livorno, ord. 9 luglio 2008, in Corr. Merito, 2009, 280 ss.

37 Conformemente all’interpretazione adottata, pressoché unanimemente, all’indomani dell’entrata in vigore delle modifiche al Codice penale: in tal senso, ex multis, G. Palombarini, La difficile società multietnica, in Dir. imm. citt., 2008, 17 ss.

38 Dato allarmante, per il quale al diritto penale “di tutti” vanno, infatti, affiancandosi un diritto degli immigrati regolari, ed uno degli immigrati irregolari: sul punto, cfr. P. Pisa, La repressione dell’immigrazione irregolare: un’espansione incontrollata della normativa penale?, in Dir. pen. proc., 2009, 5 ss., e L. Pepino, le migrazioni, il diritto, il nemico. Considerazioni a margine della L. 94/2009, in Dir. imm. citt. 2009, 9 ss.

39 Trib. Ferrara, ord. 15 luglio 2008, in Corr. Merito, 2008, 1283 ss.

40 L’aggravante, infatti, aveva operato una grossolana elevazione a nemici di una categoria (specifica, ma indeterminata) di soggetti socialmente svantaggiati, invero inidonei alla creazione d’occasioni di pericolo per le sorti della convivenza civile, poiché già in sé sofferenti d’una minorata integrazione socio-economica nel tessuto collettivo, e quasi sempre sprovvisti dei più elementari mezzi di sussistenza: saluta con favore la statuizione della Consulta, L. Eusebi Il rapporto con l’«altro» alla luce della Costituzione. I riflessi sulle problematiche del «fine vita» e l’«incostituzionalità» di ogni configurazione dell’«altro» come nemico, in AA. VV., Dignità e diritto: prospettive interdisciplinari, a cura di A. Sciarrone Alibrandi, Lecce 2010, 40 ss.

41 Insuscettibile di rientrare mediante un’interpretazione adeguatrice, non praticabile alla luce del tenore testuale della disposizione dubitata, non in grado di rimettere all’operatore alcun margine di manovra ermeneutica: sull’arresto giurisprudenziale della Suprema Corte, v. P. Marino, L’aggravante della clandestinità comporta aumento di pena anche per i reati non collegati alla presenza illegale, in http://www.personaedanno.it.

42 Su cui, dettagliatamente, A. Baratta, Diritto alla sicurezza o sicurezza dei diritti, in La bilancia e la misura, Giustizia, sicurezza, riforme, a cura di S. Anastasia – M. Palma, Milano 2001, 19 ss., ma anche F. Ewald, Two Infinities of Risk, in The Politics of Everyday Fear, a cura di B. Massumi, Minneapolis 1993, 221 ss., e A. Spadaro, Le forme attuali di manifestazione del terrorismo nella esperienza giudiziaria: implicazioni etniche, religiose e tutela dei diritti umani, in Terrorismo, nonché A. Caputo, L’emergenza sicurezza. Appunti su sicuritarismo e politiche del diritto, in Quest. giust., 2007, 1098 ss. internazionale e diritto penale, a cura di C. De Maglie – S. Seminara, Padova 2007, 163 ss.

43 Neri, musulmani, rom e slavi divengono automaticamente spacciatori, terroristi, borseggiatori e rapinatori seriali, prontamente inseriti in un casellario di tipi criminali tanto ripugnante quanto privo di fondamento: in argomento, molto pertinenti risultano le osservazioni di L. Ferrajoli, Principia iuris, vol. II, Teoria della democrazia, Roma-Bari 2007, 372 ss.

44 Il pensiero corre all’istituita (ancorché, rispetto alle originarie intenzioni, ridimensionata) corsia preferenziale per la celebrazione di alcune categorie di processi penali, a scapito di altri, interessati da provvisoria sospensione: ciò che in questa sede preme rilevare, è l’inadeguatezza di una tale misura a far fronte ad esigenze di tempestiva punizione di (tutti) coloro che si siano resi autori di fatti criminosi: riflessioni non dissimili sono espresse da G. Frigo, Gli eccessi della repressione penale sono controproducenti per la sicurezza, in Guida al dir., 2008, 11 ss.

45 I cittadini stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2008 sono 3.432.651; rispetto al 1° gennaio 2007 sono aumentati di 493.729 unità (+16,8%), facendo registrare l’incremento più elevato di tutta la storia dell’immigrazione italiana; solo a Milano, dei 5.495 bambini che nel 2009 si sono iscritti alle scuole medie, il 66.42% è composto da stranieri, mentre nelle scuole primarie, dei 9.832 che si sono iscritti nello stesso anno, gli immigrati costituiscono il 40.28%: i dati sono tratti da http://www.stranieriinitalia.it/statistiche.

46 Secondo il Rapporto 2008 del Centro Studi Unioncamere e l’Istituto Guglielmo Tagliacarne, l’apporto contributivo degli immigrati è stato, nel 2006, pari al 9,2% a livello nazionale, con evidenti stime di crescita dovute all’aumento della popolazione straniera in Italia.

Nasso Ilario

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento