Ius superveniens e intese restrittive della concorrenza ex art. 2 l. 287/90

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La nullità sopravvenuta delle intese restrittive della concorrenza è disciplinata dall’art. 2, della legge del 10 ottobre 1990, n. 287 (c.d. legge antitrust). La questione affrontata dall’ordinanza in commento riguarda la possibilità di applicare, in assenza di una norma di diritto transitorio, la suddetta legge ai contratti sorti anteriormente, ancorché aventi effetti dopo l’entrata in vigore di tale disciplina.

    Indice

  1. Base di partenza scientifica
  2. La posizione della Cassazione nell’annotata ordinanza

1. Base di partenza scientifica

In dottrina, è già stato notato dai primi commentatori che un divieto che colpisce intese, “che abbiano per oggetto o effetto” (art. 2, 1° comma, l. n. 287/90) di restringere la concorrenza, deve necessariamente applicarsi, sia pure ex nunc, a qualsiasi intesa che produca effetti anticoncorrenziali dopo l’entrata in vigore della legge[1].

L’effetto che incide sul gioco della concorrenza è dunque direttamente contemplato dal legislatore ed è la ratio del divieto e, da ciò, sembra potersi desumere che la nullità – che a tale divieto si accompagna – colpisce una fattispecie complessiva in cui l’intesa non può essere ontologicamente scissa dal suo momento attuativo[2]. Intendere la locuzione “intesa” di cui all’art. 2 non arrestandosi al momento costitutivo del rapporto, ma ricomprendendovi anche gli effetti, è peraltro in linea con l’impostazione stessa della normativa antitrust, la quale prende in considerazione i fatti restrittivi della concorrenza in una visione obiettiva dell’attività di impresa, volta a garantire la concorrenza nel suo profilo più propriamente effettuale[3].

Sulla stessa linea, l’Autorità Garante non ha mai avuto dubbi sull’applicabilità del divieto ex art. 2 alle “vecchie” intese, anche se solo con riguardo agli effetti prodotti da tali intese dopo l’entrata in vigore della nuova legge.

Il leading case in materia è costituito dal provv. n. 1796 (180) del 14 marzo 1994, Consorzio Trevi, in Boll. AGCM, n. 8, p. 1994, p. 32. In tale provvedimento chiaramente si afferma che “esula dalla competenza dell’Autorità l’attività di cooperazione tra imprese realizzatasi antecedentemente all’entrata in vigore della legge 287/90. Sono invece oggetto di valutazione gli effetti di tale attività ove si manifestino successivamente all’entrata in vigore della legge citata”. La stessa soluzione è stata seguita dall’Autorità in altri provvedimenti[4].

In contrasto con l’orientamento sopra descritto, l’unico precedente giudiziario di rilievo è andato di contrario avviso[5]. La vera ratio decidendi per l’inapplicabilità delle norme della l. n. 287/90 è stata individuata, nella specie, nella considerazione che l’intesa non copra una “parte rilevante” del mercato nazionale e non sia quindi soggetta alle norme della stessa legge 287, bensì alla vecchia norma dell’art. 2596 c.c.[6]

Sempre nel senso dell’applicabilità della nullità successiva ai rapporti pendenti, dall’analisi delle numerose teorie che si sono succedute sull’argomento sono emerse diverse ragioni a favore della soluzione dell’efficacia immediata della norma sopravvenuta sui contratti pendenti[7].

In primo luogo, l’art. 2, l. n. 287/90 vieta le intese che hanno “per oggetto o per effetto” una restrizione della concorrenza. Ciò significa che l’effetto anticoncorrenziale è direttamente preso in considerazione dalla legge e dal relativo divieto, indipendentemente dalla struttura e, per connessione logica, dalla collocazione temporale della fonte da cui tale effetto deriva. Pertanto, gli effetti anticoncorrenziali successivi alla legge sono comunque vietati.

In secondo luogo, il suddetto articolo 2 vieta, oltre agli accordi restrittivi della concorrenza, anche le pratiche concordate aventi il medesimo effetto. Il comportamento di mero fatto anticoncorrenziale, coscientemente posto in essere da più imprese indipendenti anche in mancanza di un vero e proprio accordo contrattuale, è già fattispecie vietata. D’altra parte il rapporto logico tra accordo e pratica concordata è tale che quest’ultima, come dato di fatto, coincide con il comportamento adottato dalle parti di un accordo anticoncorrenziale, in esecuzione dello stesso. Ciò significa che l’intesa stipulata prima dell’entrata in vigore della nuova legge, se anche non fosse vietata come contratto dalla norma sopravvenuta, sarebbe comunque vietata nel suo profilo attuativo, come pratica concordata anticoncorrenziale.

Infine, se la norma non si applicasse immediatamente, ciò determinerebbe un’inammissibile disparità di trattamento fra imprese concorrenti.

Questo argomento, attinente alla lesione del principio di uguaglianza in caso di applicazione non immediata della nuova disciplina, è stato più volte avanzato dalla teoria del diritto transitorio. E, di solito, esso non è stato considerato decisivo, perché in generale non costituisce lesione inammissibile del principio di uguaglianza il fatto che situazioni, createsi sotto la vecchia legge, siano lasciate sopravvivere “ad esaurimento”. Tuttavia, ciò che può essere ammesso in via generale non può essere ammesso in materia di disciplina della concorrenza. Qui, la sopravvivenza della vecchia intesa anticoncorrenziale altererebbe le regole del gioco a vantaggio delle imprese entrate prima nel mercato, che potrebbero continuare ad avvalersi di strumenti giuridici che sono invece preclusi alle nuove imprese.

Oltre a questi, ancor più decisiva è stata la sentenza della Suprema Corte[8], dove la stessa è stata chiamata a pronunciarsi per la prima volta circa la nullità di un’intesa ai sensi dell’art. 2, 3° comma, della suddetta legge.

In tale occasione, la Cassazione ha affermato la possibilità di dichiarare la nullità di un’intesa restrittiva della concorrenza stipulata prima dell’entrata in vigore della legge n. 287/90 e ha cassato la sentenza impugnata con rinvio al giudice a quo per la verifica della “consistenza” della restrizione della concorrenza, verifica necessaria per poter affermare la nullità di un’intesa ai sensi di detta legge. Per giungere a queste conclusioni, la Cassazione ha svolto un certo ragionamento, dal quale sono enucleabili i seguenti princìpi[9]: che la nozione di intesa, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287/90, comprende anche comportamenti unilaterali e non negoziali, purché consapevoli; che pertanto la nullità dell’intesa di cui all’art. 2, 3° comma, investe non solo l’eventuale negozio che l’ha generata ma anche tutta la successiva situazione di fatto venutasi a creare a seguito dell’intesa stessa[10]; che quando il patto restrittivo della concorrenza sia stato concluso anteriormente rispetto all’entrata in vigore della legge antitrust, la nullità non colpisce il negozio giuridico originario ma la situazione, che realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza, determinatasi a seguito del patto restrittivo della concorrenza; “che la legge n. 287 del 1990, pertanto, con l’art. 2 ha stabilito una nullità ulteriore rispetto a quelle che il sistema già conosceva”; che il giudice ordinario, per poter dichiarare la nullità di un’intesa ai sensi della legge antitrust, deve necessariamente accertare che l’intesa abbia provocato una restrizione “consistente” della concorrenza, così come previsto dall’art. 2, comma 2, della stessa legge.

Concludendo, secondo la Suprema Corte, per quanto riguarda i rapporti ancora in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 287/90, non è di per sé sufficiente ad escludere l’applicabilità ad essi della disciplina in questione il profilo per cui il fatto (di natura in sé negoziale) generatore del singolo rapporto (ad esempio, una convenzione tra imprese) si fosse già realizzato alla data suddetta. Infatti, ferma restando l’ovvia intangibilità di quel fatto originario e di qualunque suo effetto già verificatosi antecedentemente all’entrata in vigore della nuova legge, rientrano comunque sotto la disciplina in questione tutte le vicende successive del rapporto che realizzino profili di distorsione della concorrenza[11].


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2. La posizione della Cassazione nell’annotata ordinanza

I principi più importanti individuati dalla suddetta sentenza sono stati richiamati in una recente decisione della Suprema Corte, in tema di nullità dei contratti “a valle”. Si tratta dell’ordinanza del 12 dicembre 2017, n. 29810[12], che ha statuito che la nullità del contratto “a valle” di un’intesa restrittiva della concorrenza (relativa, nella specie, alle norme bancarie uniformi Abi in materia di fideiussioni omnibus) possa ricorrere anche “per il contratto stipulato prima dell’accertamento dell’illiceità ad opera dell’autorità preposta all’applicazione della disciplina antitrust, purché detto contratto sia stato posto in essere dopo l’intesa stessa e concorra a realizzare la distorsione della concorrenza”.

In primo luogo, l’ordinanza ha riconfermato il principio secondo cui qualsiasi forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque forma essa venga posta in essere, può costituire comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione ai sensi dell’art. 2 della legge antitrust.

In secondo luogo, la Suprema Corte ha posto a fondamento di tale decisione il ragionamento svolto nel 1999 sulla rilevanza degli “illeciti in atto, per quanto generati anteriormente all’emanazione della legge del 1990”.

Ciò che rileva, in altre parole, è l’antigiuridicità sostanziale del comportamento sanzionato, a prescindere dal fatto che tale illiceità non fosse stata ancora formalmente dichiarata al momento della stipula del negozio: “non può (ne potrà, ancora) escluder[si] la nullità di quel contratto per il solo fatto della sua anteriorità all’indagine dell’autorità indipendente ed alle sue risultanze”, poiché, se la violazione “a monte” è stata consumata prima della negoziazione “a valle”, l’illecito anticoncorrenziale consumatosi prima del contratto “non può che travolgere il negozio concluso ‘a valle’, per la violazione dei principi e delle disposizioni regolative della materia…”.

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Note

[1] Cfr. R. Alessi, in R. Alessi – G. Oliveri, La disciplina della concorrenza e del mercato, Torino, 1991, p. 178; M. Coccia, in Diritto antitrust italiano, a cura di A. Frignani, II, Bologna, 1993, p. 1492 ss.; e, soprattutto, P. Auteri, Nullità e autorizzazione delle intese restrittive della concorrenza nella normativa antitrust nazionale, cit., p. 102 ss.; M. Libertini, Legge antitrust nazionale e sua applicabilità ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della nuova legge, in Riv. dir. ind., 1997, 352 ss.; Id., Il ruolo del giudice nell’applicazione delle norme antitrust, in Giur. comm., 1998, I, 649 ss., 669 ss.

[2] Cass., 1 febbraio 1999, n. 827, in Giur. comm., 1999, II, 223. La conclusione è fatta propria anche da M. Libertini, Il ruolo del giudice nell’applicazione delle norme antitrust, cit., p. 670 ss.

[3] In tal senso B. Libonati, Intese orizzontali e aperture in tema di concorrenza e di mercato nella giurisprudenza della Cassazione, nota a Cass., 1 febbraio 1999, n. 827, cit., 1224.

[4] Si segnala il provv. N. 3671 (1123) del 6 marzo 1996, SIPAC, in Boll. AGCM, n. 10, 1996, p. 7.

[5] Cass., 28 luglio 1995, n. 5281, in Giust. civ., 1996, I, 1411, con nota di C. Giovannetti. Conforme all’orientamento che si basa sul principio di irretroattività e sul carattere innovativo della legge antitrust, cfr. Cass., 21 agosto 1996, n. 7733, in Foro it., Rep. 1997, voce Arbitrato, n. 143, e Danno e resp., 1997, 340, con nota di S. Bastianon; 28 luglio 1995, n. 8251, in Foro it., Rep. 1996, voce Concorrenza (disciplina), n. 153, e in Giust. civ., 1996, I, 1411, con nota di C. Giovannetti.

[6] Cfr. M. Libertini, Legge antitrust nazionale e sua applicabilità ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge, cit., p. 353; L. De Lucia, Le elaborazioni della dottrina tedesca ed italiana sulla natura giuridica della concorrenza – Spunti, in Riv. dir. comm., 1994, I, 88 ss.

[7] M. Libertini, Legge antitrust nazionale e sua applicabilità ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge, cit., p. 356. In giurisprudenza, cfr. Cons. Stato, 19 luglio 1993, n. 537, in Cons. Stato, 1993, I, 967; Trib. Milano, 9 novembre 1985, in Or. Giur. lav., 1985, 1209.

[8] Cass., 1 febbraio 1999, n. 827, cit.

[9] Cass., 1 febbraio 1999, n. 827, cit., con nota di L. Delli Priscoli, La dichiarazione di nullità dell’intesa anticoncorrenziale da parte del giudice ordinario.

[10] Cass., 1 febbraio 1999, n. 827, cit., così statuisce: “la nullità di un’intesa investe, non solo l’eventuale negozio originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario” e, quindi, l’intera sequenza comportamentale venutasi a creare in relazione all’intesa stessa.

[11] La Cassazione, nella sentenza citata, così statuisce: “l’intesa comunque strutturata, è nulla, e la nullità decorre dal momento in cui, beninteso, in costanza della norma che la stabilisce, il comportamento vietato inizia a realizzarsi”.

[12] Cass., 12 dicembre 2017, n. 29810, in Foro it., 1, I, 151, con nota di R. Pardolesi.

Federica Puccinelli

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