Istanza di conversione del pignoramento ed intervento dei creditori nella procedura esecutiva, alla luce dell’ordinanza della Corte di Cassazione n.411/2020

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Premessa

Nell’ordinanza n.411/2020, la Cassazione, adita a seguito di ricorso ex art.111 Cost., ha esaminato l’istituto della conversione del pignoramento, in relazione all’intervento dei creditori nella procedura esecutiva.

Per comprendere la portata della decisione, si rende necessario delineare, preliminarmente, le caratteristiche dell’istituto della conversione del pignoramento, così come disciplinate dal legislatore all’interno dell’art. 495c.p.c..

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Conversione del pignoramento: presupposti e finalità.

L’istanza di conversione del pignoramento consente al debitore, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione, a norma degli artt. 530, 552 e 569 del codice di procedura civile, di chiedere che le cose o i crediti pignorati vengano sostituiti con una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione,  all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese. La ratio della disposizione è quella di riconoscere al debitore il diritto soggettivo di tutelare i propri beni, non sacrificando,al contempo, gli interessi dei creditori che hanno promosso o sono intervenuti nella procedura esecutiva. L’istanza, a pena di inammissibilità, può essere presentata una sola volta, proprio al fine di impedire che venga impiegata in funzione meramente dilatoria del processo esecutivo[1].

Ai fini della proposizione dell’istanza, ai sensi dell’art. 495, comma 2c.p.c., è previsto che il debitore depositi in cancelleria, a pena di inammissibilità, “una somma non inferiore ad un quinto dell’importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti, indicati nei rispettivi atti di intervento”. In tale importo non devono essere inclusi i versamenti già effettuati, da parte dal debitore, purché ne venga fornita la prova documentale. La suddetta somma viene depositata, a cura del cancelliere, presso un istituto di credito indicato dal giudice dell’esecuzione.

Entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza, il giudice è tenuto a fissare l’udienza per decidere sulla stessa. In tale sede, sentite le parti, e compiuta una valutazione sommaria delle pretese creditorie, viene determinata, con ordinanza, la somma da sostituire al bene pignorato[2]. Contestualmente alla sostituzione, il  giudice dispone che le cose o i crediti pignorati vengano liberati dal momento in cui il debitore avrà provveduto a versare l’intera somma.

Se oggetto del pignoramento sono beni immobili o cose mobili, il giudice, ricorrendo giustificati motivi, può disporre che il debitore versi quanto dovuto, a rate mensili e nel termine di massimo 48 mesi. In tale ultima ipotesi, il debitore sarà tenuto, altresì, a corrispondere gli interessi scalari al tasso convenzionale pattuito ovvero, in difetto, al tasso legale.

Il debitore è considerato inadempiente se non versa la somma, così come determinata nell’ ordinanza ai sensi del terzo comma dell’art. 495c.p.c., ovvero se omette o ritarda, di oltre 30 giorni,  il pagamento anche di una sola delle rate previste ex art. 495, comma 4c.p.c.. In tal caso, le somme già versate sono considerate parte dei beni pignorati ed il giudice, su istanza del creditore procedente e del creditore intervenuto munito di titolo esecutivo, ne dispone senza indugio la vendita.

 

La conversione del pignoramento nell’ordinanza della Corte di Cassazione n.411/2020

La questione, posta all’attenzione della Corte di Cassazione, riguardava la possibilità per il giudice dell’esecuzione di includere, nell’ordinanza ex art. 495, comma 3 c.p.c., anche quanto dovuto dal debitore nei confronti di un creditore intervenuto nel processo esecutivo successivamente alla formulazione dell’istanza di conversione e prima dell’udienza fissata per provvedere sulla stessa.

Nello specifico, il debitore, risultato soccombente in sede di reclamo, aveva adito la Cassazione ex art. 111Cost.. Ad avviso del ricorrente, essendo l’istanza di conversione diretta a “favorire la liberazione del debitore mediante lo spontaneo pagamento dei crediti ritualmente ammessi nel processo esecutivo” il giudice, nel pronunciare l’ordinanza di cui all’art. 495, comma 3 c.p.c., non avrebbe dovuto includere l’importo del credito oggetto dell’atto di intervento proposto successivamente alla formulazione della stessa.

La Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando l’orientamento tradizionale secondo cui “nella determinazione delle somme dovute per la conversione del pignoramento, si deve tenere conto anche dei creditori intervenuti successivamente all’istanza fino all’udienza in cui il giudice provvede (o si riserva di provvedere sulla stessa) con l’ordinanza di cui all’art. 495 terzo comma c.p.c.” (Cass. civ. Sez.III, Sent., 24 gennaio 2012 n.940).

Secondo la Corte, dovendosi ritenere l’istituto della conversione uno strumento integralmente satisfattivo delle ragioni creditorie, il giudice dell’esecuzione è tenuto a considerare, al momento dell’emissione dell’ordinanza ex art.495, comma terzo c.p.c. , l’importo del credito oggetto dell’atto di intervento effettuato in data anteriore alla pronuncia della stessa.

Intervento nel processo esecutivo ed ammissibilità della domanda di conversione

Nell’ordinanza n.411/2020 la Corte di Cassazione ha affrontato, altresì, il tema relativo all’incidenza dell’intervento dei creditori nella procedura esecutiva (artt. 498 ss. c.p.c.) rispetto all’ammissibilità della domanda di conversione. Ai sensi dell’art. 495, comma 2 c.p.c., il debitore, per poter presentare istanza di conversione è tenuto “a depositare in cancelleria una somma non inferiore ad un quinto dell’importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori interventi indicati nei rispettivi atti di intervento, dedotti i versamenti effettuati di cui deve essere data la prova documentale”.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’intervento nel processo esecutivo, effettuato in data successiva alla formulazione dell’istanza di conversione, ma anteriormente all’udienza fissata per provvedere su essa, non incide ex post sull’ammissibilità della domanda. L’importo che il debitore è tenuto a versare a titolo di cauzione, infatti, deve essere quantificato tenendo conto dei crediti insinuati nella procedura esecutiva fino al momento della presentazione dell’istanza. I crediti fatti valere dai creditori intervenuti nel processo esecutivo, successivamente alla presentazione dell’istanza di conversione, e prima dell’udienza fissata per provvedere sulla stessa, dovranno, invece, essere presi in considerazione al momento della pronuncia dell’ordinanza di cui all’art. 495, comma 3 c.p.c..

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Note

[1] Sul punto Cass. Civ. Sez. III, 21 giugno 2017 n.15362: “non può condividersi l’affermazione secondo cui il divieto di reiterazione non sussiste quando la prima istanza di conversione sia stata dichiarata inammissibile “per vizi formali”. Anche un’istanza di conversione affetta da soli vizi formali, può in teoria essere proposta per finalità dilatorie; ed in ogni caso una tale interpretazione della norma ne svilisce l’aspetto di coazione indiretta sulla posizione del debitore”.

[2] Ex plurimis Cass. Civ. Sez. III, 9 agosto 2007 n. 17481: “ l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art.495 cod. proc. civ., in sede di conversione del pignoramento, determina la somma di denaro da versare in sostituzione delle cose pignorate non esplica alcuna funzione risolutiva delle contestazioni sulla sussistenza e sull’ammontare dei singoli crediti o sulla sussistenza dei diritti di prelazione, né ha contenuto decisorio rispetto al diritto di agire “in executivis” ”.

Ludovica Vergari

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